Alla fine della guerra, la situazione era tale che non ci sarebbe stato difficile prendere il potere ed iniziare la costruzione di una società socialista. La gran parte del popolo ci avrebbe seguito.[1]
[...] anche nella criniera di un nobile cavallo da corsa si possono sempre trovare due o tre pidocchi.[2]
Assai spesso, i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo. Lottando sotto la bandiera della solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno solidamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l'internazionalismo proletario poiché l'uno e l'altro si fondano sul rispetto dei diritti, delle libertà, dell'indipendenza dei singoli popoli. È ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica. L'avvenire della nazione riposa innanzi tutto sulle spalle delle classi operaie. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali. Il cosmopolitismo è un'ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l'ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri.[3]
[Nel 1953, riferendosi a Nikolaj Ivanovič Bucharin e ai nemici di Stalin] Aveva i caratteri di un professorino presuntuoso, vanitoso intrigante. Era in lui, come negli altri, la stoffa del doppiogiochista e del traditore.[4]
Bordiga vive oggi tranquillamente in Italia come una canaglia trotskista, protetto dalla polizia e dai fascisti, odiato dagli operai come deve essere odiato un traditore.[5]
[Ultime parole pronunciate in lingua russa, salutando i giovani ospiti del campo dei pioneri di Artek, pochi minuti prima del malore che lo avrebbe condotto alla morte] Cari amici, pioneri e pionere. Poche cose potrò dirvi perché, in realtà, le nostre lingue sono diverse. Ma, compagni, identici sono i nostri cuori. Nel vostro cuore e nel mio vivono gli stessi pensieri, gli stessi ideali. Tra noi non esistono differenze perché noi lottiamo per gli stessi obiettivi. Voi e noi assieme ci battiamo per gli stessi fini. Voi e noi assieme lottiamo per la pace, lottiamo per la felicità dei popoli, per la fratellanza tra i popoli, per il progresso, per il socialismo. In questa nostra unità sta la garanzia della nostra vittoria, giovani, pioneri. E voi e noi, benché noi in diverse condizioni e con mezzi diversi, conduciamo una stessa lotta. E in ciò è la sicurezza del nostro successo, della vittoria sui nostri avversari, della vittoria della pace in tutto il mondo, della vittoria del socialismo e del comunismo. Molte grazie, cari amici.[6]
[Dal discorso al Foro Italico del 27 settembre 1948, per la prima volta dopo l'attentato subìto due mesi prima] Compagni, ho terminato. [...] Portate il mio saluto dappertutto in Italia, portatelo agli operai e ai disoccupati delle officine di Milano, di Torino, di Genova, di tutte le nostre capitali industriali; portate il mio saluto ai forti braccianti e mezzadri della pianura del Po, ai contadini dell'Italia Meridionale; portatelo ai professionisti, agli impiegati che oggi stanno stanno combattendo duramente per il pane una giusta battaglia, portate loro un saluto che li rinfranchi nella lotta che essi debbono affrontare, il quale dica loro ancora una volta in Italia, in seno al popolo italiano è sorta e vive una forza invincibile: la forza del Partito comunista. Questa forza nessuno è riuscito ancora né riuscirà a spezzare, ed essa sa di essere chiamata a dare il suo decisivo contributo per guidare le masse del popolo in una lotta redentrice, la quale non potrà concludersi altro che con la nostra vittoria. Compagni, al lavoro, alla lotta [slogan comunista]. Le forze cupe della reazione, le forze ostili che anche all'assassinio hanno saputo ricorrere per infrangerci, queste forze non prevarranno. La vittoria sarà nostra![7]
[Una volta a Pietro Secchia] Cos'ha fatto ieri la Juve? [...] E tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juve?[8]
