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fiaba popolare europea Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Biancaneve (in tedesco: Schneewittchen), nota anche come Biancaneve e i sette nani, o Nevolina in alcune traduzioni,[1] è una popolare fiaba europea. La versione attualmente conosciuta è quella scritta dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm in una prima edizione nel 1812, pubblicata nella raccolta Le fiabe del focolare (Kinder- und Hausmärchen),[2] evidentemente ispirata a molti aspetti del folclore popolare, del quale i due fratelli erano profondi studiosi. La città di Lohr, in Bassa Franconia, sostiene che Biancaneve sia nata in loco. La storia è nota soprattutto anche grazie al film d'animazione di Walt Disney del 1937 Biancaneve e i sette nani (Snow White and the Seven Dwarfs).[3][4]
Biancaneve | |
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Titolo originale | Schneewittchen |
Biancaneve scappa nel bosco, di Franz Jüttner (questa e le altre 4 illustrazioni nella pagina sono tratte da Schneewittchen, edizioni Scholz Künstler-Bilderbücher, Magonza 1910). | |
Autore | fratelli Grimm |
1ª ed. originale | 1812 |
Genere | fiaba |
Lingua originale | tedesco |
Protagonisti | Biancaneve |
Antagonisti | regina cattiva |
Altri personaggi | cacciatore, sette nani, principe |
Serie | Le fiabe del focolare |
Esiste un'altra fiaba dei fratelli Grimm in cui la protagonista si chiama Biancaneve: Biancaneve e Rossarosa. Non esiste alcuna correlazione fra le due fiabe, e nell'originale tedesco i nomi delle protagoniste sono leggermente diversi (Schneewittchen in Biancaneve e i sette nani e Schneeweißchen in Bianca-neve e Rossa-rosa). I due nomi hanno lo stesso significato; il primo è scritto con la grafia dei dialetti della Bassa Germania, il secondo invece con quella dei dialetti dell'Alta Germania.
Nel sistema di classificazione delle fiabe di Aarne-Thompson, Biancaneve rappresenta il tipo 709. Nell'antologia fiabesca dei Grimm, Biancaneve si trova al n. 5.
La storia di "Biancaneve e i sette nani" a cui si fa generalmente riferimento è quella raccontata nella settima edizione delle fiabe dei fratelli Grimm del 1857. Tale versione racconta che in un pomeriggio d'inverno, una giovane regina, mentre è intenta a ricamare accanto a una finestra dalla nera cornice di ebano, si punge un dito e, guardando la goccia di sangue caduta sulla tela di lino, esprime il desiderio di avere una figlia con la pelle bianca come la neve, e rossa come il sangue e i capelli neri come l'ebano; dopo nove mesi nasce una bambina, che possiede proprio le caratteristiche fisiche desiderate dalla madre, alla quale dà il nome Biancaneve. Poco dopo la nascita della bimba, la regina muore a seguito delle ferite riportate durante il travaglio.
Il re, per assicurare una figura materna alla figlia, decide di risposarsi. La seconda moglie del re, è una donna bella, ma tanto vanitosa e cattiva che possiede uno specchio magico al quale domanda in continuazione chi è la più bella del reame, sentendosi continuamente rispondere che è lei. A un certo punto lo specchio le dice che la ormai cresciuta Biancaneve è più bella di lei, allora la regina, infuriata e gelosa della bellezza di Biancaneve, incarica un cacciatore di portare la principessa nel bosco, ucciderla e portarle i suoi polmoni ed il suo fegato come prova della conclusione del suo compito. Il cacciatore, però, non ha il coraggio di svolgere l'incarico, e dice alla fanciulla di fuggire nel bosco, e poi uccide un cinghiale, ne preleva i polmoni ed il fegato e torna dalla crudele regina spacciando gli organi dell'animale per quelli di Biancaneve.
