O che potremmo entrare in un nuovo, significante rapporto con tutto il creato, se cominciassimo a pensare col cuore.[2]
Prima diventare capace d'amore, poi imparare che spirito e corpo sono una cosa sola.[3]
Solo nell'opera d'arte è la Verità, e tutto il resto non è che un gioco di specchi.[4]
[Sulla Sicilia] Vi è una drammaticità in quest'isola che non ha uguale in alcun luogo del mondo. Il nostro spirito spazia liberamente da Pitagora a Colombo, pervaso dal senso di una realtà grandiosa. Qui approda Platone. Qui combatte il cartaginese. Qui il bizantino costruisce. Qui lo svevo dorme, sotto volte arabe, in una tomba di porfido. Qui Goethe cavalca su un sentiero lungo il mare. Qui Platen esala l'ultimo respiro.
Diese Insel ist für uns dramatischer als irgendein Punkt der Welt. Der Geist spannt sich von Pythagoras zu Kolumbus ohne Anstrengung; ihn regiert das Gefühl einer großartigen Gegenwart. Hier landet Platon. Hier schlägt der Karthager. Hier baut der Byzantiner. Hier schläft unter arabischen Kuppeln der Staufer in einem porphyrenen Sarg. Hier reitet Goethe einen Pfad meerentlang. Hier haucht Platen seine Seele aus.[5]
Come sentiamo, così vogliamo essere sentiti. (2010, p. 52)
Dio ha detto: Io ero un tesoro che nessuno conosceva e volli essere conosciuto. Allora creai l'uomo. (2010, p. 41)
Dove trovare te stesso? Sempre nell'incantesimo più profondo che tu abbia subito. (2010, p. 40)
Gli amici non sono né molti né pochi, ma in numero sufficiente. (2010, p. 14)
I bambini sono divertenti proprio perché si possono divertire con poco. (2010, p. 34)
I caratteri semplici, non i complessi, sono difficili a capire. (2010, p. 57)
I più pericolosi dei nostri pregiudizi regnano in noi contro noi stessi. Dissiparli è creatività. (2010, p. 57)
Il genio crea concordanza tra il mondo in cui vive e il mondo che vive in lui. (2010, p. 95)
Il peggiore stile nasce quando si imita qualcosa e allo stesso tempo si tiene a far sapere che ci si sente superiori a ciò che si è imitato.
Il presente è il lato assolutamente doloroso dell'esistenza – ma soltanto provvisorio. (2010, p. 39)
Il significato del matrimonio è reciproca dissoluzione e palingenesi. La morte soltanto può perciò sciogliere un vero matrimonio, anzi veramente neppure essa.
In gioventù ci attrae il cosiddetto "interessante", in età più matura il buono. (2010, p. 97)
L'amore moderno è melodia debole, superistrumentata. (2010, p. 31)
L'egoismo non pecca tanto nelle azioni quanto nell'incomprensione. (2010, p. 25)
La bellezza, anche nell'arte, non si può immaginare senza pudore. (2010, p. 60)
La pittura trasforma lo spazio in tempo, la musica il tempo in spazio. (2010, p. 74)
La più pericolosa sorta di stupidità è un'acuta intelligenza. (2010, p. 53)
La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie. (2010, p. 56)
La stupidaggine degli intelligenti, la goffaggine dei raffinati, dove hanno radice? Nella smania sfrenata d'imitazione. (2010, pp. 29-30)
La vera poesia si tiene ugualmente lontana dalla insensibilità e dal sentimentalismo. (2010, p. 82)
Non si può pretendere che uno conosca tutto, ma che, avendo conoscenza di una cosa, abbia conoscenza di tutto. (2010, p. 43)
Ogni nuova conoscenza determina scomposizione e reintegrazione. (2010, p. 29)
Politica è magia. Chi sa evocare le forze, a quello obbediscono. (2010, p. 72)
Quando un uomo se n'è andato per sempre, porta un segreto con sé: come a lui, proprio a lui – sia stato possibile, in senso spirituale, vivere. (2010, p. 40)
Riconoscere il merito è più difficile che entusiasmarsi. (2010, p. 14)
Similitudini: il loro scopo è di riparare a ciò che la lingua ha toccato, ma non toccato al centro; di pacificare ciò che è stato turbato nella sua quiete subito accanto a ciò che è stato toccato intenzionalmente; di rendere omaggio all'indivisibile. (2010, p. 100)
Solo da ciò che sembra perfettamente chiaro, da toccare con mano, può procedere l'alta virtù del mistero. (2010, p. 98)
