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compositore, pianista e direttore d'orchestra tedesco (1770-1827) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Ludwig van Beethoven (/beˈtɔven/ o /beˈtoven/[1]; in tedesco [ˈluːtvɪç fan ˈbeːthoːfn̩][2][N 1]; Bonn, 16 dicembre 1770[N 2] – Vienna, 26 marzo 1827) è stato un compositore, pianista e direttore d'orchestra tedesco.
Figura cruciale della musica colta occidentale, fu l'ultimo rappresentante di rilievo del classicismo viennese. Considerato tra i massimi geni della storia della musica e uno degli artisti più rivoluzionari della storia, nonostante la sordità che lo colpì prima ancora di aver compiuto i trent'anni, continuò a comporre, dirigere e suonare, lasciando una produzione musicale fondamentale e straordinaria per forza espressiva e capacità evocativa.[3]
Questa produzione fu di vitale importanza per il linguaggio musicale del XIX secolo e per quelli successivi, tanto da rappresentare un modello per molti compositori. Il mito di Beethoven "artista eroico" capace di trasmettere attraverso la sua opera ogni sua emozione, esperienza personale o sentimento, crebbe moltissimo nel periodo romantico;[N 3] tuttavia, pur anticipando molti aspetti del futuro romanticismo,[4][5] la sua adesione alle regole dell'armonia nelle modulazioni, il rigetto dei cromatismi nelle melodie, la cura dell'equilibrio formale dei brani lo collocano nel solco della tradizione del classicismo.[6]
Nel catalogo delle composizioni beethoveniane hanno grande rilievo la sua produzione orchestrale, quella pianistica e quella cameristica. Capolavori dei rispettivi generi rimangono anche sue composizioni sacre, come la Missa Solemnis, e teatrali, come Fidelio.
«Ludwig van Beethoven è un ragazzo di undici anni[N 4] dal talento molto promettente. Suona il pianoforte con molta bravura e forza, legge molto bene a prima vista e, per farla breve, suona per la maggior parte il Clavicembalo ben temperato di Bach che gli è stato messo in mano dal signor Neefe. Chi conosce questa raccolta di preludi e fughe in tutte le tonalità (che si potrebbe quasi definire il non plus ultra) saprà cosa significhi. Il sig. Neefe l'ha avviato anche [...] al basso continuo. Ora gli dà lezioni di composizione e per incoraggiarlo, ha fatto incidere[N 5] a Mannheim nove sue variazioni per pianoforte su un tema di marcia.[N 6] Questo giovane genio meriterebbe un sussidio per permettergli di viaggiare.»
La famiglia di Beethoven, di umili origini, possedeva una tradizione musicale da almeno due generazioni. Il nonno paterno, dal quale prendeva il nome, Ludwig van Beethoven[N 7] (Malines, 1712 – Bonn, 1773) discendeva da una famiglia proveniente dalle Fiandre (nel Belgio settentrionale) di contadini e umili lavoratori, originaria del Brabante. La particella «van» non ha dunque (con ogni probabilità) origini nobiliari e il cognome «Beethoven» deriva quasi certamente dal villaggio di Bettenhoven, presso Waremme, nella provincia di Liegi. Intorno al 1500, il nome "van Beethoven" era scritto come "van Bettehoven".
Buon musicista, il nonno di Beethoven si era trasferito a Bonn nel 1732, diventando Kapellmeister (maestro di cappella) del principe elettore di Colonia e sposando nel 1733 Maria Josepha Pall. Il figlio di questi, Johann van Beethoven (1740 – 1792), padre di Beethoven, era musicista e tenore alla corte del principe arcivescovo elettore di Colonia Clemente Augusto di Baviera. Uomo mediocre e brutale, dedito all'alcool, educò i suoi bambini con grande durezza.
La madre, Maria Magdalena van Beethoven, nata col cognome Keverich (19 dicembre 1746–1787), era nativa di Ehrenbreitstein, in Coblenza, ed era la figlia di un cuoco dell'elettore di Treviri. I suoi antenati provenivano dalla Mosella, molto probabilmente da Köwerich, da cui deriverebbe il cognome. All'età di diciassette anni, nel 1762 andò sposa a un servo e cameriere del principe elettore di Treviri, chiamato Laym, e da lui ebbe un figlio che morì abbastanza presto. A soli diciannove anni, nel 1764, rimase vedova. Tre anni più tardi, il 12 novembre 1767, contrasse un secondo matrimonio, questa volta con Johann van Beethoven; il 2 aprile 1769 venne battezzato il loro primo figlio, Ludwig Maria van Beethoven, che morì dopo appena sei giorni. Il 17 dicembre 1770 nella Remigiuskirche (Chiesa di San Remigio) di Bonn venne battezzato il suo terzo figlio, il secondo del loro matrimonio. Nel libro di battesimo fu registrato con il nome di Ludovicus van Beethoven. Non è possibile documentare con certezza la sua esatta data di nascita, che rimane convenzionalmente accettata al 16 dicembre 1770 (all'epoca i bambini venivano solitamente battezzati il giorno dopo la nascita effettiva, ma non esistono prove documentali che ciò sia avvenuto nel caso di Beethoven). La sua casa natale, divenuta oggi il museo Beethoven-Haus, è a Bonn, in Bonngasse 20.
L'amico d'infanzia Franz Gerhard Wegeler scrisse nelle sue memorie: «Il nostro Ludwig era nato il 17 dicembre 1770».[8] Il nipote Karl nei Quaderni di conversazione del 1823 scrisse: «Oggi è il 15 dicembre, il tuo giorno di nascita, per quanto ne so; solo non posso essere sicuro se fosse il 15 o il 17, perché non ci si può fidare dell'atto di battesimo».[9] Divenuto adulto, Beethoven credeva di essere nato nel 1772; al riguardo affermava che quello battezzato nel 1770 era il fratello maggiore, Ludwig Maria. Alcuni biografi asseriscono che il padre cercasse di farlo passare di età più giovane di quella reale, per fare di lui un bambino prodigio simile a Mozart; questa tesi è stata tuttavia molto discussa. Si sa che i suoi familiari e l'insegnante Johann Georg Albrechtsberger celebravano il suo compleanno il 16 dicembre.[senza fonte]
Dal secondo matrimonio, Maria Magdalena avrà altri cinque figli, dei quali soltanto due raggiungeranno l'età adulta e avranno un ruolo importante nella vita di Beethoven: Kaspar Anton Karl (battezzato l'8 aprile 1774 – morto nel 1815) e Nikolaus Johann (battezzato il 2 ottobre 1776 – morto nel 1848). Ella è descritta come una donna di carattere dolce ma con frequenti cadute depressive. Legati alla madre nell'infanzia, i figli in seguito mantennero per lei solo un tiepido affetto.[10] Non passò molto tempo prima che Johann van Beethoven individuasse il dono musicale del figlio e tentasse di coltivarne le doti eccezionali per trarne il maggior profitto possibile, soprattutto economico.
Pensando a Mozart bambino, esibito dal padre in tournée concertistiche attraverso tutta Europa una quindicina di anni prima, Johann avviò Ludwig allo studio della musica già dal 1775 e notandone fin dall'inizio l'eccezionale predisposizione tentò nel 1778 di presentarlo come virtuoso di pianoforte in un giro di concerti attraverso la Renania, da Bonn a Colonia e nel 1781 nei Paesi Bassi.[11] Tuttavia, il tentativo di trasformare Ludwig in un bambino prodigio non ebbe l'esito sperato dal padre.
Johann van Beethoven sembra essere stato capace solo di brutalità e di ostinata autorità: pare che spesso, completamente ubriaco, costringesse Ludwig ad alzarsi da letto a tarda notte, ordinandogli di suonare il pianoforte o il violino per intrattenere i suoi amici.[senza fonte] Così come la sua educazione, anche l'istruzione musicale del piccolo Ludwig fu burrascosa: il padre lo affidò inizialmente a tale Tobias Pfeiffer, che si dimostrò altrettanto incline all'alcool e non un buon insegnante. Successivamente Ludwig venne seguito dall'organista di corte Aegidius van der Aeden, poi dal violinista Franz Georg Rovantini, cugino della moglie Maria Magdalena, e in seguito dal francescano Willibald Koch.
L'amicizia, iniziata sin dai tempi dell'infanzia, con il medico Franz Gerhard Wegeler (1765 – 1848) gli schiuse le porte della casa della famiglia von Breuning, alla quale rimase legato per tutta la vita. Hélène von Breuning era la vedova di un consigliere di corte e cercava un insegnante di pianoforte per i propri figli. Ludwig, definito da Wegeler nelle sue memorie spesso stravagante e scontroso, venne trattato come un componente della famiglia, si trovò perfettamente a proprio agio e si mosse con disinvoltura in questo ambiente intellettuale, fine e cordiale, dove si discuteva di arte e letteratura e dove la sua personalità ebbe modo di svilupparsi con pienezza. Il giovane Ludwig divenne inoltre allievo del musicista e organista di corte Christian Gottlob Neefe e compose, tra il 1782 e il 1783, le sue prime opere per pianoforte: le nove variazioni su una marcia di Dressler WoO 63, pubblicate a Mannheim[12] e le tre sonatine dette All'elettore.
«Caro Beethoven, Ella parte finalmente per Vienna per soddisfare un desiderio a lungo vagheggiato. Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo pupillo. Presso il fecondissimo Haydn ha trovato rifugio, ma non occupazione; e per mezzo suo desidererebbe incarnarsi di nuovo in qualcuno. Sia Lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn.»
Nel 1784 venne nominato nuovo Principe elettore l'arciduca Maximilian Franz d'Asburgo, fratello dell'Imperatore Giuseppe II e Gran Maestro dell'Ordine teutonico che, dopo aver abolito la tortura e promesso una riforma giudiziaria, si occupò della nomina del nuovo Konzertmeister. Aumentò lo stipendio a Johann van Beethoven, nonostante questi avesse ormai perso quasi completamente la voce, e nominò Ludwig secondo organista di corte con uno stipendio annuo di 150 fiorini. Nel 1789, Ludwig si iscrisse all'Università di Bonn, fondata tre anni prima. Egli venne notato dal conte Ferdinand von Waldstein, che portò Beethoven una prima volta a Vienna nell'aprile 1787; qui, il giovane compositore avrebbe avuto un incontro fugace con Mozart.[N 8]
Tuttavia, è nel luglio 1792 che il conte Waldstein presentò Beethoven a Joseph Haydn, il quale, appena reduce da una tournée in Inghilterra, si era stabilito a Bonn. Dopo un concerto tenuto in suo onore, impressionato dalla lettura di una cantata composta da Beethoven (probabilmente quella sulla morte di Giuseppe II WoO 87 o quella sull'arrivo di Leopoldo II) Haydn lo invitò a proseguire gli studi a Vienna sotto la sua direzione. Cosciente di quanto rappresentasse a Vienna l'insegnamento di un musicista della fama di Haydn, Beethoven accettò di proseguire i suoi studi sotto la sua guida. Questa importante decisione fu presa di buon grado, ma non senza qualche perplessità; Beethoven infatti era ora costretto ad allontanarsi dalla famiglia che risiedeva a Bonn in condizioni sempre più precarie.
