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testo cristiano in greco antico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Pastore di Erma (in greco antico: Ποιμὴν τοῦ Ἑρμᾶ?, Poimèn toŷ Ermâ; in latino Hermae Pastor), originariamente intitolato semplicemente Il Pastore[1], è un testo paleocristiano di genere apocalittico,[2] composto nella prima metà del II secolo. Prende il nome dal personaggio principale della Visione V, l'Angelo della Penitenza, il quale appare ad Erma nelle vesti di pastore. Sebbene non sia inserito nel canone biblico, il Pastore godette di un'ampia fortuna tra i cristiani del II secolo, tanto che alcuni Padri della Chiesa lo considerarono Sacra Scrittura.
Pastore di Erma | |
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Datazione | 120-140 circa |
Attribuzione | Erma |
Luogo d'origine | Roma |
Manoscritti | Codex Sinaiticus |
È composto da cinque Visioni, dodici Comandamenti e dieci Similitudini (o parabole).[3] Facendo uso di allegorie e dedicando speciale attenzione alla Chiesa, chiede ai fedeli di pentirsi dei peccati che l'hanno danneggiata.
Originariamente scritto a Roma in lingua greca, fu presto tradotto due volte in latino. Le due versioni latine sono le cosiddette "Vulgata"[4] (inizio III secolo circa) e "Palatina" (V secolo). Il testo tradotto in latino si è conservato per intero, mentre quello greco è incompleto in quanto mancano gli ultimi paragrafi della nona Similitudine e tutta la decima Similitudine.
Per Origene di Alessandria[5] il Pastore fu composto da quell'Erma che è citato da Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani 16,14[6]; questa attribuzione fece sì che Origene tenesse in grande considerazione questa opera, che citò copiosamente nelle proprie come Scrittura,[7] tuttavia questa identificazione ormai non è più accettata.[8] Il Canone muratoriano afferma che il Pastore fu composto da Erma, fratello di papa Pio I (140-154), notizia confermata dal Catalogo liberiano;[8] ma malgrado ciò l'identità dell'autore non è accertata.[9] Alcuni studiosi hanno proposto di assegnare l'opera alla paternità di più autori, ma quest'ipotesi non è condivisa,[10][11], così come l'ipotesi secondo la quale l'opera sarebbe stata originariamente ebraica e solo successivamente modificata in senso cristiano.[12]
Il contenuto del testo riguarda la Chiesa romana, e il testo fu composto a Roma.[9]
Quanto alla data di composizione, va notato che varie parti del testo ebbero origine in periodi differenti. Le Visioni I-IV furono scritte in un'epoca in cui i cristiani erano minacciati di persecuzione, forse sotto l'imperatore Traiano (è possibile - sebbene non sia un'ipotesi condivisa tra gli studiosi - che il Clemente che si nomina nel testo fosse Clemente di Roma[13]). Visioni V - Similitudine VIII e Similitudine X sono successive, forse scritte dallo stesso autore della sezione precedente, e prescrivono le penitenze per i cristiani che avevano dubitato durante il periodo di persecuzione. La Similitudine IX, infine, fu scritta per ricucire insieme il testo e per minacciare coloro che avevano ceduto alla persecuzione abbandonando la fede; quest'ultima fase compositiva risale ad un periodo sufficientemente precedente a Ireneo di Lione (che scrive attorno al 175), probabilmente nel 140.[9]
Il Canone muratoriano dà notizia del testo e del suo uso ecclesiastico, ma lo pone esplicitamente fuori dal canone biblico, mentre il Catalogus Claromontanus lo considera canonico.
È uno scritto ibrido: presenta cinque visioni alle quali seguono dodici precetti e dieci similitudini o parabole (alla sobrietà della parabola evangelica contrappone troppi simboli, dettagli, linguaggi oscuri). Segna un importante problema: remissione dei peccati post-battesimali. Con l'aumento dei credenti e per la fragilità dell'uomo si verificano casi di gravi colpe che portavano alla scomunica dei colpevoli (i peccati si rimettevano solo con il battesimo). Per trovare rimedio per le colpe post-battesimali Erma ricorre alla rivelazione divina che vuole comunicare a tutti: parla di una seconda possibilità di perdono (per rendere autorevole il messaggio c'è bisogno di una rivelazione divina affidata all'angelo rivelatore, detto anche della Penitenza nelle vesti di un Pastore – di cui il nome dell'opera).
