Dal nonno Vero: l'abitudine all'amabilità e il rifiuto dell'ira. [Marco Aurelio, Pensieri, a cura e traduzione di Cesare Cassanmagnago, Bompiani, 2008]
Fruttero & Lucentini
Mio nonno Annio Vero mi è stato esempio di affabilità e mitezza. Mio padre, di modestia e fermezza virile. Mia madre, di pietà religiosa e liberalità. E debbo al mio bisnonno paterno di non aver frequentato le scuole pubbliche, avendo avuto in casa buoni maestri. [Marco Aurelio Antonino, Ricordi[1], citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Citazioni
Dal mattino comincia a dire a te stesso: incontrerò gente vana, ingrata, violenta, fraudolenta, invidiosa, asociale; tutto ciò capita a costoro per l'ignoranza del bene e del male. Io, invece, che ho capito, avendo meditato sulla natura del bene, che esso è bello, e sulla natura del male che esso è turpe e sulla natura di chi sbaglia che egli è mio parente, non perché si sia del medesimo sangue e seme, ma perché egli è, come me, provvisto di mente e partecipe del divino, e che non posso essere danneggiato da alcuno di loro, perché nessuno mi potrà coinvolgere nella sua turpitudine, ebbene, io non posso né adirarmi con un mio parente né provare odio per lui. Siamo, infatti, nati per la cooperazione, come i piedi, le mani, le palpebre, i denti in fila sopra e sotto. L'agire gli uni contro gli altri è dunque contro natura, ed è agire siffatto lo scontrarsi e il detestarsi. (II, 1; 2008)
[...] Ma bisogna ormai, una buona volta, che ti renda conto di quale mondo sei parte, che capisca di quale realtà che governa il mondo sei efflusso e che un limite di tempo ti è fissato, [...] (II, 4; 2008)
In ogni momento applicati con ogni cura... a sbrigare la faccenda che hai per le mani... e liberati da tutte le altre preoccupazioni. E te ne libererai, se compirai ogni azione della tua vita come se fosse l'ultima. (II, 5)[2]
Devi sempre agire, parlare e pensare, come se fosse possibile che tu, in quell'istante, lasciassi la vita. (II, 11; 1989)
La morte, la vita, la fama, l'infamia, il dolore, il piacere, la ricchezza, la povertà, tutto ciò tocca ugualmente a buoni e cattivi, non essendo queste cose né belle né brutte; e, dunque, neppure beni o mali. (II, 11; 2008)
Come tutte le cose scompariscono in poco tempo, i corpi nel seno dell'universo, i loro ricordi nel seno del tempo! Che cosa sono tutti gli oggetti sensibili e sopratutto quelli che ci seducono col fascino della voluttà o ci spaventano con l'immagine del dolore: quelli infine la cui magnificenza ci strappa grida di meraviglia? Tutto è miserabile e degno disprezzo: tutto è corruzione e morte. (II, 12)[3]
Quand'anche tu avessi da vivere tremila anni moltiplicati per diecimila, nondimeno ricorda che nessuno perde una vita altra da quella che vive, né vive altra vita da quella che perde [...] (II, 14; 2008)
Bisogna dunque sempre tenere presenti queste due cose: la prima è che fin dall'eternità tutte le cose hanno lo stesso aspetto e un divenire ciclico, e non fa differenza vedere le stesse cose per cento, duecento anni o per un tempo infinito; la seconda è che sia chi muore vecchissimo sia chi muore giovanissimo perde la stessa cosa: solo il presente è, infatti, ciò di cui si può essere privati, poiché solo questo si possiede, e ciò che non si possiede non lo si può perdere. (II, 14; 2017)
Solo il presente ci è tolto, dato che solo questo abbiamo. (II, 14; 2008)
[...] bisognerebbe che anche le più piccole azioni fossero riportate ad un fine. E il fine degli animali ragionevoli consiste precisamente nel conformarsi alla ragione ed alla legge di quella che è la città e la repubblica più antica. [il mondo] (II, 16; 1923, pp. 126-127)
Della vita umana la durata è un punto, la materia fluente, la compagine di tutto il corpo corruzione, l'anima un soffio, la fortuna non prevedibile, la fama cosa senza giudizio. E a dirla in breve... la vita tutta intera guerra e pellegrinaggio, e la rinomanza che le vien dopo oblio. Che adunque vi ha a cui tu ti possa attenere? Sola ed unica cosa la filosofia. (II, 17)[4]
