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architetto italiano (1904-1943) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giuseppe Terragni (Meda, 18 aprile 1904 – Como, 19 luglio 1943) è stato un architetto italiano, considerato il massimo esponente del razionalismo italiano.
«L'architettura, indice di civiltà, sorge limpida, elementare, perfetta quando è espressione di un popolo che seleziona, osserva e apprezza i risultati che, faticosamente rielaborati, rivelano i valori spirituali di tutte le genti.»
Giuseppe Terragni nasce a Meda, da Michele un costruttore e titolare di un'impresa edile e da Emilia Giamminola che contribuì in maniera determinante alla formazione del futuro architetto[2]. Per seguire le scuole elementari e tecniche si trasferì a Como presso i parenti materni. Nel 1917 s'iscrive al corso di fisica-matematica all'Istituto Tecnico di Como, nel 1921 conosce Luigi Zuccoli, con il quale avrebbe poi collaborato[3].
Nel 1921 si diploma e si iscrive alla Scuola Superiore di Architettura presso il Regio Istituto Tecnico Superiore (poi Politecnico di Milano); nel 1925 conosce Pietro Lingeri con il quale stabilirà un'amicizia e una collaborazione professionale che durerà tutta la vita.
Il 16 novembre 1926 si laurea e un mese più tardi firma, assieme a Luigi Figini, Adalberto Libera, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva e Carlo Enrico Rava, il primo documento ufficiale del razionalismo italiano. È così costituito il Gruppo 7, che negli anni successivi si qualifica, allargandosi, nel Movimento Italiano di Architettura Razionale (MIAR)[4].
Nel 1927 escono, sulla rivista "Rassegna italiana" i quattro articoli considerati il manifesto del Razionalismo italiano. Terragni è uno dei sette firmatari del manifesto.
Nel 1933 fonda, insieme ai compagni astrattisti, la rivista "Quadrante" che verrà poi diretta da Pietro Maria Bardi e Massimo Bontempelli. Fino al 1940 Terragni è in piena attività e ha molte opere in corso: il Danteum (in collaborazione con Lingeri, architettura allegorica che celebra Dante Alighieri, caratterizzata da un percorso a spirale), il progetto per la sistemazione del quartiere Cortesella (e altri complementi del piano regolatore) di Como, la Casa del Fascio e la raffinata e complessa Casa Giuliani Frigerio, suo ultimo capolavoro realizzato.
L'artista viene poi chiamato alle armi e, dopo un breve periodo di addestramento, viene inviato nel 1941 prima in Jugoslavia e poi in Russia. Tornerà seriamente provato fisicamente e psicologicamente, condizione che poi l'avrebbe portato alla morte. La sua è una vicenda umana: Giuseppe Terragni ha passato infatti l'intera esistenza cercando di tradurre in chiave democratica e civile i connotati etici e sociali del fascismo, attraverso l'architettura.
Terragni ha solo 39 anni quando il 19 luglio del 1943 cade fulminato da una trombosi cerebrale sul pianerottolo delle scale di casa della fidanzata, a Como.
Riposa nella tomba di famiglia a Lentate sul Seveso (MB).
Ampia è la bibliografia a lui dedicata, come numerose sono le mostre dedicate al suo lavoro. Se l'opera di Terragni sia da considerarsi fascista in senso ortodosso o la sua sublimazione è oggetto di dibattito.
«Michelangelo e Borromini si dichiarano sinceri, ferventi cattolici, e Terragni si presenta integralmente fascista; tuttavia , dato che il cattolicesimo e il fascismo in cui credono sono immaginari, e contraddicono quelli concreti, la loro azione risulta eversiva»
Prima ancora di laurearsi (1925-26) aveva redatto un progetto per la Villa G. Saibene a Como, in stile neomedievale. In parte era stato ispirato dall'appello del 1880 di Camillo Boito, che aveva indicato per l'Italia democratica uno stile ispirato alle maniere municipali del trecento[5]. Nel 1926 insieme a Pietro Lingeri aveva partecipato al concorso pubblico per un intervento nella zona monumentale di Como, tra il duomo, il Broletto e il campanile romanico della chiesa di san Giacomo.
Sin dagli inizi, Terragni fu molto condizionato da ciò che avveniva fuori d'Italia. Soprattutto la Germania, ma anche l'Austria, la Francia e gli Stati Uniti furono considerati da lui le culle del movimento moderno: infatti, la biblioteca del suo studio era ben fornita di pubblicazioni, manuali e periodici provenienti dall'estero. Si recò in Germania nel 1927 e nel 1931[6].
