ente territoriale italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'unione di comuni è un enteitaliano disciplinato dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,[1] che attua la legge 3 agosto 1999, n. 265,[2] in particolare dall'articolo 32.
L'ente è costituito da due o più comuni per l'esercizio congiunto di funzioni o servizi di competenza comunale. L'unione è dotata di autonomia statutaria nell'ambito dei principi fissati dalla Costituzione e dalle norme comunitarie, statali e regionali.
Il D.Lgs. 267/2000 la definisce come un ente locale, ma la sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2015 precisa che si tratta di una forma istituzionale di associazione tra comuni.[3]
Alle unioni di comuni si applicano, per quanto compatibili, i princìpi previsti per l'ordinamento dei comuni,[1] con specifico riguardo alle norme in materia di composizione e numero degli organi dei comuni, il quale non può eccedere i limiti previsti per i comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell'ente.
Il TAR del Lazio con la sua ordinanza n. 1027 del 20 gennaio 2017 ha rinviato alla Corte costituzionale l'obbligo di esercizio associato delle funzioni per i piccoli Comuni ritenendo non “manifestamente infondata” l'incostituzionalità di quest'obbligo.[4][5]
Scopo
I cinque commi dell'articolo 32 definiscono le unioni di comuni in maniera sintetica e precisa, dando la massima flessibilità all'interno di poche regole precise.
Nel primo comma si definisce l'unione come costituita da due o più comuni che devono essere contigui con un obiettivo chiaro: "esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza". Ciò significa che i singoli comuni si uniscono e trasferiscono alle unioni funzioni e servizi. Ciò implica che il servizio o la funzione trasferita all'Unione viene sottratta alla titolarità diretta del Comune, e rientra nella titolarità dell'Unione dei comuni. In ciò si esprime una prima differenza rispetto alle semplici convenzione di gestione dei servizi, in cui la titolarità del servizio permane in capo al comune convenzionato, mentre il comune capofila semplicemente esercita lo stesso su delega degli altri.
L'unione deve avere un atto costitutivo e uno statuto. Lo statuto deve avere alcune caratteristiche:
deve essere approvato dai singoli consigli comunali con procedure e maggioranze previste per le modifiche statutarie;
deve definire gli organi e le modalità per la loro costituzione;
definisce le funzioni svolte dall'unione e le risorse di finanziamento;
il presidente deve essere scelto fra i sindaci eletti;
gli altri organi previsti, quali la giunta esecutiva e il consiglio dell'unione, devono essere composti da consiglieri o membri delle giunte con la presenza delle minoranze;
L'unione decide al suo interno i regolamenti per la propria organizzazione ed i rapporti con i singoli comuni. Il decreto conclude disponendo che le Unioni seguono le regole ed i principi previsti per i comuni, evidenziando che i componenti degli organi non possono eccedere le disposizioni relative ai comuni con la popolazione complessiva delle amministrazioni locali associate.
Ultimo, ma fondante dei poteri delle unioni, è la destinazione di tutti gli introiti che derivano da tasse, tariffe e contributi dovuti per i servizi trasferiti dai comuni.
Attuazioni
Con un decreto legislativo che ha regole sintetiche, chiare e minime, le attuazioni sono spesso molto diverse fra di loro e vengono costruite in funzione delle singole esigenze territoriali ed istituzionali.
La realizzazione delle unioni di comuni permette di creare delle economie di scala nel dimensionare i servizi e crea le condizioni per la sopravvivenza dei piccoli comuni che, pur mantenendo la loro identità, possono accorpare servizi al fine di ridurre i costi pro-capite e ridurre pro-quota le spese fisse di gestione di alcuni servizi.
I costi di gestione degli enti sono solitamente bassi, strutture formate da amministratori dei comuni e servizi coperti da entrate dedicate per la maggior parte dei servizi conferiti.
Le Unioni introdotte dalla L. 142/90 hanno avuto particolare fortuna a partire dalla novellazione riportata dal Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), che ha soppresso l'obbligo inizialmente previsto per le Unioni di giungere alla fusione entro 10 anni dalla loro costituzione.
Successivamente, numerose leggi regionali, a seguito della modifica del titolo V della Costituzione sono intervenute in materia, prevedendo discipline concorrenti, a volte in aperto contrasto con la disciplina del TUEL sulle unioni. In particolare riguardo agli organi.
Sono da segnalare due importanti riforme, la prima quella prevista dall'art. 14 del D.L. 78/2010, convertito in legge 122/2010, che tra l'altro ha indicato le Unioni come una delle due forme di gestione per l'esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali, attualmente individuate nell'art. 21 c. 3 L. 42/09, per i comuni sotto i 5 000 abitanti (l'altra forma è quella della convenzione ex art. 30 TUEL). La seconda riforma è quella dell'art. 16 L. 148/2011, che ha introdotto una nuova tipologia di unioni, le cosiddette "unioni municipali", pensata per i comuni sotto i mille abitanti.
Legge 8 giugno 1990, n. 142
La riforma del 2000 si rese necessaria per correggere e migliorare quelle parti della legge 142/90[6] che si erano dimostrate, nell'esperienza pratica, oramai insoddisfacenti ed inadeguate. Lo scopo era quello di dare più forza all'azione amministrativa, con particolare attenzione ai comuni di piccola entità demografica, ritenendo essenziali le dimensioni degli enti locali, in relazione al maggior numero di funzioni loro affidate (grazie all'autonomia statutaria di cui essi godono).
I comuni, secondo l'originaria impostazione della legge 142/90 (dal combinato disposto degli artt. 11 e 26), potevano richiedere la fusione immediata (art.11) oppure dar vita alla forma associativa denominata "Unione di comuni" (art.26), la quale costituiva la prima fase del procedimento di fusione.