Biancaneve, dopo aver vagato per un po' nel bosco, arriva ad una piccola casa, nascosta tra gli alberi, che poco dopo scoprirà essere abitata da sette nani, che tutti i giorni si recano a lavorare in una miniera dall'altra parte della foresta. La casa è vuota e Biancaneve, stanca e affamata, entra, si nutre con parte del cibo e del vino già preparato dai nani, mangiando da ogni piattino e bevendo da ogni bicchierino, e poi si addormenta nell'unico dei sette letti della propria misura. I nani, quando rientrano dal lavoro, dopo un primo attimo di sgomento per l'intrusione, sono felici di ospitare la dolce Biancaneve, che in cambio li aiuta nelle faccende domestiche. La vita scorre tranquilla fino a quando la regina scopre dallo specchio magico che Biancaneve è ancora viva. La matrigna allora cerca per due volte di uccidere Biancaneve: la prima volta si traveste da merciaia, si reca alla casa dei nani e le stringe una cintura alla vita fino a toglierle il respiro e la seconda volta si traveste da zingara, arriva alla casa dei nani e conficca tra i capelli di Biancaneve un pettine avvelenato. In entrambi i casi la giovane sviene e viene salvata dall'intervento dei nani, che riescono a farle riprendere i sensi, ammonendola ogni volta di non far entrare nessuno in casa in loro assenza.
A questo punto la regina si avvia per la terza volta verso la casa dei nani travestita da contadina, e con l'obiettivo di far assaggiare a Biancaneve una mela avvelenata per metà: per convincerla ad accettare il frutto divide la mela in due parti e assaggia davanti a lei la metà non avvelenata. Biancaneve, al primo morso della parte avvelenata, cade in uno stato di morte apparente da cui nessuno degli sforzi compiuti dai nani riesce a svegliarla. I nani, allora, convinti che sia morta, la pongono in una bara di cristallo e la sistemano sulla cima di una collina in mezzo al bosco.
Per molto tempo Biancaneve resta vegliata dai nani, finché un giorno viene notata da un principe che passa di lì a cavallo. Il giovane, colpito dalla bellezza della fanciulla, vorrebbe portarla nel suo castello per poterla ammirare e onorare per tutti i giorni della sua vita. Dopo molte insistenze, impietositi dai sentimenti del giovane, i nani acconsentono alla sua richiesta. A un certo punto uno dei servi del principe, arrivati per trasportare la bara al castello del principe, inciampa in una radice scoperta e fa cadere la bara giù per il fianco della collina. Durante la caduta, dalla bocca di Biancaneve esce il boccone di mela avvelenato, e così la ragazza si risveglia. Biancaneve s'innamora subito del principe e vengono organizzate le nozze, a cui viene invitata anche la regina cattiva, che non conosce il nome della sposa ma è stata avvertita dallo specchio magico che è più bella di lei e rimane impietrita riconoscendo la sua figliastra.
Nel frattempo erano state fatte arroventare sulle braci due scarpe di ferro, che la malvagia matrigna di Biancaneve viene costretta a indossare. A causa del dolore procuratole dalle calzature incandescenti, la regina cattiva è costretta a ballare finché non cade a terra morta.[5] In un'altra versione il finale è diverso: la malvagia matrigna, giunta al castello per il matrimonio, rimane stupita. Riavutasi dalla sorpresa, tenta di fuggire, ma i presenti chiedono al re di punirla: in questo modo la donna, vestita di cenci e dimenticata, vive a lungo in un carcere oscuro, dove solo Biancaneve si reca spesso a darle conforto, poiché i buoni non conoscono l'odio.[6]
I fratelli Grimm trascrissero la fiaba di Biancaneve così come era raccontata nella tradizione orale in Germania, anche se le influenze di Basile sono notevoli. Dalla prima versione del 1812 alla settima del 1857 i cambiamenti furono però consistenti. Quello principale riguarda la figura della madre: nelle fiabe dei Grimm, dove la madre si mostra invidiosa dei propri figli e manifesta degli istinti infanticidi, essa viene fatta morire e sostituita con una matrigna cattiva.[7][8] Altri elementi disturbanti che vengono edulcorati riguardano il desiderio cannibale di mangiare la bambina e il desiderio necrofilo del principe.
Nella prima redazione del 1812,[8] la madre di Biancaneve dopo essersi punta un dito sogna di avere una bambina bianca come la neve, nera come l'ebano, rossa come il sangue. Rimane quindi incinta e partorisce una bambina. La mamma non muore, ma diventa gelosa di sua figlia quando Biancaneve compie sette anni, così chiede a un cacciatore di ucciderla e di portarle polmoni e fegato della bambina, per cucinarli con sale e pepe. Biancaneve si rifugia presso i sette nani.