Se, in quel che tu operi presentemente, segui la retta ragione con zelo, con vigore, con calma, senza distrazioni di sorta; se conservi puro il tuo demone, come se dovessi da un momento all'altro restituirlo; se a questo ti attieni strettamente, nulla aspettando, da nulla rifuggendo, ma soddisfatto di compiere la tua azione presente in conformità della tua stessa natura, e di ragionare e di parlare con la verità propria di un eroe, tu vivrai felice. E non v'ha nessuno al mondo che possa impedirti di agire così. (III, 12; 1923, p. 136)
Van cercando ritiri alla campagna, alla marina, sui monti, e tu stesso suoli desiderare siffatti luoghi; ma non c'è miglior ritiro, e più tranquillo, di quello che l'uomo trova in se stesso, nella propria anima. Concedi dunque spesso a te questo rifugio, e rinnovella quivi te stesso... E soprattutto non agitarti, non aver grandi desiderii, ma cerca d'essere libero, e di considerare le cose virilmente, da uomo, da cittadino, da essere mortale. E tra le considerazioni che farai, tieni sempre davanti queste due: la prima, che le cose materiali non toccano l'anima e, stando al di fuori di essa, non la possono agitare. I turbamenti vengono tutti dall'idea interna. La seconda, che tutte le cose che tu vedi si trasformano, e, mentre tu le vedi, ecco già più non sono. A quante trasformazioni tu hai preso parte! Il mondo non è che mutamento, la vita non è che apparenza. (IV, 3)[5]
Alcuni cercano luoghi dove ritirarsi in campagna, al mare, sui monti, e anche tu sei solito desiderare fortemente tali cose. Ma tutto questo è pura idiozia, quando ti è possibile, in qualsiasi momento tu lo voglia, ritirarti in te stesso. In nessun luogo, infatti, né più tranquillo né più calmo che nella sua stessa anima può ritirarsi un uomo, e soprattutto chi ha dentro di sé princìpi tali che, a contemplarli, si sente del tutto a suo agio. E per agio intendo nient'altro che ordine interiore. (IV, 3; 2017)
[...] ti corrucci per la parte che a te viene assegnata dall'ordine universale? Ricordati allora del dilemma: – o provvidenza, o atomi –, e di tutti quegli argomenti, mediante i quali è stato dimostrato che il mondo è come una città. (IV, 3; 1923, p. 139)
Considera con quale rapidità l'oblio avvolge tutte le cose: quale abisso infinito di tempo tu hai dietro a te come dinnanzi a te: quanto vana cosa è un rumore che si propaga; quanto mutevoli e privi di giudizio sono coloro che sembrano applaudirti; considera infine la piccola distesa che circoscrive la fama. Perché la terra intiera non è che un punto; e qual piccola parte della terra non è quella che abitiamo! E in questo angolo ancora quanti uomini (e quali uomini!) celebreranno la tua fama? (IV, 3)[6]
Nulla viene dal nulla, come nulla ritorna nel nulla. (IV, 4; 1989)
Sopprimi l'opinione ed avrai soppresso il «sono stato offeso». Sopprimi il «sono stato offeso» ed avrai soppresso l'offesa. (IV, 7; 1923, p. 141)
Ciò che non rende peggiore l'uomo, non rende peggiore neppure la sua vita, né gli arreca danno, sia esternamente che internamente (IV, 8; 1923, p. 141)
«Tutto ciò che accade, accade giustamente.» Se rifletterai attentamente, troverai che è vero. Non intendo dire solo secondo un criterio di conseguenza, ma anche secondo giustizia e come se qualcuno distribuisse secondo i meriti. Rifletti dunque come hai iniziato, e, qualsiasi cosa tu faccia, falla così, a patto d'essere una persona perbene, proprio nel significato della parola «uomo perbene». In ogni azione osserva questa regola. (IV, 10; 2017)
Non prender le cose, come le giudica colui che t'offende, e com'egli vuole che tu le giudichi; ma vedile così come effettivamente sono. (IV, 11; 1923, p. 142)
Questi due principi bisogna avere sempre pronti: l'uno, compiere unicamente quelle azioni che i principi dell'arte di re e di legislatore possono suggerire per il benessere dell'umanità, l'altro, cambiare idea, se c'è qualcuno capace di correggerti e di distoglierti. (IV, 12; 2008)
Non vivere come se avessi diecimila anni da vivere ancora. (IV, 17)[2]