Da quando abbiamo rovesciato il fascismo, noi abbiamo fatto una esplicita dichiarazione che ci pone sul terreno di uno sviluppo democratico. Abbiamo conquistato la Costituzione repubblicana, in cui i principi democratici sono sanciti, ed abbiamo sempre dichiarato che rimaniamo fedeli a quei principi. [Si potrebbe obiettare che] in altri Paesi [a regime comunista] non avviene questo. Qui bisognerebbe fare un lungo discorso. L'Italia è un Paese di grandi tradizioni intellettuali e di pensiero. I pensatori italiani sono stati iniziatori della grande scuola moderna dello storicismo: abbiamo avuto Gian Battista Vico, Antonio Labriola, Antonio Gramsci, Carlo Cattaneo. Il punto di partenza del pensiero moderno storicistico è la concretezza dell'analisi, la realtà. Nell'Unione Sovietica, nella Cina, in altri paesi, la rivoluzione socialista si è realizzata nelle condizioni che erano dettate da quelle circostanze, dai rapporti di forza, dalla guerra, dall'attacco di tutti i nemici, e così via. Noi siamo stati sotto il fascismo, un regime antidemocratico e antinazionale, che ci aveva privati di tutte le libertà [...]. Contro quel regime dovevamo lottare con tutti i mezzi, ed abbiamo lottato prendendo anche le armi. Abbiamo conquistato la democrazia, che è una conquista nostra, del movimento popolare, dei comunisti, dei socialisti, dei democratici avanzati, e anche dei democristiani che hanno opinioni democratiche. Noi siamo impegnati ad andare avanti su questo cammino che la Costituzione repubblicana ci garantisce. Andando avanti su questo terreno noi riusciremo a gettare le fondamenta di una società nuova, basata sulla libertà e sulla giustizia sociale.[9]
Di qui esce la minaccia continua dell'avventura reazionaria. Oggi dominano i grandi monopoli, dettano legge le gerarchie clericali. Invece di avere una repubblica fondata sul lavoro, abbiamo un potere fondato sul privilegio sociale, sulla discriminazione, sulla corruzione, sulla sfacciata ricchezza di pochi. [...] il vantaggio non è andato e non va a favore di tutti: dove regnano i grandi monopoli, il beneficio del progresso economico creato dal lavoro di tutti va a vantaggio non di tutti ma solo di ristretti gruppi privilegiati [...].[10]
Dopo le drammatiche giornate di Genova [fatti di Genova del 30 giugno 1960], [...] ecco ora, a Reggio, una strage: cinque morti e decine di feriti, ad opera delle forze di polizia scatenate contro un popolo pacifico. Vi è una logica dura, terribile, in questo succedersi di avvenimenti. È la logica dell'azione di un governo [Governo Tambroni] che la sua costituzione stessa spinge sulla via della violenza contro contro le masse democratiche e antifasciste. [...] a Reggio Emilia, il governo, debitore della sua esistenza al voto e all'appoggio dei fascisti, ha cercato la vendetta per la vittoria riportata dall'antifascismo a Genova. E cinicamente, per questo scopo, ha fatto spargere il sangue di inermi cittadini. [...] Il Paese, oggi, non comprende l'azione del governo e la condanna. Non comprende perché manifestazioni antifasciste di popolo debbano essere interdette e disperse, dalla polizia, a colpi di mitra. L'antifascismo è il fondamento del nostro ordinamento politico. Un governo che si schiera contro l'antifascismo, diventa esso stesso, per questa sua azione, fonte di una situazione politica che già oggi è insostenibile e potrebbe diventare catastrofica. L'animo nostro è oggi pieno di amarezza e di cordoglio. Sentiamo che è necessario sia abbandonata la strada dei conflitti a ripetizione, degli scontri, degli eccidi. Sentiamo necessaria una distensione. Ma condizione prima di essa è che il paese sia liberato dal vergognoso connubio del governo con il fascismo e dalla vergogna del governo che si fonda su questo connubio. L'animo della grande maggioranza è democratico e antifascista. Questo animo deve ispirare la formazione e l'azione del nuovo governo. Quanto più verrà ritardata questa decisione, tanto più gravi saranno le conseguenze.[11]
È motivo di particolare orgoglio per me l'aver abbandonato la cittadinanza italiana per quella sovietica. Io non mi sento legato all'Italia come alla Patria, ma mi considero cittadino del mondo, di quel mondo che noi vogliamo unito a Mosca agli ordini del compagno Stalin. È motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere diecimila volte di più del migliore cittadino italiano.[12]
[Il Vaticano] È l'avversario più irreconciliabile e organizzato di una maggiore trasformazione democratica dell'Italia.[13]