Intanto sua madre era morta di tubercolosi il 17 luglio 1787, seguita in settembre da quella della sorella di appena un anno e suo padre, devastato dall'alcolismo, era stato messo in pensione nel 1789 ed era incapace di garantire la sussistenza della famiglia; Beethoven di fatto si era assunto il compito di essere a capo della famiglia a tutela dei fratelli Kaspar e Nikolaus. Dalla metà del 1789, per mantenere la famiglia, lavorò come violista nelle orchestre del teatro e della cappella di Bonn.[13] Suonava una viola austriaca, costruita da Sebastian Dallinger a Vienna intorno al 1780. Quando il giovane musicista abbandonò il posto in orchestra lo strumento rimase al maestro, Franz Anton Ries, ed è ora conservato presso la Beethoven-Haus a Bonn.[14]
Con il permesso dell'Elettore, che gli promise in ogni caso di conservargli il posto da organista e lo stipendio, e raccolti in un album gli auguri degli amici – come quelli della ventenne allieva Leonore Breuning che gli dedicò i versi di Johann Gottfried Herder: «Che l'amicizia con il bene cresca, come si allunga l'ombra della sera, finché sia spento il sole della vita» la mattina del 3 novembre 1792 – Beethoven lasciò definitivamente Bonn e le rive del Reno, forse ignorando che mai più vi avrebbe fatto ritorno, portando con sé una lettera di Waldstein ormai celebre, nella quale il conte gli profetizzava un ideale passaggio di consegne tramite Haydn dell'eredità spirituale di Mozart.
«Avete molto talento e ne acquisirete ancora di più, enormemente di più. Avete un'abbondanza inesauribile d'ispirazione, avete pensieri che nessuno ha ancora avuto, non sacrificherete mai il vostro pensiero a una norma tirannica, ma sacrificherete le norme alle vostre immaginazioni: voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime.»
Alla fine del XVIII secolo, Vienna era la capitale incontrastata della musica occidentale e rappresentava il luogo ideale per un musicista desideroso di fare carriera. Al suo arrivo, a soli ventidue anni, aveva già composto un buon numero di opere minori, ma era ancora lontano dalla sua maturità artistica; questo era il tratto che lo distingueva da Mozart, notoriamente divenuto il simbolo del genio precoce. Benché Beethoven fosse arrivato a Vienna meno di un anno dopo la scomparsa del suo famoso predecessore, il mito del «passaggio di consegne» non poteva attendere ancora a lungo, sebbene Beethoven volesse affermarsi più come pianista virtuoso che come compositore.
Quanto all'insegnamento di Haydn, per quanto prezioso e prestigioso, risultava procedere con qualche difficoltà: Beethoven arrivò a temere che il suo insegnante potesse essere geloso del suo talento e Haydn non tardò a irritarsi dinanzi all'indisciplina e all'audacia musicale del suo allievo, che forse iniziava a sentire soffocare il suo estro compositivo in quei rigidi metodi di insegnamento a cui era sottoposto. Nonostante una stima reciproca più volte ricordata dagli storici, Haydn non ebbe mai con Beethoven una relazione di profonda amicizia. Tuttavia, Haydn esercitò un'influenza profonda e duratura sull'opera di Beethoven, che più tardi ebbe modo di riconoscere tutto ciò che doveva al suo insegnante.
Dopo una nuova partenza di Haydn per Londra (gennaio 1794), Beethoven proseguì studi sporadici fino all'inizio del 1795 con diversi altri professori fra cui il compositore Johann Schenk e ad altri due prestigiosi protagonisti dell'epoca mozartiana: Johann Georg Albrechtsberger e Antonio Salieri; il primo, in particolare, organista di corte e Kapellmeister nella cattedrale di Santo Stefano, gli fornirà preziosi insegnamenti sulla costruzione del contrappunto polifonico. Nel suo studio conobbe inoltre un altro allievo, Antonio Casimir Cartellieri, con il quale strinse rapporti di amicizia che dureranno fino alla morte di quest'ultimo nel 1807. Terminato il suo apprendistato, Beethoven si stabilì definitivamente a Vienna e poco dopo il suo arrivo fu raggiunto dalla notizia della morte del padre, avvenuta per cirrosi epatica il 18 dicembre 1792; la fuga improvvisa del principe elettore da Bonn, conquistata dall'esercito francese, gli fece perdere sia la pensione del padre sia lo stipendio di organista.
Le lettere di presentazione di Waldstein e il suo talento di pianista lo avevano fatto conoscere e apprezzare alle personalità dell'aristocrazia viennese, appassionata di opera lirica, i cui nomi restano ancora oggi citati nelle dediche di molte sue opere: il funzionario di corte, barone Nikolaus Zmeskall, il principe Karl Lichnowsky, la contessa Maria Wilhelmina Thun, il conte Andrei Razumovsky, il principe Joseph Franz von Lobkovitz e più tardi l'arciduca Rodolfo Giovanni d'Asburgo-Lorena, soltanto per citarne alcuni. Dopo aver pubblicato i suoi primi tre Trii per piano, violino e violoncello sotto il numero di opus 1, e quindi le sue prime sonate per pianoforte, Beethoven diede il suo primo concerto pubblico il 29 marzo 1795 per la creazione del suo concerto per pianoforte e orchestra n. 2, che sebbene numerato come concerto n. 2 fu in realtà composto negli anni di Bonn, precedentemente al concerto per pianoforte e orchestra n. 1.
«Lo stupefacente modo di suonare di Beethoven, così notevole per gli arditi sviluppi della sua improvvisazione, mi toccò il cuore in modo insolito: mi sentii così profondamente umiliato nel mio più intimo essere da non poter più toccare il pianoforte per diversi giorni [...] Certo, ammirai il suo stile vigoroso e brillante, ma i suoi frequenti e arditi salti da un tema all'altro non mi convinsero affatto; distruggevano l'unità organica e lo sviluppo graduale delle idee [...] la stranezza e l'ineguaglianza sembravano essere per lui lo scopo principale della composizione.»
Nel 1796 Beethoven intraprese un giro di concerti che lo condusse da Vienna a Berlino, passando in particolare per Dresda, Lipsia, Norimberga e Praga. Se il pubblico lodò incondizionatamente il suo virtuosismo e la sua ispirazione al pianoforte, l'entusiasmo popolare gli valse lo scetticismo dei critici più conservatori, perlopiù rimasti seguaci di Mozart, tra i quali si segnalano quelli intransigenti come l'abate Maximilian Stadler, che definisce le sue opere «assolute assurdità» e quelli più ponderati come Giuseppe Carpani, che dimostrano quanto Beethoven già in queste prime prove si fosse allontanato dal modello tradizionale della forma sonata.
Beethoven si immerse nella lettura dei classici greci, di Shakespeare e dei fondatori dello Sturm und Drang: Goethe e Schiller. Questi studi influenzarono notevolmente il suo temperamento romantico, già acquisito agli ideali democratici degli illuministi e della rivoluzione francese che si diffondevano allora in Europa: nel 1798 Beethoven frequentò assiduamente l'ambasciata francese a Vienna, dove incontrò Bernadotte e il violinista Rodolphe Kreutzer, al quale dedicherà nel 1803 la sonata per violino n. 9 che porta il suo nome.
Mentre la sua attività creatrice si intensificava (composizione delle sonate per piano n. 5 e n. 7, e delle prime sonate per violino e pianoforte), il compositore partecipò almeno sino al 1800 a tenzoni musicali molto frequentate dalla buona società viennese, che lo consacrarono come il primo virtuoso di Vienna. Pianisti apprezzati come Muzio Clementi, Johann Baptist Cramer, Josef Gelinek, Johann Hummel e Daniel Steibelt ne fecero le spese.[senza fonte]
A conclusione di questo periodo inizia la produzione dei primi capolavori quali: il concerto per pianoforte e orchestra n. 1 (1798), i primi sei quartetti d'archi (1798-1800), il Settimino per archi e fiati (1799-1800), la sonata per pianoforte n. 8, detta Patetica (1798-1799) e la prima sinfonia (1800). Benché l'influenza delle ultime sinfonie di Haydn fosse evidente, quest'ultima in particolare era già impregnata dal carattere beethoveniano (in particolare nel terzo movimento, detto scherzo) e conteneva le premesse per le grandi opere della piena maturità. Il primo concerto e la prima sinfonia vennero presentati con grande successo il 2 aprile 1800, data della prima accademia di Beethoven, concerto organizzato dallo stesso musicista e dedicato esclusivamente alle sue opere. Confortato dalle entrate finanziarie costantemente versate dai suoi mecenati, per Beethoven si aprivano le porte di un percorso artistico glorioso e felice che cominciava a superare le frontiere dell'Austria.
«Sono poco soddisfatto dei miei lavori scritti sino ad oggi. Da oggi, voglio aprire un nuovo cammino.»
L'anno 1796 segnò una svolta nella vita del compositore: Ludwig iniziava a prendere coscienza della sordità e malgrado tentasse, in gran segreto, di arginarne il peggioramento con delle cure, la stessa gradualmente divenne totale prima del 1820. La causa della sordità di Beethoven è rimasta sconosciuta; le ipotesi di una labirintite cronica, di una otospongiosi e della malattia ossea di Paget sono state ampiamente discusse ma nessuna è stata mai confermata.[15] In anni recenti è stata avanzata l'ipotesi che Beethoven soffrisse di avvelenamento da piombo cronico. Chiusosi in isolamento per non rivelare in pubblico questa realtà vissuta in maniera drammatica, Beethoven si fece una triste reputazione di misantropo, della quale soffrì, chiudendosi in rassegnato silenzio fino al termine della sua vita.
Consapevole che quest'infermità avrebbe definitivamente distrutto la sua carriera pubblica di pianista virtuoso quale fino ad allora si era dimostrato, dopo aver meditato per sua stessa ammissione anche il suicidio, si dedicò con nuovo slancio alla composizione tentando di sfuggire ai mali che tormentavano la sua anima. In una lettera indirizzata ai fratelli espresse tutta la sua tristezza e la fede nella sua arte (testamento di Heiligenstadt):
«O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza [...] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento [...] ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo [...] se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l'infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore.»
Nonostante il pessimismo, fu questo un periodo di fertile attività compositiva: dopo la sonata per violino n. 5 (1800) (conosciuta popolarmente col titolo La primavera) e la sonata per pianoforte n. 14 (1801) (anch'essa conosciuta per un titolo spurio: Al chiaro di luna), durante un periodo di crisi spirituale e umana compose la gioiosa seconda sinfonia (1801-1802) e il più scuro concerto per pianoforte n. 3 (1800-1802). Queste due opere vennero accolte molto favorevolmente il 5 aprile 1803.
«In questa sinfonia Beethoven si era proposto come argomento ispiratore Bonaparte, quando quest'ultimo era ancora primo console. All'epoca Beethoven ne faceva un caso straordinario e vedeva in lui l'epigono dei grandi consoli romani.»