Quanto tempo guadagna chi non s'incarica di star a vedere che cosa il suo vicino abbia detto o fatto o pensato, ma si cura solamente delle sue proprie azioni, per renderle giuste e sante e indirizzate al bene! (IV, 18; 1923, p. 143)
Quanto guadagna in tranquillità chi non si preoccupa di cosa il vicino dice, fa o pensa, ma solo di ciò che egli stesso fa.[2]
Colui che è abbagliato dalla fama che può lasciare dopo la morte non pensa che ciascuno di quelli che si ricorderanno di lui morrà alla sua volta e che altrettanto arriverà ai loro successori nella vita finché non si estinguerà quella fama tutta intiera, dopo essere passata attraverso alcuni esseri, la cui vita appena cominciata è destinata ad estinguersi. (IV, 19)[7]
Forse che lo smeraldo perde del suo valore se non è lodato? (IV, 20)[8]
Non divagare; ma in ogni manifestazione del tuo istinto procura di mantenerti giusto, e di conservare intatta in ogni rappresentazione della mente la tua facoltà comprensiva. (IV, 22; 1923, p. 145)
A me ben si adatta, o mondo, ogni cosa che a te si adatta: non viene per me in anticipo né in ritardo ciò che per te è tempestivo. È per me frutto ogni cosa mi rechino le tue stagioni, o natura: da te viene ogni cosa, in te è ogni cosa, a te va ogni cosa. (IV, 23; 2008)
[...] se delle nostre parole e delle nostre azioni sopprimessimo quelle non necessarie – e sono in numero preponderante –, avremmo più tempo e più calma. Ond'è che per ogni singola azione occorre domandare a sé medesimi, se non sia del numero delle non necessarie. (IV, 24; 1923, pp. 145-146)
[...] la vita è breve: s'ha da trar profitto dal presente, operando secondo ragione e secondo giustizia. Sii moderato anche nei momenti di ricreazione. (IV, 26; 1923, p. 146)
Ama il modesto mestiere che hai imparato, e accontentati di esso. (IV, 31)[2]
[...] tutto svanisce e divien presto leggendario, e presto anche scompare interamente nei gorghi dell'oblio. Parlo di quelli che in certo modo brillarono di mirabile luce; ché, quanto al resto, non appena essi abbiano esalato l'ultimo respiro, «non si conoscono più, non se ne parla più».[9] Ma che cos'è mai, dopo tutto, l'eternità della memoria? Null'altro che vanità. A che cosa dunque dobbiamo rivolgere le nostre cure? A questo unicamente, che il nostro pensiero sia giusto, che le nostre azioni abbiano per iscopo il vantaggio della società, che le parole non mentiscano mai, e che l'animo sia disposto ad accogliere di buon grado tutto che accade, come necessario, come già noto, come proveniente dal medesimo principio e dalla medesima sorgente, dalla quale anche noi proveniamo. (IV, 33; 1923, pp. 148-149)
Sia pronto il tuo volere per abbandonarti nelle mani di Clotò; concedi che la Parca faccia il suo intreccio con quegli eventi che vuole. (IV, 34; 1980, p. 54)
Ogni evento è così ordinario e familiare come la rosa in primavera e la frutta d'estate. Fatti del genere sono la malattia, la morte, l'oltraggio, l'insidia e quante altre realtà rallegrano o deprimono gli stolti. (IV, 44; 2008)
Bisogna conformarsi alla natura durante il brevissimo istante che viviamo; bisogna partire con rassegnazione come l'oliva matura cade benedicendo la terra sua nutrice e rendendo grazie all'albero che l'ha prodotta. (IV, 48)[10]
Sii simile ad un promontorio, contro al quale incessantemente s'infrangono l'onde, e quegli sta saldo, e s'abbonacciano intorno a lui i gorgogli dell'acque. – Sventurato me, che la tal cosa m'è accaduta. – Anzi, avventurato, che, la tal cosa essendomi accaduta, me ne sto nondimeno senza cruccio, né angosciato del presente né pauroso dell'avvenire. Ad ogni altro poteva accadere; ma ogni altro non l'avria senza angoscia sopportata. (IV, 49; 1867)
Cammina sempre per la via più breve; e la via più breve è quella secondo natura [...]. (IV, 51; 1923, p. 154)
All'alba, quando sei restio a svegliarti, abbi subito presente questo pensiero: «Mi desto per compiere il mio dovere di uomo; dovrei dunque lamentarmi ancora di andare a compiere ciò per cui sono nato e sono stato messo nel cosmo? o forse sono stato fatto per starmene a godere il calduccio del letto?» (V, 1; 1984)
