scrittore, giornalista, politico, saggista e drammaturgo italiano (1900-1978) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Ignazio Silone, pseudonimo, e in seguito anche nome legale, di Secondo Tranquilli (1900 – 1978), scrittore e politico italiano.
A mano a mano che salivamo, se ci guardavamo indietro, la nostra vista si allargava sull'intiero altipiano e scopriva, in tutto il suo splendore, la mole grandiosa del Gran Sasso. (da La terra e la gente in Abruzzo)
L'uomo non esiste veramente che nella lotta contro i propri limiti. (da Ed egli si nascose, Città nuova)[1]
L'operaio di una città moderna usufruisce, oggi, di un benessere materiale superiore a quello di un nobile dei secoli scorsi. (da Uscita di sicurezza, Vallecchi)
La lotta finale sarà fra comunisti ed ex comunisti.[2]
Qualcosa di esso [il partito comunista] rimane e lascia la sua impronta sul carattere, che uno si porta dietro per tutta la vita. È interessante notare come gli ex comunisti siano facilmente riconoscibili. Formano una categoria a sé, come un tempo i preti e gli ufficiali dopo aver lasciato i loro ruoli.[3]
Il primo di giugno dell'anno scorso Fontamara rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica. Il due di giugno, il tre di giugno, il quattro di giugno, Fontamara continuò a rimanere senza illuminazione elettrica. Così nei giorni seguenti e nei mesi seguenti, finché Fontamara si riabituò al regime del chiaro di luna.
Citazioni
A chi guarda Fontamara da lontano, dal Feudo del Fucino, l'abitato sembra un gregge di pecore scure e il campanile un pastore. Un villaggio insomma come tanti altri; ma per chi vi nasce e cresce, il cosmo. L'intera storia universale vi si svolge: nascite morti amori odii invidie lotte disperazioni.
I giovani non conoscono la storia, ma noi vecchi la conosciamo.
In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch'è finito.
Le strade erano piene di luci. Si era fatto tardi, ma le vie erano illuminate a giorno. (Tutto era chiaro.) Ma perché tutto questo? mi domandavo. Avezzano aveva un aspetto strano come d'un mondo carnevalesco. Vedevo la gente che si divertiva nei caffè e nelle osterie, che cantava, che ballava, che gridava cose inutili e stupide, in un'allegria esagerata e penosa e dovevo fare uno sforzo per credere alla realtà di ciò che era avvenuto, e mi domandavo: che tutti facciano per scherzo? oppure che tutti siano diventati pazzi senza accorgersene? «I cittadini si divertono» diceva Berardo con rabbia. «Ah, i cittadini sono allegri. I cittadini bevono. I cittadini mangiano. Alla faccia dei cafoni.»
Madonna, difendici tu, intervieni tu, perché i nostri uomini non servono a nulla.
Per ordine del Podestà sono proibiti tutti i ragionamenti. Berardo provvide ad affiggere il cartello, in alto, sulla facciata. La sua condiscendenza ci sbalordiva assai. Ma poi Berardo disse: "Quello che il Podestà ordina da oggi, io l'ho sempre ripetuto. Coi padroni non si ragiona, questa è la mia regola. Tutti i guai dei cafoni vengono dai ragionamenti. Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano. L'asino irragionevole porta 70 chili di peso, oltre non ne porta. L'asino irragionevole ha bisogno di una certa quantità di paglia. Tu non puoi ottenere da lui quello che ottieni dalla vacca, o dalla capra, o dal cavallo. Nessun ragionamento lo convince. Nessun discorso lo muove. Lui non ti capisce, o finge di non capire. Ma il cafone invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dar la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra. Può essere persuaso che nell'altro mondo c'è l'inferno benché lui non l'abbia mai visto. Vedete le conseguenze. Guardatevi intorno e vedete le conseguenze. Un essere irragionevole non ammette il digiuno. Se mangio lavoro. Se non mangio non lavoro. O meglio neppure lo dice, perché allora ragionerebbe, ma agisce così per natura. Pensa un po' se gli ottomila uomini che coltivano il Fucino, invece di essere asini ragionevoli, cioè addomesticabili, cioè convincibili, cioè esposti al timore del carabiniere, del prete, del giudice, fossero invece veri somari, completamente privi di ragione. Il principe potrebbe andare per elemosina. E cosa ci impedisce ora di strappare quel cartello che ci hai portato e strangolarti a morte? Ce lo può impedire solo il ragionamento delle possibili conseguenze dell'assassinio. Ma tu, di tua mano, hai scritto su quel cartello che da oggi, per ordine del Podestà, sono proibiti i ragionamenti. Tu hai rotto il filo al quale era legata la tua incolumità."
Un cittadino ed un cafone difficilmente possono capirsi.
