Treboniano Gallo
imperatore romano (r. 251-253) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Gaio Vibio Treboniano Gallo (in latino Gaius Vibius Trebonianus Gallus; Monte Vibiano Vecchio, 206 – Terni, agosto 253) è stato un imperatore romano dal 251 al 253 insieme al figlio Volusiano, che associò al trono, ed al figlio di Decio, Ostiliano[7][8].
Treboniano Gallo | |
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Imperatore romano | |
Busto di Treboniano Gallo conservato al Museo Archeologico di Hatay, ad Antakya. | |
Nome originale | Gaius Vibius Trebonianus Gallus |
Regno | 251 (con Ostiliano[1]) – 251-253 (con Volusiano[2]) |
Tribunicia potestas | 3/(4?[3]) volte:[4] la prima attorno nel giugno del 251, poi rinnovata ogni anno al 10 dicembre |
Cognomina ex virtute | Invictus.[5] |
Titoli | Pater Patriae, Pius e Felix nel 251[6] |
Salutatio imperatoria | 1 sola volta? (al momento dell'ascesa al trono) |
Nascita | 206 Ubianum |
Morte | agosto 253 Terni |
Predecessore | Decio Erennio Etrusco |
Successore | Emiliano |
Consorte | Afinia Gemina Bebiana |
Figli | Volusiano Vibia Galla |
Consolato | 2 volte: negli anni 240 e poi nel 252.[6] |
Legatus Augusti pro praetore | 251 in Moesia |
Pontificato max | nel 251[6] |
Il suo regno fu caratterizzato da una lunga serie di disastri, come la peste che colpì l'Impero romano per anni[2][8][9], le incursioni delle popolazioni barbare oltre i confini dell'impero e la perdita (secondo alcune fonti avvenuta durante il suo regno) della Siria in favore dei Sasanidi ed il saccheggio di Antiochia[10].
Uomo di indubbie qualità amministrative, il suo programma fu impresso nella dicitura delle monete che fece battere: Pax aeterna.
Treboniano nacque ad Ubianum (oggi Monte Vibiano Vecchio, frazione del comune di Marsciano, in provincia di Perugia) da una famiglia dell'aristocrazia senatoriale, i Vibii Galli di ascendenza etrusca[11]; tra i suoi antenati vi era un Vibio Veldumniano (205 circa, ILS 6616), mentre era forse parente di Giunio Veldumniano, console del 272[12]. Sposò Afinia Gemina Bebiana, da cui ebbe due figli: Volusiano, che associò al trono[7], e Vibia Galla.
La sua carriera precedente all'ascensione al trono era stata il normale cursus honorum con molti incarichi sia politici che militari. Dopo essere stato console nel 250, fu nominato governatore della provincia della Mesia, un incarico che dimostrava la fiducia che l'imperatore Decio riponeva in lui. In quella provincia si rivelò una figura chiave nel respingere le frequenti invasioni dei Goti sul Danubio e divenne molto popolare nell'esercito: durante la campagna di Decio, Treboniano difese con successo la città.
Il 1º luglio 251, gli imperatori Decio ed Erennio Etrusco morirono nella battaglia di Abrittus per mano dei Goti; Treboniano fu allora acclamato imperatore dai soldati sul campo di battaglia. Alcune fonti affermano che Gallo ritardò volontariamente i rinforzi per causare la morte di Decio, o che fosse in qualche modo d'accordo con i Goti[14].
Appena salito al trono fu tuttavia costretto a stipulare con i Goti una pace che concedeva loro il bottino e i prigionieri ottenuti con le incursioni (in particolare quella a Filippopoli) e che prevedeva anche un versamento annuo d'oro da parte dei Romani[15]; ottenuta la pace a termini poco onorevoli, Treboniano fu libero di tornare a Roma[16]. Qui si trovava l'altro figlio di Decio, Ostiliano, che era troppo giovane per seguire il padre in battaglia e che era cesare; assieme a questi si trovava pure l'augusta Erennia Cupressenia Etruscilla, moglie di Decio. Treboniano, decise di fare un compromesso e adottare Ostiliano[8] ed elevarlo a co-augusto[2][16] e, contemporaneamente, di elevare il proprio figlio naturale a cesare[7].
All'epoca dell'arrivo di Treboniano, Roma era stata colpita dalla peste, nella quale sembra morì anche Ostiliano[2]. Zosimo invece insinua che Ostiliano fu eliminato da Treboniano per timore della rivolta[17]. In seguito a questi eventi, elevò al rango di co-augusto il figlio Volusiano. Di fronte all'emergenza della peste[9], Treboniano agì con decisione: ordinò che lo Stato si incaricasse di fornire un funerale e una sepoltura appropriati a tutti coloro che erano troppo poveri per permetterselo, e ottenne in questo modo il favore popolare.
