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sinodo di vescovi cristiani riconosciuto universalmente Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Un concilio ecumenico, chiamato anche concilio generale[1] e in greco οἰκουμηνικὴ σύνοδος, sinodo ecumenico, è un sinodo (riunione solenne) di tutti i vescovi cristiani per definire argomenti controversi di fede o indicare orientamenti generali di morale. L'etimologia dell'aggettivo "ecumenico" lo riconduce al greco ecumene, "[l'intero] mondo abitato", ma storicamente si riferisce all'intero mondo romano. Infatti quelli del I millennio del cristianesimo erano convocati dallo stesso imperatore per evitare dissidi e favorire l'unità religiosa nell'Impero.
Il numero e l'identità dei concili riconosciuti come ecumenici varia a seconda delle Chiese cristiane. Secondo la Chiesa ortodossa sono sette. Le Chiese ortodosse orientali hanno partecipato solo a tre e non ne riconoscono altri. Similmente la Chiesa assira d'Oriente e l'Antica Chiesa d'Oriente ne accettano solo due. La Chiesa cattolica sia occidentale che orientale considera ecumenici anche certi concili tenutisi nel II millennio su convocazione dal papa senza alcun riferimento ad un imperatore. In generale, la dottrina del protestantesimo ignora tutti i concili ecumenici, ma l'anglicanesimo attribuisce una certa autorità ai primi quattro.
Nei primi secoli di vita del cristianesimo, proliferavano i sinodi locali o provinciali. Più tardi, a quelli considerati come rappresentativi della Chiesa intera e validi per la Chiesa intera è stata attribuita un'autorità superiore. Le dispute concernenti l'accettazione o il rigetto di determinati concili, quali quelli di Efeso (431) e di Calcedonia (451), hanno dato origine al problema di stabilire dei criteri per definire quando un concilio potesse dirsi veramente ecumenico. A rendere necessaria una chiarificazione fu inoltre la tendenza sempre più evidente e marcata delle Chiese di Roma, di Costantinopoli e di Alessandria a diversificare le proprie dottrine ecclesiologiche, in rapporto soprattutto al primato papale e alla preminenza dell'una o dell'altra sede patriarcale.
Il Concilio di Nicea II (787), riconosciuto come ecumenico dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa (ma non dalle Chiese ortodosse orientali e dalla Chiesa anglicana) ha negato l'ecumenicità del Concilio di Hieria (754) per i seguenti motivi:
«Non ebbe come collaboratore il papa della Chiesa romana di allora, o i sacerdoti che sono con lui, né per mezzo di suoi legati, né per mezzo di una sua enciclica, come è la norma del concilio.»
«Neanche vi acconsentirono i patriarchi dell’Oriente, di Alessandria, di Antiochia e della Città Santa, o i consacrati che sono con loro e i vescovi.»
«Le loro dichiarazioni sono state fatte come in un luogo segreto, e non dal monte dell’ortodossia. Per tutta la terra non si diffuse la loro eco, come quella degli apostoli, e fino ai confini del mondo le loro parole (cfr Salmo 18,5), come quelle dei sei santi concili ecumenici.»
«Come può essere settimo quello che non è in armonia con i sei santi concili ecumenici prima di esso? Infatti quello che sarebbe stato celebrato come settimo, deve essere coerente con il novero delle cose decise prima di esso. Ciò che non ha niente a che vedere con le cose computate, non deve essere computato. Se uno per esempio mette in fila sei monete d’oro e poi aggiunge a queste una monetina di rame, non può chiamare quest’ultima settima, perché è fatta di materia diversa. L’oro infatti è prezioso e di grande valore, mentre il rame è materiale a buon mercato e senza valore.»