La madre si presenta da Biancaneve camuffata da vecchia merciaia, e regala alla figlia un pettine avvelenato. Il tentativo è sventato dai nani che sfilano il pettine dai capelli della bambina. Al secondo tentativo Biancaneve cade nel tranello: mangia la mela avvelenata e giace a terra come morta. Quando i nani la trovano, pensano che sia troppo bella per seppellirla, così la mettono in una bara di cristallo con inciso il nome della bambina in lettere d'argento, e la tengono in casa "per molto, molto, molto tempo". Il principe, passando di lì, si innamora perdutamente del cadavere e lo chiede in dono ai nani:
«La chiese allora in dono, ché non poteva più vivere senza averla sotto gli occhi, e disse che l’avrebbe innalzata e onorata come la cosa più cara al mondo. A quel punto i nanetti si impietosirono e gli consegnarono la bara. Il principe la fece trasportare nel suo castello e sistemare nei suoi appartamenti. Stava seduto lì, tutto il giorno a fissarla, senza riuscire a distogliere lo sguardo. E quando doveva uscire e non poteva guardarla era preso da umor nero, e senza la bara accanto non riusciva a mandar giù nemmeno un boccone.»
I servitori del principe, stanchi di scarrozzare la bara avanti e indietro, un giorno la aprono e se la prendono con il cadavere, tenendolo per le spalle e scuotendolo. In questo modo Biancaneve sputa il pezzo di mela e ritorna in vita:
«Allora accadde che i servi, che dovevano continuamente portare la bara avanti e indietro, cominciarono a irritarsi per la situazione, e, una volta, uno di loro scoperchiò la cassa, e, sollevando Biancaneve, dissero: “Guardate qui, ci tocca questa corvée tutto il giorno, per colpa di una ragazza morta”; e così dicendo, le diedero un colpo di mano sulla schiena, e così, in quel mentre, il terribile pezzo di mela che aveva morso, le fuoriuscì dalla gola, e Biancaneve tornò in vita.»
Quando la madre è invitata alle nozze si reca da sua figlia per cercare ancora di ucciderla, ma la aspetta una terribile vendetta:
«Erano state preparate per la madre delle scarpe di ferro incandescenti. Fu costretta a indossarle e danzare e danzare, fino ad avere i piedi orribilmente bruciati, e senza poter smettere fino a quando, ballando ballando, fu lei a cadere a terra morta.»
In questa versione[9] la regina desidera avere una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l'ebano. Rimane incinta e partorisce Biancaneve, ma muore durante il parto. Il padre si risposa dopo un anno, con una donna bellissima e invidiosa. Quando Biancaneve compie sette anni, diventa gelosa della sua bellezza e chiede a un cacciatore di ucciderla e di portarle polmoni e fegato - non per mangiarli, ma a prova della sua morte. Il cacciatore uccide un cinghiale e consegna le interiora alla matrigna, che comunque le mangia, credendo che siano di Biancaneve.
Quando la matrigna scopre che Biancaneve è ancora viva, si traveste da venditrice ambulante e la convince a comprare un nastro per capelli, ma entrando in casa la soffoca legandole il nastro in vita e la lascia a terra come morta. Sono i nani che salvano Biancaneve, tagliando il nastro. La matrigna riprova vendendo un pettine avvelenato, di nuovo Biancaneve si lascia convincere a comprarlo e metterlo nei capelli, morendo di nuovo. I nani la salvano ancora, togliendo il pettine dai capelli. Al terzo tentativo, Biancaneve è ormai messa in guardia, ma la finta venditrice di frutta la convince a comprare una mela proponendole di fare a metà - la mela però ha due colori diversi e la matrigna tiene per sé la parte non avvelenata. Così Biancaneve muore per la terza volta.
I nani la vegliano per tre giorni, poi la chiudono in una bara di vetro con inciso il suo nome a lettere d'oro, e portano la bara su una montagna. Passa un principe che se ne innamora e chiede la bara in dono ai nani. I suoi servitori la prendono per portarla al castello ma uno di loro inciampa e fa rovesciare la bara, così Biancaneve sputa il pezzo di mela e torna in vita. Il principe le chiede allora di sposarlo. La regina matrigna non ha pace finché non può presentarsi alle nozze della figliastra, ma recandosi al ballo è costretta a indossare un paio di scarpe roventi e a ballare senza fermarsi, finché cade in terra morta.
