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capo della Chiesa Cattolica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il papa (formalmente Romano pontefice o Sommo pontefice) è il vescovo di Roma, massima autorità religiosa riconosciuta nella Chiesa cattolica. I suoi trattamenti possono essere Santo Padre[1], Sua Santità, Vostra Santità o semplicemente Santità[2].
Secondo il diritto canonico è il vescovo della diocesi di Roma, capo del Collegio dei vescovi, primate d'Italia, vicario di Cristo e pastore in terra della Chiesa universale[3], possedendo anche i titoli di sommo pontefice della Chiesa cattolica[4][Nota 1], patriarca della Chiesa latina, nonché, a seguito dei Patti Lateranensi, sovrano assoluto dello Stato della Città del Vaticano.[5]
Egli viene eletto dal Collegio dei cardinali durante il conclave[6]. Può essere eletto papa anche un laico, per consuetudine però il papa è scelto tra i cardinali.[7][8] Il titolo di papa può essere ed è spesso abbreviato con la formula PP. nei documenti scritti in lingua latina.[9][Nota 2] L'ufficio del papa prende il nome di papato, mentre la sua giurisdizione ha il nome di Santa Sede (o Sede Apostolica) ed è ente di diritto internazionale.
La particolare preminenza del papa sulla Chiesa cattolica deriva dall'essere considerato successore dell'apostolo Pietro, al quale, secondo l'interpretazione cattolica del Vangelo, Cristo ha conferito l'incarico di pastore della Chiesa universale[10]. Pietro, secondo la tradizione, avrebbe retto negli ultimi anni di vita la comunità cristiana di Roma, divenendone il primo vescovo e subendovi il martirio nell'anno 67.
Con il nome pontificale di Francesco, dal 13 marzo 2013 il 266º e attuale papa è Jorge Mario Bergoglio[11]. Secondo i dati della Chiesa cattolica, il soglio di Pietro ha visto 47 pontefici provenire da oltre gli odierni confini politici italiani.
Il termine «papa» deriva dal greco πάππας (pàppas)[12][13][14], espressione familiare per "padre". Il titolo era già diffuso nell'antichità: in Oriente era usato indifferentemente per rivolgersi a qualsiasi membro del clero, mentre in Occidente fu usato inizialmente per rivolgersi ai soli vescovi, e in seguito esclusivamente al vescovo di Roma.[7]
Il primo capo di una Chiesa a ricevere il titolo di papa fu in realtà non un vescovo di Roma, ma Eraclio di Alessandria (232-248). Scrive Eusebio di Cesarea:
«τοῦτον ἐγὼ τὸν κανόνα καὶ τὸν τύπον παρὰ τοῦ μακαρίου πάπα ἡμῶν Ἡρακλᾶ παρέλαβον»
«Ho ricevuto questa regola e questo modello dal nostro beato papa Eraclio»
La prima attestazione del titolo di "papa" riferito al vescovo di Roma è invece databile alla fine del III secolo, periodo a cui è fatta risalire un'epigrafe nelle catacombe di San Callisto in Roma, nella quale un certo diacono Severo, avendo scavato un cubicolo doppio per sé e la sua famiglia poiché gli era morta la figlia di dieci anni, dice di essere stato autorizzato da «p(a)p(ae) sui Marcellini», ossia il suo papa Marcellino (296-304)[15]:
«Cubiculum duplex cum arcisoliis et luminare / iussu p(a)p(ae) sui Marcellini diaconus iste / Severus fecit mansionem in pace quietam / sibi suisque...»
«Il diacono Severo fece questo doppio cubiculum, con i suoi arcosolia e luminaria per ordine del suo papa Marcellino come quieta residenza di pace per sé e per la sua famiglia»
Damaso I invece fu il primo vescovo di Roma a essere ufficialmente definito come "papa" dai suoi contemporanei.[16]
In realtà anche dopo l'affermazione in Occidente del titolo di papa in riferimento al vescovo di Roma, in Oriente e nei territori bizantini dell'Italia meridionale esso verrà ancora usato, col significato di "padre", per rivolgersi anche ai semplici sacerdoti[7]. In questa accezione il titolo è usato anche dal patriarca di Alessandria dei Copti e dal patriarca greco-ortodosso di Alessandria.