Il vero problema è che lo sviluppo economico è stato sinora regolato, essenzialmente, dalla dura legge del profitto, dell'interesse del grande capitale e dei ceti privilegiati. Il popolo ha lavorato forte. Il ritmo del lavoro, nelle officine, è diventato cosi intenso che esaurisce un uomo nel corso di non molti anni. Ma è accaduto come per le api dell'amaro verso col quale Virgilio accusava i profittatori dell'opera sua. Ricordate? Voi fate il miele, o api, ma sono altri che lo godono. I profitti dei grandi capitalisti — alle stelle. [...] Il socialismo è la nostra meta. Noi non lo nascondiamo. Vogliamo una società nuova, fondata sulla fine dello sfruttamento, sulla solidarietà e fraternità di tutti gli uomini, sulla loro eguaglianza sociale, sull'accesso di tutti al benessere, alla cultura e alla gestione economica e politica del potere, e sulla pace. Per questa lavoriamo e combattiamo. Ed oggi, per la nostra Patria, ciò che vogliamo è una svolta a sinistra, per una avanzata democratica, secondo le linee previste dalla Costituzione, secondo i principi che essa sancisce e che aprono al popolo italiano la speranza, ove siano applicati, di un luminoso avvenire di progresso, di libertà, di felicità.[14]
In tutti i modi dobbiamo favorire l'occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito. Questo significa che in questa regione non vi sarà né una occupazione inglese, né una restaurazione della amministrazione reazionaria italiana, cioè si creerà una situazione profondamente diversa da quella che esiste nella parte libera dell'Italia [...] questa direttiva vale anche e soprattutto per la città di Trieste.[15]
[A conclusione della commemorazione di Stalin in occasione della morte pronunciata alla Camera dei deputati] Ha termine la vita eroica del combattente vittorioso. La sua causa trionfa. La sua causa trionferà in tutto il mondo.[16]
La discussione ha messo in luce un problema nuovo, che la scuola privata diventi una seconda scuola di stato.[17]
La nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso la Unione Sovietica è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire. Nella pratica, però, se un buon numero di prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire. Anzi. E ti spiego il perché. Non c'è dubbio che il popolo italiano è stato avvelenato dall'ideologia imperialista e brigantesca del fascismo. Non nella stessa misura che il popolo tedesco, ma in misura considerevole. Il veleno è penetrato tra i contadini, gli operai, non parliamo della piccola borghesia e degli intellettuali, è penetrato nel popolo insomma. Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore, è il più efficace degli antidoti. [Risposta del 15 febbraio 1943 alla lettera di Vincenzo Bianco che gli chiedeva un intervento presso il Cremlino in favore dei prigionieri italiani in Russia][18]
Le cose davvero serie e gravi i compagni sovietici non le mettono mai per iscritto.[19][20]
Le sezioni comuniste nei rioni delle città e dei paesi debbono diventare dei centri della vita popolare, dei centri ove debbono andare tutti i compagni, i simpatizzanti e quelli senza partito, sapendo di trovarvi un partito e un'organizzazione che s'interessano dei loro problemi e che forniranno loro una guida, sapendo di trovarvi qualcuno che li può dirigere, li può consigliare e può dar loro la possibilità di divertirsi se questo è necessario.[21]
Lo sforzo che vorrei fare all'inizio, in questo dibattito che giustamente fu definito preliminare, è quello di individuare quali sono i beni sostanziali che la Costituzione deve assicurare al popolo italiano, beni dei quali non si può prescindere, se si vuole raggiungere quell'obiettivo fondamentale che ho cercato di fissare e che devono essere o instaurati, o restaurati. Credo che questi beni siano tre: il primo è la libertà e il rispetto della sovranità popolare; il secondo è l'unità politica e morale della Nazione; il terzo è il progresso sociale, legato all'avvento di una nuova classe dirigente. Se noi riusciremo a fare una Costituzione la quale garantisca alla Nazione questi tre beni, allora non avremo fatto, com'è stato detto, una Costituzione interlocutoria, ma una Costituzione che rimarrà effettivamente come il libro da porsi accanto all'arca del patto, una Costituzione che illuminerà e guiderà il popolo italiano per un lungo periodo della sua storia. Le esigenze che ho indicato non sono infatti qualcosa di transitorio, ma sono esigenze permanenti e concrete, corrispondenti alla situazione storica ben determinata che sta davanti a noi.[22]
Nelle file del partito democratico cristiano si raccolgono masse Ali operai, di contadini, di intellettuali, di giovani, i quali hanno in fondo le stesse aspirazioni nostre perché al pari di noi vogliono un'Italia democratica e progressiva, nella quale sia fatto largo alle rivendicazioni delle classi lavoratrici.[23]