Nello stesso Secondo Concilio di Nicea non erano presenti i patriarchi di Alessandria, di Antiochia e di Gerusalemme: lo storico dei concili Hefele afferma che a questi non era nemmeno arrivato l'invito al concilio e i due monaci (non vescovi) giunti da tali patriarcati non pretendevano di rappresentare gli stessi patriarchi.[3]
Il Concilio di Costantinopoli I, inizialmente inteso come sinodo locale,[4] è stato convocato nel 381 da Teodosio I, allora imperatore solo dell'Impero bizantino,[5] con partecipazione di 150 vescovi del suo dominio, ma senza i vescovi occidentali, compreso quello di Roma, che ha riconosciuto tale Concilio come ecumenico solo nel VI secolo.[6][7]
Tutti e sette i concili riconosciuti come ecumenici dalle Chiese cattolica e ortodossa sono stati convocati dagli Imperatori romani, i quali ne hanno poi ratificato i decreti. Ma questo criterio varrebbe pure per concili quali il Secondo Concilio di Efeso e il Concilio di Hieria, che nessuna Chiesa ora qualifica come ecumenici.[8][9]
L'ortodosso russo Aleksey Stepanovic Chomiakov (1804–1860) era dell'opinione che, per essere ecumenico, un concilio deve essere recepito dai fedeli, dalla base, una tesi rigettata da altri teologi ortodossi.[4] Secondo Robert L. Millet, non è affatto chiaro che il Concilio di Calcedonia sia stato «recepito dai fedeli, dalla base», dato che la maggior parte del Patriarcato di Alessandria e la metà circa di quello di Antiochia l'hanno rifiutato.[10]
Lo stesso dubbio riguardante l'accettazione del Concilio di Calcedonia da parte di alcuni patriarcati conta anche contro il criterio – avanzato a seguito del rigetto del Concilio di Hieria, che ha reso evidente l'insufficienza del criterio «imperiale» – del consenso pentarchico, cioè dell'approvazione di tutti e cinque i patriarcati dell'Impero romano, proprio quando le conquiste arabe avevano nella prassi ridotto i cinque in due: Roma e Costantinopoli.[9]
La Chiesa cattolica considera essenziale (pur senza dichiararlo unico) il criterio che «Mai si ha Concilio Ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal Successore di Pietro».[11] Per la Chiesa ortodossa, tale criterio è insufficiente, visto che essa non accetta come ecumenico il Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze, al quale è stata conferita l'approvazione sia papale che imperiale.[8]
Un criterio che si può chiamare comune a tutte le Chiese cristiane ma che è anche diversificante è il giudizio delle singole Chiese sulla coerenza o meno dei decreti di un determinato concilio con i precedenti concili ecumenici, cioè il loro porsi in linea di continuità teologica, morale e disciplinare.
L'elenco dei Concili ecumenici comunemente accettato nella Chiesa cattolica differisce poco da quello steso dal cardinale Roberto Bellarmino nel 1586, al quale mancano solo il Concilio di Costanza e la parte da lui esclusa del Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze[12] Sono inclusi i sette Concili riconosciuti anche dalla Chiesa ortodossa e inoltre quello tenuto a Costantinopoli nell'869-870. Gli altri elencati hanno avuto luogo nell'Europa occidentale senza partecipazione dei vescovi con cui la comunione con Roma è stata interrotta dopo il Grande Scisma del 1054.
Secondo il Bellarmino, l'approvazione papale è l'elemento preminente o addirittura esclusivo che rende ecumenico un concilio.[13]
Verso la fine del XX secolo Alberto Melloni introdusse una distinzione tra Concili ecumenici e Concili generali, due termini generalmente trattati come sinonimi:[14][15][16] sarebbero generali ma non ecumenici i 4 concili lateranensi, 2 concili lionesi e quello di Vienne.[17] Tale tesi è stata rigettata da diversi storici e teologi.[12][18][19][20]
Il Concilio di Trento si è denominato ecumenico[21] come pure il Concilio Vaticano I[22] e il Concilio Vaticano II.[23][24]
Alcuni teologi ortodossi sostengono la possibilità per la Chiesa ortodossa di tenere concili ecumenici nell'attuale situazione di separazione fra essa e il vescovo di Roma, e attribuiscono ecumenicità ai concili sull'esicasmo del 1341 e del 1351.[25]
La Chiesa cattolica riconosce i seguenti 21 concili:
La Chiesa cattolica riconosce come ecumenici un numero maggiore di concili rispetto alle Chiese ortodosse, che considerano invece tutti quelli convocati dal papa semplici sinodi locali (in base ai criteri di ecumenicità visti come stabiliti al Concilio di Nicea II nel 787).
La Chiesa vetero-cattolica[26] riconosce solo i primi sette concili:
La Chiesa anglicana riconosce solo i primi quattro concili:[27]
Le Chiese luterane riconoscono solo i primi sette concili ecumenici:[28]
La Chiesa cristiana ortodossa[29] riconosce ufficialmente solo i primi sette concili:
Le Chiese ortodosse orientali accettano solo Nicea I, Costantinopoli I, Efeso I (per questo sono chiamate l'ortodossia dei tre concili);[30] la formulazione del Credo calcedoniano nel 451 causò lo scisma delle Chiese monofisite.
Le Chiese cristiane che riconoscono come loro teologia quella nestoriana (Chiesa assira d'Oriente, Antica Chiesa d'Oriente e Chiesa siro-caldea d'Oriente) riconoscono solo i primi due concili ecumenici, Nicea I e Costantinopoli I.
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