«In altre parole tu mi credi un mascalzone» disse l'uomo con la paglietta in testa e la coccarda rossa all'occhiello. «Non hai fiducia in me.» L'ingegnere chiuse gli occhi infastidito. «Lo so, diffidi di me a causa del mio passato» insisté l'altro. «Sai che ti rispondo? Forse hai ragione. Sono sincero? Ed hai mai incontrato un mascalzone sincero, un mascalzone che si confessi? Dunque non sono tanto mascalzone quanto tu credi. Adesso, Cristo, dimmi sinceramente che pensi.» «Niente» mormorò l'ingegnere. «Ho troppo mal di testa.»
Citazioni
Per capir bene le parole sacre bisogna trovarsi in stato d'innocenza; anche allora però esse possono rimanere misteriose. (p. 30)
La storie invecchiano solo per quelli che non ci pensano. (p. 47)
Il mondo è rotondo. Chi parte, perde tempo. (p. 63)
I mutamenti accaduti con la guerra portarono anche in quella remota valle sorprese e illusioni; ma, per finire, piovve e nevicò come gli altri anni, e i poveri rimasero poveri. (p. 95)
Nei giorni di miseria, anche il brodo d'un osso può nutrire. (p. 235)
Il vecchio don Benedetto leggeva il breviario seduto sul muricciolo dell'orto, all'ombra del cipresso. Sul basso muricciolo che gli serviva da panca, il nero del suo abito talare assorbiva e prolungava l'ombra dell'albero. Dietro di lui la sorella tesseva al telaio, impiantato tra una siepe di bosso e un'aiuola di rosmarino, e la navetta saltava tra l'ordito di lana rossa e nera, da sinistra a destra e da destra a sinistra, accompagnata dal ritmo del pedale che sollevava i licci e del pettine che batteva la trama. A un certo momento la sorella del prete interruppe il lavoro per osservare con malcelata ansietà un veicolo fermo ai piedi della collina. Delusa, ella riprese a tessere. Era un carro di campagna, tirato dai buoi. «Vedrai, non tarderanno» disse al fratello. Egli alzò le spalle fingendo noncuranza. A destra si trovavano la strada ferrata e la via Valeria che, tra campi di fieno, di grano, di patate, di bietole, di fagioli, di granturco, portava ad Avezzano, si arrampicava fino ai Colli di Monte Bove, scendeva a Tivoli e infine, come ogni fiume che sfocia in mare, conduceva a Roma; a sinistra, tra i vigneti, i piselli, le cipolle, c'era la via provinciale che si inerpicava subito tra le montagne e s'addentrava nel cuore dell'Abruzzo, nella regione dei faggi, dei lecci e dei superstiti orsi, conducendo a Pescasseroli, a Opi, a Castel di Sangro.
Citazioni
«La sicurezza è sempre relativa; anche la Pubblica Sicurezza non farebbe male a chiamarsi Pubblico Pericolo» disse don Benedetto. (cap. I)
Ah, com'è miserabile un'intelligenza che non serve che a fabbricare alibi per far tacere la coscienza. (cap. III)
«Si vive nel provvisorio» disse. «Si pensa che per ora la vita va male, per ora bisogna arrangiarsi, per ora bisogna anche umiliarsi, ma che tutto ciò è provvisorio. La vera vita comincerà un giorno. Ci prepariamo a morire col rimpianto di non aver vissuto. A volte quest'idea mi ossessiona: si vive una sola volta e quest'unica volta si vive nel provvisorio, nella vana attesa del giorno in cui dovrebbe cominciare la vera vita. Così passa l'esistenza. (cap. III, p. 66)
«La libertà non è una cosa che si possa ricevere in regalo» disse Pietro. «Si può vivere anche in paese di dittatura ed essere libero, a una semplice condizione, basta lottare contro la dittatura. L'uomo che pensa con la propria testa e conserva il suo cuore incorrotto, è libero. L'uomo che lotta per ciò che egli ritiene giusto, è libero. Per contro, si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi; malgrado l'assenza di ogni coercizione violenta, si è schiavi. Questo è il male, non bisogna implorare la propria libertà dagli altri. La libertà bisogna prendersela, ognuno la porzione che può.» (cap. III, p. 67)
«L'asino è ancora fortunato» disse Magascià. «Un asino di solito lavora fino a ventiquattro anni, un mulo fino a ventidue, un cavallo fino a quindici. Ma l'uomo disgraziato lavora fino a settanta e più. Perché Dio ha avuto pietà degli animali e non dell'uomo? D'altronde, Lui ha il diritto di fare quello che gli pare.» (cap. VI)
«L'invidia qui è nell'aria» disse Magascià. (cap. VI)