[Dalla commemorazione di Stalin in occasione della morte pronunciata alla Camera dei deputati] Ogni volta che viene pronunciata una parola di pace, ogni volta che si compie un atto che può assicurare la pace, ivi troviamo Stalin.[16]
Per lottare contro la sinistra[24], noi dobbiamo usare anche la polizia [fascista].[25]
Ricordarsi sempre che l'insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo d'imporre trasformazioni sociali e politiche in senso socialista o comunista, ma ha come scopo la liberazione nazionale e la distruzione del fascismo. Tutti gli altri problemi saranno risolti dal popolo, domani, una volta liberata l'Italia tutta, attraverso una libera consultazione popolare e l'elezione di un'Assemblea Costituente.[27]
Rivolgiamo [...] un saluto e un omaggio al nostro paese, che noi amiamo, per il bene del quale abbiamo lavorato e combattuto e al quale vogliamo dare e daremo, con la vittoria della democrazia e del socialismo, felicità, benessere e progresso, sicurezza, indipendenza, libertà e pace. Andiamo avanti [...], per l'emancipazione del lavoro, per il rinnovamento democratico e socialista dell'Italia, per il trionfo del comunismo.[28])
Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero, è un gigante dell'azione. Col suo nome verrà chiamato un secolo intero, il più drammatico forse, certo il più denso di eventi decisivi della storia faticosa e gloriosa del genere umano.[29]
Stalin divulgò tesi esagerate e false, fu vittima di una prospettiva quasi disperata di persecuzione senza fine, di una diffidenza generale e continua, del sospetto in tutte le direzioni.[30]
Sapevo che cosa è la città di Matera, questa città dove i tre quarti della popolazione, e precisamente quegli uomini i quali dal mattino alla sera sudano, faticano soltanto, non hanno una casa la quale sia degna di questo nome, vivono in un antro, non sanno che cosa sia una finestra, ed in quell'antro nel quale vivono, che è stato scavato secoli or sono, si accumulano in una incredibile promiscuità le famiglie e gli animali da lavoro. Sapevo che da una città, che ha i tre quarti della popolazione che vivono in queste terribili condizioni, da questa città si leva un terribile atto di accusa contro le classi dirigenti del nostro Paese, i gruppi sociali, capitalisti, agrari e privilegiati, i quali sono responsabili se in Italia vi è ancora una città in cui migliaia di uomini e di donne vivono in queste condizioni.[31]
Tutti capiscono la realtà della vita economica di oggi; tutti hanno visto come si sia sviluppata la vita economica nell'Europa capitalista, dove si è assistito a forme di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, e come ne siano derivati sconvolgimenti sociali, la miseria, la guerra, il fascismo, la tirannide, che ha soppresso la libertà democratica. È a questo che si cerca di porre riparo. Il problema non può risolversi con teoremi economici; ma è un problema di realtà politica e sociale che ha cominciato e continua a svilupparsi sotto gli occhi della presente generazione e ad esso le classi lavoratrici cercano di trovare una soluzione.[32]
Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! Senza dubbio! Il nostro obiettivo è la creazione nel nostro Paese di una società di liberi e di eguali, nella quale non ci sia sfruttamento da parte di uomini su altri uomini.[34]
La fonte delle organiche deficienze del movimento socialista era anche da cercarsi nella visione fatalistica di una rivoluzione che sarebbe dovuta giungere per un sviluppo automatico, quando il capitalismo fosse arrivato all'ultimo grado della sua maturazione. (cap. II, p. 24)
Le idee, i grandi principi di rinnovamento del mondo, non vanno avanti con mezzi loro. Non hanno le gambe, diceva uno dei classici del nostro pensiero. Avanzano e si impongono quando, penetrati nella mente degli uomini e nella coscienza di una classe, diventano una forza, perché i migliori fra gli uomini e prima di tutto in questa classe vanno per essi al combattimento, affrontano il pericolo, sacrificano la libertà e la vita. (cap. VII, p. 69)
L'avanzata del fascismo verso la distruzione di ogni forma di democrazia e verso una nuova guerra, erano opera dei gruppi più reazionari e sciovinisti della borghesia capitalistica. Essa colpiva i diritti, gli interessi, le aspirazioni non degli operai soltagnto, ma della grande maggioranza delle popolazioni, di tutti i movimenti politici non reazionari, di tutti coloro che amavano la civiltà o la pace. La iniziativa di una collaborazione di tutte queste forze per salvare, con un'azione comune, la pace e la democrazia, poteva però essere presa, come i fatti stessi dimostrarono, soltanto dalla classe operaia, che delle forze borghesi reazionarie è l'antagonista storico oggettivo. (cap. VIII, p. 76)