La sinfonia n. 3 (detta «Eroica») inaugurò una serie di opere caratterizzate da una maggiore durata e una scrittura che ricercava effetti di grandiosità, caratteristiche dello stile del secondo periodo di Beethoven, detto «stile eroico». Il compositore intendeva inizialmente dedicare questa sinfonia al generale Napoleone Bonaparte, nel quale vedeva il paladino degli ideali della rivoluzione francese. Non appena apprese la notizia della proclamazione del primo impero francese (maggio 1804), infuriato, cancellò la dedica.[N 9]
Infine, al capolavoro fu data l'intestazione di «Grande sinfonia Eroica per celebrare il sovvenire di un grande uomo». La genesi della sinfonia si estese dal 1802 al 1804 e la presentazione pubblica, avvenuta il 7 aprile 1805 smorzò gli entusiasmi e molti la giudicarono troppo lunga. Beethoven, amareggiato, si ripromise di non comporre più nel futuro opere della durata superiore a un'ora, intenzione a cui non mantenne fede.[17][N 10]
Anche nella scrittura pianistica del compositore lo stile andava evolvendosi: scritta immediatamente dopo la terza sinfonia negli ultimi mesi del 1803,[13] la sonata per pianoforte n. 21 op. 53, dedicata al conte Waldstein, colpì per il virtuosismo, l'energia "eroica" e l'utilizzo sinfonico dello strumento. Di simile impronta fu la sonata per pianoforte n. 23 detta Appassionata (1805), alla quale seguì il triplo concerto per pianoforte, violino, violoncello e orchestra (1804). Nel luglio 1805 il compositore incontrò Luigi Cherubini, al quale non nascose la sua ammirazione.
A trentacinque anni, Beethoven si cimentò nel genere operistico: nel 1801 si era entusiasmato per il libretto Léonore o l'amore coniugale del francese Jean-Nicolas Bouilly e la composizione dell'opera Fidelio, che portava originariamente nel titolo il nome della sua eroina, Léonore, venne iniziata già dal 1803. Questa opera fu accolta male al debutto (soltanto tre rappresentazioni nel 1805), al punto che Beethoven si ritenne vittima di un complotto. Il Fidelio doveva nel suo futuro conoscere ancora non meno di tre versioni (1805, 1806 e 1814) e soltanto l'ultima ebbe una buona accoglienza. Beethoven aveva composto un'opera oggi considerata fondamentale del repertorio lirico; eppure questa esperienza non venne ripetuta a causa delle troppe amarezze subite, nonostante lo studio di alcuni altri progetti tra cui un Macbeth ispirato all'opera di Shakespeare[N 11] e soprattutto un Faust da Goethe, verso la fine della sua vita.
«Principe, ciò che siete, lo siete in occasione della nascita. Ciò che sono, lo sono per me. Principi ce n'è e ce ne saranno ancora migliaia. Di Beethoven ce n'è soltanto uno.»
Dopo il 1805, e malgrado il fallimento artistico del Fidelio, la situazione di Beethoven era tornata favorevole. In pieno possesso della sua vitalità creatrice, sembrò adattarsi al suo udito difettoso e trovare, almeno per qualche tempo, una vita sociale soddisfacente. Gli anni tra il 1806 e il 1808 furono quelli più fertili di capolavori: il solo anno 1806 vide la composizione del concerto per pianoforte n. 4, dei tre quartetti per archi n. 7, n. 8 e n. 9 dedicati al conte Andrei Razumovsky, della quarta sinfonia e del concerto per violino.
Nell'autunno di quell'anno Beethoven accompagnò il suo mecenate, il principe Carl Lichnowsky, nel suo castello di Slesia e in occasione di questo soggiorno diede la dimostrazione più luminosa della sua volontà di indipendenza. Poiché Lichnowsky aveva minacciato di mettere Beethoven agli arresti se si fosse ostinato a rifiutare un'esibizione al piano per alcuni ufficiali francesi ospiti del castello (la Slesia era in quel momento occupata dall'esercito napoleonico dopo Austerlitz), il compositore lasciò il suo ospite dopo un violento litigio.[18] Fece allora domanda di impiego alla direzione dei teatri imperiali, dove si impegnò a consegnare annualmente un'opera e un'operetta richiedendo la somma di 2400 fiorini e una percentuale sugli incassi dalla terza rappresentazione di ciascuna opera, ma la domanda non venne accolta.
Perso il finanziamento e la protezione del suo principale mecenate, Beethoven riuscì ad affermarsi come artista indipendente e a liberarsi simbolicamente dal patronato aristocratico, tant'è che ormai lo stile eroico poteva raggiungere il suo parossismo. Dando seguito al suo desiderio di «affrontare il suo destino alla gola» espresso a Wegeler nel novembre 1801,[19] Beethoven mise in cantiere la quinta sinfonia. Attraverso il suo celebre motivo ritmico di quattro note esposto fin dal primo movimento, che irradia tutta l'opera, il musicista intendeva esprimere la lotta dell'uomo contro il destino, e il trionfo finale su di esso. L'ouverture del Coriolano, con la quale condivide la tonalità in Do minore, era della medesima epoca.
Composta contemporaneamente alla quinta, la sinfonia pastorale sembra quella più contrastata. Descritta da Michel Lecompte come «la più serena, la più ridotta e la più melodica delle nove sinfonie» e nel medesimo tempo la più atipica,[20] è l'omaggio alla natura di un compositore profondamente innamorato della campagna, nella quale ritrovava sempre la calma e la serenità propizie alla sua ispirazione. Autentica anticipatrice del romanticismo musicale, la Pastorale porta come sottotitolo questa frase di Beethoven «Espressione di sentimenti piuttosto che pittura» e ciascuno dei suoi movimenti porta un'indicazione descrittiva.
Il concerto di Beethoven del 22 dicembre 1808 fu certamente una delle più grandi accademie della storia (con quella del 7 maggio 1824). Furono eseguiti in prima assoluta la quinta e la sesta sinfonia pastorale, il concerto per pianoforte n. 4 (solista Beethoven stesso, che eseguì anche un'improvvisazione), l'Aria per soprano e orchestra Ah! Perfido, due inni dalla Messa in Do maggiore composta per il principe Esterházy nel 1807 e la Fantasia corale per piano e orchestra (ancora con Beethoven solista al pianoforte).[N 12] Dopo la morte di Haydn nel maggio 1809, benché gli restasse ancora qualche avversario in campo artistico, non si poteva più contestare la posizione di Beethoven nel pantheon dei musicisti.
«Non avevo mai incontrato un artista così fortemente concentrato, così energico, così interiore. [...] Il suo ingegno mi ha stupefatto; ma egli è purtroppo una personalità del tutto sfrenata, che, se non ha certamente torto nel trovare detestabile il mondo, non si rende così più gradevole a sé e agli altri. [...] Malauguratamente, è una personalità fortemente indotta.»
Nel 1808 Beethoven aveva ricevuto da Girolamo Bonaparte, posto dal fratello Napoleone sul trono della Vestfalia, la proposta per un impiego di Kapellmeister (maestro di cappella) alla corte di Kassel. Sembra che il compositore abbia per un momento pensato di accettare questo incarico prestigioso che, se da un lato rimetteva in discussione la sua indipendenza fino a quel momento difesa così strenuamente, dall'altro gli garantiva una situazione economica e sociale più serena. Fu allora che ebbe un ritorno patriottico e l'occasione di staccarsi dall'aristocrazia viennese (1809). L'arciduca Rodolfo, il principe Kinsky e il principe Lobkowitz garantirono a Beethoven, qualora fosse restato a Vienna, un vitalizio di quattromila fiorini annui, una somma notevole per l'epoca.[21]
Beethoven accettò, sperando di mettersi definitivamente al riparo dalle necessità, ma la ripresa della guerra tra la Francia e l'Austria nella primavera del 1809 rimise tutto in discussione. La famiglia imperiale fu costretta a lasciare Vienna occupata, la grave crisi economica che subì l'Austria dopo Wagram e il trattato di Schönbrunn imposto da Napoleone rovinò economicamente l'aristocrazia viennese e rese insoddisfabile il contratto concluso da Beethoven. Questi episodi segnarono duramente la sua vita, sempre combattuta tra il desiderio di indipendenza creativa e il bisogno di condurre una vita economicamente dignitosa.
Nonostante questo, il catalogo delle sue opere continuava ad arricchirsi: gli anni 1809 e 1810 videro ancora la nascita di numerosi capolavori, dal brillante concerto per pianoforte n. 5 alle musiche di scena per la tragedia Egmont di Goethe, passando per il quartetto d'archi n. 10 detto «delle Arpe». È a causa della partenza improvvisa del suo allievo e amico, l'arciduca Rodolfo, che Beethoven compose la sonata per pianoforte n. 26 detta «Les adieux» in tre movimenti programmatici (l'Addio, la Lontananza, il Ritorno). Gli anni tra il 1811 e il 1812 videro il compositore raggiungere il punto massimo della sua creatività. Il trio per pianoforte n. 7 detto «All'arciduca» e la settima sinfonia rappresentano l'apogeo del periodo «eroico».
«Non è l'attrazione dell'altro sesso che mi attira in lei, no, soltanto lei, tutta la sua persona con tutte le sue qualità hanno incatenato il mio rispetto, i miei sentimenti tutti, la mia sensibilità intera. Quando mi accostai a lei, mi ero formato la ferma decisione di non lasciar germogliare neanche una scintilla d'amore. Ma lei mi ha sopraffatto [...] mi lasci sperare che il suo cuore batterà a lungo per me. Di battere per lei, amata J., questo mio cuore non cesserà se non quando non batterà più del tutto.»
Sul piano della vita sentimentale, Beethoven ha suscitato una notevole quantità di commenti da parte dei suoi biografi. Il compositore ebbe tenui relazioni con numerose donne, generalmente sposate, ma non conobbe mai quella felicità coniugale alla quale aspirava e della quale tesserà un'apologia nel Fidelio. Nel maggio 1799 Beethoven divenne insegnante di pianoforte di due figlie della contessa Anna von Seeberg, vedova Brunswick, la ventiquattrenne Therese o Thesi e la ventenne Josephine o Pepi, oltre che di una cugina di queste, la sedicenne Giulietta Guicciardi (1784-1856), dedicataria della sonata per pianoforte n. 14 detta Al chiaro di luna. Quest'ultima si fidanzò poi con il conte Wenzel Robert von Gallenberg e sposerà quest'ultimo il 30 ottobre 1803.
