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teologo e filosofo greco antico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Origène, o Orígene, di Alessandria (in greco antico: Ὠριγένης?, Ōrigénēs, detto Adamanzio; in latino Origenes Adamantius, «resistente come il diamante»; Alessandria d'Egitto, 185 – Tiro, 254), è stato un teologo e filosofo greco antico. È considerato uno tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli. Presbitero di famiglia greca cristiana, fu direttore della Scuola catechetica di Alessandria. Interpretò la transizione dalla filosofia pagana al cristianesimo e fu l'ideatore del primo grande sistema di filosofia cristiana.
Scrisse molti testi di natura teologica, anche se, per umiltà, non alluse quasi mai a se stesso nelle sue opere. Tuttavia, Eusebio di Cesarea gli dedicò quasi l'intero sesto libro della Storia ecclesiastica; inoltre, in collaborazione con Panfilo di Cesarea, compose l'Apologia per Origene; tale opera, che pure ai suoi tempi poteva essere considerata di parte, dimostra tuttavia che Eusebio era ben informato sui dettagli della vita e del pensiero di Origene. Delle sue opere si trovano tracce anche negli scritti di Gregorio Taumaturgo, nelle controversie tra Sofronio, Eusebio di Cesarea, Girolamo e Tirannio Rufino, in Epifanio di Salamina[1] e in Fozio I di Costantinopoli[2].
Origene Adamanzio non deve essere confuso con l'omonimo filosofo pagano.
Nacque probabilmente ad Alessandria d'Egitto nel 185 da genitori cristiani di lingua greca. Origene era appena un diciassettenne quando, nel 202, la persecuzione di Settimio Severo si abbatté sulla Chiesa di Alessandria. Quando suo padre, Leonida, fu gettato in prigione, Origene avrebbe voluto condividere il suo destino, ma non fu in grado di farlo, poiché sua madre gli aveva nascosto gli abiti, pertanto riuscì solamente a scrivere una lettera ardente ed entusiastica a suo padre, con la quale lo esortava a perseverare coraggiosamente nella sua scelta. Quando Leonida patì il martirio e le sue fortune vennero confiscate dalle autorità imperiali, il figlio dovette provvedere per la madre e i suoi sei fratelli più giovani. Riuscì ad adempiere a questo gravoso compito lavorando come insegnante di grammatica e retorica, vendendo i suoi manoscritti, e grazie al generoso aiuto di una ricca signora cristiana che ammirava il suo talento.
Poco tempo dopo, il rettore della più famosa scuola teologica cristiana, san Clemente Alessandrino, dovette fuggire a causa delle persecuzioni. In assenza di catechisti, Origene, pur essendo laico, iniziò ad insegnare nell'istituto[3]. Solo un anno dopo ottenne il permesso formale di insegnare dottrina cristiana dal vescovo Demetrio[4]. La scuola, che era frequentata anche da pagani, presto divenne un asilo per neofiti, confessori e martiri. Tra questi ultimi: Basilide, Potamiena, Plutarco, Sereno, Eraclide, Erone, un altro Sereno, e una catecumena, Herais[5]. Origene li accompagnò al martirio incoraggiandoli con le sue esortazioni.
Nonostante avesse iniziato a insegnare a un'età così giovane, riconobbe la necessità di completare la propria istruzione. Frequentando le scuole filosofiche, specialmente quella di Ammonio Sacca, che fu anche maestro di Plotino, si dedicò allo studio dei filosofi, in particolare di Platone e degli Stoici. In questo non faceva altro che seguire le orme dei suoi predecessori Panteno e Clemente. In seguito, quando quest'ultimo mise a disposizione della scuola catechetica le sue opere, imparò l'ebraico, e si mise in contatto con alcuni ebrei che lo aiutarono a risolvere alcuni suoi dubbi. Verso il 210, il suo estremo rigore ascetico nel seguire le Sacre Scritture lo portò forse ad evirarsi, pratica non del tutto sconosciuta nel cristianesimo delle origini (seppur espressamente vietata). Secondo alcuni autori, per questa automutilazione il vescovo Demetrio non lo volle mai ordinare sacerdote[6].