Vi sono diverse ipotesi sull'esistenza di una forma di primato petrino nella Chiesa antica, sebbene alcuni storici sostengano che prima della metà del II secolo, e forse anche più tardi, non venisse riconosciuto alcun primato al vescovo di Roma.[17]
Ireneo di Lione nell'Adversus haereses stila una lista di quelli che furono a capo di quella Chiesa «somma e antichissima e a tutti nota, fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo. A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità, è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata».[18][19]
Ambrogio da Milano coniò invece la famosa espressione Ubi Petrus, ibi Ecclesia (la Chiesa esiste unicamente ove è riconosciuto il primato di Pietro, cioè del papa).[20]
Contestualmente all'antipontificato di Novaziano (251-258), sorse in seno alla Chiesa il dibattito sulla validità dei sacramenti, in particolare il battesimo, amministrati dall'antipapa e dai suoi seguaci: mentre generalmente le chiese africane e asiatiche ritennero invalido il sacramento, il vescovo di Roma Stefano I ritenne che esso fosse valido e che fosse necessaria per gli eretici riconvertiti la sola imposizione delle mani. In merito a ciò è giunto a noi uno scambio di lettere tra Stefano e Cipriano di Cartagine, in cui il papa tentò di imporre l'uso romano e minacciò di scomunica la Chiesa d'Africa qualora essa non si fosse conformata al suo volere, richiamandosi anche al celebre passo di Matteo (« [...] Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa...») per imporre il primato della Chiesa di Roma: questo è il primo caso nella storia in cui un vescovo di Roma invocò un primato su tutta Chiesa in quanto successore di Pietro.[21]
Tale primazia è indicata già nei primissimi Concili della Chiesa: al Primo concilio di Nicea (19 giugno 325) venne riconosciuta la preminenza di alcune sedi patriarcali in modo canonico tra le quali Roma ha un particolare primato:
«In Egitto, nella Libia e nella pentapoli cirenaica siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi.»[22]
Durante il primo concilio di Costantinopoli (tenutosi dal maggio al luglio del 381) si decise che «Il vescovo di Costantinopoli avrà il primato d'onore dopo il Vescovo di Roma, perché tale città è la nuova Roma».[23] Il medesimo canone venne ribadito dal Concilio di Calcedonia[24], ma non venne accettato dai papi Damaso I, Leone I e Gregorio I in quanto ritennero che l'affermazione del primato papale rispetto al patriarca di Costantinopoli fosse troppo debole. I papi cioè ritennero che la supremazia del vescovo di Roma non dovesse essere determinata da cause storiche, ma da motivazioni teologiche e dottrinali, le stesse che poi porteranno allo Scisma d'Oriente del 1054.
Il titolo di Patriarca d'Occidente, attribuito prima a papa Leone I, detto Magno, nel 450 dall'imperatore d'Oriente Teodosio II e poi adottato formalmente per la prima volta da papa Teodoro I (642-649), comportò un'ulteriore emancipazione della figura del vescovo di Roma rispetto alle altre sedi patriarcali,[12] tutte ubicate nei territori dell'Impero bizantino.[25]
L'Annuario pontificio del 2020, su volontà di papa Francesco, ha creato una nuova distinzione tra il titolo di Vescovo di Roma e gli altri titoli storicamente attribuiti alla figura del papa cattolico, che per l'appunto vengono denominati come Titoli storici.[26][27][28]
Il Papa è infatti anzitutto Vescovo di Roma, per quanto il governo pastorale della diocesi di Roma venga delegato al Cardinale vicario. L'autorità stessa del Papa, come scrisse Giovanni Paolo I, deriva dall'essere «vescovo di Roma, cioè successore di Pietro in questa città».[Nota 3]
I titoli definiti storici sono:
«Vicario di Gesù Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Sommo Pontefice della Chiesa Universale, Patriarca d'Occidente, Primate d'Italia, Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, Servo dei servi di Dio.»
Il Papa inoltre è anche Patriarca della Chiesa latina, la più estesa fra le Chiese cattoliche particolari. Questo ruolo è riconosciuto anche dalle Chiese ortodosse separate da Roma. Da questo ruolo patriarcale derivano i titoli condivisi con altri patriarchi di «Sua Santità» o «Santo Padre»[senza fonte].
Nel 2006 papa Benedetto XVI rinunciò al titolo di Patriarca d'Occidente, sia per tentare un riavvicinamento con le Chiese separate che non riconoscono questo titolo, sia perché l'Occidente a cui il titolo fa riferimento si è esteso anche all'America e all'Oceania, uscendo così dal significato originario che esso aveva in riferimento alla sola Europa.[27][4]. Nel 2024 papa Francesco ha ripristinato il titolo, inserendolo nuovamente nell'annuario pontificio[30].