Nella settima e ultima versione,[10] la madre di Biancaneve dopo essersi punta un dito sogna di avere un bambino (non una bambina) bianco come la neve, nero come l'ebano, rosso come il sangue. Rimane quindi incinta e partorisce una bambina, che chiama Biancaneve.[7]
Come per altre fiabe, ad esempio Barbablù, la storia di Biancaneve potrebbe essere ispirata a fatti realmente accaduti; diversi ricercatori hanno cercato di mettersi sulle tracce della "vera" Biancaneve, la cui storia, tramandata oralmente e arricchita di elementi fiabeschi dalla fantasia popolare, sarebbe poi giunta ai fratelli Grimm.[11]
Nel 1986, ad esempio, il ricercatore Karl-Heinz Barthels[11][12][13] rese pubblica la sua tesi secondo la quale Biancaneve sarebbe stata in realtà Maria Sophia Margaretha Catharina von Erthal, nata a Lohr nel 1725 e figlia di un importante magistrato e rappresentante del Principe Elettore tedesco.[11][14][15] La nobile aveva perso la madre in età giovanile e suo padre si era risposato con Claudia Elisabeth von Reichenstein, che aveva usato la sua nuova posizione sociale per favorire i suoi figli di primo letto, a scapito della von Erthal. Questa sarebbe stata addirittura costretta a lasciare il palazzo per vivere nei boschi lì attorno; nella zona, peraltro, erano presenti molte miniere, nelle quali, data la ristrettezza dei cunicoli, lavoravano persone di statura molto bassa o addirittura bambini: da questo elemento sarebbero derivati i sette nani. La ragazza morì di vaiolo pochi anni dopo; probabilmente l'avversione dei suoi concittadini per la matrigna inasprì la figura di quest'ultima a vantaggio di Maria Sophia, dipinta come una martire; la sua storia venne tramandata oralmente in forme simili a quella poi raccolta dai Grimm, che attualmente conosciamo. Il castello dei von Erthal è tuttora un'attrazione turistica, e ai visitatori viene mostrato il cosiddetto "specchio parlante", che il padre di Maria Sophia avrebbe regalato alla matrigna: si tratta di un giocattolo acustico in voga nel ‘700,[11][13] in grado di registrare e riprodurre le frasi pronunciate da chi si specchiava. Esso sarebbe alla base dello “Specchio Magico” della matrigna.
Un'altra teoria,[16] pubblicata dallo storico Eckhard Sander nel 1994, vedrebbe invece la Biancaneve originale in Margaretha von Waldeck, nata a Bruxelles nel 1533: la ragazza sarebbe stata l'amore giovanile di Filippo II di Spagna, ma fu tolta di mezzo a ventuno anni dalla polizia segreta del re, che vedeva nella loro unione un possibile impedimento ai matrimoni combinati delle case regnanti. Margaretha fu uccisa con del veleno. Anche in questo caso sembrano esserci numerose corrispondenze tra fiaba e realtà: a parte la vicenda della donna (anche lei orfana di madre in giovane età e affidata a una matrigna), suo padre, il conte Filippo IV di Waldeck, gestiva nella zona di Bruxelles diverse miniere, dando vita alla figura dei nani come nella teoria di Barthels. A questi elementi si aggiungerebbe anche la figura dello Stregone dei Meli, una sorta di "Uomo Nero" del folklore locale, la cui presenza viene utilizzata per suggestionare i bambini e spingerli a non rubare dai frutteti altrui: lo Stregone sarebbe infatti in grado di avvelenare le mele per causare nei bambini-ladruncoli lancinanti dolori di gola e di stomaco. La sovrapposizione delle credenze locali con la storia di Margaretha avrebbe dato vita alla storia di Biancaneve.
Secondo un'altra tesi, sostenuta dal professore trevigiano Giuliano Palmieri,[17] la fiaba di Biancaneve potrebbe essere originaria delle dolomiti della Provincia di Belluno, e provenire dalle valli del Cordevole.