Il corso dei suoi lavori ad Alessandria fu interrotto da cinque viaggi. Intorno al 213, sotto papa Zefirino e l'imperatore Caracalla, desiderò vedere "l'antichissima Chiesa di Roma" (Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, XIV). Poco dopo fu invitato dal governatore d'Arabia, che era desideroso di incontrarlo (VI, XIX). Fu probabilmente nel 215 o 216, quando la persecuzione di Caracalla imperversava in Egitto, che visitò la Palestina, dove Teoctisto di Cesarea e Alessandro di Gerusalemme, lo invitarono a predicare nonostante fosse ancora un laico. Verso il 218 l'imperatrice Giulia Mamea, madre di Alessandro Severo lo portò ad Antiochia (VI, XXI). Finalmente, molto più tardi, sotto Ponziano di Roma e Zebino di Antiochia[7], si recò in Grecia.
Al suo passaggio a Cesarea, Teoctisto[8], vescovo di quella città, assistito da Alessandro, vescovo di Gerusalemme, lo consacrò sacerdote.
Demetrio, nonostante avesse fornito Origene di lettere di accredito, fu offeso moltissimo da questa ordinazione che aveva avuto luogo senza che ne fosse a conoscenza e, come pensava, in deroga ai suoi privilegi. Quest'ultimo era invidioso della crescente influenza del suo catechista (Eusebio VI, VIII). Al suo ritorno ad Alessandria, Origene percepì presto l'ostilità del suo vescovo. Demetrio, secondo Eusebio di Cesarea, mosso dall'invidia, nel 231 convocò un sinodo nel quale, argomentando che un eunuco non poteva essere ordinato sacerdote, Origene fu deposto dal sacerdozio."Se consultiamo le fonti che ci informano sulle ragioni del processo ecclesiastico intentato a Origene dal vescovo di Alessandria Demetrio, cioè Panfilo secondo Fozio e precisamente Eusebio e Girolamo, nulla vi si dice di ragioni dottrinali. La causa essenziale è l'ordinazione presbiterale di Origene fatta da un vescovo, di cui non era soggetto."[9] I dettagli di questa vicenda furono riportati da Eusebio nel secondo libro perduto dell' Apologia per Origene; secondo Fozio, che aveva letto l'opera, furono convocati ad Alessandria due Concili, il primo di questi esiliò Origene, mentre l'altro lo depose dal sacerdozio (Bibliotheca Cod. 118).
Alla morte di Demetrio (232), Origene ritornò ad Alessandria, ma Eraclio, il nuovo vescovo, rinnovò la scomunica[10]. Di fronte ad una tale situazione, cui si sommavano le «accuse di eresia»[11], Origene lasciò per sempre l'Egitto. Origene fu protagonista di affermazioni radicali, quali:
San Girolamo, comunque, affermava espressamente che non fu condannato per alcun punto della sua dottrina.[12] La sua dottrina fu condannata da san Metodio di Olimpo, san Pietro I di Alessandria, dal Panarion di sant'Epifanio di Salamina[13] finché Teofilo di Alessandria nel 400 ottenne l'indizione di un sinodo di vescovi egiziani e la sua condanna[14], approvata poi da Papa Anastasio I con lettere inviate a due vescovi di Milano, San Simpliciano prima e al suo successore Venerio poi.[15]
Origene fissò la sua nuova dimora a Cesarea marittima (232). Insieme al suo protettore e amico Teoctisto, fondò una nuova scuola teologica, che venne dotata della più ricca biblioteca di tutta l'antichità cristiana[16], e ricominciò il suo Commentario su San Giovanni dal punto in cui era stato interrotto.
Presto fu nuovamente circondato di discepoli. Il più famoso di questi fu, sicuramente, Gregorio Taumaturgo, che, insieme a suo fratello Apollodoro, seguì i corsi di Origene per cinque anni. Durante la persecuzione di Massimino il Trace (235-237), Origene si recò presso il suo amico Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia, che lo trattenne per un lungo periodo. In questa occasione, fu ospitato da una signora cristiana chiamata Giuliana, che aveva ereditato gli scritti di Simmaco l'Ebionita, traduttore dell'Antico Testamento[17].