Le cose sono come inviluppate di tali tenebre, che a filosofi non pochi, e non dei più volgari, esse son parse del tutto incomprensibili. (V, 10)[11]
Sono composto da un fattore casuale e da un fattore materiale; nessuno dei due scomparirà nel nulla. Ogni parte di me sarà, dunque, sottoposta a trasformazione per diventare altra parte del mondo e di nuovo quella si trasformerà in altra parte del mondo e così all'infinito. (V, 13; 2008)
L'uomo non deve considerare sua nessuna di quelle cose che non si addicono a lui in quanto uomo. (V, 15; 2017)
Niente capita a nessuno, che questi non sia per natura in grado di reggere. (V, 17; 2008)
Le cose, di per se stesse, non hanno alcun contatto con l'anima, non hanno accesso all'anima e non possono né modificarla né muoverla, ma solo essa può modificare e muovere se stessa e far sì che gli accidenti esterni siano per lei tali quali i giudizi che stima giusto formulare su di essi. (V, 19; 1984)
«Vivere con gli dèi». E vive davvero con gli dèi chi costantemente mostra loro la sua anima soddisfatta di ciò che le hanno assegnato. (V, 27; 1984)
Il tuo sguardo sia penetrante: di nessuna cosa ti sfuggano la qualità propria e il valore. (VI, 3; 1984)
Il modo migliore di difendersi è quello di non diventare simili a loro. (VI, 6; 1984)
[I rapporti sessuali] non sono altro che lo sfregamento di un organo e l'eiaculazione di un po' di muco accompagnata da una convulsione! (VI, 13; 1984)
Se tu avessi ad un tempo una matrigna ed una madre, tu avresti dei riguardi per la prima, ma alla madre tu ritorneresti sempre ad ogni istante. La tua matrigna e la tua madre sono la corte e la filosofia. Torna dunque sempre a questa e riposa nel suo seno: è questa che ti rende l'altra sopportabile. (VI, 12)[12]
Il semplice inspirare l'aria e poi restituirla, ciò che facciamo ogni momento, è analogo al restituire, là onde l'hai tratta originariamente, l'intera facoltà respiratoria, che ieri o l'altroieri hai acquisito, al momento di nascere. (VI, 15; 2008)
Com'è ridicolo quel che fanno [gli insipienti]! Non vogliono elogiare i contemporanei che vivono con loro, mentre danno un grandissimo valore all'essere elogiati dai posteri, gente che essi non hanno mai visto né mai vedranno. Il che è vicino all'affliggersi perché anche i tuoi più lontani progenitori non ebbero parole di elogio nei tuoi confronti. (VI, 18; 2008)
Se qualche impresa ti riesce difficile da compiere, non pensare subito che essa sia impossibile per l'uomo; piuttosto, quanto è possibile e naturale per l'uomo, giudicalo ottenibile anche da te. (VI, 19)[2]
Bada a non incesarirti, a non imbrattarti; poiché di solito così succede. Conservati semplice, virtuoso, puro, sereno, schietto, amante della giustizia, pio, mansueto, amorevole, tenace nell'adempimento dei tuoi doveri. Sforzati di restare tal quale la filosofia ti ha voluto rendere. Venera gli Dei, proteggi gli uomini. Breve è la vita. L'unico frutto di questa esistenza terrena è la santità dell'anima e le azioni utili al bene comune. (VI, 30; 1923, p. 179)
Ritorna sobrio e riprenditi, desto di nuovo e consapevole che dei sogni ti davano inquietudine; svegliatoti nuovamente, osserva queste cose come osservavi quelle. (VI, 31; 2008)
Chi vede le cose presenti, può esser sicuro di aver veduto tutte le cose, quante furono, fin dall'origine dei tempi, e quante saranno, per tutta l'eternità, poiché esse son tutte d'una medesima natura e d'una medesima specie. (VI, 37; 1923, p. 181)
Adatta te stesso alle cose a cui la sorte ti ha assegnato. E ama, ma veramente, gli uomini coi quali il destino ti ha unito. (VI, 39; 2008)
Se gli dei hanno provveduto per me e per le cose che mi devono accadere, hanno provveduto a fin di bene. Perché non sarebbe facile immaginare un Dio improvvido. (VI, 44)[13]
La mia natura è razionale e socievole. La mia comunità è la mia patria, di me Antonino è Roma, di me uomo è il mondo. Tutte le che cose sono utili a queste due patrie, sono buone anche per me. (VI, 44)[14]
L'uomo ambizioso ripone il suo bene nelle mani degli altri; l'uomo sensuale nelle sue sensazioni; l'uomo ragionevole nelle sue azioni. (VI, 51; 2001)
