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insieme delle regole delle elezioni dello Stato italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il sistema elettorale italiano è l'insieme delle regole con cui, sulla base dei voti espressi dai cittadini italiani durante le elezioni, sono assegnati i seggi all'interno degli organi politico-istituzionali locali, nazionali ed europei. La situazione è articolata e differenziata a seconda delle varie categorie di votazione previste dall'ordinamento politico italiano:
Ciascun tipo di consultazione ha luogo di norma ogni cinque anni.[N 8][N 9][N 10][2] Il sistema proporzionale con soglia di sbarramento, adottato per tutte le elezioni italiane dal 1946 al 1993 (fatta eccezione per il Senato), è ancora usato per le elezioni del Parlamento europeo. Anche i restanti appuntamenti elettorali – salvo le consultazioni comunali nelle municipalità meno popolose e le elezioni circoscrizionali – si svolgono sulla base di sistemi elettorali di impostazione proporzionale, ma corretti in misura significativa con quote maggioritarie o premi di governabilità variamente assegnati.
Anno | Legge | Leg. di utilizzo | Sistema elettorale | Note |
---|---|---|---|---|
Regno d'Italia | ||||
Stato liberale | ||||
1860 | Legge 1019/1860 | VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV | Maggioritario uninominale a doppio turno | Mutuata dalla normativa del Regno di Sardegna |
1882 | Legge Zanardelli | XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV | Plurinominale con scrutinio di lista | Emendata con la legge 315/1892 e con la legge 666/1912 |
1919 | Legge 1401/1919 | XXV, XXVI | Proporzionale puro | |
Regime fascista | ||||
1923 | Legge Acerbo | XXVII | Proporzionale con premio di maggioranza | |
1925 | Legge 122/1925 | - | Mai utilizzata. | |
1928 | Legge 1019/1928 | XXVIII, XXIX | Sistema plebiscitario | |
Repubblica Italiana | ||||
1946 | Legge 74/1946 | AC, I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI | Proporzionale classico | Emendata con la legge elettorale del 1953, cosiddetta Legge Truffa, poi eliminata con la legge 31 luglio 1954, n. 615 |
1993 | Mattarellum | XII, XIII, XIV | Misto proporzionale-maggioritario | |
2005 | Porcellum | XV, XVI, XVII | Proporzionale con premio di maggioranza | Dichiarata parzialmente incostituzionale |
2015 | Italicum | - | Proporzionale con premio di maggioranza e sbarramento. |
|
2017 | Rosatellum | XVIII, XIX | Misto proporzionale-maggioritario |
All'atto dell'unità d'Italia fu mutuata la normativa del Regno di Sardegna, che per l'elezione dei deputati prevedeva un sistema maggioritario uninominale a doppio turno: in ogni collegio elettorale accedevano al ballottaggio i due candidati che al primo turno avevano ottenuto più voti. Il Senato era invece a totale nomina regia e rimase tale fino all'istituzione della Repubblica Italiana.
Nel 1882 fu introdotto un meccanismo plurinominale di lista: in ogni circoscrizione si eleggeva un numero di deputati compreso fra due e cinque, in ragione dei voti attribuiti ai diversi partiti politici concorrenti. Tale sistema, tuttavia, contribuì notevolmente ad accrescere l'instabilità politica, cosicché nel 1892 la legge venne emendata ripristinando i collegi uninominali. Con tali modifiche, essa restò sostanzialmente in vigore sino al 1919, allorché fu sostituita da un nuovo provvedimento che introduceva un sistema proporzionale puro basato su 54 circoscrizioni; ciascun collegio eleggeva da 5 a 20 deputati con il metodo D'Hondt. Le liste potevano essere complete o incomplete: nel secondo caso l'elettore aveva possibilità di completarla inserendovi in fondo i nomi di candidati di altre liste secondo il meccanismo del voto disgiunto; qualora l'elettore avesse scelto una lista completa o avesse rinunciato al diritto di aggiunta di una lista incompleta, aveva la possibilità di esercitare il voto di preferenza per un numero di candidati compreso fra uno e quattro a seconda delle dimensioni della circoscrizione. All'interno di ciascuna lista i candidati venivano eletti sulla base della somma dei voti di preferenza e dei voti aggiuntivi ottenuti.