Gli anni successivi furono dedicati quasi ininterrottamente alla composizione dei Commentari. Eusebio fa menzione solamente di alcune escursioni sui luoghi santi, di un viaggio ad Atene[18], e di due viaggi in Arabia, uno dei quali (244) fu intrapreso per la conversione di Berillo di Bostra, un patripassiano[19], l'altro per confutare certi eretici che negavano la Risurrezione[20].
L'età non ne diminuì le attività: quando scrisse il Contra Celsum e il Commentario su San Matteo aveva 60 anni. La persecuzione di Decio (250) gli impedì di continuare questi lavori. Origene fu imprigionato e barbaramente torturato, ma il suo coraggio non venne meno nella sua prigionia, da dove scrisse lettere che trasmettono lo spirito dei martiri[21]. Alla morte di Decio (251), Origene era ancora vivo, ma non gli sopravvisse per molto. Morì, probabilmente, per le sofferenze patite durante la persecuzione nel 253 o nel 254, all'età di 69 anni[22]. Passò i suoi ultimi giorni a Tiro, sebbene la ragione per cui si ritirò colà sia ignota. Fu sepolto con tutti gli onori come confessore della Fede. Per molto tempo il suo sepolcro, dietro l'altare maggiore della cattedrale di Tiro fu meta di pellegrinaggio. Oggi, poiché della cattedrale resta solo un cumulo di rovine, l'ubicazione esatta della tomba è ignota.
Pochi autori furono prolifici come Origene. Epifanio di Salamina stimava in 6.000 il numero delle sue opere, sicuramente considerando separatamente i diversi libri di un'unica opera, le omelie, le lettere, e i suoi più piccoli trattati (Panarion, LXIV, LXIII). Questa cifra, pur riportata da molti scrittori ecclesiastici sembra, tuttavia, grandemente esagerata. Girolamo assicurava che l'elenco delle opere di Origene steso da Panfilo di Cesarea non contenesse più di 2.000 titoli (Contra Rufinum, II, XXII; III, XXIII); ma questo elenco era evidentemente incompleto.
Origene dedicò tre generi di scritti all'interpretazione delle Sacre Scritture: commentari, omelie, e scholia.[23]
Tra esse vanno annoverate:
«Ἡ τοίνυν φαινομένη ἡμῖν ὁδὸς τοῦ πῶς δεῖ ἐντυγχάνειν ταῖς γραφαῖς καὶ τὸν νοῦν αὐτῶν ἐκλαμβάνειν ἐστὶ τοιαύτη, ἀπ’ αὐτῶν τῶν λογίων ἐξιχνευομένη. [...] οὐκοῦν τριχῶς ἀπογράφεσθαι δεῖ εἰς τὴν ἑαυτοῦ ψυχὴν τὰ τῶν ἁγίων γραμμάτων νοήματα· ἵνα ὁ μὲν ἁπλούστερος οἰκοδομῆται ἀπὸ τῆς οἱονεὶ σαρκὸς τῆς γραφῆς, οὕτως ὀνομαζόντων ἡμῶν τὴν πρόχειρον ἐκδοχήν, ὁ δὲ ἐπὶ ποσὸν ἀναβεβηκὼς ἀπὸ τῆς ὡσπερεὶ ψυχῆς αὐτῆς, ὁ δὲ τέλειος [...], ἀπὸ ‘τοῦ πνευματικοῦ νόμου’, ‘σκιὰν περιέχοντος τῶν μελλόντων ἀγαθῶν’.»
«Ecco quel che a noi sembra il criterio secondo il quale ci si deve dedicare alle scritture e comprenderne il significato, un criterio ricavato dalle stesse parole della scrittura. [...] Perciò tre volte bisogna notare nella propria anima i concetti delle sacre scritture: così il semplice trova edificazione, per così dire, nella carne della scrittura - indichiamo così il senso che è più alla mano -; colui che ha un poco progredito trova edificazione nell'anima della scrittura; il perfetto [...] [trova edificazione] nella legge spirituale, che contiene l’ombra dei beni futuri.»
