Polo museale del seminario vescovile
museo di Bedonia (PR) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il polo museale del seminario vescovile ha sede in via Don Stefano Raffi 30 a Bedonia, in provincia di Parma, all'interno del seminario vescovile; riunisce 10 diversi musei.[1]
Polo museale del seminario vescovile | |
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Seminario vescovile | |
Ubicazione | |
Stato | Italia |
Località | Bedonia |
Indirizzo | seminario vescovile - via Don Stefano Raffi 30 |
Coordinate | 44°30′28.2″N 9°37′54.3″E |
Caratteristiche | |
Tipo | varie |
Periodo storico collezioni | preistoria - XXI secolo |
Fondatori | Diocesi di Piacenza-Bobbio |
Proprietà | Diocesi di Piacenza-Bobbio |
Sito web | |
Il primo museo fu allestito nel 1935, in seguito alla donazione di un gruppo di antichi dipinti da parte di don Vittorio Parmigiani; nel tempo si aggiunsero altre opere attraverso nuovi lasciti e acquisizioni, che consentirono man mano l'apertura di nuove gallerie espositive,[2] all'interno del grande edificio occupato dal seminario vescovile, successivamente chiuso nel 1981.[3]
I primi dipinti pervennero al seminario bedoniese nel 1935, grazie a un'importante donazione da parte di don Vittorio Parmigiani, che diede il nome al museo.[2]
A essa seguì nel 1946 un altro cospicuo lascito da parte della famiglia Bolognini; grazie ad altre più piccole donazioni,[2] la collezione raggiunse nel 2016 il numero complessivo di circa ottanta opere,[1] risalenti prevalentemente al periodo compreso tra il 1550 e il 1800, senza escludere tuttavia l'arte contemporanea.[2]
Il museo espone le 34 opere più significative della raccolta, prevalentemente di carattere religioso[2] e di scuola emiliana.[4]
Le tele più importanti sono La caduta di Cristo sotto la croce di Ludovico Carracci, Cristo risorto che appare alla Madre di Giovanni Andrea Donducci detto il Mastelletta, Salomè che presenta a Erode la testa del Battista di autore ignoto nord-europeo e San Francesco che riceve le stigmate di Bartolomeo Passarotti, oltre a dipinti di Domenico e Filippo Pedrini, Francesco Ghittoni, Luigi Crespi e altri.[2]
La raccolta fu costituita negli anni ottanta del XX secolo, grazie alla donazione di numerose opere da parte degli eredi dell'artista Romeo Musa, nato a Calice di Bedonia nel 1882 e morto nel 1960.[5]
Il museo, sviluppato in tre stanze e nel corridoio di collegamento,[6] espone la quasi completa produzione artistica del pittore, xilografo e scrittore Romeo Musa.[7]
Il fulcro della collezione è costituito da un cospicuo numero di matrici xilografiche e xilografie, oltre che da stampe, acquerelli e dipinti a olio;[8] una sezione è poi dedicata ai bozzetti per gli affreschi realizzati in varie chiese italiane, cui si aggiungono varie foto e libri illustrati, tra cui I promessi sposi, vari racconti per ragazzi e alcune raccolte di poesie scritte e disegnate dallo stesso autore.[5]
Il patrimonio documentario riguardante il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato Vaticano dal 1979 al 1990, pervenne al seminario di Bedonia, di cui il religioso era stato allievo in gioventù, grazie a una donazione da parte della nipote Orietta Casaroli all'associazione "centro studi cardinale Agostino Casaroli", fondata all'interno dell'edificio nel 1989.[9]
Il museo espone una parte del materiale conservato nel fondo documentario del cardinale, costituito da libri, oggetti dei suoi viaggi e circa 15 000 fotografie.[10]
Una serie di pannelli accoglie una selezione delle immagini più significative, comprendente le foto in cui Casaroli appare in compagnia di capi di Stato, tra i quali Josip Broz Tito, Ronald Reagan, Michail Gorbačëv e Fidel Castro.[10]
Il patrimonio documentario riguardante il cardinale Opilio Rossi, nato a New York ma originario di Scopolo di Bedonia, fu affidato in seguito alla sua morte all'associazione "centro studi cardinale Agostino Casaroli".[11]
Il piccolo museo raccoglie ed espone in una vetrina alcuni oggetti, immagini e documenti appartenuti al cardinale.[11]
Il museo fu creato dall'associazione "centro studi cardinale Agostino Casaroli" raccogliendo fotografie, oggetti e circa 5000 documenti riguardanti il fenomeno dell'emigrazione dall'alta Val Taro e dalla Val Ceno tra il XVI e il XX secolo, precedentemente conservati in archivi pubblici e privati.[12]
La piccola galleria espositiva presenta una selezione dei numerosi documenti raccolti e una serie di pubblicazioni, oggetti e fotografie.[11]
Il sito internet del museo consente inoltre la libera consultazione di una parte dei documenti, suddivisi in sei sezioni: "Il Cinquecento", "Il Seicento", "Il Settecento", "L'Ottocento (1800 - 1861)", "La Grande Emigrazione (1861 - 1945)" e "Il Novecento dopo il 1945".[12]
Il centro di documentazione sulla devozione popolare fu allestito archiviando circa 15 000 santini e numerosi ex voto, in parte esposti nella mostra permanente.[13]
La mostra permanente espone da un lato in sette bacheche numerosi oggetti devozionali, tra cui vari quadri ad olio, xilografie, litografie, libri, statue e rosari; accanto a essi, è conservata una croce in acciaio, ricavata dalla fusione del metallo del World Trade Center abbattuto negli attentati dell'11 settembre 2001.[13]