Abbandonò la Chiesa non perché si fosse ricreduto sulla validità dei suoi dogmi e l'efficacia dei sacramenti, ma perché gli parve che essa s'identificasse con la società corrotta, meschina e crudele che avrebbe dovuto invece combattere. (cap. IX)
«[...] Carne avvezza a soffrire, dolore non sente.» «Ho l'impressione» disse don Paolo «che i tempi diventeranno sempre più duri e che solo uomini di quella sorta sopravviveranno. Per la ragione detta ora da lei: è carne avvezza a soffrire.» (cap. X, p. 161)
«Alla salute» disse don Paolo ridendo. «Bevi, frate, sta' allegro. Faremo una rivoluzione che fregherà il demonio, quel vecchio sporcaccione.» (cap. XI)
«Arriva sempre un'età» egli disse «in cui i giovani trovano insipido il pane e il vino della propria casa. Essi cercano altrove il loro nutrimento. Il pane e il vino delle osterie che si trovano nei crocicchi delle grandi strade, possono solo calmare la loro fame e la loro sete. Ma l'uomo non può vivere tutta la sua vita nelle osterie» (p. 223)
In ogni dittatura un solo uomo, anche un piccolo uomo qualsiasi, il quale continui a pensare con la propria testa, mette in pericolo l'ordine pubblico. Tonnellate di carta stampata propagano le parole d'ordine del regime; migliaia di altoparlanti, centinaia di migliaia di manifesti e di fogli volanti distribuiti gratuitamente, schiere di oratori su tutte le piazze e i crocicchi, migliaia di preti dal pergamo ripetono fino all'ossessione fino all'istupidimento collettivo, quelle parole d'ordine. Ma basta che un piccolo uomo, un solo piccolo uomo dica NO, e quel formidabile ordine granitico è in pericolo. (p. 228)
La forza della dittatura è nei muscoli, non nel cuore. (p. 253)
Il destino è un'invenzione della gente fiacca e rassegnata. (p. 254)
[Uliva:] «Malgrado tutto, ho una certa stima di te. Da molti anni ti vedo impegnato in una specie di vertenza cavalleresca con la vita, o, se preferisci, col creatore: la lotta della creatura per superare i suoi limiti. Tutto questo, lo dico senza ironia, è nobile; ma richiede un'ingenuità che a me manca» «L'uomo non esiste veramente che nella lotta contro i propri limiti» disse Pietro (p. 257)
Non c'è mortorio senza scherzi, né matrimonio senza pianti. (p. 304)
L'uomo di Dio deve essere sempre stanco [...]. Nell'ozio vengono i pensieri inutili, e dietro ad essi, il Maligno sempre in agguato. (p. 311)
In ogni tempo e in qualunque società l'atto supremo dell'anima è di darsi, di perdersi per trovarsi. Si ha solo quello che si dona. (p. 372)
Cristina egli scrisse è vero che si ha quello che si dà; ma a chi dare e come dare? Il nostro amore, la nostra disposizione al sacrificio e all'abnegazione di noi stessi fruttificano solo se portati nei rapporti con i nostri simili. La moralità non può vivere e fiorire che nella vita pratica. Noi siamo responsabili anche per gli altri. Se applichiamo il nostro sentimento al male che regna intorno a noi, non potremo rimanere inattivi e consolarci con l'attesa di un mondo ultraterreno. Il male da combattere non è quella triste astrazione che si chiama il Diavolo; il male è tutto ciò che impedisce a milioni di uomini di umanizzarsi. Anche noi ne siamo direttamente responsabili... Non credo che ci sia, oggi, un'altra maniera di salvarsi l'anima. Si salva l'uomo che supera il proprio egoismo d'individuo, di famiglia, di casta, e che libera la propria anima dall'idea di rassegnazione alla malvagità esistente. Cara Cristina, non bisogna essere ossessionati dall'idea di sicurezza, neppure della sicurezza delle proprie virtù: Vita spirituale e vita sicura, non stanno assieme. Per salvarsi bisogna rischiare. (p. 373)
Ogni idea nuova per propagarsi, si cristallizza in formule; per conservarsi si affida a un corpo di interpreti, prudentemente reclutato, talvolta anche appositamente stipendiato, e, a ogni buon conto, sottoposto a un'autorità superiore, incaricata di sciogliere i dubbi e di reprimere le deviazioni. Così ogni nuova idea finisce sempre col diventare una idea fissa, immobile, sorpassata. Quando questa idea diventa dottrina ufficiale dello Stato, allora non c'è più scampo. (cap. XVIII)
Per fare bene il socialista bisogna essere milionario.
Se ne vede tanta di carta e di carta gratuita e piena di bugie, che fa perfino ribrezzo di doversene servire per la propria pulizia.