Da questa situazione è uscita la forsennata agitazione anticomunista che da più di dieci anni opprime l'Italia, degradando la nostra lotta politica. Quest'agitazione è particolarmente per l'Italia un assurdo storico e un assurdo politico. È un assurdo storico, perché a tutti è noto che se non vi fossero stati i comunisti sarebbe mancato agli italiani, per la resistenza e la lotta contro il fascismo e nella lotta di liberazione, una delle necessarie guide, forse la più importante. Un assurdo politico, perché il partito comunista non è una piccola trascurabile entità, ma è seguito dalla maggioranza degli operai, da foltissime schiere popolari, da una parte tutt'altro che piccola dell'intellettualità. Metterlo al bando, significa introdurre nel corpo della nazione una scissione che turba e avvelena tutta la vita del paese. (cap. XI, p. 116)
In questo grande quadro, decisivo è stato l'impulso dato in Italia dal fondatore del nostro partito, Antonio Gramsci, uno dei più originali pensatori dei nostri tempi, il più grande degli italiani dell'epoca nostra, per la traccia incancellabile che col pensiero e coll'azione egli ha lasciato. Con Gramsci il marxismo, liberato dalle parassitarie deformazioni del fatalismo positivistico e del materialismo volgare, riacquista tutto il suo valore di concezione del mondo e visione integrale della storia. È di nuovo guida dell'azione e del pensiero in tutti i campi, non solo nella ricerca puramente politica, ma nella critica di una decrepita cultura idealistica incapace di farci capire il mondo di ieri e di oggi, nella costruzione di una cultura nuova e nella lotta per il rinnovamento della società. (cap. XIV, p. 142)
Corso sugli avversari
Prima di iniziare questo corso voglio dire qualche parola sul termine avversari per evitare una falsa interpretazione, da parte di qualcuno di voi, di questo termine, falsa interpretazione la quale potrebbe portare a degli errori politici. Quando noi parliamo di avversari non abbiamo in vista le masse che sono iscritte a organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche. Avversari nostri sono le organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche. Ma le masse che vi aderiscono non sono nostri avversari, sono delle masse di lavoratori che noi dobbiamo far tutti gli sforzi per conquistare.
[Palmiro Togliatti, Corso sugli avversari, a cura di Francesco M. Biscione, Einaudi, Torino, 2010, p. 3. ISBN 978-88-06-20085-8]
De Gasperi il restauratore
L'anniversario della morte di Alcide De Gasperi è stato accompagnato, com'era naturale, dalle celebrazioni organizzate dal suo partito. Le ripercussioni di queste celebrazioni nell'opinione pubblica non sono state grandi, e scarso ne è stato, del resto, il valore. Si sono mantenute, infatti, nell'ambito della consueta propaganda ufficiale e delle consuete polemiche del partito democristiano, il che era anche comprensibile, dato lo scopo non tanto di porre problemi politici o storici, quanto di servire alla corrente mobilitazione dei militanti. È mancata quindi, anche da parte di coloro che di De Gasperi furono i più stretti collaboratori e oggi intendono continuarne l'opera, una ricerca un po' più attenta e profonda dei motivi di questa, della estensione, dei limiti e quindi del significato che essa ha avuto nella storia del nostro paese. E abbiam parlato anche di limiti, perché ci sembra che anche gli ammiratori e gli amici dovessero avere interesse, davanti all'opinione pubblica, a non mostrarsi del tutto privi di capacità critica. Non l'hanno fatto, però, e in queste condizioni era difficile si aprisse un dibattito. Tentò di farlo, e per vero in modo assai superficiale, un settimanale non democristiano, ma la reazione che ne seguì, anche più superficiale e persino grossolana, fu tale da rendere evidente che il tema è di quelli che i dirigenti democristiani attuali non sono ancora in grado, non solo di affrontare con obiettività e con calma, ma nemmeno di vedere affrontati da altri, senza essere presi da quel nervosismo di parte che rende impossibile qualsiasi discussione seria.