Faranno entrambi ritorno a Vienna nel 1821, dove il conte, oberato dai debiti, litigherà con il musicista, mentre sua moglie lo incontrerà un'ultima volta per ricordargli il loro passato e chiedere 500 fiorini in prestito. Anche Josephine von Brunswick (1779 – 1821), perennemente sorvegliata dalla sorella Therese, ebbe una relazione con il musicista che fu la più duratura: continuò dopo un primo matrimonio con il conte Joseph von Deym, dal quale ebbe tre figli, nel gennaio 1804 e anche dopo un secondo matrimonio, avvenuto nel 1810 con il barone Christoph von Stackelberg, che l'abbandonerà due anni più tardi. Il 9 aprile 1813, con grande scandalo della famiglia, Josephine diede alla luce una bambina, Minona, affidata alla sorella.[N 13]
Un po' più fugaci furono gli incontri con la contessa Anna Maria von Erdödy (1779 – 1837) rimasta paralizzata a causa della perdita del figlio, che rimase comunque sua intima confidente, vivrà in casa sua per qualche tempo nel 1808 e parteciperà alla ricerca di ricchi mecenati per suo conto (le dedicherà le due sonate per violoncello n. 4 e 5), la cantante lirica berlinese Amalie Sebald (1787 – 1846), incontrata a Teplitz tra il 1811 e il 1812, e la contessa Almerie Ersterhazy (1789 – 1848). Nel 1810, con Thérese Malfatti (1792 – 1851), ispiratrice della celeberrima bagatella per pianoforte Per Elisa WoO 59, Beethoven progettò un matrimonio che non andrà in porto, cosa che gli provocherà una delusione profonda.
Un altro evento importante nella vita sentimentale del musicista fu la scrittura della celeberrima lettera all'amata immortale, redatta in tre riprese a Teplitz tra il 6 e il 7 luglio 1812. La destinataria resterà forse per sempre sconosciuta, anche se i nomi di Josephine von Brunswick e soprattutto di Antonia Brentano Birkenstock (1780 – 1869), sposata al senatore di Francoforte Franz von Brentano, che incontrò Beethoven a Vienna e a Karlsbad tra il 1809 e il 1812, sono quelli più accreditati negli studi biografici dei coniugi Massin[22] e di Maynard Solomon[23].
«Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza.»
Il mese di luglio 1812, abbondantemente commentato dai biografi, segnò una nuova svolta nella vita di Beethoven: mentre si sottoponeva alle cure termali nelle località di Teplitz e di Karlsbad redasse l'enigmatica Lettera all'amata immortale e fece un incontro infruttuoso con Goethe con la mediazione di Bettina Brentano von Arnim, giovane ed esuberante intellettuale, entusiasta di Goethe, sorella di Clemens Brentano, cognata di Antonia Brentano e futura moglie del poeta Achim von Arnim. Proprio durante questo incontro, al contrario di Goethe, Beethoven rifiuta l'inchino alla famiglia imperiale, causando così l'indignazione dei passanti. Fu questo l'inizio di un lungo periodo di scarsa ispirazione, che coincise anche con molti eventi drammatici che dovette superare in totale solitudine, avendo lasciato quasi tutti i suoi amici a Vienna durante la guerra del 1809.
L'accoglienza molto favorevole riservata dal pubblico alla settima sinfonia e alla vivace composizione La vittoria di Wellington (dicembre 1813) e alla riproposta, ugualmente trionfale, del Fidelio nella sua versione definitiva (maggio 1814), coincisero con il congresso di Vienna del 1814, dove Beethoven venne esaltato come musicista nazionale e fu in questo periodo che raggiunse l'apice della sua popolarità.[24] Nonostante la sua fama fosse sempre maggiore, Beethoven prendeva coscienza che qualcosa nei gusti musicali della Vienna di quegli anni stava mutando e come il pubblico viennese fosse sempre più sedotto dalla gaiezza della musica di Gioachino Rossini. Inoltre, lo spirito della restaurazione che ispirava Metternich lo mise in una situazione difficile, essendo la polizia viennese da tempo al corrente delle convinzioni democratiche e liberali del compositore.
Sul piano personale, l'evento più importante fu la morte del fratello Kaspar Karl nel 1815, a quel tempo cassiere alla Banca nazionale di Vienna. Beethoven aveva promesso di seguire l'istruzione di suo figlio Karl e dovette far fronte a una serie interminabile di processi contro sua moglie – Johanna Reiß, figlia di un tappezziere, considerata di dubbia moralità – per ottenerne la tutela esclusiva, infine guadagnata grazie a una sentenza del tribunale emessa l'8 aprile 1820.[25] Malgrado l'attaccamento e la buona volontà del compositore, questo nipote diventerà per lui, fino alla vigilia della sua morte, una sorta di tormento. L'altro fratello, Nikolaus Johann, che Ludwig non sopportava, è farmacista a Linz e sposerà dopo una lunga convivenza Therese Obermayer, la figlia di un fornaio.
In questi anni difficili, nel corso dei quali la sordità divenne totale, Beethoven produsse alcuni capolavori: le due sonate per violoncello n. 4 e 5 dedicate alla confidente Maria von Erdödy (1815) la sonata per pianoforte n. 28 (1816) e il ciclo pregnante di Lieder An die ferne Geliebte, (1815-1816), tratto dai poemi di Alois Jeitteles. Mentre la sua situazione finanziaria diventava sempre più preoccupante, Beethoven cadde gravemente malato tra il 1816 e il 1817 e la sordità peggiorava e sembrò vicino al suicidio. Tuttavia, decise di non suicidarsi e sottomettere i suoi sentimenti facendone musica, come traspare dalle sue lettere:[26] sempre più chiuso nell'introspezione e nella spiritualità, cominciò il suo ultimo periodo creativo.
«Nella sua apparenza esteriore tutto è possente, rude, in molti aspetti, come la struttura ossea del viso, della fronte alta e spaziosa, del naso corto e diritto, con i suoi capelli arruffati e raggruppati in grosse ciocche. Ma la bocca è graziosa e i suoi begli occhi parlanti riflettono in ogni istante i suoi pensieri e le sue impressioni che mutano rapidamente, ora graziose, amoroso–selvagge, ora minacciose, furenti, terribili.»
«Trovai nell'uomo, che aveva la cattiva fama di essere persona selvatica e poco socievole, l'artista più splendido, un animo d'oro, uno spirito grandioso e una piacevolezza bonaria. […] Se non avessi saputo, grazie a prove irrefutabili, che Beethoven è il compositore tedesco più grande, profondo e ricco, a me, completamente digiuno di cose musicali, ciò sarebbe apparso in modo incontrovertibile al vedere la sua persona!»
Molti sono i ritratti del compositore realizzati quando era in vita, anche prima che conquistasse la fama a livello europeo. Diversi pittori immortalarono il compositore: era già stato ritratto da Joseph Willibrord Maehler nel 1804-05 e da Johann Cristoph Heckel nel 1815. Il berlinese August von Kloeber lo immortala nel 1818 dandogli quell'aspetto fra l'eroico e il demoniaco che ormai il mito romantico pretendeva di attribuire alla sua figura. In particolare, i capelli spettinati erano piaciuti a Beethoven, che aveva dichiarato di non amare essere ritratto "in ordine come se dovesse presentarsi a corte".[28]
Tra il 1819 e il 1820 l'ungherese Ferdinand Schimon, che aveva già ritratto Ludwig Spohr e Weber, ritrasse Beethoven: ne riprodusse la fronte ampia, il volto pieno e il mento a conchiglia, migliorando la forma del naso e facendogli volgere lo sguardo scrutatore verso spazi lontani e indeterminati (come già Kloeber). Il pittore di re e principesse Joseph Karl Stieler, forse intimidito dal famoso modello, costrinse Beethoven a lunghe ore di posa, immobile, per svariati giorni. L'opera, terminata nell'aprile del 1820, lo rappresenta con la Missa Solemnis. Uno degli ultimi ritratti fu eseguito nel 1823 da Ferdinand Georg Waldmüller, ma se ne è perduto l'originale. Ne resta una copia.
«Voglio dunque abbandonarmi con pazienza a tutte le vicissitudini e rimettere la mia fiducia unicamente nella tua immutabile bontà, o Dio! [...] Sei la mia roccia, o Dio, sei la mia luce, sei la mia assicurazione eterna!»
Beethoven tornò pienamente in forze nel 1817, anno in cui iniziò la scrittura di una nuova opera che sarà la più vasta e complessa composta fino ad allora, la sonata per piano n. 29 op. 106 detta Hammerklavier. La durata superiore ai quaranta minuti e l'esplorazione oltre ogni limite di tutte le possibilità dello strumento, lasciò perplessi i pianisti contemporanei di Beethoven che la giudicarono ineseguibile, ritenendo che la sordità del musicista gli rendeva impossibile una corretta valutazione delle possibilità sonore. Con l'eccezione della nona sinfonia, lo stesso giudizio verrà dato per tutte le restanti opere composte da Beethoven, la cui complessità e modernità di architettura sonora erano ben note allo stesso Beethoven. Dolendosi un po' delle frequenti lamentele dei vari interpreti, nel 1819 dichiarò al suo editore: «Ecco una sonata che darà filo da torcere ai pianisti, quando la eseguiranno tra cinquanta anni».[29]
A partire da allora, chiuso totalmente nella sua infermità, iniziò ad essere circondato da una corte di allievi, ammiratori e servitori che lo adulavano e spesso lo irritavano. Per comunicare con loro usò i quaderni di conversazione scritti direttamente dal musicista o trascritti dai suoi collaboratori, i quali costituiscono un'eccezionale testimonianza dell'ultimo periodo di vita del compositore.
È in questo periodo, precisamente nella primavera del 1818, che Beethoven decise di comporre una grande opera religiosa che inizialmente prevedeva di utilizzare in occasione dell'Incoronazione dell'arciduca Rodolfo, che anelava d'essere elevato a rango di arcivescovo di Olmütz da lì a pochi mesi. Contrariamente alle previsioni, la colossale Missa Solemnis in Re maggiore richiese al musicista quattro anni di duro lavoro (1818-1822) e fu dedicata soltanto nel 1823. Beethoven aveva studiato a lungo le messe di Bach, l'oratorio Messiah di Händel, la polifonia rinascimentale di Palestrina e gli antichi modi gregoriani prima di cimentarsi nella composizione di questa importante opera, della quale nutriva grande considerazione, al punto di ritenere la composizione della Missa Solemnis come «la mia migliore opera, il mio più grande lavoro».
Parallelamente a questo lavoro vennero composte le ultime sonate per pianoforte opere n. 30, 31, 32. Gli restava ancora da comporre l'ultimo capolavoro pianistico: l'editore Anton Diabelli aveva invitato nel 1822 tutti i compositori del suo tempo a scrivere una variazione su un valzer molto semplice nella struttura musicale. Dopo aver inizialmente accantonato il progetto,[30] Beethoven riprese e ampliò il lavoro arrivando a comporre trentatré variazioni sul tema iniziale. Il risultato ottenuto è notevole: le Variazioni Diabelli sono infatti paragonate per grandezza solo alle Variazioni Goldberg, composte da Bach ottanta anni prima.
«Il vostro genio ha superato i secoli e non vi sono forse uditori abbastanza illuminati per gustare tutta la bellezza di questa musica; ma saranno i posteri che renderanno omaggio e benediranno la vostra memoria molto più di quanto possano fare i contemporanei.»