Il giovane parlava a fatica, quasi ansimava. Don Paolo evitava di guardarlo in faccia. «No, non voglio ora farmi meno brutto di quello che fossi» egli continuò. «Non voglio rendere il mio caso più pietoso. Quest'è una confessione nella quale voglio presentarmi in tutta la mia ripugnante nudità. Ebbene, la verità era questa: la paura di essere scoperto era in me allora più forte del rimorso. "Che cosa dirà la mia amica se dovesse scoprire che l'inganno? Che cosa diranno i miei amici?" Ecco l'idea che mi ossessionava. Tremavo per la mia reputazione in pericolo, non per il male che facevo. Attorno a me vedevo dappertutto l'immagine della mia stessa paura.» (cap. XXV)
«Infine andai da don Benedetto» il giovane riprese a raccontare. «Andai da lui non perché fosse un prete, ma perché, ai miei occhi, egli era sempre stato il simbolo dell'uomo giusto. [...] Feci uno sforzo atroce su di me stesso e gli raccontai tutto, in una confessione che durò cinque ore e alla fine della quale giacevo quasi sfinito per terra. [...] Ieri mi ha fatto chiamare e mi ha detto: "Vorrei risparmiarti la ripetizione di una sofferenza, ma c'è un uomo nelle vicinanze di Rocca al quale ti prego di ripetere la tua confessione. È un uomo nel quale puoi avere completa fiducia". [...] «Luigi Murica» disse allora l'altro sottovoce «voglio dirti una cosa che ti prova fino a che punto io abbia ora fiducia in te. Io non sono un prete. Don Paolo Spada non è il mio vero nome. Il mio vero nome è Pietro Spina.» Gli occhi di Murica si riempirono di lagrime. (cap. XXV)
La moglie di Magascià aveva saputo da Matalena, in grande confidenza, che don Paolo aveva confessato un giovanotto venuto dal piano. [...] La donna venne perciò a implorarlo perché confessasse suo marito, che da venticinque anni non si era riconciliato con Dio. [...] Il prete era ricaduto in uno stato di estrema debolezza. [...] Rispose perciò alla donna con un no distratto. Non ci pensava più, quando gli arrivò in camera il vecchio Magascià. [...] il vecchio s'inginocchiò ai suoi piedi, si fece il segno della croce, baciò il pavimento e tenendo la faccia a terra si batté il petto tre volte: «Mea culpa, mea culpa, mea culpa» egli mormorò. Senza levare la testa, abbassando ancora di più la voce, egli continuò a borbottare per alcuni minuti parole incomprensibili, di cui si percepiva solo un sommesso sibilare accompagnato da brevi sospiri. (cap. XXVI)
Magascià si alzò e baciò la mano. «A proposito» egli disse sottovoce prima d'andarsene «avrei bisogno di un consiglio che non oso chiedere ad altri. Per un omicidio, dopo venticinque anni, non c'è perdono? Se uno è scoperto, deve andare ugualmente alla corte d'assise?» «Quale omicidio?» Magascià non capì perché il prete facesse ora l'ignorante, ma siccome l'informazione gli premeva, gli ripeté all'orecchio: «L'omicidio di don Giulio, il notaio di Lama.» «Ah» fece il prete «capisco, è vero; l'avevo già dimenticato. Ma io non sono avvocato, non saprei che cosa risponderti.» La voce che don Paolo aveva ricevuto il permesso di confessare si sparse in un baleno. «Capisce tutto e perdona tutto» si era limitato a dire Magascià. (cap. XXVI)
Benché Don Orione fosse allora già inoltrato nella quarantina ed io un ragazzo di sedici anni, a un certo momento mi avvidi di un fatto straordinario, era scomparsa tra noi ogni differenza di età. Egli cominciò a parlare con me di questioni gravi, non di questioni indiscrete o personali, no, ma di questioni importanti in generale, di cui, a torto, gli adulti non usano discutere con noi ragazzi, oppure vi accennano con tono falso e didattico. Egli mi parlava, invece, con naturalezza e semplicità, come non avevo ancora conosciuto l'eguale, mi poneva delle domande, mi pregava di spiegargli certe cose e induceva anche me a rispondergli con naturalezza e semplicità senza che mi costasse alcuno sforzo.
Ciò che mi colpì nei comunisti russi, anche in personalità veramente eccezionali come Lenin e Trotsky, era l'assoluta incapacità di discutere lealmente le opinioni contrarie alle proprie. Il dissenziente, per il semplice fatto che osava contraddire, era senz'altro un opportunista, se non addirittura un traditore e un venduto. Un avversario in buona fede sembrava per i comunisti russi inconcepibile.
Fu nel momento della rottura che sentii quanto fossi legato a Cristo in tutte le fibre dell'essere.
La libertà [...] è la possibilità di dubitare, la possibilità di sbagliare, la possibilità di cercare, di esperimentare, di dire no a una qualsiasi autorità, letteraria artistica filosofica religiosa sociale, e anche politica.
Lo scrivere non è stato, e non poteva essere, per me, salvo in qualche momento di grazia, un sereno godimento estetico, ma la penosa e solitaria continuazione di una lotta, dopo essermi separato da compagni assai cari.