Nel 1923 entrò in vigore la legge Acerbo, voluta da Benito Mussolini per garantire al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare. Il provvedimento prevedeva l'adozione di un sistema proporzionale con premio di maggioranza, all'interno di un collegio unico nazionale suddiviso in 16 circoscrizioni. Il risultato nel collegio unico era decisivo per determinare la ripartizione dei seggi assembleari: nel caso in cui la lista più votata a livello nazionale avesse superato il 25% dei voti validi, avrebbe automaticamente ottenuto i due terzi degli scranni della Camera, promuovendo in blocco tutti i propri candidati; in questa eventualità tutte le altre liste si sarebbero divise il restante terzo dei seggi. Qualora invece nessuna delle liste concorrenti avesse conseguito più del 25% dei voti, non sarebbe stato attribuito alcun premio di maggioranza.
A proposito della legge Acerbo, lo storico Alessandro Visani scrisse[3]:
«L'approvazione di quella legge fu [...] un classico caso di "suicidio di un'assemblea rappresentativa" [...]. La riforma fornì all'esecutivo lo strumento principe – la maggioranza parlamentare – che gli avrebbe consentito di introdurre, senza violare la legalità formale, le innovazioni più traumatiche e più lesive della legalità statuaria sostanziale, compresa quella che consisteva nello svuotare di senso le procedure elettorali, trasformandole in rituali confirmatori da cui era esclusa ogni possibilità di scelta.»
A seguito della caduta del fascismo e della nascita della Repubblica Italiana, nel 1946 fu approvata la cosiddetta legge proporzionale classica che – con modifiche minime apportate nel corso del tempo – regolò lo svolgimento delle elezioni politiche italiane sino al 1993, ovvero per quasi cinquant'anni. Per quanto riguarda l'elezione della Camera dei deputati, il territorio nazionale era suddiviso in 32 circoscrizioni plurinominali assegnatarie di un numero di seggi variabile a seconda della popolazione; ogni elettore aveva inoltre a disposizione un massimo di quattro voti di preferenza. Il sistema elettorale per il Senato della Repubblica conteneva alcuni modesti correttivi in senso maggioritario, pur mantenendosi anch'esso in un contesto largamente proporzionale. L'unica eccezione notevole nei decenni della Prima Repubblica fu rappresentata dalla legge elettorale del 1953, meglio nota come «legge truffa» dall'appellativo coniato dalle opposizioni: il provvedimento, caldeggiato dal governo di Alcide De Gasperi, inseriva nel sistema di elezione della Camera un premio di maggioranza consistente nell'attribuzione del 65% dei seggi alla lista o al gruppo di liste che avesse superato la metà dei voti validi. Questa clausola non sortì effetti in occasione delle consultazioni del giugno 1953 – giacché la coalizione centrista si fermò al 49,8% dei consensi – e la disposizione fu abrogata l'anno successivo, determinando il ritorno al precedente meccanismo proporzionale.