L'ipotesi di una derivazione italiana della fiaba di Biancaneve avanzata dal professor Palmieri ha suscitato clamore anche presso la stampa estera, al punto che il giornale Independent vi dedicò un articolo.[18] Giambattista Basile scrisse e raccontò le sue fiabe ben prima di Charles Perrault e dei Fratelli Grimm, quindi è evidente l'ispirazione italiana se si comparano e confrontano alcuni aspetti comuni a tante fiabe degli scrittori a lui successivi e posteri.[19] La diffusione fu facilitata perché lo stesso Basile era feudatario e frequentava persone della corte regia napoletana, che poi viaggiando tra le varie corti o per legami di parentela, portavano le sue fiabe oltre le Alpi (a tal proposito si veda la famiglia «Corvi di Sulmona» strettamente imparentata con i «Tabassi», questi imparentati con la Casata degli «Hohenzollern»).[20][21] La tesi di Giuliano Palmieri si potrebbe riconnettere a questi fatti, perché le fiabe di Giambattista Basile si erano diffuse anche in ambiente veneto durante il periodo in cui lo scrittore rendeva servizio come soldato mercenario per la Repubblica di Venezia e poi all'estero. Il capolavoro Lo cunto de li cunti, pubblicato postumo in epoca barocca, contiene fiabe ispirate da personaggi italiani realmente esistiti, come il caso de' Lo cuorvo ("Il corvo"). Questa fiaba racconta di un Re, titolo nobiliare usato per facilitare la comprensione ai bambini e far comprendere che si tratta di uno che comanda, che un giorno vede un corvo morto nella neve, e il contrasto del sangue rosso sul bianco lo colpisce tanto da non desiderare altro che una sposa dalla pelle bianca e le guance rosse.[22] Queste è una delle prime ispirazioni per Biancaneve, che verrà poi ripresa anche nelle favole successive dei Grimm. Il personaggio di Biancaneve sembra essere ispirato alla Marchesa Giovanna Zazzera (a volte scritto Zazzara), di famiglia di origine veneziana[23][24][25], luogo dove si usava tingersi il viso di bianco e le guance di rosso e dove la famiglia usava un'arma o stemma «d’argento, alla fascia di rosso» (cioè una fascia rossa su fondo bianco). Lo stemma era ispirato da una situazione di guerra, dove Pietro Zorzi (talvolta Ser Pippo Zorzi[26][27]), che era capostipite della famiglia Zazzera, durante la conquista di Curzola, espose uno straccio di lino bianco macchiato del suo sangue,[23][24][25][27][28][29][30] come se fosse un vessillo: si trattava di uno stemma bianco con una fascia rossa, così come era desiderio (del Re nella favola Il Corvo di Basile) avere una moglie dalle guance rosse e la pelle bianca come la neve che gli ricordasse il sangue del corvo morto nella neve bianca. La marchesa Giovanna Zazzera si sarebbe poi sposata più volte con esponenti della famiglia Corvi di Sulmona, ispirando così a Giambattista Basile la favola Il corvo e l'idea del matrimonio con quel Re che diventerà in tante fiabe poi identificato con il Principe Azzurro.[31] Infatti, la famiglia Corvi è ricordata anche da una leggenda che narra di una venerazione e amore per i corvi, che sono appunto neri come il colore corvino dei capelli di Biancaneve al quale fa riferimento il cognome Zazzera.[32][33] Successivamente, l'idea di Biancaneve presa da Giambattista Basile è stata sovrapposta e modificata con racconti e situazioni locali, assumendo molteplici varianti.[34][35][36][37] Biancaneve sarebbe stata ispirata da questa visione di questo corvo nero (come i capelli nero corvino di Biancaneve), nella neve bianca (come la pelle che doveva avere la moglie del Re di Basile, e come era bianco il drappo di Pietro Zorzi), con le guance rosse (che ricordavano il sangue del corvo, così come del drappo di Pietro Zorzi). Naturalmente non è da dimenticare che il luogo di Sulmona non è casuale, se si pensa alla Chione di Publio Ovidio Nasone.