Ciò che non giova allo sciame, non giova neppure all'ape. (VI, 54; 1984)
Non v'è nulla di nuovo: tutto si ripete, e subito passa. (VII, 1; 1989)
[...] ciascuno vale tanto, quanto valgono le cose, a cui dedica le sue cure. (VII, 3; 1923, p. 189)
Tutte le cose sono reciprocamente intrecciate, il loro legame è sacro e quasi nessuna cosa è estranea ad un'altra. Si trovano, infatti, armonicamente ordinate e insieme danno ordine e bellezza al medesimo mondo. E quest'ultimo è unico, formato da tutte le componenti, unico è il dio che le attraversa tutte quante, unica la sostanza e unica la legge, la ragione comune a tutti i viventi intelligenti, unica la verità, se è vero che una sola è la perfezione dei viventi aventi medesima natura e partecipanti alla medesima ragione. (VII, 9; 2008)
È prossimo il tempo, in cui tu dimenticherai tutto; è prossimo il tempo, in cui tutti dimenticheranno te. (VII, 21; 1923, p. 192)
Proprio dell'uomo è amare anche coloro che sbagliano. (VII, 22; 1984)
Sulla morte: o dispersione, se ci sono gli atomi; se invece c'è l'unità, o spegnimento o trasferimento. (VII, 32; 2008)
Contempliamo i giri degli astri, immaginando di correre con loro, e meditiamo continuamente sulle vicendevoli trasformazioni degli elementi. Tali pensieri purificano l'anima dalle lordure di questa vita terrena. (VII, 47; 1923, p. 197)
Come se fossi già morto e ti fosse stato concesso di vivere solo fino a questo momento, trascorri quei giorni che ti rimangono, considerandoli come un di più. (VII, 56; 1923, p. 199)
Scava dentro. Dentro è la fonte del bene, che sempre ha il potere di sgorgare, a condizione che tu sempre scavi. (VII, 59; 2008)
L'arte del vivere assomiglia piuttosto a quella della lotta che a quella della danza, in quanto si mantiene pronta e salda contro i casi imprevisti. (VII, 61; 1984)
Guardati dal provare mai nei riguardi dei misantropi quello che essi provano nei confronti degli altri uomini. (VII, 65)[2]
La natura non ti ha mescolato col tuo composto, così che tu non possa assegnarti dei limiti e assolvere da te il tuo dovere. Ricordatene sempre, e ricorda anche questo, che vivere felici dipende da pochissime cose; e che, non perché hai perso la speranza di essere un dialettico e uno studioso della natura, hai perciò da disperare di essere libero, rispettoso, intento al bene comune e obbediente a Dio. È ben possibile diventare un uomo divino senza essere riconosciuto da nessuno. (VII, 67; 2017)
Anzitutto non turbarti, poiché ogni cosa avviene secondo la natura dell'universo; e in breve tu non sarai più in nessun luogo, come non ci sono più né Adriano né Augusto. Dipoi, guardando attentamente la cosa, vedi che è: e, ricordandoti che devi essere uomo dabbene, e che devi essere quello che la natura dell'uomo richiede, eseguiscilo senza volgerti indietro; e parla nel modo che a te sembra essere il più giusto, ma con amorevolezza, con modestia, e senza ipocrisia. (VIII, 5; 1923, p. 205)
La natura universale ha questa attività: sposta le cose che stanno qui, trasforma le cose, le prende da un luogo per portarle in un altro. Tutto è rivolgimento, non però da temere che qualcosa di nuovo emerga: tutto è consueto e sempre uguali le distribuzioni. (VIII, 6; 2008)
Il cambiare opinione e il seguire chi ti corregge è ugualmente cosa da uomo libero. (VIII, 16)[2]
Prendi senza orgoglio, rinunzia senza difficoltà. (VIII, 33; 2001)
Se mai vedesti una mano recisa, un piede, una testa giacente lontana dal corpo a cui apparteneva, pensa che tale ti rendi, per quanto sia in te, se non ti adatti alla sorte e ti separi dagli altri, e fai qualche cosa che non giovi alla comunità. Tu ti sei strappato dall'unità ch'è secondo natura. Ma rifletti che ti è possibile riunirti di nuovo. (VIII, 34)[15]
[...] l'essere dotato di ragione può fare materia per la sua azione di ogni impedimento, e giovarsene per lo scopo a cui tendeva, qualunque esso fosse. (VIII, 35; 1984)