L'inizio della composizione della nona sinfonia coincise con il completamento della Missa Solemnis. Quest'opera ebbe una genesi estremamente complessa che si può fare risalire alla gioventù di Beethoven e all'intenzione di mettere in musica l'ode Inno alla gioia (An die Freude) di Schiller.[N 14] Attraverso l'indimenticabile finale che introduce il coro, l'innovazione nella scrittura sinfonica della Nona sinfonia appare in linea alla Quinta, come l'evocazione musicale del trionfo della gioia e della fraternità universale sulla disperazione e la guerra.
Essa costituisce un messaggio umanista e universale: la sinfonia venne eseguita per la prima volta davanti a un pubblico in delirio il 7 maggio 1824 e Beethoven ritrovò il grande successo. È in Prussia e in Inghilterra, dove la notorietà del musicista era da tempo commisurata alla grandezza del suo genio, che la sinfonia ebbe l'accoglienza più folgorante. Più volte invitato a Londra, come Haydn, Beethoven ebbe la tentazione verso la fine della sua vita di stabilirsi in Inghilterra, paese che ammirava per la sua vita culturale e per la sua democrazia, in contrapposizione alla frivolezza della vita viennese[N 15], ma questo progetto non si realizzò e Beethoven non conobbe mai il Paese del suo idolo Händel. L'influenza di quest'ultimo fu particolarmente sensibile nel periodo tardo di Beethoven, che compose nel suo stile, tra il 1822 e il 1823, l'ouverture Die Weihe des Hauses.
I cinque ultimi quartetti per archi (n. 12, 13, 14, 15 e 16) misero il sigillo finale alla produzione musicale di Beethoven. Con il loro carattere immaginario, che si ricollega a forme vecchie (utilizzo del modo musicale lidio nel n. 15), segnarono la conclusione della sperimentazione di Beethoven nel campo della musica da camera. I grandi movimenti lenti ad alto tasso drammatico (la cavatina del n. 13 e il Canto di ringraziamento alla Divinità di un convalescente, in modo lidio del n. 15) annunciavano l'inizio del periodo romantico. A questi cinque quartetti, composti nel periodo 1824-1826, occorre aggiungere ancora la Grosse Fuge in Si bemolle maggiore op. 133, che era in origine il movimento conclusivo del quartetto n. 13, ma che Beethoven separò in seguito su richiesta dell'editore. Queste composizioni, per il loro elevato grado di complessità e profondità espressiva, sono comunemente annoverate tra i massimi vertici della storia della musica.[31] Il 15 ottobre 1825 il musicista si trasferì nel suo ultimo appartamento viennese, al numero 15 della Schwarzspanierstrasse, in due stanze che facevano parte di quello che era stato un convento degli "spagnoli neri", lungo le mura della capitale austriaca.[N 16]
Alla fine dell'estate 1826, mentre completava il suo ultimo quartetto n. 16, Beethoven progettava ancora numerose opere:[32] una Decima sinfonia della quale sono giunti sino a noi alcuni schizzi, un'ouverture su temi di Bach, il Faust ispirato a Goethe, un oratorio sul tema biblico di Saul e Davide, un altro sul tema degli elementi e un requiem. Il 30 luglio 1826 suo nipote Karl tentò il suicidio sparandosi un colpo di pistola e rimanendo leggermente ferito, giustificando il gesto col fatto di non sopportare più i continui rimproveri dello zio il quale, sconfortato, dopo aver rinunciato alla sua tutela in favore dell'amico Stephan Breuning, lo fece arruolare in un reggimento di fanteria, comandato dal suo amico barone Joseph von Stutterheim. La storia fece scandalo e in attesa che Karl partisse per la sua destinazione a Iglau, in Moravia, zio e nipote andarono a trascorrere una vacanza, ospiti, dietro pagamento, del fratello Nikolaus Johann van Beethoven, a Gneixendorf. Qui Beethoven compose la sua ultima opera, un allegro per sostituire la Große Fuge come finale del quartetto n. 13.
«Egli sa tutto, ma non possiamo ancora capire tutto e passerà ancora molta acqua sotto i ponti del Danubio prima che tutto ciò che quell'uomo ha creato sia compreso dal mondo.»
Ritornato a Vienna il 2 dicembre 1826 su un carro scoperto e in una notte di pioggia, Beethoven contrasse una polmonite bilaterale da cui non poté più risollevarsi; gli ultimi quattro mesi della sua vita furono segnati da un terribile logoramento fisico. La causa diretta della morte del musicista, secondo le osservazioni del suo ultimo medico (il dottor Andras Wawruch) sembra essere la comparsa di una cirrosi epatica. Beethoven presentava un'epatomegalia, un'itterizia, un'ascite (allora chiamata «idropisia addominale») nei diversi ordini dei membri inferiori, elementi di una sindrome cirrotica con ipertensione portale e, costretto perennemente a letto, dovette sottoporsi a un'operazione per rimuovere l'acqua accumulata.[33]
Fino alla fine il compositore restò circondato dai suoi amici tra i quali Anton Schindler e Stephan von Breuning, oltre alla moglie del fratello Johann e al musicista Anselm Huttenbrenner, che fu l'ultima persona a vederlo in vita. Alcune settimane prima della morte avrebbe ricevuto la visita di Franz Schubert,[N 17] che non conosceva e si rammaricava di avere scoperto così tardi. È al suo amico, il compositore Ignaz Moscheles, promotore della sua musica a Londra, che invia la sua ultima lettera nella quale promette nuovamente agli Inglesi di comporre, una volta guarito, una nuova sinfonia per ringraziarli del forte sostegno.[34] Tuttavia, era troppo tardi.
Il 3 gennaio 1827 fa testamento, nominando il nipote Karl suo erede: il 23 marzo riceve l'estrema unzione e il giorno dopo perde conoscenza. Morì il 26 marzo, all'età di 56 anni. Nonostante Vienna non si occupasse più della sua sorte da mesi, i suoi funerali, svoltisi il 29 marzo, riunirono una processione impressionante di almeno ventimila persone. L'orazione funebre venne pronunciata da Franz Grillparzer. Venne inizialmente sepolto nel cimitero di Wahring, a ovest di Vienna. Nel 1863 il corpo di Beethoven venne riesumato, studiato e di nuovo sepolto.
Il suo teschio venne acquisito dal medico austriaco Romeo Seligmann per ricavare un modello, tuttora conservato al Center for Beethoven Studies presso l'università statale di San Jose in California, mentre I suoi resti vennero sepolti nel Zentralfriedhof nel 1888. Il suo segretario e primo biografo Anton Felix Schindler,[N 18] nominato custode dei beni del musicista, dopo la sua morte distruggerà una grandissima parte dei Quaderni di conversazione e in quelli rimasti aggiungerà arbitrariamente frasi scritte di sua mano. La distruzione venne giustificata con il fatto che molte frasi erano attacchi grossolani e sfrenati ai membri della famiglia imperiale, contro l'imperatore e anche contro il principe ereditario, diventato anch'egli imperatore e con il quale aveva mantenuto rapporti stretti di amicizia, nonostante per gran parte della sua vita Beethoven fosse stato in costante rivolta contro le autorità costituite, le norme e le leggi.
Negli anni che seguirono la sua morte furono formulate diverse ipotesi riguardanti una malattia di cui Beethoven avrebbe sofferto durante tutto l'arco dell'esistenza – indipendentemente dalla sordità, il compositore lamentava continui dolori addominali e disordini alla vista – e attualmente tendono a stabilirsi al livello di un saturnismo cronico o intossicazione severa da piombo.[35] Il 17 ottobre 2000, 173 anni dopo la morte del compositore, fu il dottor William J. Walsh, direttore del progetto di ricerca su Beethoven (Beethoven Research Project), a rivelare questa ipotesi come causa probabile del decesso. Beethoven, grande degustatore del vino del Reno, aveva l'abitudine di bere da una coppa di cristallo di piombo, oltre ad aggiungere un sale piomboso per rendere il vino più dolce.
Dai risultati delle analisi sui suoi capelli furono riscontrati importanti quantità di piombo e questi risultati sono stati confermati dall'Argonne National Laboratory, nei pressi di Chicago, grazie a ulteriori analisi di frammenti del cranio, identificati grazie al DNA. La quantità di piombo rilevata era effettivamente il segnale di un'esposizione prolungata.[36] Questa intossicazione di piombo fu la causa dei perpetui dolori al ventre che segnarono la vita di Beethoven, nonché dei suoi numerosi e repentini sbalzi d'umore e, forse, anche della sua sordità. Non ci sono comunque legami formali stabiliti e provati tra la sordità di Beethoven e la sua intossicazione da piombo; in seguito all'autopsia, eseguita il giorno dopo la sua morte, risultò che il nervo acustico del musicista era completamente atrofizzato, pertanto nessuna cura dell'epoca poteva essere efficace.
Il 30 agosto 2007 il patologo, ricercatore e medico legale viennese Christian Reiter rese pubblica la scoperta delle sue ricerche su due capelli del musicista. Secondo Reiter, Beethoven venne ucciso involontariamente dal suo medico Andras Wawruch durante uno dei quattro drenaggi ai quali fu sottoposto; venne ferito con un bisturi e per curare al meglio la ferita il medico usò un unguento al piombo, che veniva usato nell'Ottocento come antibatterico.[37]
Le sue opere autografe, comprese in sessantadue volumi e corrette da lui stesso, furono lasciate in testamento dall'arciduca cardinale Rodolfo alla Società veronese de' Filarmonici che le conservarono dal 1839.[38]
Frontespizio originale con dedica della prima edizione dello spartito della Sonata per pianoforte n. 32 opus 111
Le opere di Beethoven sono conosciute sotto varie designazioni:
Altri musicologi hanno inoltre catalogato l'opera di Beethoven:
Beethoven è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi compositori della musica occidentale. Egli rimase aderente alle forme e ai modelli del classicismo, tuttavia il suo stile, estremamente variegato e complesso, esercitò un'influenza fondamentale sull'intero diciannovesimo secolo. Haydn trovandosi a discorrere della sua personalità di compositore, ebbe a dirgli:
«Voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime.[39]»
Beethoven ha scritto opere in molti generi musicali e per una grande varietà di combinazioni di strumenti. Le sue opere per orchestra sinfonica includono nove sinfonie (con un coro nella nona), sette concerti per uno o più solisti e orchestra, due romanze per violino e orchestra, un rondò per pianoforte e orchestra, una fantasia per pianoforte, soli, coro e orchestra e un balletto, Le creature di Prometeo.
La sua unica opera lirica è il Fidelio; altri lavori vocali con accompagnamento strumentale annoverano, fra le varie composizioni, due messe, l'oratorio Cristo sul Monte degli Ulivi e varie musiche di scena.
Moltissime le composizioni per pianoforte, di cui trentadue sonate per pianoforte e numerosi arrangiamenti (per pianoforte solo o a quattro mani) di altre sue composizioni. L'accompagnamento pianistico è previsto in 10 sonate per violino, 5 sonate per violoncello e una sonata per corno francese, insieme a numerosi lieder.
Beethoven ha scritto anche una quantità rilevante di musica da camera. Oltre a 16 quartetti per archi, scrisse 5 composizioni per quintetto d'archi, sette per trio con pianoforte, cinque per trio d'archi e più di una dozzina di lavori per vari gruppi di strumenti a fiato.