San Girolamo, con particolare riferimento al De principiis, elenca le seguenti eresie proclamate da Origene: la creazione del Figlio di Dio, Spirito Santo come un servitore di Dio, l'esistenza di innumerevoli universi che si succedono uno all'altro in eterno, l'unione degli angeli all'anima umana, il divenire dei corpi umani in spiriti aereiformi che gradualmente svaniscono in fine arie e nel nulla (divenendo incorporei), e che alla fine dei tempi, tutte le creature, incluso il diavolo, condivideranno il medesimo stato esistenziale nel medesimo grado (la stessa sostanza).[Nota 1]
Tra esse si ricordano:
Il merito più importante di Origene fu quello di iniziare nella scuola di Cesarea lo studio filologico del testo biblico. Il suo metodo avrebbe, in seguito, influenzato anche Girolamo.
Origene raccolse i suoi studi negli Exapla, una vera e propria edizione critica della Bibbia redatta con un metodo non dissimile da quello filologico ellenistico (cui si richiamava anche per i segni con cui si indicavano parti considerevoli o difficili del testo). L'obiettivo dell'edizione sinottica fu quello di offrire un testo quanto più possibile unitario e attendibile; ciò derivò anche dall'opposizione della comunità ebraica alla versione della Bibbia dei Settanta ritenuta troppo imprecisa. Pertanto, il titolo dell'opera indica le "sei versioni" del testo disposte su sei colonne:
Nel caso dei Salmi, l'edizione diventava un Oktapla, cioè presentava altre due colonne con altrettante traduzioni supplementari. Vista la mole dell'opera, essa era disponibile in un solo esemplare. Si trattò un lavoro di scuola a cui Origene fece da sovrintendente. Purtroppo di quest'opera esistono pochissimi frammenti, ma, grazie a scrittori successivi, se ne conosce il piano.
Siamo in possesso di sole due lettere di Origene: una indirizzata a Gregorio Taumaturgo che ha per argomento le Sacre scritture, l'altra a Giulio Africano sulle aggiunte greche al Libro di Daniele. Delle altre lettere origeniane si conservano estratti e citazioni in autori come Eusebio, Girolamo e Rufino, che restituiscono, sia pure parzialmente, le difficili condizioni ambientali in cui l'autore si trovava a operare.
Le speculazioni filosofiche del grande direttore del Didaskaleion lo esposero a feroci critiche e condanne, soprattutto dal IV secolo in poi. Tuttavia egli nella prefazione al De principiis stabilì una regola, così formulata nella traduzione di Rufino: «Illa sola credenda est veritas quae in nullo ab ecclesiastica et apostolica discordat traditione». Pressoché la stessa norma viene espressa in termini equivalenti in molti altri passaggi dell'opera: «non debemus credere nisi quemadmodum per successionem Ecclesiae Dei tradiderunt nobis»[37]. In base a questi principi, Origene si appellava continuamente alla preghiera ecclesiastica, all'insegnamento ecclesiastico, e alla regola ecclesiastica della fede (kanon). Egli accettava solamente i quattro Vangeli Canonici perché la tradizione non ne ammetteva altri; sosteneva la necessità del battesimo perché era concorde con la pratica della Chiesa fondata sulla tradizione Apostolica; avvertiva coloro che interpretavano le Sacre scritture di non fare affidamento sul proprio giudizio ma "sulla regola della Chiesa istituita da Cristo". Per questo, aggiungeva, "noi abbiamo solamente due luci che ci possano guidare: Cristo e la Chiesa; la Chiesa riflette fedelmente la luce ricevuta da Cristo, come la luna riflette i raggi del sole. Il segno distintivo del cattolico è l'appartenenza alla Chiesa, al di fuori della quale non c'è salvezza; al contrario, colui che abbandona la Chiesa cammina nell'oscurità, è un eretico". È attraverso il principio dell'autorità che Origene era solito smascherare e combattere gli errori dottrinali; invocava lo stesso principio quando enumerava i dogmi della fede.