Su quest'opera, oltre all'Angelo della Penitenza rappresentato dal Pastore, domina un'altra figura: una matrona veneranda in abiti splendenti. È un'opera che serve per frenare le scomuniche e l'estromissione dei cristiani dalle comunità. Erma scrisse un'apocalisse (una rivelazione trasmessa da un intermediario celeste senza, in questo caso, la descrizione degli eventi). Le rivelazioni provengono dalla vecchia matrona, simbolo della Chiesa, e dal Pastore, angelo della penitenza: a chi si fosse macchiato, dopo il battesimo, di peccati pubblici e gravi era offerta un'occasione per essere riammesso nella comunità dei fedeli. Gli spunti di riflessione cristologica non sono minimamente coerenti tra loro: a volte Cristo è presentato in figura angelica, altre volte è Figlio di Dio, distinto da Gesù uomo, altre viene assimilato allo Spirito Santo. Risulta invece assente la cristologia di tipo Logos, forse perché ritenuta eretica dall'autore.
Il testo greco de Il Pastore ci è giunto principalmente attraverso due manoscritti mutili, il Codex Sinaiticus (IV secolo) e un codice scoperto da Costantino Simonidis sul Monte Athos (XIV secolo).[14] Numerosi frammenti papiracei[15] rendono il testo greco a nostra disposizione quasi completo.
Si sa che già alla fine del II secolo circolavano traduzioni fatte in latino del libro, probabilmente composte in area romana.[16] La fortuna dell'opera in Occidente fu pero' di breve durata, perché gia' San Girolamo lamentava che essa fosse a malapena conosciuta presso la Chiesa latina.
«Herman, cuius apostolus Paulus scribens ad Romanos meminit: [..]adserunt actorem esse libri qui appellatur Pastor et apud quasdam Graeciae ecclesias et iam publice legitur, re uera utilis liber, multique de eo scriptorum ueterum usurpauere testimonia, sed apud Latinos paene ignotus est»
«Erma, del quale l'apostolo Paolo fa memoria scrivendo ai Romani, viene asserito essere l'autore del libro chiamato Pastore, e presso alcune chiese di Grecia viene anche letto pubblicamente. E' veramente un libro utile, e molti antichi scrittori trassero da esso testimonianze; presso i Latini pero' e' quasi sconosciuto.»
Nell'Oriente cristiano, il Pastore ebbe maggior fortuna: testimoni di questa fortuna presso le Chiese d'Oriente sono una traduzione etiopica del Pastore.[18], alcuni frammenti di traduzioni in copto[19] e un frammento di un adattamento manicheo in medio persiano.[20] Tuttavia la diffusione dell'opera conobbe un brusco arresto nel VI secolo con il Decretum Gelasianum.
Paradossalmente invece in Occidente l'opera continua a essere ricopiata in ambienti religiosi e a circolare[21]
Le traduzioni latine costituiranno per secoli l'unica forma in cui circolava il libro in Europa: le usa ancora J.P. Migne, che pubblica Il Pastore nel secondo volume della Patrologia Graeca (1857)[22][23]
Il testo greco riappare nel 1856, quando Anger e Dindorf pubblicano il codice rinvenuto dal Simonidis[24]
Harnack e von Gebhardt pubblicano un'edizione critica del testo greco a Lipsia nel 1877[25], corredata del testo latino del Codice Palatino. Seguono le edizioni critiche di Hilgenfeld (Lipsia, 1881)[26], von Funk (Tubinga, 1901)[27] e Lake (1913, con traduzione inglese)[28].
L'edizione critica più recente è quella di Ehrman, che sostituisce quella di Lake nella Loeb Classical Library. L'alternativa meno vetusta e' Joly (1968).
Poiche il testo greco a nostra disposizione non e' completo, le traduzioni antiche continuano a rivestire grande importanza. Si spiegano cosi le recenti edizioni critiche del testo latino.[29] e gli studi sul testo etiopico[30]
L'editio princeps del testo latino venne pubblicata nel 1513[31]da Jacques Lefèvre d'Étaples all'interno del "Liber trium virorum et trium spiritualium virginum"[32]
Nell'ultimo secolo ci sono state almeno dieci traduzioni del Pastore[33] in lingua italiana, di cui ben cinque negli ultimi venticinque anni, segno di un interesse crescente verso questo testo della letteratura cristiana antica.
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