politica italiana Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Stefania Ascari (1980), politica e avvocata italiana
Il quadro è spaventoso: ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa. Dal 2000 a oggi sono oltre 3 mila. A questo orrore si aggiunge altro orrore se pensiamo che sullo sfondo ci sono le famiglie, quelli che restano, gli orfani, i bambini, vittime collaterali di una violenza implacabile. Molte di queste donne avevano fatto tutto quello che lo Stato chiede di fare: avevano denunciato il proprio carnefice e si erano affidate alla giustizia, ma la giustizia non è stata in grado di difenderle, perché, se la denuncia non viene presa sul serio, se viene archiviata, se salta il sistema di protezione per loro, proprio quella denuncia si trasforma in una condanna a morte e ogni volta che questo accade registriamo un fallimento della giustizia.[1]
[...] c'è da chiederci: se le leggi ci sono, perché da sole non bastano? Non bastano perché la violenza maschile sulle donne è anche e soprattutto un problema culturale che affonda le sue radici nella logica del possesso, in una cultura patriarcale retrograda, sessista e misogina.[1]
[...] è fondamentale introdurre da subito in modo sistemico e continuativo l'insegnamento dell'educazione affettiva e sessuale dai primi banchi di scuola. Ciò significa insegnare ai bambini e alle bambine il rispetto per se stessi, il rispetto per gli altri, il rispetto della persona in generale, il rispetto della legalità, il rispetto della parità di genere. Si tratta di educare alla relazione, a litigare bene e a gestire le emozioni, di fornire un alfabeto gentile delle emozioni per avere adulti consapevoli e responsabili, in grado di contenere la rabbia e soprattutto gestire un rifiuto.[1]
[Riguardo la violenza sulle donne] Bisogna poi intervenire anche su chi fa del male, perché talvolta chi crea il problema non ha la consapevolezza di essere il problema.[1]
Quante volte abbiamo sentito la domanda: “Perché, se subiscono violenza, non vanno via da casa?”. Perché per andare via da casa bisogna avere un'alternativa, perché non esiste solo la violenza fisica e le botte che si vedono: ci sono anche la violenza psicologica, le umiliazioni, le vessazioni continue, c'è la violenza assistita, davanti ai bambini, e c'è la violenza economica, come dice la Convenzione di Istanbul. Se non c'è un'alternativa, se non c'è un'indipendenza economica, si torna da chi ti fa del male, se non puoi permetterti di aiutare e dare da mangiare ai tuoi bambini.[1]
[...] quando una donna denuncia, non chiede vendetta, ma chiede di essere tutelata, ascoltata, creduta, non colpevolizzata, non giudicata, ma soprattutto chiede un'alternativa alla violenza.[1]
La bigenitorialità non può essere prevista a tutti i costi, se questo comporta la convivenza con un genitore violento ed è a danno del minore.[1]
[Sull'aborto] Non permettere a una donna di decidere del proprio corpo è violenza.[1]
Bisogna smetterla di derubricare la violenza a mera conflittualità, perché in questo modo allontaniamo il cambiamento culturale che auspichiamo. Questa è una narrazione figlia della cultura dello stupro, che normalizza la violenza di genere e deresponsabilizza, anzi giustifica il carnefice.[1]
La violenza maschile sulle donne va affrontata non più come un'emergenza, ma come un fenomeno criminale strutturale, radicato nella nostra società.[1]