[...] la mente, libera da passioni, diventa un'eccelsa rocca: e l'uomo non ha fortezza più validamente munita, in cui possa rifugiarsi e rimanervi, senza esser mai preso. Chi non conosce questo rifugio, è un ignorante; chi lo conosce e non vi si ricovera, è un disgraziato. (VIII, 48; 1923, p. 216)
Non dire a te stesso niente più di quanto le rappresentazioni che più contano ti comunicano. Ti è stato annunciato che un tale parla male di te. Questo è l'annuncio fatto. Però che tu ne abbia avuto un danno non si trova nell'annuncio. (VIII, 49; 2008)
Bada di non esser leggiero o trasandato nell'operare, non confuso nel conversare, non vagante qua e là nel pensare; bada di non concentrarti tutt'intero nell'anima tua ma neppure di disperderti, e di non aver nella vita troppe faccende. (VIII, 51; 1923, p. 217)
Gli uomini sono nati gli uni per gli altri: dunque, insegna loro o sopportali. (VIII, 59; 2008)
Non disprezzare la morte ma accoglila di buon grado perché anch'essa è un ente tra quelli che natura vuole. (IX, 3; 2008)
Chi pecca, pecca a suo danno: chi commette ingiustizia, fa ingiuria a sé medesimo, facendo sé malvagio. (IX, 4; 1867)
Spesso commette ingiustizia non solo chi fa ma anche chi non fa. (IX, 5; 2008)
Sopprimi la facoltà rappresentativa, raffrena l'istinto, spegni il desiderio, fa' che la tua mente sia padrona di sé. (IX, 7; 1923, p. 223)
Se vi ha una divinità intelligente e provvidente, tutto va bene; o le cose si governano dal caso, e tu almeno non governare a caso te stesso. (IX, 28)[11]
La perdita non è null'altro che trasformazione. (IX, 35; 1984)
Quando hai beneficato un uomo, che pretendi tu ancora? Non ti contenti di aver operato secondo la natura tua, ma vuoi anche una mercede? Come se l'occhio chiedesse una mercede perché vede, o i piedi perché camminano. (IX, 42)[11]
Il mimo, la guerra, la paura, il torpore, la servilità andranno in te cancellando di giorno in giorno quelle sante massime, che tu apprendi bensì con la immaginativa, e trasmetti alla memoria, ma senza fondarle sulla considerazione della natura. (X, 9; 1923, p. 238)
Il ragno si fa bello perché ha preso una mosca; qualcuno perché ha preso una lepre; un altro, una sardella con la rete adatta; un altro, un cinghiale; un altro, un orso; un altro, dei sàrmati. Non si tratta pur sempre d'assassini, se fai attenta indagine su quello che ne muove il pensiero? (X, 10; 2001)
Ho io compiuto qualche azione che riesce giovevole alla società? Dunque ho giovato a me stesso. (XI, 4; 1923, p. 252)
Acquisisci un metodo di indagine per esaminare come tutte le cose si trasformino vicendevolmente, presta attenzione di continuo all'indagine ed esercitati in questa materia, perché niente è altrettanto fattore di magnanimità. (X, 11; 2008)
Un tale mi disprezzerà? Se la vedrà lui. Io, per me, baderò che nessuno possa mai cogliermi in atto di dire, o di far cosa che meriti disprezzo. Un tale mi odierà? Se la vedrà lui. Quanto a me, io sarò benevolo e mite con tutti, pronto a mostrare anche a costui, che mi odia, il suo errore, non con parole di rimprovero, né ostentando rassegnazione, ma cortesemente e amorevolmente [...].(XI, 13; 1923, p. 255)
Settimo: non sono le azioni del prossimo che ci danno noia, perché quelle stanno negli egemonici del prossimo, sono, invece, le nostre opinioni in merito. Elimina, dunque, il tuo giudizio, abbi la volontà di sopprimere il giudizio che si tratti di una cosa terribile, e l'ira è già scomparsa. (XI, 18; 2008)
La bontà è invincibile quando sia schietta e non sia un'affettazione o una parte che tu reciti. E in vero che ti può egli fare l'uomo il più iracondo e insolente, se tu ti mostri a lui tuttavia amorevole, e se, venendo il caso, tu lo ammonisci cortesemente e cerchi di farlo ricredere in quel tempo medesimo che egli intende ad offenderti? No, figliuol mio, noi siamo nati ad altro. A me tu non nuoci; a te bensì, figliuol mio. (XI, 18)[16]
Tutte quelle cose che ti auguri di raggiungere attraverso mille giri e rigiri, tu puoi subito conseguirle, se non vuoi male a te stesso. E ciò sarà, se trascuri interamente il passato, e lasci alla Provvidenza la cura dell'avvenire, è non consacri ad altro il presente che ad opere di santità e di giustizia [...]. (XII, 1; 1923, p. 264)