La legge Mattarella, approvata nel 1993 su impulso dell'iniziativa referendaria a favore del maggioritario,[4] introdusse per la prima volta in Italia un sistema elettorale misto, definito come segue:
Tale meccanismo – ribattezzato «Minotauro» in virtù della sua natura ibrida e noto anche con l'appellativo latineggiante di Mattarellum – costituì uno dei principali elementi che segnarono il passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica, rappresentando una decisa svolta rispetto al passato: la preponderante componente maggioritaria prevista dal nuovo sistema, infatti, era volta a favorire lo sviluppo di una forma di bipolarismo, agevolando in linea di principio l'alternanza di governo fra due partiti o coalizioni sul modello delle altre maggiori democrazie occidentali.[5]
Nel 2005 (legge Calderoli, detta Porcellum) entrò in vigore un sistema proporzionale corretto con un cospicuo premio di maggioranza – attribuito su base regionale al Senato[N 11] – e diverse clausole di accesso; la formulazione originaria della normativa non consentiva il voto di preferenza.[N 12] Nel 2013 la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità di parte della legge, in riferimento al premio di maggioranza e all'eccessiva lunghezza delle liste bloccate.[N 13][6][7]
Per quanto riguarda la sola Camera dei deputati, nel 2015 fu approvato un nuovo sistema elettorale, noto come «Italicum»; la legge, mai usata, prevedeva un meccanismo proporzionale con sbarramento al 3% ed eventuale premio di maggioranza.[N 14] La lista vincitrice avrebbe infatti avuto diritto ad almeno 340 deputati, pari al 54% degli scranni della Camera, qualora avesse conseguito una percentuale non inferiore al 40% dei consensi in ambito nazionale; il numero dei seggi assegnati a ciascun partito sarebbe stato determinato con il metodo Hare-Niemeyer sulla base dei suffragi ottenuti sul territorio nazionale.[N 14] Le candidature sarebbero state presentate all'interno di venti circoscrizioni regionali, suddivise complessivamente in 100 collegi plurinominali, a ciascuno dei quali spetta un numero prefissato di seggi compreso fra tre e nove.[N 14] Avrebbero fatto eccezione i nove collegi uninominali delle circoscrizioni Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige; quest'ultima regione avrebbe avuto diritto inoltre a una quota aggiuntiva di deputati da eleggere con criteri proporzionali.[N 14] Nessuno si sarebbe potuto candidare in più distretti, salvo i capilista nel limite di dieci collegi.[N 14] Ogni elettore, nell'ambito della lista prescelta, avrebbe disposto anche di un massimo di due voti di preferenza a favore di candidati di genere diverso che non fossero capilista.[N 14] In ogni collegio, nel limite dei seggi spettanti in proporzione a ciascun partito, sarebbero stati dichiarati eletti i rispettivi capilista e – in subordine – i candidati che avessero conseguito il maggior numero di preferenze.[N 14]
Dal 2017 è in vigore un sistema elettorale misto a separazione completa, ribattezzato Rosatellum bis: in ciascuno dei due rami del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un sistema maggioritario uninominale a turno unico, mentre il 61% degli scranni viene ripartito fra le liste concorrenti mediante un meccanismo proporzionale corretto con diverse clausole di sbarramento.[N 15] Le candidature per quest'ultima componente sono presentate nell'ambito di collegi plurinominali, a ognuno dei quali spetta un numero prefissato di seggi; l'elettore non dispone del voto di preferenza né del voto disgiunto.[N 15] La Costituzione stabilisce altresì che otto deputati e quattro senatori debbano essere prescelti dai cittadini italiani residenti all'estero.[N 1]
Camera dei deputati | Senato della Repubblica | ||||||
Metodo di elezione | Seggi | % | Metodo di elezione | Seggi | % | ||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Maggioritario uninominale a turno unico | 148 | 37% | Maggioritario uninominale a turno unico | 74 | 37% | ||
Proporzionale con sbarramento al 3% | 244 | 61% | Proporzionale con sbarramento al 3% | 122 | 61% | ||
Voto degli italiani residenti all'estero | 8 | 2% | Voto degli italiani residenti all'estero | 4 | 2% |