Figlio di una maestra delle elementari e di un impiegato, [...] era stato con Gramsci a Torino durante il biennio rosso ed era stato uno dei fondatori del partito nel 1921. Rifugiatosi in Russia dopo la vittoria del fascismo, era presto salito d'importanza fino a diventare vicesegretario generale del Comintern. Astuto, prudente, colto e altezzoso, possedeva una innata capacità di sopravvivere a tutte le tempeste politiche: una qualità che gli fu d'aiuto nella Mosca degli anni '30. Benché fosse ovviamente un leale sostenitore di Stalin, Togliatti sapeva pensare in modo creativo e possedeva una visione strategica d'insieme, e questi meriti lo mettevano in risalto all'interno di un movimento comunista internazionale famoso per il suo dogmatismo e fideismo. (Paul Ginsborg)
Gramsci aveva una maggiore sensibilità umana, più spontaneo, aperto. Togliatti, sembrerà strano, era molto più intellettuale. (Umberto Terracini)
[Su Togliatti e ciò che lo aveva colpito della personalità] L'abilità, ma era qualcosa di più, il modo attraverso il quale egli riusciva a imporre, in senso dialettico, la presenza del partito comunista. (Emilio Colombo)
L'onorevole Togliatti rappresenta idee e programmi diversi dai miei. Siamo due parallele che non potremo incontrarci che all'infinito. (Francesco Saverio Nitti)
La colpa massima della tv è di aver introdotto Togliatti e le ballerine nel cuore delle famiglie italiane. (Guido Gonella)
Mentre per Gramsci ciò che importava e prevaleva nella prospettiva rivoluzionaria era l'Internazionale, Togliatti ne limitava l'arco al partito sovietico. (Umberto Terracini)
Penso che Togliatti abbia capito la Resistenza solo quando fucilammo Mussolini a Dongo. (Luigi Longo)
Quanti crimini ha commesso o coperto Togliatti negli anni '30 e '40? Eppure è considerato parte della nostra storia. (Fabrizio Cicchitto)
Quello che mi incantò fu il suo linguaggio che era insieme popolare, inteso da tutti, eppure ogni motto guardingo, puro italiano, ogni parola specchio esatto di ciò che voleva esprimere, ogni parola giusta a "sollecitare" il cuore e la mente di chi lo ascoltava. La piazza era gremita. Il comizio si svolse in silenzio, acuta in tutti l'emozione. Parlava il capo dei loro nemici, di loro lucchesi, bianchi, come un predicatore, dal pulpito, con calma, un'eco solenne... tale preciso parlare parve anche un omaggio a quel popolo che lì, sotto il piccolo palco, ascoltava e la lingua italiana, il dittaggio, eccome se lo conosceva e lo coltivava, eccome se attraverso i secoli aveva conservato il bel parlare, la lingua italiana. (Mario Tobino)
Togliatti è uno stalinista educato, colto. Estraneo alla condizione russa, alle tradizioni russe, non vede per alcuni anni la necessità di estendere a tutto il movimento comunista il modello russo; poi si rassegnerà, ma senza lasciarsi convincere fino in fondo. Non è che egli discuta o ripudi i grandi tagli staliniani imposti con la "giusta" e necessaria violenza; è che non sente le necessità di aggiungere terrore a terrore, rimane esente da manie persecutorie, padrone degli istinti canaglieschi, normale quanto a intelligenza. Ed è questa sua normalità in un mondo deformato dalla follia o dalla tragedia che lo fa apparire più democratico di quanto in realtà non sia. (Giorgio Bocca)
Togliatti era odiato; era considerato un nemico, anzi il nemico, il calcolatore cinico e diabolicamente abile che, contro ogni tradizione, contro l'ordine costituito, contro gli interessi del paese, contro le credenze più radicate e gli ideali più rispettati, cospirava a sovvertire, a distruggere, a scardinare, servendosi delle passioni più elementari, strumentalizzando la miseria e il rancore sociale, intento esclusivamente ad attuare le direttive che gli provenivano da un paese straniero. (Eugenio Scalfari)
Togliatti era un uomo piccolo e freddo, di acuta intelligenza, con un risolino divertito, in privato, che parlando in pubblico poteva mutarsi in sferzante sarcasmo. (Peter Nichols)
Un giorno Togliatti tenne un comizio a Castellammare e in molti andarono a sentirlo. Il comunista parlava all’aperto, vicino alla riva del mare, alle pendici del monte Faito. Era robusto e portava gli occhiali. Mentre teneva il suo discorso nella piazza si riunirono alcune migliaia di persone. Ascoltavano in silenzio, sotto il sole. Togliatti parlava di come le cose andassero malissimo in Italia, ma un bel giorno lui e i comunisti avrebbero preso il potere e tutto sarebbe cambiato, tutto sarebbe andato meglio, molto meglio. Sopraggiunse un gruppo di poliziotti, su delle jeep rosse. Si fermarono all’angolo della strada, e attesero immobili. Nessuno approvava. Nessuno protestava. (Sandor Marai)
Vittorio Emanuele parla raramente di politica oggi, ma non può dirsi un temperamento apolitico. Segue da lontano la vita dei partiti italiani e ha, di fronte a ciascuno di essi, sentimenti diversi. Odia senza riserve Togliatti e Nenni, ha una stima modesta dei partiti di destra, ignora i qualunquisti e le sfumature minori dell'arcobaleno politico italiano, saragattiani, azionisti, democrazia del lavoro; considera tuttavia Pacciardi, che personalmente non conosce, un avversario da rispettare. (dal Messaggero del 27 marzo 1947[35])
C'era in Togliatti un certo piglio aristocratico, un gusto ottocentesco che non gli faceva sempre apprezzare certi esperimenti dell'avanguardia artistica.