In aggiunta, sei vetrine presentano una selezione di santini, dai più antichi risalenti al XVII secolo ai più moderni, che consentono di ripercorrere la storia delle immaginette sacre.[13]
I reperti archeologici pervennero al seminario attraverso tre importanti donazioni da parte degli eredi del medico bedoniese Severino Musa, del collezionista Natale Bruni e del naturalista Pierluigi Cerlesi; altro materiale fu invece raccolto grazie a lasciti minori.[14]
Il museo, allestito dall'archeologo Angelo Ghiretti e dai suoi studenti, fu inaugurato l'8 luglio del 2000.[14]
Il percorso espositivo si sviluppa in varie vetrine in cui sono mostrati reperti archeologici risalenti prevalentemente all'epoca preistorica raccolti nell'alta Val Taro.[14]
Nella prima sezione, dedicata alla preistoria più antica, sono esposte alcune asce in pietra verde levigata e punte di frecce in selce, dette anticamente saiette; di pregio risulta in particolare una statuetta antropomorfa in steatite,[15] databile probabilmente al tardo Paleolitico.[14]
Le bacheche relative al Mesolitico mostrano vari oggetti in selce e diaspro rosso, provenienti dagli antichi accampamenti stagionali dei cacciatori dell'epoca.[15]
La sezione successiva, riguardante i primi insediamenti abitati stabili nella zona, espone una serie di reperti recuperati principalmente durante alcuni scavi archeologici condotti alle Rocche di Drusco, a valle del monte Maggiorasca.[15]
La vetrina dedicata all'età del ferro mostra vari oggetti appartenuti al popolo dei Liguri, antico occupante delle valli del Taro e del Ceno.[15]
Al centro della sala[15] è poi collocata una pregevole stele rinvenuta sul monte Ribone di Albareto,[14] incisa in lingua etrusca.[15]
La bacheca seguente, riguardante l'epoca romana e quella medievale, espone alcuni reperti rinvenuti in zona, tra cui vari mattoni e due utensili.[15]
L'ultima sezione, relativa alla collezione Cerlesi, si occupa della Magna Grecia ed espone, tra gli altri, un frammento decorato di un vaso del IV secolo a.C.[15]
La raccolta di scienze naturali fu allestita originariamente nel gabinetto di scienze del seminario vescovile di Bedonia, ai tempi del lungo episcopato di Giovanni Battista Scalabrini.[16]
Nel 1939 per iniziativa di monsignor Silvio Ferrari fu istituito il museo di storia naturale, esponendo la collezione in un'apposita stanza del palazzo con finalità didattiche.[16]
Intorno al 1995, su finanziamento della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Parma, il museo, intitolato al suo ideatore Ferrari, fu riallestito in nuovi ampi spazi all'ultimo piano dell'edificio.[17]
Il museo si sviluppa in due distinte sezioni all'interno di due lunghi corridoi del piano sottotetto del seminario vescovile.[17]
Il primo settore si occupa dell'evoluzione delle specie, ripercorrendola a ritroso e contrapponendola a minerali e conchiglie collocati all'interno di vetrine sulla parete di fronte.[17]
Al termine della sezione è ricostruito un gabinetto da naturalista tardo-ottocentesco, ove sono conservati alcuni reperti teratologici dell'epoca, ossia animali nati con gravi malformazioni.[17]
Il secondo settore si occupa nel dettaglio dell'alta Val Taro, descritta attraverso una serie di plastici, diorami e reperti naturalistici; sono così illustrati la sua origine geologica, i suoi ambienti tipici e i principali animali che la popolano.[17]
Le vetrine del lato opposto espongono invece una rappresentazione dei più comuni fenomeni ambientali del territorio.[17]
Verso il 1990 fu decisa la costruzione di un planetario all'ultimo piano del palazzo del seminario; i lavori furono avviati nel novembre del 1992 demolendo il soffitto di una delle aule e il 30 maggio del 1993 la struttura fu aperta al pubblico.[18]
L'inaugurazione ufficiale, alla presenza dell'astrofisica Margherita Hack, si tenne il 15 maggio del 1995.[18]
Il planetario è collocato all'interno di un ambiente del secondo piano dell'edificio, coperto da una volta del diametro di 6 m[18] e in grado di ospitare fino a 50 persone;[19] è costituito da uno strumento che, guidato da un operatore, consente di visualizzare la volta celeste e di studiarne tutti i fenomeni collegati, tra cui la precessione degli equinozi, le eclissi, le comete e il movimento degli astri.[18]
In adiacenza è presente un laboratorio didattico, aperto agli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado.[19]
Una prima raccolta di diapositive fu creata nel seminario negli anni settanta del XX secolo per scopi didattici.[20]
Nel decennio seguente fu aperto un piccolo studio di registrazione, per la produzione, grazie a un gruppo di volontari, di materiale audiovisivo di carattere storico e religioso, poi trasmesso sul canale televisivo locale Videotaro; il materiale, raccolto inizialmente su videocassette e successivamente su CD e DVD, fu in seguito archiviato e reso disponibile agli utenti.[20]
Il centro audiovisivo conserva materiale audiovisivo e multimediale di carattere storico, culturale e religioso, connesso prevalentemente al territorio delle valli del Taro e del Ceno.[19]
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