Sulla base di tali presupposti si può iniziare a esaminare la dottrina di Origene, basata su tre punti fondamentali:
La concezione origeniana dell'ispirazione, del significato e dell'interpretazione delle Sacre Scritture è contenuta nei primi 15 capitoli del Philocalia. Secondo Origene le Sacre Scritture sono ispirate perché sono la parola e l'opera di Dio. Ma l'autore ispirato, lontano dall'essere uno strumento inerte, ha il pieno possesso delle sue facoltà, è consapevole di ciò che sta scrivendo; è libero di riferire il suo messaggio o no; non è perso in un delirio passeggero come gli oracoli pagani, poiché disagi fisici, disturbi dei sensi o perdita momentanea della ragione altro non sono che prove dell'azione degli spiriti maligni. Dato che le Sacre Scritture derivano da Dio, dovrebbero avere le caratteristiche distintive dell'opera Divina: la verità, l'unità, e la pienezza. La parola di Dio non può essere falsa; pertanto non possono essere ammessi errori o contraddizioni nelle Sacre Scritture[40]. Essendo l'autore delle Sacre Scritture unico, la Bibbia può essere considerata più come un libro unico che una raccolta di libri[41], uno strumento perfettamente armonioso[42]. Ma la caratteristica più Divina delle Sacre Scritture è la loro pienezza: «Non c'è nelle Sacre scritture il più piccolo brano (cheraia) che non rifletta la saggezza di Dio»[43]. Ci sono imperfezioni nella Bibbia: antilogie, ripetizioni e discontinuità; ma queste imperfezioni divengono perfezioni poiché ci conducono all'allegoria e al significato spirituale[44].
In un primo momento, partendo dalla tripartizione platonica (Platone distingue tra «carne» o soma, «anima» o ψυχή, e «intelletto» o νοῦς), Origene affermava che i testi della Sacra Scrittura dovevano essere letti secondo tre prospettive: la "lettura carnale", la "lettura psichica" e la "lettura pneumatica" (corrispondenti, rispettivamente, al senso grammaticale, al significato animico, ed alla dimensione escatologica-spirituale. C'era dunque un legame profondo tra l'uomo e la Bibbia, tra l'interpretazione della Bibbia e le fasi della salvezza.[Nota 3]
Le due grandi regole dell'interpretazione fissate dall'esegeta di Alessandria, prese per loro stesse e indipendentemente da interpretazioni erronee, sono a prova di critica. Esse possono essere così formulate:
I problemi sorgono dall'applicazione di queste regole. Sebbene egli stesso li indicasse come eccezioni, Origene ammetteva troppi casi in cui le Sacre Scritture non andavano interpretate letteralmente. In questo senso appare forzato il ricorso all’interpretazione allegorica per spiegare semplici antilogie o antinomie. Considerava che alcuni racconti o precetti della Bibbia fossero indegni di Dio se fossero stati presi alla lettera. Giustificava l'allegoria argomentando che, altrimenti, alcune parti o precetti abrogati sarebbero apparsi inutili al lettore: un fatto che gli fosse apparso contrario alla provvidenza dell'ispiratore divino e alla dignità del documento era quindi letto in questa maniera. Sebbene le critiche dirette contro il suo metodo allegorico da Epifanio e da Metodio non fossero infondate, tuttavia molti rimproveri sorgevano da malintesi.