Non vi è peggior schiavitù di quella che s'ignora.
Sapevo che Tolstoj era celebrato come un grande scrittore, ma non avevo mai letto niente di lui. Cominciato a leggere, andai avanti dimenticando il tempo e l'appetito. Ero turbato e commosso. Mi colpì soprattutto la storia di Polikusc'ka, quel tragico destino di un servo deriso e disprezzato da tutti [...]. Come doveva essere stato buono e coraggioso lo scrittore che aveva saputo ritrarre con tanta sincerità la sofferenza d'un servo. Quella triste lentezza del raccontare mi rivelava una compassione superiore all'ordinaria pietà dell'uomo che si commuove alle disgrazie del prossimo e ne distoglie lo sguardo per non soffrire. Di questa specie, pensavo, dev'essere la compassione divina, la compassione che non sottrae la creatura al dolore, ma non l'abbandona e l'assiste fino alla fine, anche senza mostrarsi. Mi pareva incomprensibile, anzi assurdo, di essere arrivato a conoscenza di una storia come quella soltanto per caso. Perché non veniva letta e commentata nelle scuole?
Tutto quello che m'è avvenuto di scrivere, e probabilmente tutto quello che ancora scriverò, benché io abbia viaggiato e vissuto a lungo all'estero, si riferisce unicamente a quella parte della contrada che con lo sguardo si poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui. È una contrada, come il resto d'Abruzzo, povera di storia civile, e di formazione quasi interamente cristiana e medievale. Non ha monumenti degni di nota che chiese e conventi. Per molti secoli non ha avuto altri figli illustri che santi e scalpellini. La condizione dell'esistenza umana vi è sempre stata particolarmente penosa; il dolore vi è sempre stato considerato come la prima delle fatalità naturali; e la Croce, in tal senso, accolta e onorata. Agli spiriti vivi le forme più accessibili di ribellione al destino sono sempre state, nella nostra terra, il francescanesimo e l'anarchia. Presso i più sofferenti, sotto la cenere dello scetticismo, non s'è mai spenta l'antica speranza del Regno, l'antica attesa della carità che sostituisca la legge, l'antico sogno di Gioacchino da Fiore, degli Spirituali, dei Celestini.
Citazioni sull'opera
[...] come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino Togliatti; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (Indro Montanelli)
A ogni uomo che ama la pulizia, un foglio di carta può sempre servire.
Gli uomini i quali una volta dicevano no alla società e andavano nei conventi, adesso il più sovente finiscono tra i fautori della rivoluzione sociale [...] Non esito ad attribuire ai ribelli il merito di una più vicina fedeltà a Cristo.
Lo vedi? Quando mai per le opere di misericordia c'è voluto un permesso speciale? (2006, p. 38)
Per condannare gli innocenti, quelli che hanno il potere trovano sempre qualche legge. Sono essi che le fanno, le leggi. (2006, p. 38)
L'ospitalità è un'opera di misericordia. (2006, p. 41)
Fra Clementino: [...] Devo dirvi, signora padrona... Concetta: Non sono la vostra padrona, ma la vostra serva. Fra Ludovico: Non vi sono padroni né servi nella casa del Padre, ma solo figli eguali e liberi. (2006, p. 42)
Purtroppo la veste da prete non ispira fiducia. (2006, p. 43)
Avete detto di aver celebrato poco fa la Santa Messa? E con tale sveltezza vi trasformate in sbirro? (2006, p. 45)
Voi preti ci fate rimpiangere Nerone e Diocleziano. Essere perseguitati da quei nemici dichiarati di Cristo doveva essere meno doloroso. (2006, p. 45)
Don Costantino: [...] Non è certo per amore di pompa che anche lui usa certi ornamenti rituali, ma per adeguarsi alla dignità della sua funzione [...]. Fra Ludovico: (al parroco). La croce di Cristo, se non sbaglio, era di legno, come pure lo sono la maggior parte dei crocifissi [...]. Non so se voi pensate che per questo essi siano privi di dignità. Fra Berardo: (al parroco). Credete che se Cristo fosse andato in giro per la Palestina con la mitra o il triregno sulla testa, sarebbe stato più dignitoso? Fra Ludovico: (al parroco). Strana idea vi siete fatti della dignità cristiana voi preti. (2006, p. 46)
È scandaloso che un cristiano ponga l'ubbidienza prima della verità. [...] Se, ad esempio, il capo della Chiesa predica l'odio e benedice le armi, cioè il contrario di quello che Cristo ha insegnato, i cristiani devono continuare a ubbidirgli? (2006, p. 47)
Fra Tommaso: Il dovere di disubbidire ai superiori che tradiscono è sacrosanto, è il più cristiano dei doveri. La coscienza è al di sopra dell'ubbidienza. Don Costantino (appare esterrefatto): Vi rendete conto delle conseguenze di quello che dite? Fra Ludovico: Ma come si può rifiutare un principio giusto solo per timore delle conseguenze? (2006, p. 49)