[...] le ire e i rammarichi [...] arrecano assai più gravi danni che non le cose stesse, di cui ci adiriamo e ci rammarichiamo. (XI, 18; 1923, p. 258)
Tre sono le componenti di cui sei formato: corpo, soffio, mente. Di queste le prime due sono tue, per quanto devi curartene; solo la terza è sovranamente tua. (XII, 3; 2008)
Spesso mi sono stupito di come ciascuno, pur amando se stesso più di ogni altra cosa, tenga in minor conto l'opinione che ha di se stesso di quella degli altri. (XII, 4; 2008)
Procura di esercitarti anche in quelle cose, nelle quali non hai speranza di riuscire. La sinistra, che per mancanza di esercizio è disadatta ad altri uffici, maneggia il freno più validamente che non la destra, perché a ciò fu esercitata. (XII, 6; 1923, p. 267)
Nel mettere in pratica i precetti della filosofia bisogna essere simili al pancraziaste, non al gladiatore: quest'ultimo, infatti, lascia cadere la spada che tiene in pugno e poi la raccoglie, mentre il primo ha sempre a disposizione la mano, e non deve far altro che serrare il pugno. (XII, 9; 1984)
Il lume della lampada, finché questa non sia spenta, brilla e non perde il suo fulgore; in te la verità, la giustizia, la temperanza cesseranno di risplendere, prima ancora che sia spenta la vita? (XII, 15; 1923, p. 268)
Tutto è opinione, e questa è in tuo potere. Elimina dunque, quando vuoi, l'opinione, e come per chi abbia doppiato il promontorio, anche per te ci sarà gran bonaccia, quiete assoluta e un golfo al riparo dalle onde. (XII, 22; 2017)
Una sola è la luce del sole anche se interrotta da muri, montagne e infiniti altri ostacoli. Una sola è la sostanza universale, anche se è divisa in infiniti corpi di specifiche qualità. Una sola è l'anima, anche se è divisa e circoscritta in infinite nature e realtà individuali. Una sola è l'anima intelligente, anche se dà l'impressione di trovarsi divisa. (XII, 30; 2008)
Citato in Niccolò Persichetti, Dizionario di pensieri e sentenze di autori antichi e moderni d'ogni nazione, Fratelli Rechiedei, 1877-78
Il vero bene consiste in ciò che è onesto, e il vero male in ciò che è vergognoso. (vol. I, p. 165)
Chi fugge agli obblighi sociali è disertore. (vol. III, p. 83)
O uomo, facesti le tue parti di cittadino in questa grande città. Che importa se per cinque o per tre anni? ciò che avviene secondo la legge è giusto per tutti. Come puoi dunque rammaricarti, se non già un tiranno ti manda fuori della città, non un giudice iniquo, ma quella stessa natura che ti aveva introdotto? È come se il direttore della commedia licenziasse l'attore. – Ma io non ho recitato i cinque atti, ne ho recitati solamente tre. – È vero, ma nella vita tre soli atti possono comporre un dramma intero. Poiché colui che vuole si finisca è quello stesso che fu autore prima della composizione, poi dello scioglimento. Tu non sei autore né dell'una né dell'altro. E dunque va' via serenamente, perché è sereno anche colui che ti congeda.[17]
Citazioni su A sé stesso
Ad acquistare questo dominio stabile sopra gli impulsi, giova in primo luogo il fare ogni sforzo per rendere la nostra vita indipendente dalle altre cose e ridurre al minimo l'influenza che queste possono esercitare sulla nostra tranquillità interiore. Nel manuale di Epitteto, come nei Ricordi di Marco Aurelio vi sono cose eccellenti a questo riguardo. Soltanto il consiglio, per sé ottimo, assume in essi un aspetto paradossale, perché essi vogliono ricondurre in tutto e per tutto l'azione che le cose esercitano sopra di noi all'opinione che noi ne abbiamo. Ora bisogna, riconoscere che la vita nostra dipende realmente da molte cose e che non è in potere nostro di annullare tale dipendenza: tuttavia è vero che molte dipendenze sono artificiose ed inutili: sono creazioni dell'abitudine, della mollezza di volontà, da cui la ragione può liberarci. (Piero Martinetti)
In fatto di consolazione, abbiamo soltanto due libri fondamentali: i Pensieri dell'imperatore romano e l'Imitazione. È impossibile non preferire la desolazione del primo, nonostante le promesse del secondo. (Emil Cioran)