Le tre Persone della Trinità si distinguono dalle creature per tre caratteristiche: l'assoluta immaterialità, l'onniscienza e la sostanziale santità. Come è ben noto, molti antichi scrittori ecclesiastici attribuivano agli spiriti creati una sorta di ambiente aereo (o etereo) senza il quale non potevano interagire. Sebbene non prenda una decisa posizione, Origene era di questa opinione. Tuttavia, non appena si poneva una domanda sulle Persone Divine, era perfettamente sicuro che, oltre a non avere un corpo e non fossero contenute in un corpo, questa caratteristica appartenesse solamente alla Trinità (De principiis, IV, 27; I, VI, II, II, 2; II, IV 3 ecc.). La conoscenza in possesso di ogni creatura, essendo essenzialmente limitata, è imperfetta e, perciò, suscettibile di essere sempre aumentata. Ma sarebbe impensabile che lo stesso principio si applichi alle Persone Divine: come può il Figlio, che è la Saggezza del Padre, essere ignorante di qualsiasi cosa? (In Joan., 1,27; Contra Celsum, VI, XVII). Allo stesso modo non si può ammettere l'ignoranza dello Spirito che "indaga le cose profonde di Dio" (De principiis, I, V, 4; I, VI, 2; I, VII, 3; In Num. him., XI, 8 ecc.). Come la sostanziale santità è privilegio esclusivo della Trinità, così è anche l'unica fonte di tutta la santità creata. Il peccato viene perdonato solo grazie all'azione simultanea di Padre, Figlio, e Spirito Santo. In una parola, le tre Persone della Trinità sono indivisibili nel loro essere, nella loro presenza e nel loro operare.
Insieme a questi testi perfettamente ortodossi, altri devono essere interpretati con estrema attenzione, con un'avvertenza: la lingua della teologia non era ancora perfettamente sviluppata e Origene fu il primo ad affrontare questi - spesso difficili - problemi. Apparirà allora che la subordinazione delle Persone Divine, così grandemente utilizzata contro Origene dai suoi avversari consisteva, generalmente, in differenze di attribuzioni (il Padre "creatore", il Figlio "redentore", lo Spirito "santificatore") che sembravano assegnare alle Persone un diverso campo d'azione, o nella pratica liturgica di pregare il Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo, o nella teoria (molto diffusa all'interno della Chiesa greca dei primi cinque secoli) secondo cui il Padre aveva una preminenza (taxis) sulle altre due Persone, per il solo fatto che ordinariamente il Padre era preminente per dignità (axioma), poiché rappresentava l'intera Divinità, della quale era il principio (arché), l'origine (aitios), e la fonte (pege). Ecco perché Atanasio difende l'ortodossia di Origene sulla Trinità e perché Basilio e Gregorio di Nazianzo risposero agli eretici che rivendicavano l'appoggio della sua autorità che lo avevano frainteso.
Origene fu il primo esegeta cristiano a porre in relazione la filosofia antica con il cristianesimo. Nella sua teoria, le tre ipostasi neoplatoniche poste a fondamento dell'universo corrispondono: l'Uno alla persona del Padre, il pensiero-essere alla persona dello Spirito Santo (relazione di amore fra il Padre e il Figlio, fra l'Uno e la materia) e la materia (intesa unita alla forma) al Figlio. Esse non sono più viste come tre ipostasi digradanti ma come tre entità pari, distinte e identiche nello stesso tempo.
Il sistema che ne risulta non è coerente, tanto che Origene, riconoscendo francamente le contraddizioni tra gli elementi incompatibili che stava tentando di unire, si tirava indietro dalle conseguenze, rifiutava le conclusioni logiche, e spesso correggeva con professioni di fede ortodosse l'eterodossia delle sue speculazioni. Le esegesi di Origene sono contenute nel De principiis. Il loro sistema può essere ridotto a poche ipotesi, l'errore (e il pericolo d'incorrere nell'errore) non fu riconosciuto da Origene. Egli era un sostenitore del libero arbitrio, tanto che tredici secoli dopo Erasmo da Rotterdam affermava di imparare più filosofia da una pagina di Origene che da dieci di Agostino[45].
Qualunque cosa esiste fuori da Dio fu creata da Lui: l'Adamanzio difese sempre più energicamente questa tesi contro i filosofi pagani che ammettevano l'esistenza di una materia non creata[46]. Ma egli credeva che Dio creò dall'eternità, pertanto "è assurdo", affermava, "immaginare la natura di Dio inattiva, o la Sua bontà inefficace, o il Suo dominio senza soggetti"[47]. Di conseguenza era costretto ad ammettere una duplice serie infinita di mondi prima e dopo il mondo attuale.