Dal 1979, quando fu istituito il Parlamento europeo come assemblea elettiva, le elezioni europee sono disciplinate da un sistema proporzionale,[N 2] in accordo a quanto previsto dalla normativa comunitaria.[N 16] Nel 2009 è stata introdotta una soglia di sbarramento al 4%.[N 17]
Ogni elettore dispone di un voto di lista e di un massimo di tre preferenze nell'ambito della lista indicata; qualora il votante esprima due o tre voti di preferenza, i candidati prescelti non possono essere tutti del medesimo genere.[N 18] Per le liste rappresentative delle minoranze linguistiche è contemplata la facoltà di collegamento con una lista nazionale:[N 19] in questo caso i voti della lista linguistica vengono conteggiati a favore del partito collegato, che è tenuto a cedere uno dei propri seggi assembleari a un candidato linguistico qualora quest'ultimo ottenga almeno 50 000 suffragi.[N 20] Per le liste delle minoranze linguistiche è consentito indicare una sola preferenza.[N 18]
Il numero dei seggi attribuiti a ciascun partito è calcolato con il metodo Hare-Niemeyer in ragione dei voti conseguiti in ambito nazionale.[N 21] Al fine di determinare i candidati eletti, i seggi così assegnati alle varie liste sono distribuiti in proporzione ai voti ottenuti nelle seguenti circoscrizioni, corrispondenti alle cinque unità territoriali statistiche di primo livello:[N 22]
Sono dichiarati eletti i candidati che hanno ricevuto il maggior numero di preferenze nelle singole circoscrizioni, nel limite dei seggi spettanti a ciascuna lista.[N 20]
A seguito della riforma costituzionale del 1999, la legge fondamentale prescrive che il presidente della giunta regionale sia eletto direttamente dai cittadini, salvo che la normativa regionale disponga diversamente;[N 23] in tutte le regioni a statuto ordinario la votazione si svolge con la formula del turno unico, fatta eccezione per la Toscana che ha introdotto la possibilità di ricorrere al ballottaggio.[N 24][N 25]
Le norme generali vigenti dal 1995 (legge Tatarella) prevedono inoltre che il consiglio regionale sia eletto contestualmente al presidente mediante un sistema proporzionale con premio di maggioranza.[N 26] Quattro quinti dei seggi assembleari sono attribuiti proporzionalmente, sulla base di liste presentate nelle diverse province;[N 26] sono ammessi il voto di preferenza e il voto disgiunto.[N 27] Le liste che hanno ottenuto una percentuale inferiore al 3% dei voti non ottengono alcun seggio, a meno che non siano collegate con un candidato presidente che abbia superato il 5% dei consensi a livello complessivo.[N 28] Un quinto dei seggi è assegnato sulla base di liste regionali (i cosiddetti «listini») il cui capolista è il candidato alla presidenza.[N 26] La coalizione più votata fa eleggere in blocco tutti i candidati del proprio listino, con la seguente eccezione: se le liste provinciali collegate alla lista regionale vincente hanno ottenuto almeno il 50% dei seggi totali, alla nuova maggioranza è attribuita solo la metà dei seggi riservati al listino, mentre il resto viene distribuito tra le liste di opposizione.[N 24] In ogni caso, il presidente eletto ha diritto a una maggioranza stabile in consiglio (clausola di governabilità): se l'insieme delle liste a lui collegate ha superato i due quinti delle preferenze complessive, alla coalizione debbono essere assicurati i tre quinti dei seggi consiliari; in caso contrario la quota scende al 55% degli scranni.[N 24] Al fine di garantire il conseguimento delle suddette maggioranze, vengono eventualmente creati d'ufficio dei seggi supplementari che incrementino la dotazione originaria del consiglio regionale.[N 24]
Le regioni Abruzzo,[N 29] Calabria,[N 30] Campania,[N 31] Emilia-Romagna,[N 32] Friuli-Venezia Giulia,[N 33] Lombardia,[N 34] Marche,[N 35] Puglia,[N 36] Sardegna,[N 37] Sicilia,[N 38] Umbria,[N 39] Toscana[N 40] e Veneto[N 41] hanno introdotto alcune modifiche alla normativa nazionale; in Trentino-Alto Adige[N 42][N 43][N 44] e in Valle d'Aosta[N 45] sono in vigore regole specifiche allo scopo di garantire la rappresentanza delle minoranze linguistiche.