Infine secondo il Codice di diritto canonico il Papa, in quanto «capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale», «ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente»,[31] e in lui si assommano i poteri legislativo, esecutivo e amministrativo; oggetto della sua giurisdizione sono: la fede, i costumi e la disciplina ecclesiastica; la sua giurisdizione si estende a tutte le singole chiese, a tutta la gerarchia ecclesiastica e a tutti i fedeli.
« E io ti dico: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» » ( Mt 16, 18-19, su laparola.net.) |
Il primato papale è l'autorità apostolica del vescovo della diocesi di Roma su tutte le chiese particolari della Chiesa cattolica, sia di rito latino che di riti orientali. Conferisce al Papa "la potestà piena e suprema" di guida pastorale della Chiesa cattolica.
La Chiesa ortodossa riconosce un primato di onore al Vescovo di Roma, ma non di giurisdizione.
Le Chiese protestanti non riconoscono alcuna autorità superiore poiché la ritengono non conforme alle Sacre Scritture. Al giorno d'oggi molte Chiese protestanti mantengono questa opinione, mentre altre non escludono una forma di ministero papale, in prospettiva ecumenica, sostanzialmente diversa dal primato papale attuale.[non chiaro] La chiesa anglicana ritiene che "Entro il suo più ampio ministero, il vescovo di Roma offre un ministero specifico riguardante il discernimento della verità, come un'espressione del primato universale." Tuttavia "Questo servizio particolare è stato fonte di difficoltà e di fraintendimenti tra le chiese."[32]
«Nell'esercizio della sua suprema, piena ed immediata potestà sopra tutta la Chiesa, il romano Pontefice si avvale dei dicasteri della Curia romana, che perciò compiono il loro lavoro nel suo nome e nella sua autorità, a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori.»
La Curia romana è l'insieme degli organi che competono all'amministrazione e al governo, temporale e spirituale, della Chiesa cattolica, coadiuvando il Papa, nel nome di cui agiscono e a cui sono sottoposti.
Il Collegio episcopale, o Collegio dei Vescovi, è l'assemblea di tutti i vescovi della Chiesa cattolica, che ha a capo il Papa
Il dogma dell'infallibilità papale, contenuto nella costituzione dogmatica della Chiesa Pastor Aeternus approvato dal Concilio Vaticano I il 18 luglio 1870, nell'imminenza della fine del potere temporale, afferma che il magistero del papa deve essere considerato infallibile quando viene espresso ex cathedra, cioè solo quando il papa esercita il «suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani» e «[...] definisce una dottrina circa la fede e i costumi». Pertanto, quanto da lui stabilito «vincola tutta la Chiesa cattolica».
Finora il dogma dell'infallibilità è stato utilizzato due volte, da papa Pio IX per affermare l'Immacolata Concezione di Maria, e da papa Pio XII per affermare l'Assunzione della Vergine Maria.
Le modalità di elezione del papa hanno subìto numerose trasformazioni nel corso dei secoli. Inizialmente veniva eletto dal popolo e dal clero romano. Alcuni papi vennero nominati dall'imperatore del Sacro Romano Impero, che si avvaleva di questa facoltà attraverso il Privilegium Othonis, un documento stipulato il 1º febbraio del 962 dall'imperatore Ottone I e del quale si avvalsero anche i suoi successori, fino a Enrico III. Nel caso di papa Fabiano, l'elezione avvenne allorché una colomba si posò sul suo capo. Questo venne considerato come un inequivocabile segno della designazione divina.
Nella chiesa delle origini il papa veniva eletto come tutti gli altri vescovi, con il concorso del clero e della comunità locale. Col passare degli anni la componente laica venne eliminata dall'elettorato attivo. Ciò nonostante l'influenza del potere temporale non venne meno, si pensi al fatto che la nomina del vicario di Pietro era ratificata con proprio placet dall'imperatore[Nota 4]. Solo con il Decreto di Niccolò II del 1059 il clero e il popolo romano vengono definitivamente espulsi dal processo di elezione del papa e l'elettorato attivo viene riservato ai cardinali-vescovi.