Dal punto di vista della forma musicale, l'opera di Beethoven influenzò profondamente l'evoluzione del modello della forma-sonata, in particolare per quello che riguarda lo sviluppo tematico nel primo movimento. È stato uno dei primi compositori a fare uso sistematico e consistente del collegamento di dispositivi tematici, o "motivi in germe" (germ-motives), per realizzare l'unità di un movimento nelle composizioni maggiori. Ugualmente notevole è l'uso di "motivi base" (source-motives) che ricorrono in molte composizioni e che danno una certa unitarietà alla sua opera. Nelle sue opere sia cameristiche sia orchestrali, spesso sostituì il minuetto con lo scherzo. Complessivamente la sua figura è di transizione: la sua opera contiene elementi sia romantici sia tipicamente classicisti.[4][5]
Wilhem von Lenz propose una ripartizione stilistica ancora in uso della carriera di compositore di Beethoven in tre "periodi" creativi:
Benché possa risultare alquanto problematico distinguere nettamente i confini tra un periodo e l'altro, la tripartizione è accolta da molti studiosi. Nel primo periodo, subì l'influenza di Haydn e Mozart, come spiegato nella sezione Le influenze. Il periodo mediano cominciò subito dopo la crisi personale del compositore centrata intorno allo sviluppo della progressiva sordità, distinguendosi per un approccio energico ed "esplosivo" alla composizione. Infine il periodo tardo è caratterizzato da lavori che mostravano profondità intellettuale, un'alta e intensa personalità espressiva ed innovazioni formali.
Decisamente contrario a tale divisione dell'opera beethoveniana fu il filosofo e musicologo Theodor Wiesengrund Adorno: esistono aspetti armonici, ritmici e melodici comuni ai tre cosiddetti periodi perfino in opere definite minori o di apprendistato. Per esempio, l'inizio della seconda sinfonia che anticipa il famoso incipit della nona, nel materiale tematico e, più profondamente, nel colore. Inoltre, Adorno dimostrò come il contrappunto, anima delle ultime definitive opere, sia la profonda caratteristica del pensiero compositivo beethoveniano fin dall'opus 1; per questo questa suddivisione rischia di falsare l'intera opera beethoveniana. Si può dividere la produzione del compositore in tre periodi solamente considerando i caratteri e gli atteggiamenti psicologici e non quelli musicali, secondo Adorno.
Nella storia musicale, l'opera di Beethoven rappresenta un momento di transizione: se le sue prime opere sono influenzate da Haydn o Mozart, le opere mature sono ricche di innovazioni e hanno aperto la strada ai musicisti del secondo Romanticismo, quali Brahms, Wagner e Bruckner ma anche Mahler e Janáček, quest'ultimi appartenenti al periodo "decadente":
Sul piano della tecnica compositiva, l'impiego di motivi che alimentino interi movimenti è considerato un apporto fondamentale. Di essenza squisitamente ritmica – cosa che costituisce una grande novità – questi motivi si modificano e si moltiplicano. Tra i più famosi:
Beethoven dedicò gran cura all'orchestrazione. Negli sviluppi alcune associazioni cangianti di strumenti, specialmente al livello dei legni, permettono d'illuminare in maniera singolare i ritorni tematici, talvolta anche leggermente modificati sul piano armonico. Le variazioni di tono e di colore rinnovano il discorso musicale, sempre conservando il riferimento ai temi nella forma originaria. Le opere di Beethoven vennero apprezzate in particolare in virtù della loro forza emozionale, che verrà fatta propria dal Romanticismo.
Le prime influenze musicali esercitate sul giovane Beethoven non furono tanto quelle di Haydn e di Mozart – dei quali, eccettuate poche partiture[40] non scoprì davvero la musica fin quando non giunse a Vienna – quanto lo stile galante della seconda metà del XVIII secolo e dei compositori della scuola di Mannheim, di cui poté ascoltare le opere a Bonn, alla corte del principe elettore Maximilian Franz d'Asburgo. Le opere di questo periodo che ci sono pervenute (nessuna delle quali appariva nel catalogo opus), composte fra il 1782 e il 1792, testimoniano già una rimarchevole padronanza della composizione; ma sono assenti i caratteri peculiari di Beethoven che troviamo nel periodo viennese.
Nelle sonate all'elettore WoO 47 (1783), nel concerto per pianoforte WoO 4 (1784) o ancora nei quartetti con pianoforte WoO 36 (1785), si svela soprattutto una forte influenza dello stile galante di compositori come Johann Christian Bach. Due altri membri della famiglia Bach costituiscono d'altronde lo zoccolo della cultura musicale del giovane Beethoven: Carl Philipp Emanuel, di cui eseguì le sonate e Johann Sebastian, di cui imparò a memoria le due raccolte de Il clavicembalo ben temperato.
Occorre distinguere nell'influenza di Mozart su Beethoven un aspetto estetico e un aspetto formale:
Nell'ambito della musica per pianoforte, è soprattutto l'influenza di Muzio Clementi a esercitarsi rapidamente su Beethoven dal 1795 e a permettere alla sua personalità di affermarsi e fiorire autenticamente. Se tale influenza non è stata altrettanto profonda come quella delle opere di Haydn, la portata delle sonate per pianoforte del celebre editore non appare meno vasta nell'evoluzione stilistica di Beethoven. Infatti, dagli anni 1780, Clementi sperimenta un nuovo impiego di accordi fino ad allora inusitati: le ottave, le seste e le terze parallele (che il compositore italiano aveva a sua volta ripreso dalle sonate di Domenico Scarlatti, artista a sua volta conosciuto e apprezzato da Beethoven). Clementi arricchisce anche sensibilmente la scrittura pianistica, dotando lo strumento di una potenza sonora inedita, che deve aver certamente impressionato il giovane Beethoven: egli infatti, dopo le prime tre sonate, integrerà presto il procedimento di Clementi nel proprio stile. Inoltre l'uso delle indicazioni dinamiche nelle sonate di Clementi si estende: pianissimo e fortissimo divengono frequenti e la loro funzione espressiva assume un'importanza considerevole. Anche in questo caso Beethoven coglie al volo le possibilità dischiuse da queste innovazioni e, dalla Patetica, questi principi appaiono definitivamente incorporati nel suo stile.
Un altro punto in comune fra le prime sonate di Beethoven e quelle, contemporanee o anteriori, di Clementi è la loro estensione, piuttosto significativa per l'epoca: i lavori che ispirano il giovane musicista sono in effetti opere di vasto respiro, spesso formate da ampi movimenti. Vi si trovano le premesse di una nuova visione dell'opera musicale, ormai concepita per essere unica. Le sonate per pianoforte di Beethoven sono note per essere state in qualche modo il suo «laboratorio sperimentale», quello dal quale traeva le nuove idee che estendeva in seguito ad altre forme musicali, come la sinfonia: infatti, come rimarca Marc Vignal,[41] si trovano ad esempio importanti influenze delle sonate op. 13 n. 6 e op. 34 n. 2 di Clementi nell'Eroica.
Assimilate le influenze «eroiche», intrapreso davvero un «nuovo cammino»[42] nel quale sperava di impegnarsi, affermata definitivamente la propria personalità attraverso le realizzazioni di un periodo creativo che va dall'Eroica alla settima, Beethoven smise di interessarsi alle opere dei contemporanei, e di conseguenza cessarono le loro influenze.
Fra i contemporanei solo Cherubini e Schubert lo incantavano ancora; ma in nessun modo pensava di imitarli. Sprezzando l'intera opera italiana e disapprovando fermamente il nascente Romanticismo, Beethoven sentì allora il bisogno di volgersi ai «pilastri» storici della musica: Bach, Händel e Palestrina. Fra queste influenze, il posto di Händel è privilegiato: questi non ebbe indubbiamente mai ammiratore più fervido di Beethoven, che (riferendosi alla sua intera opera, che aveva appena ricevuto) esclamò «Ecco la verità!», e che, al termine della vita, dichiarò di volersi «inginocchiare sulla sua tomba».
Dall'opera di Händel, la musica dell'ultimo Beethoven prende spesso un aspetto grandioso e generoso, tramite l'utilizzo di ritmi puntati – come nel caso dell'introduzione della sonata per pianoforte n. 32, nel primo movimento della nona sinfonia o ancora nella seconda variazione su un tema di Diabelli – o anche per un certo senso dell'armonia, così come mostrano le prime misure del secondo movimento della sonata per pianoforte n. 30, interamente armonizzata nello stile händeliano più puro.
Allo stesso modo è l'inesauribile vitalità che caratterizza la musica di Händel ad affascinare Beethoven, che può essere ritrovata anche nel fugato corale in «Freude, schöner Götterfunken», che segue il celebre «Seid umschlungen, Millionen», nel finale della nona sinfonia: il tema che appare qui, bilanciato da un forte ritmo ternario, è sostenuto da una vivacità tipicamente Händeliana, perfino nei suoi gravi contorni melodici. Un nuovo passo viene fatto con la Missa Solemnis, dove l'impronta delle grandi opere corali di Händel si fa sentire più che mai. Beethoven è così assorbito dall'universo del Messiah da ritrascrivere, nota per nota, uno dei più celebri motivi dell'Halleluja nel Gloria. In altre opere si ritrova il nervosismo che riveste i ritmi puntati di Händel perfettamente integrato allo stile di Beethoven, come nell'effervescente Große Fuge o ancora nel secondo movimento della sonata per pianoforte n. 32, dove questa influenza si vede poco a poco trasfigurata.