Come intellettuale Togliatti ha avuto l'eroismo di sacrificare le sue possibilità creative, filosofiche e culturali, alle esigenze della direzione politica.
La più alta creazione intellettuale di Togliatti è stato il partito nuovo, il Pci quale oggi conosciamo.
Hanno detto dei suoi legami con Stalin e della sua soggezione, anche nei giorni difficili. In realtà lo conosceva poco: si erano incontrati in tre o quattro occasioni. Lo ammirava come lottatore duro e tenace, ma capì le rivelazioni del XX Congresso e ne rimase sconvolto. [...] Aveva una sensibilità viva, una forte propensione a comprendere. So che l'immagine di lui è diversa, ma io l'ho conosciuto in un altro modo. Si difendeva da fatti che lo turbavano profondamente, ma la sua intelligenza gli imponeva di accettarli come momenti nel cammino della civiltà.
La montagna ci piaceva tantissimo. Togliatti era un gran camminatore, io pure.
[Sulla mancata partecipazione di Togliatti alla Resistenza] Le assicuro che Togliatti non era lontano dalla Resistenza. Di carattere era un uomo freddo, d'accordo. Ma lui, che odiava i distintivi, l'unico che ci teneva ad esibire sempre era quello che gli aveva donato il Corpo volontari della libertà. Se avesse potuto, si sarebbe fatto paracadutare nel nord Italia. Freddo sì, ma l'utopia ce l'aveva dentro.
[A proposito del memoriale di Jalta] Non è vero che Togliatti fu strumentalizzato, che il memoriale fu usato contro Chruščёv. Io non vedo un collegamento tra il memoriale e la caduta di Chruščёv. Il grande processo che avrebbe portato a questo evento era già in corso, in URSS.
Pensare che fosse possibile da parte mia un aut-aut sentimentale del tipo "se tu resti in Russia ti pianto" equivale a ignorare quali fossero i nostri rapporti e quale fosse il temperamento di Togliatti.
[A proposito dell'attentato intentatogli nel 1948] Quando qualche giorno dopo l'intervento chirurgico gli fu permesso di scorrere i giornali, Togliatti volle leggersi le cronache dell'attentato. Lo colpì, proprio sull'Unità, un titolone a nove colonne: ‘Via il governo della guerra civile'. Ricordo il suo commento: se avessero scritto ‘Via il ministro dell'Interno', questa sì che sarebbe stata una richiesta non solo plausibile ma anche accettabile! E infatti più tardi si seppe che in Consiglio dei ministri, riunito d'urgenza lo stesso giorno dell'attentato, il ministro degli Esteri Carlo Sforza ed il suo sottosegretario, un giovanissimo Aldo Moro, avevano posto il problema delle dimissioni del ministro dell'Interno.
[A proposito della crisi sino-sovietica] Togliatti era preoccupato per i rapporti fra URSS e Cina, e per la situazione fra il partito e gli intellettuali che si era creata dopo che Chruščёv aveva assunto posizioni assai rigide e dure.
Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, Palmiro Togliatti, ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa».
È difficile sapere che cosa fu Togliatti, perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo ha mai saputo nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di Stalin. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] ["Era un grande diplomatico?"] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato, o contro il muro, beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. ["Non era uno statista, per esempio?"] Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il Partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno capo del governo, era capo del Partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel Partito.
Nella storia della nazione italiana io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le riforme. [...] E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello Stato e del potere era anche Togliatti. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a sinistra.
↑ Citato in Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse, Newton Compton, 2012, p. 28.
↑ Citato in Alessandro Sanzo, L'officina comunista: Enrico Berlinguer e l'educazione dell'uomo (1945-1956), Aracne, Roma, 2003, p. 183. ISBN 9788806188689
↑ Citato in Marcella e Maurizio Ferrara, Conversando con Togliatti, Roma, 1953; citato in Giorgio Bocca, Togliatti, Oscar Storia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1991, p. 262. ISBN 88-04-42493-1
↑ Così come riportato in «Una forza invicibile vive nel nostro popolo», l'Unità, Edizione piemontese, 28 settembre 1948, pp. 1-2. Testimonianza audiovisiva in Togliatti è ritornato, diretto da Basilio Franchina e Carlo Lizzani, min 33:18-35:30, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, su aamod.it.