L'elezione del papa viene decisa dai cardinali riuniti in conclave (diritto risalente al 1059, stabilito con un sinodo in Laterano voluto da papa Niccolò II) tramite votazione segreta che richiede la maggioranza dei due terzi. Il conclave si riunisce non prima di quindici giorni e non oltre i venti dall'inizio della sede apostolica vacante[33]. I cardinali durante tutta la durata del conclave non possono avere alcun contatto con l'esterno. Per gli scrutini si tengono quattro votazioni al giorno e il loro esito è segnalato ai fedeli all'esterno con una fumata, nera se negativo, bianca se positivo. Qualsiasi maschio battezzato celibe, secondo il diritto canonico, cioè che non sia sposato, può essere eletto papa (sebbene l'elezione di un non vescovo sia avvenuta raramente) e se non ha ancora ricevuto gli ordini sacri gli vengono subito conferiti e viene consacrato vescovo. Le norme in vigore per la sede vacante, per lo svolgimento del conclave e per l'elezione del nuovo papa sono state promulgate nella costituzione apostolica Universi Dominici Gregis da papa Giovanni Paolo II nel 1996.
Benedetto XVI con un motu proprio del 26 giugno 2007 ha stabilito che la maggioranza necessaria all'elezione del papa sarà di due terzi dei votanti per tutti gli scrutini e che a partire dal tredicesimo giorno di conclave si debba procedere al ballottaggio, sempre mantenendo la maggioranza dei due terzi per la validità dell'elezione, tra i due cardinali più votati nell'ultimo scrutinio. Questi ultimi perdono il diritto di voto: è stata così abolita la norma stabilita da Giovanni Paolo II, che prevedeva una riduzione del quorum alla maggioranza assoluta dei votanti a partire dal trentaquattresimo scrutinio (o trentacinquesimo se si era votato anche il giorno di apertura del Conclave).
Alla presentazione del nuovo pontefice, eseguita attraverso il tradizionale annuncio dell'Habemus Papam, segue, solitamente dopo pochi giorni, la solenne cerimonia di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma, nella basilica di San Pietro in Vaticano, caratterizzato, secondo il nuovo Ordo rituum pro ministerii petrini initio Romae episcopi (in italiano: Rituale per l'inizio del ministero petrino del vescovo di Roma) promulgato da papa Benedetto XVI il 20 aprile 2005[34], dalla imposizione del pallio e la consegna dell'anello del Pescatore. Il nuovo Ordo non prevede più l'incoronazione papale.
Questa celebrazione dà avvio al complesso delle cerimonie di insediamento, che comprendono, nei giorni successivi, le visite alle basiliche patriarcali di San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore e che si concludono con la solenne cerimonia di presa di possesso dell'Arcibasilica lateranense, cattedrale della diocesi di Roma.
Come stabilito dal codice di diritto canonico, Libro II "Il popolo di Dio", parte seconda "La suprema autorità della Chiesa", capitolo I "Il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi" è contemplata la rinuncia all'ufficio di romano pontefice[35][36][37]:
«Can. 332 - §2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.»
I casi storici di rinuncia ci sono stati soprattutto nei tempi più remoti del papato: san Clemente, arrestato ed esiliato per ordine di Nerva nel lontano Chersoneso, abdicò dal sommo pontificato indicando come suo successore Evaristo, affinché i fedeli non restassero senza pastore. Verso la prima metà del III secolo, Ponziano lo imitò poco prima di essere spedito in esilio in Sardegna; al suo posto venne eletto Antero. Silverio, deposto da Belisario, in punto di morte rinunciò in favore di Vigilio, fino ad allora considerato un usurpatore. Vi sono poi molti altri casi, più problematici, in cui si discute se vi sia stata rinuncia o addirittura rinuncia tacita, come nel caso di Martino[38]. Altro caso più difficilmente inquadrabile è quello di Benedetto IX, che prima venne deposto in favore di Silvestro III, salvo poi riassumere la carica per poi rivenderla a Gregorio VI, il quale, accusato di simonia, fece atto di rinuncia dopo aver ammesso le sue colpe.
Il più celebre caso di rinuncia all'ufficio di Romano Pontefice fu quello di Celestino V, detto anche "il papa del gran rifiuto", che portò all'elezione di Bonifacio VIII; poiché quest'ultimo fu un pontefice non affine a Dante Alighieri, egli nella sua Divina Commedia pone, probabilmente, Celestino V nell'Antinferno tra gli ignavi: non è però certo chi volesse trattare il Sommo Poeta nel seguente passo, potrebbe trattarsi infatti, secondo alcuni critici di Ponzio Pilato, Esaù, Giano della Bella oppure Matteo Rubeo Orsini che nel conclave del 1294 venne eletto al primo scrutinio ma rinunciò, portando appunto all'elezione di Bonifacio VIII:
«Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.»