«Non meno della guerra, scoppiata dovunque, anche la peste si diffuse in città e villaggi, eliminando i superstiti e procurando una tale moria di uomini quale mai era accaduto in precedenza.»
Per il resto, non si dimostrò all'altezza del compito, non riuscendo ad affrontare con energia i problemi che si trovò davanti, sia interni che esterni[18]. In particolare non ostacolò le scorrerie di Goti[18], Borani, Carpi e Urgundi[19] che tra il 252 e il 253 compirono saccheggi fino a Pessinunte ed Efeso[20].
Le fonti cristiane parlano di una persecuzione dei cristiani ad opera di Treboniano; confermate dall'unico evento attestato anche da altre fonti: l'arresto e l'incarcerazione di papa Cornelio nel 252[21].
La situazione in oriente precipitò: probabilmente a causa di una disputa per il controllo dell'Armenia, da sempre oggetto di contesa tra l'Impero romano e i Sasanidi, Sapore I risalì l'Eufrate e nel 252 sconfisse l'esercito romano nella battaglia di Barbalissos, invadendo e conquistando gran parte della provincia di Siria[10][22], compresa la stessa capitale Antiochia (fine del 252-inizi del 253)[10].
«Intanto, i Persiani attaccavano l’Asia, sottomettendo la Mesopotamia e avanzando in Siria, addirittura sino ad Antiochia, finché non conquistarono anche questa città, metropoli di tutto l'Oriente; e dopo avere trucidato una parte degli abitanti e portato via come prigionieri gli altri, insieme a un ricchissimo bottino, ritornarono in patria, avendo pure distrutto ogni edificio pubblico e privato della città, senza trovare la minima resistenza. Senza dubbio i Persiani avrebbero facilmente conquistato tutta l’Asia se, contenti per il ricco bottino, non avessero pensato a metterlo in salvo soddisfatti e a riportarlo in patria.»
«[…] l'insolenza dei Persiani che bruciarono ogni cosa stesse in piedi.»
«Infatti un giorno che in Antiochia, nel più profondo silenzio durante le rappresentazioni teatrali, un mimo con la moglie imitava alcune scene della vita quotidiana, fra l’ammirazione del popolo per la bellezza dello spettacolo, la donna disse: «A meno che non sia un sogno, ecco i Persiani». E, voltasi in fuga, tutta la folla si sparse qua e là per salvarsi dai dardi che volavano su di lei dalla rocca. Così, incendiata la città ed uccisi molti cittadini che, come avviene in tempo di pace, in gran numero s’aggiravano per le strade, i nemici diedero alle fiamme e devastarono le località circostanti.»
Malgrado questa grave perdita, Gallo non organizzò alcuna controffensiva contro i Sasanidi. Frattanto, sul Danubio le tribù gote continuarono le loro incursioni fino a saccheggiare i territori romani della Cappadocia, giungendo sotto mura di Pessinunte ed Efeso[20]. Il nuovo governatore della Mesia Superiore[8] (Pannonia secondo Zosimo[20]), Marco Emilio Emiliano, si rifiutò di pagare il tributo dovuto, interpretando in questo il malcontento dell'esercito, contrariato dalla pace frettolosamente stipulata. I Goti reagirono attaccando il basso Danubio, ma Emiliano li intercettò[20] e li sconfisse sonoramente: l'esercito lo acclamò allora imperatore[23][24] (forse anche perché corrotto da una distribuzione di denaro dello stesso)[25].
Emiliano raccolse le truppe danubiane e marciò sull'Italia pronto a combattere per il trono[23]. Treboniano prese con sé Volusiano e le truppe a disposizione e si mise in marcia verso nord; contemporaneamente ordinò a Publio Licinio Valeriano di prendere le legioni poste a protezione della frontiera del Reno e portargliele[26].
Treboniano e Volusiano marciarono verso nord molto lentamente, forse intendendo rinviare il più possibile il momento dello scontro in attesa dei rinforzi (che non sarebbero mai giunti): ad agosto erano giunti appena a Interamna, dove avvenne lo scontro[8]. Emiliano risultò vittorioso[27], e Treboniano e Volusiano fuggirono con pochi seguaci, le loro guardie[28], fino a Forum Flaminii, dove però furono uccisi dai loro soldati[26], i quali tornarono da Emiliano per ricevere una ricompensa[29]. Treboniano aveva 47 anni e aveva regnato per due[8].
Il mese successivo Emiliano uscì da Roma per scontrarsi con Valeriano, finalmente giunto con le legioni settentrionali; lo scontro sarebbe dovuto avvenire vicino a Spoleto, ma i soldati di Emiliano passarono al nemico e uccisero il proprio imperatore.
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