"In principio tutte le nature intellettuali furono create uguali e simili, poiché Dio non aveva motivo per crearle altrimenti"[48]. Le loro attuali differenze sono derivate solamente dal loro differente uso del dono del libero arbitrio. Gli spiriti creati buoni e felici si stancarono della loro felicità[49] e precipitarono, alcuni più, altri meno[50]. Da quel momento si creò la gerarchia degli angeli; da quel momento nacquero anche le quattro categorie di intelletti creati: angeli, stelle (supponendo, come è probabile, che esse fossero animate[51]) uomini e demoni. Ma i loro ruoli potranno essere, un giorno, cambiati; poiché ciò che il libero arbitrio ha fatto, il libero arbitrio può disfare, e solo la Trinità è essenzialmente immutabile nella sua bontà.
Cercando di conciliare il cristianesimo col platonismo,[39] egli ammetteva perciò la preesistenza delle anime umane alla nascita terrena, e anche la possbilità che esse attraversassero altre vite, non solo sulla terra ma anche nei mondi spirituali.[38]
Origene quindi affermò che gli angeli come gli esseri umani possono peccare, pentirsi ed ottenere il perdono divino. Secondo la sua filosofia, un angelo di Dio può diventare demone[52], e viceversa ogni demone può ottenere il perdono di tutti i peccati e la salvezza eterna nel Giudizio Universale, poiché la morte in croce e la resurrezione di Gesù Cristo sarebbero avvenute anche per la loro redenzione.
La materia esiste solamente in funzione dello spirito; se lo spirito non ne avesse bisogno, la materia non esisterebbe, poiché il suo fine non è in sé stessa. Ma sembrava a Origene - sebbene non si avventurasse in dichiarazioni di tal fatta - che gli spiriti creati, anche quelli più perfetti, non potessero fare a meno di una materia, estremamente diluita e sottile, che gli serviva come veicolo e mezzo d'azione[53]. La materia, perciò, fu creata insieme allo spirito, anche se lo spirito è, logicamente, precedente; e la materia non cesserà mai di esistere perché lo spirito, quantunque perfetto, ne avrà sempre bisogno. Ma la materia, che è suscettibile di trasformazioni infinite, si adatta alle diverse condizioni degli spiriti. "Quando è funzionale agli spiriti più imperfetti, si solidifica, si addensa, e forma i corpi del mondo visibile. Se è funzionale ad intelligenze superiori, splende con la luminosità dei corpi celesti e serve da abbigliamento per gli angeli di Dio, ed i bambini della Risurrezione"[54].
Alcuni testi delle Scritture[55] sembrano estendere a tutti gli esseri razionali il beneficio della Redenzione. Nel teorizzare ciò, Origene afferma di essere guidato dal principio filosofico, che enunciò molte volte, che la fine è sempre come l'inizio: "Noi pensiamo che la bontà di Dio, attraverso la mediazione di Cristo, porterà tutte le creature ad una stessa fine"[56]. La salvezza universale (apocatastasi), necessariamente, discende da questi principi.
Secondo Origene, alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte: in tal senso, dunque, le pene infernali, per quanto lunghe, avrebbero un carattere non definitivo ma purificatorio. I dannati esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si potrà compiere se manca una sola creatura.
Durante la sua vita, Origene con i suoi scritti, i suoi insegnamenti, e i rapporti interpersonali esercitò un'enorme influenza. Firmiliano di Cesarea, che si considerava suo discepolo, visse con lui per un lungo periodo per trarre profitto dalla sua cultura[57]. Alessandro di Gerusalemme, suo allievo alla scuola catechetica divenne suo fedele e intimo amico (Eusebio, VI XIV), così come Teoctisto di Cesarea che lo ordinò sacerdote[58]. Berillo di Bostra, che Origene aveva redento dall'eresia, gli fu profondamente legato[19]. Anatolio di Laodicea tessé le sue lodi nel Carmen Paschale[59]. Il dotto Giulio Africano lo consultò: se ne conosce la replica da parte di Origene[60]. Ippolito di Roma apprezzò grandemente il suo valore[61]. Dionisio di Alessandria, suo alunno e successore alla scuola catechetica, quando divenne patriarca di Alessandria gli dedicò il trattato Sulla Persecuzione[62] e, alla notizia della sua morte, scrisse una lettera in cui si profuse in numerosi elogi verso il suo maestro[63]. Gregorio Taumaturgo, che fu suo allievo per cinque anni a Cesarea, gli dedicò un panegirico. Non c'è prova che Eraclio, suo discepolo, collega, e successore alla scuola catechetica, prima di essere elevato al Patriarcato di Alessandria, vacillasse nella sua amicizia. Il nome di Origene era così apprezzato che quando si doveva por fine a uno scisma o mettere a tacere un'eresia, veniva fatto appello alla sua figura.