Celestino, prima di abdicare, si consultò con il cardinale Benedetto Caetani, e si fece confermare dal concistoro dei cardinali che un'abdicazione dal soglio pontificio era possibile, quindi, in data 10 dicembre 1294, emanò una costituzione sull'abdicazione del papa, confermò la validità delle disposizioni in materia di Conclave anche in caso di rinuncia, ed appena tre giorni dopo rese note le sue intenzioni ed abdicò[39].
Nel 1415 un altro papa, Gregorio XII, eletto all'epoca dello Scisma d'Occidente a Roma, dopo molti anni di lotte e di contese giuridiche, belliche e diplomatiche, fece atto di sottomissione ai decreti emessi dai padri conciliari, durante il Concilio di Costanza, che era stato convocato dall'antipapa Giovanni XXIII e presieduto dall'Imperatore Sigismondo per dirimere ogni questione. Uno di questi decreti intimava a tutti i contendenti di abdicare, nel caso che non si trovasse una soluzione e non si raggiungesse l'accordo fra i tre pretendenti al Soglio. Davanti al rifiuto di Benedetto XIII (rappresentante dell'obbedienza avignonese) e alla fuga di Giovanni XXIII (poi ricondotto in Concilio e deposto), alla fine Gregorio XII acconsentì ad abdicare, dopo aver riconvocato con una sua bolla il medesimo Concilio. All'abdicazione però non seguì l'elezione di un nuovo papa, che si verificò passati due anni e solo successivamente alla scomparsa di Gregorio, dopo la quale venne convocata un'assemblea mista di cardinali e di padri conciliari, che elesse Martino V[40][41].
In epoca moderna l'unico papa che ha rinunciato all'ufficio di romano pontefice è stato Benedetto XVI che, l'11 febbraio 2013, ha annunciato di lasciare vacante la sede di Pietro con effetto dalle ore 20:00 del giorno 28 febbraio 2013[42].
È tradizione che il nuovo papa scelga per sé un nuovo nome. Il primo a cambiare il suo nome di battesimo fu, nel 533, Giovanni II che in realtà si chiamava Mercurio e ritenne perciò inappropriato che il vescovo di Roma avesse il nome di una divinità pagana. Dopo di lui anche altri papi scelsero un nuovo nome, o perché avevano nomi sgradevoli o perché non italiani. Nessuno di nome Pietro, come Giovanni XIV o Sergio IV, volle poi chiamarsi Pietro II in segno di rispetto verso Pietro apostolo. Il cambio del nome divenne una regola, la quale ebbe tuttavia qualche eccezione; ad esempio, Adriaan Florenszoon Boeyens scelse il nome di Adriano VI, Marcello Cervini quello di Marcello II.
Moltissimi nella storia sono stati gli uomini che affermarono di essere legittimi pontefici della Chiesa cattolica, in realtà in opposizione a coloro che erano i legittimi papi, eletti secondo il diritto canonico: questi uomini sono detti antipapi.
Papa Francesco, all'inizio del suo pontificato, ha scelto di non adottare alcune tradizioni nelle vesti papali. In particolare:
Il papa concede varie onorificenze, appartenenti a ordini e non.
Degli ordini il pontefice è il capo in quanto sovrano, mentre il gran magistero delle singole onorificenze può essere mantenuto direttamente dal pontefice o concesso ad una persona di fiducia, solitamente un cardinale.
Per antica tradizione al sommo pontefice non si conferiscono titoli (di alcun genere né cavallereschi né nobiliari), ciò perché la sua carica è al di sopra di ogni onore, anzi da lui tutti gli onori discendono (il pontefice, assieme al Sacro Romano Imperatore, era uno dei due poteri universali, ma al primo competeva incoronare il secondo). Come tale il papa non indossa mai le decorazioni di cui pure è sovrano e non è mai insignito di nessun grado.
Un cardinale che, avendo ricevuto onorificenze, diventa pontefice, automaticamente decade da tutte le onorificenze ricevute in quanto esse vengono soppiantate dal titolo di sommo pontefice.
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