Lo studioso Graham Anderson paragona la fiaba alla leggenda romana di Chione, o "Neve", registrata nelle Metamorfosi di Ovidio. Quindi ancora una volta le origini sono fissate in Italia, sempre nella città natale di Publio Ovidio Nasone, che avrebbe quindi ispirato poi Giambattista Basile insieme al matrimonio della Marchesa Giovanna Zazzera con la famiglia Corvi, per dare vita al personaggio.[38][39]
Tuttavia queste teorie sono spesso state confutate e considerate poco plausibli da diversi storici e folcloristi.[40][41]
Il 12 dicembre 1937 esordisce, sui quotidiani statunitensi, la riduzione a fumetti del film Biancaneve e i sette nani: i testi erano di Merrill De Maris, uno degli autori che lavorò sul film, e i disegni di Hank Porter. Si tratta di tavole domenicali a colori facenti parte della serie Sinfonie allegre. L'adattamento a fumetti introduce il nome proprio della regina (Grimhilde, in Italia Grimilde), che nel lungometraggio animato viene chiamata semplicemente "the evil queen" ("la regina cattiva"), e presenta delle scene aggiuntive rispetto al lungometraggio, in particolare la prigionia e la successiva fuga del principe dai sotterranei della regina. Si trattava di scene presenti nella sceneggiatura originaria ma tagliate dal lungometraggio per abbreviarne la durata. La storia si conclude con la tavola domenicale del 24 aprile 1938, venendo sostituita dalla settimana successiva dall'adattamento di un cortometraggio dei tre porcellini (Jimmy porcellino inventore).
Negli anni successivi furono prodotte, sia negli Stati Uniti sia in Italia, nuove storie a fumetti con i personaggi del lungometraggio animato. La prima di queste storie fu Biancaneve e il mago Basilisco (1939), seguito del film in cui viene introdotto il mago Basilico, inquietante cattivo che rapisce Glauco, il figlio di Biancaneve, per farne il suo erede, ma finirà ucciso dai Sette Nani. La seconda fu I Sette Nani cattivi contro i Sette Nani buoni (1939-1940), in cui furono introdotti i sette nani cattivi, i quali rapiscono Cucciolo chiedendo come riscatto la miniera dei Nani Buoni. Entrambe queste storie erano di produzione italiana, furono sceneggiate da Federico Pedrocchi e disegnate da Nino Pagot, e furono pubblicate a puntate sul settimanale Paperino e altre avventure dal numero 72 dell'11 maggio 1939 al numero 121 del 18 aprile 1940.
Per rivedere uno dei nani, Cucciolo, ci vorrà il 1949, sulle pagine di Topolino, e per la precisione ne L'inferno di Topolino (dove la Fata Turchina, nei panni di Beatrice, viene chiamata "Biancaneve"), di Guido Martina e Angelo Bioletto. Ed è proprio Martina che rilancia Biancaneve e il suo microcosmo nel 1953, quando nella scuderia Arnoldo Mondadori Editore viene assunto il giovane Romano Scarpa, che prima di essere assunto in via definitiva viene messo alla prova proprio sui difficili personaggi del film. La storia di cui si sta parlando è Biancaneve e Verde Fiamma: sceneggiata, come molte altre, dal solito Guido Martina, ci consegna uno Scarpa dal tratto fortemente influenzato dallo stile che la Disney, in quegli anni, sta proponendo con i suoi film animati.
Da allora in poi vengono prodotte, quasi ininterrottamente fino agli anni novanta, storie sui personaggi del film, spesso abbinandole alle feste di fine anno, come da tradizione consolidata sin dalla prima storia di Martina e Scarpa. Tra gli altri disegnatori che hanno lavorato su questa saga, non si possono non citare i maestri Disney Giovan Battista Carpi, Luciano Bottaro, Luciano Gatto. Quest'ultimo è anche il disegnatore delle ultime storie edite su Topolino (storie recenti, infatti, sono apparse sulla pubblicazione Principesse Disney), soprattutto su testi del bravo Fabio Michelini: sono loro a produrre le storie più belle con questi personaggi e a riproporre i sette nani cattivi nella storia I sette nani e il patto della regina. Infine, è loro l'ultima storia apparsa su Topolino: la romantica Brontolo e Briciola, sul numero 2090 del 19 dicembre del 1995, e l'ultima storia lunga: I sette nani e la regina della neve, pubblicata su Minni & Company numero 55 del dicembre 1997.
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