Tutto ciò che è creduto, esiste, e soltanto questo. (2010, p. 45)
Una certa dose d'orgoglio è un utile ingrediente del genio. (2010, p. 23)
Non con l'imperativo categorico, che si ha sempre in bocca, Kant ha operato potentemente su intere generazioni, ma con il criticismo, in cui l'insocievolezza dei tedeschi, la loro estraneità al mondo trovò la sua espressione astratta. (2010, p. 57)
Una piuma può tornire una pietra, se la conduce la mano dell'amore. (2010, p. 59)
«L'âme seule agit sur l'âme»![6] Questa è una menzogna, peggio, è una banalità. Se possiamo morire del corpo, siamo anche debitori al corpo, ai sensi, del fondamento di tutta la poesia, dal presentimento, dai segni della primavera nella nostra lirica fino al tremante presagio della putrefazione nella tomba. Molto libero cristianesimo con nostalgie conventuali vibra attraverso gli ultimi libri di Paul Bourget. Preferisco la cristianità umile e proletaria di Tolstoj. È più convincente. (da Sulla fisiologia dell'amore moderno, «Physiologie de l'amour moderne. Fragment posthumes d'un ouvrage de Claude Larcher, recueillis et publiés par Paul Bourget, son éxécuteur testamentaire», p. 14)
Beethoven è la retorica della nostra anima, Wagner è la sua sensibilità, Schumann forse il suo pensiero: Mozart è di più, è la forma. (Da Il centenario di Mozart a Salisburgo, p. 34)
Ciò che è divenuto non lo possiamo comprendere; può darci solo la volontà di diventare un giorno anche noi qualcosa di compiuto. Movimento è tutto: ma il luminoso insegnamento di Mozart è morto, morto come lo splendido cristallo lucente. Contro questo non si può lottare. È così. Per questo cose minori ci prendono più nel profondo, cose meno perfette in modo più vivo; e ciò che di lui in noi opera e vive non è quanto ha di meglio, è l'incompiuto, quello che ancora fermenta. [...] Quando uscii dall'adunanza festiva, mi vennero in mente le parole di Zenone: «Fanno male coloro che credono di comprendere il passato. E i grandi uomini del passato noi li onoriamo per ciò che hanno risolto in luce, ma a noi conviene pensare soltanto alle tenebre in cui ci hanno lasciato». E la Scrittura dice: «Ogni luce splende il suo tempo; ricordate quella spenta e accendetene una nuova e andate avanti». (Da Il centenario di Mozart a Salisburgo, pp. 34-35)
[...] Nerone, il coronato santo patrono del dilettantismo [...] (da Marice Barrès, «Sous l'œil des barbares», «Un homme libre», «Le Jardin de Bérénice», p. 38)
Gli artisti viventi sono come le meravigliose spoglie dei santi, il cui contatto ridestava dalla catalessi e cacciava la cecità. Gli artisti viventi passano attraverso la vita grigia, priva di senso, e ciò che toccano splende e vive. Ed è una stessa cosa se formulano con parole nuove i segreti dell'anima, o se attraverso armonie purificano il sordo mareggiare che è in noi, o se con parole effimere e gesti fugaci sollevano alla conoscenza ciò che in noi è inconsapevole e lo immergono in dionisiaca bellezza. (da Eleonora Duse, La leggenda di una settimana viennese, p. 55)
Noi stiamo a guardare la nostra vita; noi vuotiamo la coppa anzitempo e restiamo tuttavia infinitamente assetati: poiché, come di recente ha detto bene e melanconicamente Bourget il calice che la vita ci porge ha un'incrinatura, e mentre la coppa piena ci avrebbe forse inebriato, mancherà in eterno ciò che, all'atto di bere, stillando di sotto, ne va perduto; così nel possesso sentiamo la perdita, sentiamo nell'esperienza ciò che ogni volta ci sfugge. Non abbiamo per così dire radici nella vita, e ci aggiriamo, ombre chiaroveggenti eppure cieche alla luce del giorno, tra i figli della vita. (da Gabriele D'Annunzio, I, p. 76)
Oggi due cose appaiono moderne: l'analisi della vita e la fuga dalla vita. (da Gabriele D'Annunzio, I, p. 77)
La morale corrente viene oscurata da due impulsi: l'impulso all'esperimento e l'impulso alla bellezza, l'impulso a comprendere e l'impulso a dimenticare. (da Gabriele D'Annunzio, I, p. 78)