Dopo la morte, la sua reputazione continuò a crescere. Panfilo di Cesarea, martirizzato nel 307, compose, insieme a Eusebio, un'Apologia di Origene in sei libri, dei quali solo il primo è stato conservato, in una traduzione latina di Rufino di Aquileia[64]. Origene, a quei tempi, aveva molti altri apologisti i cui nomi ci sono ignoti (Fozio, Cod. 117 e 118). Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzio redassero una Filocalia con i detti di Origene conformi all'ortodossia. Anche i successivi direttori della scuola catechetica continuarono a seguire le sue orme. Teognosto, nel suo Hypotyposes, secondo Fozio[65], lo seguì addirittura troppo da vicino, sebbene la sua opera fosse approvata da Atanasio di Alessandria. Girolamo, addirittura, indicava Pierio col soprannome di Origenes iunior[66]. Didimo il Cieco compose un'opera per spiegare e giustificare gli insegnamenti contenuti nel De principiis[67]. Atanasio non esitava a citarlo con grandi encomi[68] e spiegava che dovesse essere interpretato non letteralmente[69].
L'ammirazione per il grande alessandrino fu eguale fuori dall'Egitto. Gregorio Nazianzeno diffuse in tutta l'Anatolia il suo pensiero[70]: in collaborazione con Basilio Magno, pubblicò, con il titolo di Philocalia, un volume contenente brani selezionati del maestro. Nel suo Panegirico di San Gregorio Taumaturgo, Gregorio di Nissa definiva Origene "principe della cultura cristiana"[71]. A Cesarea marittima l'ammirazione dei dotti per Origene divenne una passione. Panfilo scrisse un'Apologia; Euzoio trascrisse le sue opere su pergamena[72]; Eusebio le catalogò attentamente e ne fece ampio uso.
I latini non furono meno entusiasti dei greci. Secondo Girolamo, i principali imitatori latini di Origene furono Eusebio di Vercelli, Ilario di Poitiers, Ambrogio da Milano e Vittorino di Petovio[73]. Eccetto Rufino, che praticamente è solo un traduttore, Girolamo, probabilmente, è lo scrittore latino che deve di più a Origene. Di fronte alle controversie sull'ortodossia del suo pensiero, non lo ripudiò mai completamente. Basti leggere i prologhi alle sue traduzioni di Origene (Omelie sul Vangelo secondo Luca, sul Libro di Geremia, sul Libro di Ezechiele e sul Cantico dei Cantici), e le prefazioni ai suoi Commentarii (Libro di Michea, Lettera ai Galati e Lettera agli Efesini, ecc.).
Tra queste espressioni di ammirazione e di lode, si levarono anche delle voci discordi. Metodio di Olimpo, vescovo e martire (311), compose molte opere contro Origene, fra cui un trattato Sulla Risurrezione, del quale Epifanio riporta un lungo estratto (Haereses, LXVI, XII-LXII). Eustazio di Antiochia, che morì in esilio intorno al 337, criticò il suo allegorismo[74]. Anche Alessandro di Alessandria, martirizzato nel 311, lo attaccò, se si deve dar credito a Leonzio di Bisanzio e all'imperatore Giustiniano I. Ma i suoi avversari più accaniti furono gli eretici: Sabelliani, Ariani, Pelagiani, Nestoriani e Apollinaristi.
L'influenza di Origene sul pensiero di altri autori cristiani, fino al VII secolo, fu enorme. Tra questi possiamo ricordare:
Costoro diedero vita al movimento origenista.
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