Marco Aurelio non dirige le sue riflessioni agli altri ma soltanto a se stesso. I Ricordi non sono una lezione per un discepolo ideale o reale (come erano state le Lettere a Lucilio di Seneca), ma lo sforzo continuo di ricordare a se stesso i capisaldi filosofici che solo possono garantirgli la serenità e la pace interiore. Essi hanno perciò un colorito drammatico che manca ad altre opere morali antiche e moderne. L'interlocutore di Marco Aurelio è soltanto lui stesso: Marco Aurelio, imperatore e uomo. Solo dentro di sé egli crede di poter trovare la legge della verità e del bene. Cercare la solitudine è inutile, egli dice; occorre ritirarsi in se stesso perché solo nell'intimo della propria anima si può trovare la tranquillità e la verità. Questo atteggiamento, che fu fatto proprio dal mondo cristiano, è il leit motiv fondamentale dei Ricordi di Marco Aurelio. In se stesso, l'uomo trova la ragione con cui la provvidenza divina ha ordinato l'universo, e il criterio della verità e della condotta morale. Ma ritirandosi in se stesso, l'uomo non si ritrova nell'isolamento: la ragione lo lega a tutti gli uomini cui essa è comune. (Nicola Abbagnano)
Del resto questo è uno dei casi tipici in cui si vede che non è la dottrina che forma l'uomo, ma è l'uomo che si sceglie e professa la dottrina ch'è più conforme al suo carattere. Marco Aurelio è una natura nobilissima che ha trovato nello stoicismo la sua fede, la sua religione, l'espressione e la regola della sua vita. (Giuseppe Melli)
L'impero romano designato da Cesare, cominciò con Augusto; ma con la morte di Marco Aurelio, andò declinando. (Ion Heliade Rădulescu)
Le riflessioni d'un antico imperatore romano non hanno per noi tanto valore se non perché in Marco Aurelio non troviamo soltanto il romano od il filosofo stoico, ma uno spirito universalmente umano: è la ragione che si solleva sopra le differenze di luogo e di tempo e parla a noi con un linguaggio eterno. (Piero Martinetti)
Marco Aurelio era istruito e vero filosofo, cioè amico della sapienza. Egli seppe ammirare ed imitare Tito, ed insieme colla virtù e colla scienza riuniva il coraggio ed il genio degli eroi, de'numi e dei grandi capitani, come pure l'arte o le qualità dei grandi amministratori. (Ion Heliade Rădulescu)
I due maggiori saggi dell'Antichità al tramonto: Epitteto e Marco Aurelio, uno schiavo e un imperatore.
In un settimanale inglese, un attacco contro Marco Aurelio, che l'autore accusa d'ipocrisia, di filisteismo e di affettazione. Furente, mi apprestavo a rispondere quando, pensando all'imperatore, mi sono in fretta ripreso. Era giusto che non mi indignassi in nome di chi mi ha insegnato a non indignarmi mai.
Tutto ciò che in Marco Aurelio è mediocre ed effimero proviene dallo stoicismo; tutto ciò che è profondo e durevole dalla sua tristezza, ossia dall'oblio della dottrina.
Detestava la guerra come il flagello dell'umanità; ma quando la necessità di una giusta difesa lo sforzò a prender l'armi, si espose coraggiosamente sulle gelate rive del Danubio a otto campagne d'inverno, il cui rigore tornò finalmente fatale alla sua debole complessione.
I vizj mostruosi del figlio hanno adombrato lo splendore delle virtù del padre. Si è rimproverato a Marco Aurelio di avere scelto un successore piuttosto nella sua famiglia che nella Repubblica, e sacrificata la felicità di milioni d'uomini alla sua eccessiva tenerezza per un indegno ragazzo.
Rigido con sé stesso, compativa gli altrui difetti, ed era giusto e benefico con tutto il genere umano.
Una dolcezza naturale, che la rigida disciplina degli stoici non avea potuto distruggere, era la qualità più amabile, ad un tempo, e l'unico difetto pel carattere di Marco Aurelio. Il suo eccellente discernimento fu spesso ingannato dalla non diffidente bontà del suo cuore.
↑ Il titolo tradizionale italiano è Ricordi, inteso però (come i Ricordi del Guicciardini) non nel senso di memorie, ma in quello di ammonimenti a se stesso, cose e pensieri da tenere presenti.