[L'Italia] [...] paese della nostra nostalgia, dove sono città i cui nomi non sanno di vuota e rozza realtà quotidiana, ma risuonano come se li avessero formati conversando e cantando le dolci e profumate labbra della poesia stessa. (da Gabriele D'Annunzio, I, p. 78)
[...] come il popolo ribelle della grande città si riversò sul Monte Sacro, così i nostri pensieri di bellezza e di felicità sono fuggiti a schiere lontano da noi, lontano dalla realtà quotidiana, e hanno alzato le loro preziose tende sulla montagna crepuscolare del passato. Ma il grande poeta che noi tutti attendiamo si chiama Menenio Agrippa ed è un signore grande e saggio: con meravigliose fiabe da pifferaio magico, con purpuree tragedie, specchi da cui il corso della vita si riverbera possente, cupo e scintillante, egli alletterà i fuggiaschi, così che ritornino a servire il giorno vivente, come si conviene. (da Gabriele D'Annunzio, I, pp. 86-87)
[...] la forza di vivere è un mistero. (da Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», I, p. 94)
Uno può essere qui, eppure non essere nella vita: è assolutamente un mistero che cosa d'improvviso lo travolga e faccia di lui uno che solo allora può divenire colpevole e innocente, solo allora può avere forza e bellezza. (da Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», I, p. 94»)
[...] tutta la vita è legata alla misteriosa combinazione di pensiero e azione. Solo chi vuole qualcosa conosce la vita. Essa non può essere conosciuta da coloro che non sanno volere e non sanno agire, così come una donna non può essere conosciuta da una donna. E proprio su coloro che non sanno volere e agire i poeti che rispecchiano tristemente e meschinamente questi ultimi due decenni hanno fondato il loro mondo. Eppure è da duemila anni che queste parole stanno nella Poetica di Aristotele: «...anche la vita (come il dramma) è fondata sull'azione, e lo scopo della vita è un'azione e non una condizione. I caratteri determinano la differenza, ma l'azione la felicità o la sventura». (da Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», I, pp. 94-95)
Solo l'azione sprigiona la forza e la bellezza. (da Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», II, p. 96)
Anche l'uomo del libro sa che solo alle ombre si addice l'aggirarsi ozioso. Sa anche che in lui è una forza. Anzi, la sua anima vive di questa consapevolezza. Per riconoscere pienamente la propria forza, che è la sua parte divina, l'ha distaccata mentalmente dal proprio essere e la chiama il suo figlio non nato. Così egli non ama, come Narciso, se stesso, ma «colui che deve nascere». (da Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», II, p. 96)
[...] vorrei che avessimo un maggior numero di quelle parole che, affascinanti e tremende, paiono risuonare dal cuore delle cose, quelle che qua e là un uomo dimenticato ha scalfito sul coperchio di un sarcofago, su una pietra incisa o su un esile vaso. (da Filosofia del metaforico, p 103)
Pater è il rarissimo conoscitore nato dell'artista, un critico per necessità e per volere della natura. Egli è innamorato dell'artista, come questi della vita. (da Walter Pater, p. 114)
Con gli occhi che ci evocano l'immagine illusoria della fontana dobbiamo guardare la vita degli uomini: ché la bellezza dei loro atteggiamenti e delle loro azioni altro non è che l'incontro di miriadi di vibrazioni nello spazio di un attimo. È uno zampillo che prima si alza e poi di nuovo ricade. Per un attimo ciascuno che cade percorre i gesti immortali degli antichi gladiatori, per un attimo sette ricordi simultanei e la vista del sole al tramonto rendono la coscienza di un uomo simile a quella di un dio antico e potente. (da Stile inglese, p. 126)
[...] la natura degli animali osservata da un occhio straordinariamente acuto: infinite sfumature d'esperienza umana espresse nel materiale del regno animale: questo sono le favole di La Fontaine. (da Discorso in casa di un collezionista d'arte, p. 131)