Le sue parole furono tradite [...] con l'appoggio del papa e dei vescovi. Nel concetto francescano della povertà essi vedevano un pericolo per i loro privilegi e quelli delle loro famiglie. (2006, p. 50)
Perché dovrebbe essere concesso ai frati e ai preti quello che Cristo non permise agli apostoli? (2006, p. 50)
Don Costantino: L'anarchia? Fra Clementino (ridendo). Perché no? Un modo di vivere assieme, secondo la carità e non secondo le leggi. (2006, p. 51)
A udire questi due nomi, San Benedetto, San Francesco, uno sente piegarsi le ginocchia. I fondatori sono di solito delle aquile, i seguaci delle galline. [...] Sì, è vero, in ogni grande agglomerazione è inevitabile una certa tendenza al pollaio. (2006, p. 53)
È difficile che un buon cristiano possa estraniarsi dalla sorte dei suoi simili. Il fratello maggiore non può disinteressarsi dei fratelli minori. Anche Cristo andò nel deserto, ma per un tempo limitato. (2006, p. 55)
Cristo promise ai suoi: Quando vi troverete insieme, sarò con voi. Non disse: Quando sarete soli, o quando sarete lontani dal mondo. (2006, p. 56)
Nella loro maggioranza, gli uomini non sono in grado di seguire il vostro esempio spregiudicato e audace. Eppure anche le creature più deboli hanno diritto alla salvezza. Cristo è morto anche per loro. (2006, p. 56)
Se non mi sbaglio, questi nobili forestieri non appartengono alla frateria che predica la povertà in pubblico e che nel convento se la sciala. (2006, p. 57)
Se voi aveste la bontà di spiegarci cosa intendete per coscienza pulita, magnifico signore, è probabile che dareste un contributo originale alla storia dell'umorismo. (2006, p. 60)
Fra Ludovico. Scusate, a parte il resto, non si è mai visto che due persone riescano a imprigionarne quattro. Baglivo. Cosa intendete? È una sfida? L'inizio di un'insubordinazione? Fra Clementino. No, non abbiate paura, è una semplice equazione aritmetica. (2006, p. 61)
Ha confessato? Ma un uomo di legge come voi, signor baglivo, sa meglio di me che cosa un giudice esperto riesce a far dire a un imputato in catene. (2006, p. 64)
La speranza degli infelici rinasce sempre. (2006, p. 67)
Fra Angelo. Tu non credi ai miracoli? Fra Ludovico. Sì, posso credervi quando riguardano innocenti pastorelle, e anche allora però con la dovuta prudenza. Ma il conclave è composto di cardinali, che sono uomini tutt'altro che ingenui, tutt'altro che innocenti, tutt'altro che disinteressati [...]. Fra Angelo (lo interrompe). Anche i cardinali, fra Ludovico, voglio dire, se preferisci, perfino i cardinali sono creature di Dio, a lui soggette. Fra Ludovico. Però Cristo non dimostrò mai il minimo interesse verso di loro. (2006, p. 69)
Non so se ricordi quando nelle litanie dei santi aggiungevamo: dalla curia romana libera nos Domine. (2006, p. 78)
Fra Bartolomeo. Guarda se nella folla ci sia qualcuno che porta ancora pollastri, cacicavalli, prosciutti per i monsignori dell'ufficio delle suppliche. Fra Angelo (si sporge dal balcone e osserva più attentamente). Non mi pare. Dopo la sfuriata del nostro Celestino, non credo che i monsignori... Fra Bartolomeo. Ai supplicanti daranno l'indirizzo di casa. (2006, p. 78)
Il cristianesimo infatti non è un modo di dire, ma un modo di vivere. E non si può decentemente predicare il cristianesimo agli altri, se non si vive da cristiani. (2006, p. 83)
Fate il bene gratuitamente e non raccontatelo a nessuno. Tanto più che Dio in ogni caso vi vede e vi ricompenserà [...]. Ma anche se Dio non vi badasse [...] anche allora fare il bene è una buona cosa. (2006, pp. 83-84)
Segretario. L'abate ha dalla sua parte il cardinale... Celestino V. Se sono io che devo decidere, preferirei sapere chi ha dalla sua parte la verità. (2006, p. 86)
Strano, veramente strano. Non immaginavo che potesse esistere un uomo come voi, assolutamente refrattario al senso del potere. [...] Ne sono assai preoccupato. È difficoltà grave che, già nel prossimo avvenire, potrà avere conseguenze disastrose per la Chiesa. (2006, p. 97)
Fra Bartolomeo. [...] La nuova chiesa di Santa Maria della Vittoria [...]. Celestino V. Santa Maria della Vittoria? Di quale vittoria si rende onore alla Madre di Cristo? Fra Bartolomeo. Si riferisce certamente a quella di Carlo d'Angiò su Corrdaino di Svevia. [...]. Celestino V. La Madre di Cristo ha preso parte alla battaglia? È stata vista dalla parte dei francesi? Fra Bartolomeo. Che scherziamo? Ma i francesi erano stati chiamati dal papa. Celestino V. Non certo dalla Madre di Cristo. (2006, pp. 99-100)
D'altra parte, nessuno Stato sarebbe in grado di mantenere l'ordine pubblico se i sudditi cessassero di nutrire un sacro terrore dell'inferno, e questa funzione spetta ovviamente alla Chiesa. (2006, p. 101)