L'art. 26 di questa legge, contenuto nel capo VIII, dedicato alle forme associative, stabiliva che:
l'Unione costituisce una forma associativa, realizzata tra enti finitimi, appartenenti alla stessa provincia. (successivamente abrogato)
ciascun comune partecipante deve avere una popolazione inferiore a 5 000 abitanti, ma è ammesso che possa far parte dell'Unione non più di un comune con popolazione compresa tra i 5.000 ed i 10 000 abitanti.
L'Unione viene costituita "per l'esercizio di una pluralità di funzioni e servizi".
L'Unione tende quindi ad assumere un carattere polifunzionale, spettando all'atto costitutivo ed al regolamento la delimitazione effettiva dell'ambito di attività ad essa demandate.
Le leggi regionali in materia di Unioni, sensi dell’art. 33 del TUEL (d.lgs. 267/2000) hanno come oggetto a) il programma regionale di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le unioni; b) l’incentivazione dell’esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni; c) la promozione delle unioni di comuni, senza alcun vincolo alla successiva fusione ma con ulteriori benefici da corrispondere alle unioni che autonomamente deliberino di procedere alla fusione.
Oltre a questi oggetti, la legislazione regionale può dettare, per quanto non disciplinato dall’art. 32 TUEL, anche “principi di organizzazione e funzionamento” in materia di Unioni (art. 1 comma 106 l. 56/2014).
Le Unioni a cui aderiscono comuni con popolazione inferiore ai 5 000 abitanti (o 3.000, se appartenenti o già appartenuti a Comunità montane), ed istituite dopo il 2010, debbono inoltre tener conto del diverso limite demografico minimo previsto dalla legge regionale per la loro costituzione o eventuali deroghe all’obbligo dell’esercizio associato disposte in ragione di particolari condizioni territoriali disposte dalla legge regionale (art. 14, c. 31 d.l. 78/2010).[7]
Questo si traduce in alcune variazione regionali rispetto alla Normativa nazionale, in particolare:
Utilizzo da parte di due delle regioni a statuto speciale,Trentino-Alto Adige e Sardegna, di altre forme associative equiparabili alle Unioni.
Utilizzo di specifica nomenclatura in Lombardia, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia
Continua presenza delle comunità montane come enti non equiparabili alle Unioni in Campania, Lazio e Lombardia, e con la possibilità quindi ai loro comuni di appartenere contemporaneamente ai due diversi enti. Uniche due eccezioni a livello nazionale di "doppia appartenenza" fuori dalle regioni già citate sono l'Unione Besa in Sicilia e l'Unione dell'Alta Anaunia in Trentino.
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Nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia la corrispondente dell'Unione di Comuni è la Comunità, «costituita volontariamente da Comuni di norma contermini, senza la sussistenza di alcun vincolo geografico o dimensionale né alcuna prestabilita individuazione delle funzioni e/o servizi comunali da gestire in forma associata». La normativa sulla Comunità è entrata in vigore con la riforma amministrativa che ha visto la soppressione delle Unioni Territoriali Intercomunali[8].
A queste si aggiungono sei Comunità di montagna e una Comunità collinare, enti costituiti non su base volontaria ma ex lege, poiché alcune funzioni inerenti alla tutela e allo sviluppo del territorio montano e collinare vanno obbligatoriamente gestite a livello sovracomunale[9][10].
Le unioni di comuni in Toscana, ai sensi dell'articolo 24, della legge regionale 27 dicembre 2011, n. 68 possono essere costituite esclusivamente da comuni dello stesso ambito, devono avere un numero minimo di tre comuni e devono raggiungere il limite demografico minimo di 10 000 abitanti[13].
Nel territorio della Regione Toscana non possono essere costituite unioni con la medesima denominazione. La denominazione identifica esclusivamente il territorio dell'unione.
Le regioni a statuto speciale e le Province Autonome di Trento e Bolzano godono di una competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali, nella quale trovano spazio disposizioni in materia di Unioni e di altre forme associative ad esse equiparabili,[14] le Comunità comprensoriali (dette Comunità di valle in Trentino).
Le comunità montane valdostane vengono sostituite nel 2015 ai sensi della legge regionale n.6 del 5 agosto 2014 dalle Unités des Communes valdôtaines.[15]
In Veneto, un particolare tipo di unione di comuni sono le unioni montane, una speciale categoria di enti locali istituita con le leggi 40/2012 e 49/2012[16] per fondere assieme le competenze delle unioni di comuni con quelle delle preesistenti comunità montane.
«Tali unioni − risolvendosi in forme istituzionali di associazione tra Comuni per l’esercizio congiunto di funzioni o servizi di loro competenza e non costituendo, perciò, al di là dell’impropria definizione sub comma 4 dell’art. 1, un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente Comune – rientrano, infatti, nell’area di competenza statuale sub art. 117, secondo comma, lettera p), e non sono, di conseguenza, attratte nell’ambito di competenza residuale di cui al quarto comma dello stesso art. 117.»
Giuseppe Ragadali, cap. XII in "Il Governo Multi Level - Le Forme Associative, in Il Governo Locale- nel nuovo sistema federale - Orientamenti – Guida operativa – Raccolta normativa" – Collana Editoriale Anci – Editrice CEL– 2010 /2011
Francesco R. Frieri, Luciano Gallo, Marco Mordenti, LE UNIONI DI COMUNI - Costituzione - Gestione - Governance - Manuale di management con best pratices e modelli organizzativi, aggiornamenti normativi e interpretazioni prevalenti; Maggioli Editore 2012.