Nelle municipalità con popolazione superiore a 15 000 abitanti (10 000 in Sicilia[N 79]), ogni elettore ha diritto a:[N 80]
Ciascun candidato alla carica di sindaco risulta collegato a una singola lista oppure a un gruppo di liste, detto informalmente «coalizione».[N 81] È possibile votare per una lista collegata al candidato sindaco prescelto oppure per una delle liste a lui non collegate, esprimendo in quest'ultimo caso un voto disgiunto.[N 81] Il cittadino può decidere di non indicare alcuna lista, limitandosi ad attribuire un suffragio in favore di uno dei candidati sindaci: in questo caso non sarà conteggiato alcun voto alle liste.[N 82] Se al contrario l'elettore opta per una delle liste senza indicare alcun candidato sindaco, il voto si estende al candidato sindaco collegato alla lista prescelta.[N 81]
È eletto sindaco il candidato che ha conseguito la maggioranza assoluta dei voti validi.[N 81] Qualora nessuno dei concorrenti abbia superato la soglia del 50%, si ricorre a un ballottaggio tra i due candidati più votati al primo turno.[N 81] Ai fini della distribuzione fra le liste dei seggi assembleari, si utilizza un metodo proporzionale con sbarramento al 3%; alla coalizione di liste collegate al candidato eletto sono comunque garantiti – attraverso un eventuale premio di maggioranza – almeno i tre quinti dei seggi.[N 80] Quest'ultima regola non viene applicata soltanto nel particolare caso in cui si verifica almeno una delle due condizioni seguenti:[N 80]
In tali circostanze si instaura una coabitazione forzata nota colloquialmente come «anatra zoppa».
In Alto Adige è in vigore un sistema elettorale differente di tipo proporzionale. Anche in Sicilia il sistema elettorale è diverso, in particolare, viene eletto sindaco al primo turno il candidato che raggiunga il 40% dei voti[9].
Le elezioni comunali nei centri minori e le consultazioni circoscrizionali sono disciplinate da un sistema maggioritario a turno unico, in cui ogni candidato alla carica di sindaco o di presidente della circoscrizione risulta collegato univocamente a una lista di candidati consiglieri.[N 83] Il candidato più votato è eletto alla carica; la lista corrispondente ottiene inoltre i due terzi dei seggi assembleari, mentre gli scranni restanti sono distribuiti in proporzione fra le altre liste con il metodo D'Hondt.[N 83] Il ballottaggio si svolge soltanto in caso di parità fra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero di suffragi; in caso di ulteriore parità è dichiarato eletto il candidato più anziano di età.[N 83]
Nei comuni con popolazione compresa fra 5 000 e 15 000 abitanti, l'elettore può esprimere inoltre fino a un massimo di due voti di preferenza, purché riguardino candidati consiglieri di genere diverso appartenenti alla lista prescelta; nei comuni più piccoli si ha diritto invece a una sola preferenza.[N 83] Il voto disgiunto non è consentito in alcun caso.[N 83]
Qualora sia stata ammessa alle elezioni una sola lista, la legge prevede che la consultazione sia valida soltanto se sono soddisfatte entrambe le condizioni seguenti:[N 83]
Nei comuni valdostani anche il vicesindaco è eletto direttamente dai cittadini.[N 6]
Le consultazioni provinciali, che hanno avuto luogo nel periodo compreso fra il 1951 e il 2013, si svolgevano con un sistema analogo a quello per le elezioni comunali nei centri più popolosi. La procedura era basata su di uno speciale meccanismo di liste bloccate, in cui i candidati dei vari partiti politici – in numero pari ai seggi disponibili – erano assegnati ciascuno a un singolo collegio uninominale.[N 84][N 85]
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