Sarebbe un orribile sacrilegio. Col segno della Croce e i nomi della Trinità, si può benedire il pane, la minestra, l'olio, l'acqua, il vino, se volete anche gli strumenti da lavoro [...] ma non le armi. Se avete un assoluto bisogno di un rito propiziatorio, cercatevi qualcuno che lo faccia in nome di Satana. (2006, p. 103)
Perché non ci opponemmo con maggiore energia alla sua accettazione del pontificato? È stato un delitto irreparabile sacrificare un cristiano come lui in questo ambiente miserabile di ambiziosi, d'intriganti e di canaglie. (2006, p. 106)
In parole povere far papa un uomo pio e disinteressato che non rubasse e lasciasse rubare quelli che, per tradizione di famiglia, per così dire, vi avevano diritto. (2006, p. 107)
Ma se considerate sul serio la povertà una condizione favorevole alla salute dell'anima, perché non rinunziate alle vostre ricchezze? L'anima non è il bene supremo? (2006, p. 111)
La dominazione assoluta [...] sta disgustando dal cristianesimo gli spiriti meglio disposti. (2006, p. 112)
Ero veramente stupido. (Pausa) Servirsi del potere? Che perniciosa illusione. È il potere che si serve di noi. (2006, p. 132)
Non puoi chiedere al cavallo di volare: se non vola, non gliene puoi far torto. (2006, p. 132)
La tentazione del potere è la più diabolica che possa essere tesa all'uomo, se Satana osò proporla perfino a Cristo. Con Lui non ci riuscì, ma riesce con i suoi vicari. (2006, p. 132)
Ogni tanto qualcuno lo riscoprirà [il Vangelo] e accetterà con animo sereno di andare allo sbaraglio. (2006, p. 133)
Non lasciate avvelenare il vostro cuore dall'odio verso i falsi cristiani che ci perseguitano. Quei disgraziati che fanno commercio di Cristo, meritano soltanto la nostra pietà. Malgrado l'oro che essi ammucchiano, sono dei poveretti da commiserare. Malgrado le armi, la servitù in livrea, le vesti di seta, il cerimoniale faraonico di cui si attorniano, quelli di essi che vi trovano piacere, sono degli incoscienti, gli altri, degli infelici. (2006, p. 134)
Luca. Ma come si può costringere qualcuno a qualcosa contro cui la sua anima si rifiuta? Fra Ludovico. Santa ingenuità. Tu non sai che la parola anima fa sorridere chi non pensa che al potere. (2006, p. 139)
Baglivo. [...] Siete disposti ad affermarlo sul vostro onore? Fra Angelo. Non abbiamo alcun impegno d'onore verso lo Stato che voi rappresentate. (2006, p. 141)
Non temiamo quelli che hanno il potere di offenderci nel corpo; ma quelli che distruggono l'anima. (2006, p. 142)
Baglivo. [...] Il papa Bonifazio, suo vecchio amico da una parte, e il re di Francia dall'altra. Fra Angelo. V'è ancora un terzo prepotente che lo ricerca e lo vuole solo per sé. Baglivo. Non mi risulta. Chi sarebbe? Fra Angelo. Penso che da bambino pure voi ne avete sentito parlare, Domine Iddio. (2006, p. 142)
I miracoli, un papa dovrebbe saperlo, li compie unicamente Domine Iddio. Se l'Altissimo, quando gli pare, si serve dell'intercessione di Pier Celestino piuttosto che di quella di Bonifazio, è chiaro che se ne assume anche la responsabilità. Bonifazio dovrebbe sapere dunque presso chi lagnarsi. (2006, p. 143)
La radice di tutti i mali, per la Chiesa, è nella tentazione del potere. (2006, p. 159)
Santità, se voi vi affacciate a quella finestra, vedrete sulla scalinata della cattedrale una vecchietta cenciosa, una mendicante, un essere di nessun conto nella vita di questo mondo, che sta lì dalla mattina alla sera. Ma tra un milione di anni, o tra mille milioni di anni, la sua anima esisterà ancora, perché Dio l'ha creata immortale. Mentre il regno di Napoli, quello di Francia, quello d'Inghilterra, tutti gli altri regni, con i loro eserciti, i loro tribunali, le loro fanfare e il resto, saranno tornati nel nulla. (2006, p. 161)
Citazioni sull'opera
La Chiesa, com'è dipinta nel dramma e com'è incarnata in certi cardinali [...] è un partito essa stessa, che chiede ai suoi seguaci il prezzo altissimo dell'anima. (Claudio Marabini)
Il pane di casa
Osservata dal terrapieno della vecchiachiesa di San Berardo, sopra Pescina, la conca del Fucini ci è apparsa stamane interamente ricoperta di una fitta nebbia giallastra, in modo da riprodurre sotto i nostri occhi l'immagine dell'antico lago prosciugato circa cento anni or sono. Era «un piccolo mare in mezzo alle montagne», scrisse Strabone esagerando un po'. In realtà con una superficie di circa 150 chilometri quadrati, il Fucino veniva dopo il Garda e il Verbano, ma la sua massima profondità era appena d'una ventina di metri e disgraziatamente era privo di emissario. Questa particolarità fu la croce della sua esistenza, che ricorderemo per sommi capi.