Non è forse ogni figura della natura, non è forse la sua stessa totalità, ciò che in essa grava e ciò che in essa fluisce, che in essa ondeggia e aleggia, ciò che è rigido e ciò che è vaporoso, ciò che è stabile e ciò che è in fermento, ciò che marcisce e ciò che germina, non è forse il suo uno e tutto che si è fatto forma? (da Discorso in casa di un collezionista d'arte, p. 132)
Come il fauno alita la sua felicità nel flauto, così la natura esala il suo trionfo in un luogo, nel sogno del Palladio. Ora essa ha deposto lo zufolo, lo lascia imputridire al margine dello stagno. Con dolce violenza riprende la Rotonda dal cerchio delle creazioni umane nella trama mobile e ombrosa del proprio regno. Ciò che incorona la collina di Vicenza non è più un tempio, non più una casa, e più dell'uno e dell'altra. Un sogno immortale, una meta di meravigliosa forma, verso cui sembra tendersi l'anelito delle lontane montagne, l'anelito delle acque possenti, e che esso raggiunge, il cui cerchio circonda, alle cui quattro scale si stringe, placato, redento da un simbolo. (da Viaggio d'estate, p. 170)
Chi vuole costruire la scena deve aver vissuto e sofferto con gli occhi. Mille volte deve aver giurato a se stesso che solo il visibile esiste, e mille volte deve essersi chiesto rabbrividendo se il visibile, anzitutto, non esiste. (da La scena come visione di sogno, p.174)
Non posso dire che a me appaia qualcosa di essenzialmente diverso percepire l'atmosfera primaverile o l'atmosfera di un dramma di Shakespeare o di un quadro di Rembrandt. Qui come là io sento un enorme «ensemble». [...] Un ensemble, dove la distinzione tra grande e piccolo è abolita, in quanto l'uno esiste in grazia dell'altro, il grande del piccolo, il fosco del chiaro, l'uno cerca l'altro, l'uno rileva e attutisce, colora e scolora l'altro, e per l'anima infine esiste solo l'intero, l'inscindibile, inafferrabile, imponderabile intero. (da Re e gran signori in Shakespeare, Una conferenza celebrativa, p. 204)
Per questo, perché anche quel che corre tra le figure pel mio occhio è pieno di una vita che trabocca da scaturigini ugualmente misteriose che le figure stesse, perché questo specchiarsi reciproco, questo reciproco umiliare ed esaltare, questo reciproco attutire e rafforzare, non è per me meno opera di mano immensa che le figure stesse, anzi perché qui come in Rembrandt non posso vedere e ammettere un reale confine tra le figure e la parte del quadro dove figure non compaiono, per questo sono ricorso alla parola «atmosfera», perché la brevità del tempo e la necessità di intenderci rapidamente, festosamente, mi ha impedito di usare una parola più grande e misteriosa: mito. (da Re e gran signori in Shakespeare, Una conferenza celebrativa, p. 211)
A me sembra, non è l'abbraccio, ma l'incontro la vera decisiva pantomima dell'amore. Non è in alcun momento il sensuale così spirituale, lo spirituale così sensuale come nell'incontro. Qui tutto è possibile, tutto in movimento, tutto disciolto. Qui è un cercarsi ancora senza brama, una ingenua mescolanza di confidenza e di timidezza. Qui è qualcosa del capriolo, dell'uccello, è la ottusità dell'animale, la purità dell'angelo, il divino. Un saluto è qualcosa d'infinito. (da I cammini e gli incontri, pp. 274-275)
Vediamo i volti, ma i volti non sono tutto; vediamo nei volti i destini, ma anche i destini non sono tutto. In ognuno che ci saluta è ancora un'altra cosa, più lontana, un al di là di tutt'e due, che ci tocca. (da Momenti in Grecia, II, Il viandante, p. 340)
Una volta si svela ogni cosa vivente, una volta ogni paesaggio, e pienamente: ma solo a un cuore commosso. (da Momenti in Grecia, II, Il viandante, p. 346)