Lo studioso inglese di musica antica Basil Lam ha altresì notato come Beethoven, nel suo ultimo periodo, abbia accentuato in maniera esponenziale il proprio interesse sia per la musica rinascimentale che per quella medievale, arrivando ad integrare nelle opere conclusive alcuni procedimenti stilistici delle rispettive epoche dopo essere entrato in contatto con importanti trattati di teoria musicale.[43] Nell'approfondire questo aspetto, Lam ha inizialmente preso in esame la parte finale del terzo movimento del Quartetto n. 15, il cosiddetto Heiliger Dankgesang (Inno di ringraziamento alla Divinità di un convalescente, scritto in modo lidio), rimarcando come Beethoven sia riuscito a raggiungere nella sua personale fusione di elementi un risultato che trascende ogni categorizzazione e collocazione temporale e che rappresenta il culmine di un approccio compositivo "universale" iniziato secoli prima:[43]
«La polifonia qui è stata chiamata medievale, ma questa descrizione non è né accurata né adeguata per la distanza di questa musica da tutti gli stili storici. Beethoven riscopre intuitivamente le forti dissonanze diatoniche dell'Ars Antiqua del tredicesimo secolo, combinate con un contrappunto disarmonico in cui le parti si attraversano come un tenore ed un controtenore all'inizio del quindicesimo secolo, muovendosi in eterofonia, in contrasto con gli stili classici, come se il concetto di triade e delle sue inversioni appartenesse ad un'epoca futura. È un miracolo dell'arte per Beethoven conseguire, nel suo inno visionario, la perfezione e la naturalezza inspiegabili di un compositore il cui lavoro è stato il culmine di uno stile universale già stabilito da Dunstable e trasmesso da grandissimi maestri come Dufay e Ockeghem.[43]»
Nei quaderni di conversazione di Beethoven compaiono dettagli molto significativi in merito alla sua impostazione nella scrittura della Missa Solemnis, che dimostrano il suo desiderio di volersi riallacciare alle tradizioni più antiche della musica sacra.[43] Lam ha scritto che in quel periodo Beethoven "era profondamente interessato negli stili arcaici, ricordandosi nei suoi appunti di studiare il canto gregoriano dei monaci, ed includendo negli abbozzi dei quaderni temi tratti dalle messe di Palestrina e melodie gregoriane come Le lamentazioni di Geremia e Pange Lingua."[43] Si sa inoltre che nel 1820, ormai impegnato nella lavorazione della messa, lesse integralmente gli influenti trattati rinascimentali Dodekachordon di Glareano, incentrato sulla spiegazione e l'utilizzo storico dei modi ecclesiastici, e le Istitutioni Harmoniche di Gioseffo Zarlino; quest'ultimo offre una descrizione specifica del modo musicale dorico, presentandolo come "casto", in quanto collegato alla devozione verso la Vergine Maria radicata nella tradizione dei compositori medievali e in misura minore, anche rinascimentali (principalmente quelli appartenenti alla scuola franco-fiamminga).[43] Proprio da questo argomento sarebbe scaturita la decisione finale di Beethoven di adottare questo modo nella sezione del Credo della messa, ponendo enfasi in particolare nella parte del testo che recita Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, con l'obiettivo di conferire alla composizione un'architettura sonora più "contemplativa".[43]
Lo stesso Beethoven menziona in una lettera la sua assoluta preferenza per lo stile a cappella (senza strumenti) di Giovanni Pierluigi da Palestrina, ma l'impossibilità nel poterlo imitare:[44]
«La musica da chiesa pura dovrebbe essere eseguita esclusivamente dalle voci, senza forze orchestrali, eccetto per il Gloria o un testo simile. Per questa ragione preferisco di gran lunga Palestrina. Ma è una follia imitarlo senza avere il suo genio e le sue visioni religiose; sarebbe estremamente difficile, se non impossibile, eseguire per i cantanti di oggi le sue note lunghe in maniera sostenuta.[44]»
Il musicologo e saggista Maynard Solomon evidenzia perfino un singolare esempio di antichità classica nella fase conclusiva del periodo "eroico" dell'opera beethoveniana:[45] il ritmo e la struttura armonica della settima sinfonia sono infatti modellati sulle unità metriche caratteristiche della prosodia della poesia greca e latina quali dattili e spondei.[45] Secondo Solomon questo dimostra che per Beethoven "il classico non era mai stato ignorato o perduto nell'intento artistico, ma giaceva sotto la cenere, aspettando solo la forza di un atto creativo che lo risvegliasse e che mettesse in moto il suo potere di trasformazione".[45] In questo senso la settima sinfonia diventa "una grandiosa metafora del ritmo delle stagioni, di vita e di morte, della mobilità temporale dei suoni e della vita che viene alla luce dopo l'oblio storico del mondo".[45]
Il compositore aggiunse alla sua musica una formazione culturale di impronta illuministica, kantiana in particolare.[46] Dal filosofo, Beethoven trasse la concezione dell'esistenza, nella coscienza individuale, di una legge morale, espressa nella forma dell'imperativo categorico. Egli mise allora il risultato della propria essenziale attività, la musica, al centro della morale, inserendovi valori ideali, arricchendola di una forza emotiva che esprimesse il movimento dei sentimenti e i conflitti interiori. Dallo stesso autore dei Fondamenti metafisici della scienza della natura annotò questo passo: «Nell'anima, come nel mondo fisico, agiscono due forze, egualmente grandi, ugualmente semplici, desunte da uno stesso principio generale: la forza di attrazione e quella di repulsione» che lo portarono a individuare per analogia il Widerstrebende Prinzip e il Bittende Prinzip, ossia il "principio di opposizione" e il "principio implorante", principi che nella sua opera divengono temi musicali in conflitto reciproco, il primo robustamente caratterizzato da energia ritmica e precisa determinazione tonale, l'altro piano, melodico e modulante.
Il ruolo svolto dalla religione nell'opera del compositore Ludwig van Beethoven è materia di discussione tra gli studiosi. Beethoven nacque, crebbe e morì cattolico e compose alcuni lavori sacri cattolici, tra cui la messa in do e la Missa Solemnis. I riferimenti lirici nella sua nona sinfonia sono sia deistici (Cherubino, Dio) sia pagano-mitologici (Eliseo). È anche documentato che Beethoven non andava abitualmente in chiesa e che non avesse una buona opinione dei preti. Il suo maestro, Franz Joseph Haydn, disse di considerare Beethoven un ateo, mentre il suo amico e biografo Anton Felix Schindler riteneva che avesse una certa tendenza al deismo. Si sa anche che fu affascinato dal panteismo descritto da Goethe e da Schiller (come è evidente nella Nona Sinfonia). Di Goethe, Beethoven ha detto: «Egli è vivo, e vuole che tutti noi viviamo con lui. Questo è il motivo per cui può esser messo in musica».
La fede di Beethoven in Dio, sperimentato attraverso l'arte, è un tema ricorrente nei quaderni di conversazione, e la sua convinzione che l'arte è di per sé una forza, e che "Dio è più vicino a me che a molti altri che praticano la mia arte", lo guidò nella sua ricerca di redenzione attraverso la musica e dentro di essa. Questa visione sembra compatibile con il panteismo, ma il riferimento a un unico Dio, oltre alla convinzione di un destino buono per la sua vita, al di là delle prove (come emerge dal testamento di Heiligenstadt), la rende avvicinabile anche al cristianesimo. Quando Beethoven si trovava nel suo letto, a poche ore dalla morte, i suoi amici lo convinsero a permettere che un prete gli amministrasse gli ultimi riti; probabilmente protestò, ma alla fine acconsentì. Quando il prete, terminati i riti, stava lasciando la stanza, Beethoven disse: «Plaudite, amici, comoedia finita est» (applaudite, amici, la commedia è finita), ma non è chiaro se si riferisse ai riti o alla sua vita. Non è neanche certo che questo episodio sia accaduto davvero.
Si racconta inoltre che le sue ultime parole, «Non ancora! Ho bisogno di più tempo», furono dette indicando con la mano il cielo tempestoso.[47] Beethoven si interessò anche all'Induismo. Come si legge nel sito A Tribute to Hinduism, «Il primo a fargli conoscere la letteratura indiana fu l'orientalista austriaco Joseph von Hammer-Purgstall (1774 – 1856), che fondò una rivista per la divulgazione della sapienza orientale in Europa nel gennaio 1809».[48] I frammenti di testi religiosi indiani che sono stati scoperti nel diario di Beethoven Tagebuch sono in parte traduzioni e in parte adattamenti delle Upaniṣad e del Bhagavadgītā.
Beethoven ebbe diversi pianoforti nel corso della sua vita di compositore. Le sue prime opere del periodo viennese furono scritte per fortepiano, strumento della fine del XVIII secolo che differiva dai pianoforti successivi in quanto meno sonoro, più lento nell’esecuzione e sprovvisto di pedali. Il 19 novembre 1796 Beethoven scrisse una lettera a Johann Andreas Streicher, il marito di Nannette Stein, costruttrice, con il padre, di pianoforti: «Ho ricevuto il tuo fortepiano l'altro ieri. È davvero meraviglioso, chiunque altro vorrebbe averlo per sé»[49] Il musicista utilizzò il fortepiano di Stein durante un concerto tenuto a Bratislava. Uno dei primi pianoforti moderni da lui utilizzati fu proprio uno strumento prodotto dalla fabbrica di Johann Andreas Stein, costruttore tedesco di Augusta; si ritiene che un pianoforte Stein fosse stato donato al musicista dal conte Waldstein, uno dei suoi primi e assidui mecenati e dedicatario della sonata op. 53.[50]
Come ricorda Carl Czerny, nel 1801 Beethoven aveva a casa sua un pianoforte realizzato da Anton Walter.[51] Nel 1802 il compositore domandò al suo amico Nikolaus Zmeskall di chiedere a Walter di costruirgli un pianoforte provvisto di pedale una corda.[52] Nel 1803 Beethoven ricevette in dono un pianoforte a coda Érard dallo stesso costruttore; ma, come ha scritto Newman: «Beethoven era scontento di questo strumento sin dall'inizio, in parte perché il compositore trovava la sua meccanica inglese incurabilmente pesante»[53]
Altro pianoforte di Beethoven fu un Broadwood a sei ottave, un regalo di Thomas Broadwood del 1818;[54] Beethoven lo tenne a casa sua a Schwarzspanierhaus fino alla sua morte nel 1827.[55] Successivamente lo strumento entrò in possesso di Franz Liszt ed è ora nel Museo Liszt di Budapest.
L'ultimo strumento di Beethoven fu un pianoforte Graf a quattro corde[56] di sei ottave e mezzo che ebbe in prestito dal costruttore nel 1826; Conrad Graf stesso ha confermato di averlo prestato a Beethoven e poi, dopo la morte del compositore, di averlo venduto alla famiglia Wimmer.[57] Nel 1889 lo strumento è stato acquisito dalla Beethovenhaus di Bonn.
La produzione di Beethoven, e specialmente quella sinfonica, seguì il criterio dell'assoluta qualità rispetto alla quantità, e ciò ne ha determinata l'esigua estensione, se rapportata a quella di compositori a lui precedenti: ad esempio, Haydn ha composto più di cento sinfonie, Mozart più di quaranta. Rispetto a questi, Beethoven non è stato altrettanto prolifico, componendo solo nove sinfonie e lasciando alcuni abbozzi per una decima sinfonia mai realizzata; tra l'altro, tra l'ottava e la nona sinfonia passarono quasi dodici anni, circa il triplo del tempo occorso a Haydn per comporre le sole sinfonie londinesi. A riprova di questa considerazione basta prendere in esame l'intera produzione compositiva di Beethoven raffrontandola a quelle di altri compositori: ad esempio, la produzione complessiva di Mozart consta di oltre seicento opere (il Catalogo Köchel giunge fino all'opera K 626), il Catalogo Hoboken di Haydn ne conta oltre 750, Johann Sebastian Bach superò abbondantemente le mille composizioni anche solo contando quelle conservate; dal canto suo Beethoven, seppur vissuto oltre vent'anni più di Mozart e solo una dozzina d'anni meno di Bach, ha lasciato un catalogo di opere che arriva fino al numero 138 (Catalogo Kinsky/Halm).
Al di là della produzione sinfonica, Beethoven si cimentò nelle ouvertures, nelle romanze e in varie tipologie di musica orchestrale, come minuetti e danze; compose sette concerti e numerose cadenze per concerti propri e altrui, scrisse musica per banda e sperimentò l'inclusione dei cori nella musica orchestrale, prima con la Fantasia corale op. 80, poi con il celeberrimo finale della Sinfonia n. 9. A lato Beethoven, prodigioso pianista sin da bambino, compose e pubblicò numerose sonate, variazioni e musica varia per pianoforte, oltre a musica da camera, un oratorio, due messe e un'opera lirica.