Il segreto di Luca
Con passo lento ma regolare, il vecchio salì l'ultimo tratto della ripida e rocciosa scorciatoia. Dove questa si ricongiungeva con la strada rotabile, sopra un piedestallo di pietra si ergeva una grande croce di ferro. L'uomo vi si fermò accanto per riprendere fiato e asciugarsi il sudore. Dietro alla croce una donna stava accoccolata per terra. Era una giovane contadina vestita di nero con una tovagliola bianca sulla testa. Non era chiaro se riposasse o pregasse. Accanto teneva una grande cesta di peperoni rossi. Sul piedestallo della croce vi erano scolpite queste parole: Ricordo della Missione dei PP. Passionisti –Quaresima 1900.
Il seme sotto la neve
«Allenta la martinicca, Venanzio. Non senti come stridono le ruote?»
La vecchia carrozza signorile degli Spina va avanti penosamente, a strappi e scossoni, sulla stradetta di campagna che congiunge il villaggio di Colle con quello di Orta. [citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
E i nostri sono tempi in cui il linguaggio è visto come qualcosa di corrotto. «In nessun secolo – ha scritto Ignazio Silone in Pane e vino – la parola è stata così pervertita, come ora lo è, dal suo scopo naturale che è quello di far comunicare gli uomini. Parlare e ingannare, (spesso anche ingannandosi), sono ora quasi sinonimi». Il disamore per la parola, che è quanto mai diffuso, nasce dalla constatazione che il nostro e l'altrui parlare sono divenuti per lo più fatti meramente palatali, chiacchiere impersonali e banali. (Massimo Baldini (filosofo))
La forza di Ignazio Silone, anche in un'opera come L'avventura di un povero cristiano, consiste nel modo originale e quasi misterioso con cui, da un quadro stilistico tradizionale e persino arcaico, erompe un'attualità morale che non dà scampo. (Geno Pampaloni)
Leggendo i suoi primi romanzi, Fontamara, Pane e vino, Il seme sotto la neve, e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone. Poi vennero Una manciata di more, Il segreto di Luca, La volpe e le camelie. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (Indro Montanelli)
Nella figura di Celestino, il papa del "gran rifiuto", Silone ha riscatenato e rappresentato, l'eterno dramma del cristiano, che è nel mondo ma non deve essere del mondo. (Giancarlo Vigorelli)
Silone è stato escluso dal Viareggio così come sinora lo abbiamo escluso dalle nostre preoccupazioni e dalle nostre riflessioni quotidiane, un po' perché il suo caso disturba, dà noia, e soprattutto perché affrontarlo richiederebbe un altro impegno e finirebbe per investire tutta la nostra struttura intellettuale e spirituale. (Carlo Bo)
↑ Da Il Mattino d'Italia, 24 settembre 1951; citato in Diocleziano Giardini, Ignazio Silone. Cronologia della vita e delle opere, A. Polla, 1999, p. 28.
↑ Citato in Ralf Dahrendorf, Erasmiani, traduzione di M. Sampaolo, Laterza, p. 31.
Ignazio Silone, Fontamara, Mondadori, 1988.
Ignazio Silone, Il segreto di Luca, Oscar Mondadori, Milano, 1969.
Ignazio Silone, L'avventura di un povero cristiano, Oscar Mondadori, Milano, 1968.
Ignazio Silone, L'avventura di un povero cristiano, Oscar Mondadori, Milano, 2006.
Ignazio Silone, La terra e la gente in Abruzzo, Electa, Milano, 1963.
Ignazio Silone, Una manciata di more, Oscar Mondadori, Milano, 1975.
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, Longanesi, Milano 1979.
Ignazio Silone, Vino e pane, Oscar Mondadori, Milano, 1975
Ignazio Silone, Il pane di casa, Minerva Italica, 1973.