↑ Citato in Giacomo Papi, Il ragazzo che portava il pallone, Diario della settimana n. 13/14, 8 aprile 2004.
↑ Dal programma televisivo Tribuna elettorale, Rai, 14 ottobre 1960; stenogramma riportato su l'Unità, 15 ottobre 1960, p. 8.
↑ Dal resoconto stenografico del XVI Congresso del Partito Comunista russo (Mosca, 29 giugno-13 luglio 1930), p. 185.
↑ Da una conversazione con Kostylev, 11 giugno 1945; in Archivio di politica estera della Federazione russa, f. 098, p. 152, p. 19. Citato in Elena Aga Rossi e Viktor Zaslavsky, Togliatti e Stalin, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 79. ISBN 88-15-06199-1
↑ Dall'appello agli elettori per le elezioni politiche del 1963, Tribuna elettorale, 25 aprile 1963.
↑ Dalla lettera del 19 ottobre 1944 a Vincenzo Bianco; pubblicata su P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, vol. V., Einaudi editore, Torino, 1975.
1 2 Citato in Paolo Granzotto, Montanelli, Ti ricordi Indro?, Società Europea di Edizioni S.p.A., Milano, p. 127. ISBN 9 778118 178454
↑ 22 ottobre 1946; citato in Mario A. Manacorda, Scuola pubblica o privata?, Editori Riuniti, Roma, 1999, p. 61.
↑ Da La Stampa, 15 febbraio 1992; anche: R. Risaliti, Togliatti fra Gramsci e Neciaiev, Omnia Minima, Prato 1995.
↑ In risposta a una preoccupazione di Ignazio Silone che osservava che il giorno in cui fossero venuti alla luce gli archivi sovietici, i comunisti italiani avrebbero potuto essere considerati responsabili anche dei crimini commessi dal Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
↑ Citato in La Stampa, 13 marzo 1994, p. 19; citato in Elena Aga Rossi e Viktor Zaslavsky, Togliatti e Stalin, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 11. ISBN 88-15-06199-1
↑ Da I compiti del partito nella situazione attuale, Roma 1945, p. 37; citato in Ginsborg 1989, p. 57.
↑ Durante un comizio a Roma nel luglio 1944; da Per la libertà d'Italia, p. 73; citato in Ginsborg 1989, p. 53.
↑ Riferimento a chi stava a sinistra del Partito Comunista, cioè i trotzkisti e altre frange in disaccordo con la politica di Mosca.
↑ A proposito del sospetto che alcuni dissidenti del PCI durante il fascismo fossero stati segnalati alla polizia dagli stessi comunisti guidati da Togliatti e quindi allineati alle direttive di Mosca. Cfr. Bruno Vespa, Donne d'Italia, RaiEri-Mondadori, Milano, 2015, p. 86. ISBN 978-88-04-65812-2
↑ Citato in Alessandro Spinelli, I repubblicani nel Secondo Dopoguerra (1943-1953), Longo Angelo, 1998, p. 135. ISBN 8880631861
↑ Da Le istruzioni alle organizzazioni di partito nelle regioni occupate; in Opere scelte, Roma, 1974, pp. 331-32; citato in Ginsborg 1989, p. 52.
↑ Dal discorso Nel quarantesimo anniversario del PCI. Rapporto alla sessione pubblica del comitato centrale e della commissione centrale di controllo del Partito Comunista Italiano, Roma, 23 gennaio 1961; così riportato in Palmiro Togliatti – Il Partito. Scritti e discorsi, edizioni a cura della Sezione stampa e propaganda del PCI, 1973.
↑ Citato in Santi Fedele, Fronte popolare: la sinistra e le elezioni del 18 aprile 1948, Bompiani, 1978, p. 13.
↑ Dal discorso Per la sfiducia al IV Governo De Gasperi, Assemblea Costituente, 26 settembre 1947, in Discorsi parlamentari: 1946-1951, Camera dei deputati, 1984.
Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, traduzione di Marcello Flores e Sandro Perini, Einaudi, 1989. ISBN 8806160548
Palmiro Togliatti, Il partito comunista italiano, Editori Riuniti, Roma 19974. ISBN 8835943191
Palmiro Togliatti, De Gasperi il restauratore: è possibile un giudizio equanime sull'opera di Alcide De Gasperi?, cinque articoli pubblicati in Rinascita, a cura e con introduzione di Fabio Silvestri, Alberto Gaffi editore in Roma, 2004.