[Un gruppo di cinque statue femminili custodite in un museo presso il Partenone] Grandi ne sono le figure; costruite – animali o divine – di forme strapotenti; estranei i volti; labbra altere, nobile l'arco delle ciglia, robuste guance, mento intorno a cui fluisce la vita; sono ancora sembianti umani? Nulla in loro allude al mondo in cui respiro e mi muovo. Non sono davanti alla più estranea estraneità? Non fissa qui da cinque volti verginali l'eterno orrore del caos? Ma, Dio mio, quanto sono reali! Hanno una presenza sensuale che toglie il respiro. Costruito come un tempio s'eleva il loro corpo sui piedi splendidi e forti. La loro solennità nulla ha delle maschere; il volto assume il suo significato dal corpo. Sono donne nubili, fidanzate, sacerdotesse. Nei loro volti è il rigore dell'attesa, l'eletta forza e nobiltà della loro razza, una consapevolezza del proprio grado. Hanno parte a cose oltre ogni comune presentimento. Quanto sono belle! I loro corpi mi convincono più che il mio proprio. (da Momenti in Grecia, III, Le statue, p. 351)
Il presente è vasto, il passato profondo; la vastità confonde, la profondità ricrea, perché dovremmo andare sempre e solo per il largo? (da Narratori tedeschi, p. 365)
[...] ciò che è eccellente ha tempo, resta ognora vivo in sé, e il suo momento è sempre. (da «Il Divano occidentale-orientale» di Goethe, p. 377)
[...] qui, nel Divano occidentale-orientale, siamo posti, come non mai, entro la cerchia del vivente. Il giovane brama vivere, il vecchio ricorda di aver vissuto, e a ciascuna di queste età è data una forza ch'è unica. Ma solo l'uomo è veramente colui che vive. Egli sta veramente al centro del cerchio della vita, e il cerchio magico gli racchiude il mondo. Nulla fugge davanti a lui, come egli non può fuggire davanti a nulla. [...] Così in questo libro ci avviene ciò che fuori di esso ci avviene nel nostro proprio dominio: crediamo di muoverci liberamente nell'infinito, eppure siamo sempre confinati al centro del cerchio della nostra vita, e l'anello dell'orizzonte è più che una semplice illusione ottica. Ma a colui a cui questo avviene, a lui crescono le forze, ed è come se il cerchio lo fortificasse a sua volta. Nel suo cuore si rinnova incessantemente il divino [...]. (da «Il Divano occidentale-orientale» di Goethe, p. 380)
Alle sei del mattino del 22 luglio 1848, il secondo squadrone corazzieri a cavallo — 107 uomini al comando del capitano barone Rofrano — lasciò i suoi quartieri in località Sant'Alessandro per dirigersi su Milano.[7]
Hugo von Hofmannsthal è giovane di anni, ma vecchio di gloria. Nato in un tempo in cui il naturalismo ed il verismo – due brutte parole che stanno a indicare due bruttissime scuole od orientamenti letterari – erano presso al loro apogeo, fiorì nel momento in cui essi inclinavano al tramonto, o meglio, a precipitosa rovina; nel momento in cui dall'immondezzaio e dal ciarpame rovistato in tutti i modi, si emanava ormai tale lezzo da fare arretrare anche gli animi più coraggiosi. (Guido Manacorda)
Ma il «rifiuto» di Hofmannsthal non è semplicemente un regressus verso un'Europa precapitalistica, cavalleresca, religiosa, bensì anche, e soprattutto, l'approfondimento delle possibilità di espiazione e di riscatto dell'individualismo aristocratico, la palingenesi magica, eroico-spiritualista, delle sue forze ideali, la realizzazione, cioè, di una piena visibilità interiore, di un «mondo dell'anima». (Ferruccio Masini)
Hugo von Hofmannsthal, Il libro degli amici, a cura di Gabriella Bemporad, Adelphi, Milano, 2010. ISBN 978-88-459-1233-7
Hugo von Hofmannsthal, Il libro degli amici, a cura di Gabriella Bemporad, Adelphi, Milano, 2015. ISBN 978-88-459-7704-6
Hugo von Hofmannsthal, L'ignoto che appare, Scritti 1891 – 1914, a cura di Gabriella Bemporad, traduzione di Gabriella Bemporad[nota 1], Il poeta e il nostro tempo è stato tradotto da Giorgio Zampa, Adelphi, Milano, 1991. ISBN 88-459-0713-9
Hugo von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos, traduzione di Marga Vidusso Feriani, Rizzoli, Milano, 1991.
Note alla bibliografia
↑ I testi La lettera di Lord Chandos, Sui caratteri nel romanzo e nel dramma, Re e gran signori in Shakespeare, «Le mille e una notte», I cammini e gli incontri e Momenti in Grecia sono stati tradotti da Leone Traverso.