Le nove sinfonie di Beethoven quindi, pur non essendo molte, hanno però ognuna una propria forza distintiva e nel loro insieme formano un corpus di opere dalla forza espressiva difficilmente eguagliabile. È cosa nota che, curiosamente, diversi compositori succeduti a Beethoven, romantici o post-romantici, abbiano completato l'insieme delle proprie sinfonie fermandosi alla nona; a seguito di questi avvenimenti è nato il mito della "maledizione della nona", che avrebbe investito compositori come Bruckner, Dvořák, Mahler, Schubert, ma anche Ralph Vaughan Williams.[58][N 19]
Le prime due sinfonie di Beethoven sono d'ispirazione e d'impostazione classica. Diversamente da queste prime due, La terza sinfonia, detta «Eroica», segnerà invece un grande cambiamento nella composizione sinfonica. L'Eroica si caratterizza per l'ampiezza dei suoi movimenti e per l'orchestrazione. Il primo movimento era già da solo più lungo delle maggior parte delle sinfonie intere scritte fino a quel momento. Quest'opera monumentale, in partenza scritta per Napoleone, prima che fosse incoronato imperatore, ci mostra un Beethoven simile a un grande "architetto musicale" e rimarrà come esempio per il Romanticismo musicale. Nell'intenzione dell'autore l'opera non è semplicemente il ritratto di Napoleone o di un qualsivoglia eroe, ma in essa Beethoven voleva rappresentare l'immortalità delle gesta compiute dai grandi uomini; questi suoi pensieri ci sono giunti dalle lettere scritte di suo pugno.[59]
Vengono poi la quinta sinfonia e la sesta sinfonia. Della quinta è noto il suo famoso motivo a quattro note, spesso detto «del destino» (il compositore avrebbe detto, parlando di questo celebre tema, che rappresenta «il destino che bussa alla porta») utilizzato ripetutamente con variazioni in quasi tutta la sinfonia. La sesta sinfonia detta «Pastorale» evoca perfettamente l'idea della natura di Beethoven. Ha un carattere quasi impressionistico: oltre a momenti sereni e trasognati, la sinfonia possiede un movimento in cui la musica cerca di rappresentare una tempesta. La settima sinfonia è caratterizzata dal suo aspetto gioioso e dal ritmo frenetico del suo finale, per questo giudicata da Richard Wagner come «apoteosi della danza».[60]
La sinfonia successiva, brillante e spirituale, ritorna a una forma più classica. Infine, la nona sinfonia è l'ultima sinfonia compiuta. Lunga più di un'ora, è una sinfonia corale in quattro movimenti. All'ultimo movimento Beethoven aggiunge un coro e un quartetto vocale che cantano l'Inno alla gioia, dall'ode omonima (An die Freude) di Friedrich Schiller. Quest'opera richiama all'amore e alla fratellanza tra tutti gli uomini e fa ora parte del patrimonio mondiale dell'UNESCO. L'Inno alla gioia è inoltre stato scelto come inno ufficiale dell'Unione europea.
Beethoven fu uno dei più importanti compositori per il pianoforte; al di là della qualità delle sue sonate, la sua scrittura prende origine dai modelli mozartiani e haydniani per poi elaborare una forma originale di grande libertà creativa. Il compositore si interessò attentamente, nel corso della sua esistenza, a tutti gli sviluppi tecnici dello strumento al fine di sfruttarne tutte le possibilità.
Beethoven ha pubblicato trentadue sonate per pianoforte; a queste bisognerebbe aggiungere la sonata incompleta woO 51, le tre sonate WoO 47, composte probabilmente nel 1783 e dette sonate all'elettore (Kurfürstensonaten) in quanto dedicate al principe elettore Maximilian Friedrich von Königsegg-Rothenfels. Per quanto riguarda le trentadue sonate con numero d'opera, la loro composizione avviene nell'arco di circa vent'anni. Questo corpus compositivo, in modo più evidente rispetto alle sinfonie, evidenzia l'evoluzione dello stile del compositore nel corso degli anni. Le sonate nel corso degli anni si affrancano sempre più dai dettami classici previsti dalla forma sonata; gradualmente le composizioni guadagnano sempre più libertà di scrittura e diventano sempre più complesse.
Si possono citare fra le più celebri l'Appassionata e la Waldstein (1804) o Gli addii (1810). Nella celebre Hammerklavier (1819), lunghezza e difficoltà tecniche raggiungono livelli del tutto inusitati. Essa fa parte delle cinque ultime sonate, nelle quali l'autore utilizza per i movimenti conclusivi tipologie più consone al quartetto d'archi che alla sonata per piano come la fuga (finale op. 101, 106 e 110) e la variazione (finale op. 109 e 111); in questi ultimi due brani, in particolare, al dinamismo tipico del periodo "eroico" subentra una calma estatica e apparentemente atemporale.
Beethoven scrisse otto serie di variazioni per pianoforte di varia importanza, di cui quattro furono pubblicate: 6 variazioni su di un tema originale in Fa maggiore op. 34 (variazioni su Le rovine di Atene), le 15 variazioni e fuga sul tema di un movimento dell'op. 43 (utilizzato e rielaborato nel finale dell'Eroica) in Mi bemolle maggiore, op. 35, le 6 variazioni su di un tema originale in Re maggiore op. 76 e le variazioni Diabelli. Nel 1822, l'editore e compositore Anton Diabelli ebbe l'idea di pubblicare una raccolta di variazioni di alcuni dei compositori maggiori della sua epoca intorno ad un tema musicale di sua composizione. Beethoven, che non aveva scritto per piano da tempo, sollecitato, stette al gioco, e invece di scrivere una variazione, ne scrisse trentatré, che furono pubblicate in un fascicolo a parte e oggi sono conosciute come variazioni Diabelli.
A fianco dei quartetti, Beethoven scrisse delle sonate per violino e pianoforte, le prime delle quali sono retaggio immediato di Mozart, mentre le ultime se ne discostano per apparire in puro stile beethoveniano: specialmente la Sonata a Kreutzer, quasi un concerto per pianoforte e violino. L'ultima sonata della serie (la Sonata per violino n. 10) riveste un carattere più introspettivo delle precedenti, prefigurando in tal senso gli ultimi quartetti d'archi.
Beethoven è l'autore di un'unica opera, il Fidelio, composizione alla quale terrà particolarmente e forse quella che più di ogni altra gli costò sforzi. In effetti quest'opera è costruita sulla base di un primo tentativo che ha per titolo Leonore, opera che non riscosse molto successo nel pubblico. Ne rimangono comunque le tre versioni d'ouverture di Leonore, essendo spesso la terza interpretata prima del finale di Fidelio. L’opera è anche oggetto di grande interesse da parte dei critici, oltre per la partitura, anche per essere stata la rivelazione fondamentale nella vita del più grande ammiratore di Beethoven, Richard Wagner, il quale raccontò nella sua biografia di aver compreso che sarebbe divenuto compositore dopo averla ascoltata, lasciando la vocazione di scrittore in secondo piano.
La filmografia su Beethoven si può agevolmente dividere in due parti distinte. La prima riguarda le colonne sonore dei film che utilizzano musiche del compositore, la seconda riguarda il personaggio di Beethoven e la sua vita (o parti di essa) trasposta in maniera più o meno romanzata. Per quanto riguarda le colonne sonore, sono oltre duecentosettanta le pellicole che hanno utilizzato la sua musica.
L'esempio più celebre con ogni probabilità lo si trova in Arancia meccanica di Stanley Kubrick (1971) dove Alex DeLarge, il protagonista, violento e asociale e grande appassionato di Beethoven (conclude le sue serate "brave" con l'ascolto del secondo movimento della nona sinfonia) viene sottoposto alla "Cura Ludovico", ossia la visione ininterrotta di filmati raffiguranti scene raccapriccianti e violente, attraverso le quali, con l'aiuto di un condizionamento chimico, il protagonista riuscirà a redimere i suoi impulsi, provando disgusto per la violenza. Uno dei filmati, ambientati in un campo di concentramento, porta come accompagnamento musicale il quarto movimento della nona sinfonia (l'Inno alla Gioia) che in seguito non riuscirà più ad ascoltare senza poter evitare che questi provochi in lui nausea e panico.
Un altro celebre esempio lo si trova nei film d'animazione Fantasia (1940) di Walt Disney dove viene utilizzata la sinfonia n. 6 Pastorale per rappresentare un'idilliaca scena mitologica, e in Fantasia 2000, dove il celeberrimo primo movimento della Sinfonia n. 5 fa da sfondo alla eterna battaglia fra bene e male, qui rappresentati da farfalle rosse e nere. Inoltre, nel film commedia di grande successo Beethoven (1992) di Brian Levant il protagonista, un cane di razza San Bernardo adottato da una famiglia statunitense e al centro di numerose avventure, viene chiamato con il cognome del compositore. Nel film, quando per il cane viene scelto il nome di Beethoven, partono le prime note della quinta sinfonia insieme a un'immagine di Beethoven che fa da sfondo.
Altri esempi di colonne sonore sono:
La vita di Beethoven ha ispirato una trentina di film a partire dal periodo muto (dal 1918): tra questi sono da citare:
L'arciduca Rodolfo, fratello minore dell'imperatore d'Austria, decise di prendere lezioni di composizione da Beethoven. Questi «non poteva rifiutare questo desiderio a una personalità di rango così elevato, sebbene avesse poca voglia di dar lezioni di composizione a nessuno e non avesse esperienza in materia.»[63] «Nell'estate del 1809 copiò brani selezionati dai più importanti libri di composizione dell'epoca, di Carl Philipp Emanuel Bach, Daniel Gottlob Türk, Johann Philipp Kirnberger, Fux e Albrechtsberger per ricavarne la struttura di un vero e proprio corso.»[64] Questo materiale ha costituito la base teorica. Per la pratica Beethoven utilizzò il metodo dell'insegnamento concreto: fece trascrivere e disporre dal suo allievo i capolavori più diversi. Poiché Rodolfo d'Asburgo collezionava spartiti, aveva molta musica a disposizione. «Nel 1832, questo “corso” fu pubblicato da Ignaz von Seyfried con il titolo Ludwig van Beethoven’s Studien im Generalbasse, Contrapuncte und in der Compositions-Lehre. Aus dessen handschriftlichem Nachlasse gesammelt und herausgegeben von Ignaz Ritter von Seyfried (Studi di Ludwig van Beethoven sul basso continuo, il contrappunto e la teoria delle composizioni. Raccolto dai suoi appunti scritti a mano e pubblicato da Ignaz Ritter von Seyfried): Seyfried diede così la falsa impressione che Beethoven stesso avesse scritto un trattato di composizione.[65]»
Si può leggere integralmente il Trattato di armonia e composizione nonché ascoltare gli esempi musicali dello stesso in formato Midi - Mp3 nelle pagine dedicate a questo lavoro..
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