Nel 1927, Terragni aprì uno studio a Como con il fratello ingegnere Attilio. Il suo primo lavoro fu la ristrutturazione della facciata dell'albergo Metropole-Suisse. Intanto, Giuseppe Terragni cominciò la sua collaborazione con Luigi Zuccoli: studiò alcune soluzioni per l'edificio ad appartamenti "Novocomum" a Como (1927-29),che fu il suo primo edificio a essere costruito. Fu realizzato però illegalmente, perché il progetto presentato era d'impronta neoclassicista e fu invece costruito l'attuale edificio, che s'innesta nell'avanguardia europea, dove s'intrecciano elementi del linguaggio espressionista tedesco e del costruttivismo sovietico[7]. In particolare, la soluzione dell'angolo riprende modelli come, per esempio, il circolo operaio Zuev a Mosca dello strutturalista Ivan A. Golosov.[8] Nacque una forte polemica contro l'edificio e la commissione edilizia del comune di Como aprì un'inchiesta, per verificare se «l'edificio costituisse un elemento di deturpazione»[9]. Nel 1928 Terragni partecipò all'Esposizione italiana di architettura razionale a Roma, dove espose anche il progetto del Novocomum, in corso di costruzione.
Fra il 1928 e il 1932 realizzò il Monumento ai Caduti a Erba, che Terragni definì il primo monumento ai caduti moderno realizzato in Italia. Nel sacrario era posto un altorilievo di Lucio Fontana, avente per tema La Vittoria, che fu rimosso nel 1936[10].
Nel 1932 a Como iniziarono i lavori della Casa del Fascio, opera che è stata definita da Bruno Zevi una pietra miliare dell'architettura moderna europea[11]. Si tratta di un prisma perfetto, con l'altezza corrispondente alla metà della base. L'impianto è rigido; quadrato e prisma sono canoni del purismo corbusieriano, ma in questo caso il volume non è posto su pilotis e le facciate non sono libere rispetto all'intelaiatura strutturale. Il risucchio dell'atrio e lo sfondamento sul cielo garantiscono la trasparenza del blocco[11]. La trasparenza venne propugnata dallo stesso Terragni, che dichiarò: «ecco predominare nello studio di questa Casa del Fascio il concetto della visibilità, dell'istintivo controllo stabilito fra pubblico e addetti di Federazione», rispondendo nel contempo alle richieste del regime, che voleva che l'edificio pubblico fosse una casa di vetro, disponibile e senza segreti[12].
Nel 1933 Terragni aprì uno studio a Milano con Lingeri; insieme costruirono cinque case per appartamenti. Insieme a Piero Bottoni partecipò al IV CIAM, dove furono formulati dei principi, pubblicati nella Carta di Atene l'anno successivo. Questi principi furono da loro applicati nel progetto C.M.8 (Como-Milano 8) del piano regolatore di Como, presentato al bando di concorso a cui parteciparono anche Lingeri, Cesare Cattaneo, Luigi Dodi, Alberto Mario Pucci e altri[13].
Nel 1936 realizzò l'Asilo Sant'Elia, con un'architettura libera e felice, caratterizzata da ampi spazi luminosi e dal dialogo tra le intelaiature strutturali e i volumi. L'intervento s'inserisce nel programma sociale di una scuola per l'infanzia in grado di contribuire alla liberazione della donna dalla sudditanza domestica e "a dare ai piccoli un ambiente sano, igienico, aperto al verde, al gioco, all'educazione. Non nei quartieri alti e ricchi, ma nell'espansione operaia di Como, in periferia." La costruzione aveva grandi pareti trasparenti, ampie penetrazioni di luce e di aria, il riscaldamento, una cucina moderna e l'arredamento suscettibile di una produzione in serie. Questo monumento dell'arte del XX secolo aveva una magistrale compenetrazione tra natura e architettura, che andava ben oltre il razionalismo. Ora questo immobile giace in stato di abbandono. [14]
Nel 1937 Terragni, con Lingeri e Cattaneo, partecipò al concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi per l'E.42, presentando il progetto di un edificio modernissimo, che documenta la sua distanza dal monumentalismo dilagante in quell'epoca[15].
Testimonianze su Terragni circa il suo modo di lavorare nello studio:
«Inserendo cenni di paesaggio di particolare rilievo con le matite colorate [...] lavorava con la sigaretta tra le labbra su fogli sparsi di cenere e di residui di gomma derivanti dalle cancellature che di tanto in tanto respingeva con un soffio ai margini del foglio o sul gatto che era quasi sempre adagiato sulle pratiche.»
«Altre volte lo si vedeva arrivare vestito col cappotto - c'era sempre il suo gatto sul tavolo da lavoro, un tavolo da lavoro disordinato - spostava il gatto, poi, mezzo seduto, mezzo in piedi, cominciava a schizzare, a disegnare, per ore.»
«Giuseppe Terragni era in realtà un lavoratore instancabile, solito rintanarsi nel piccolo locale studio personale, 'cella progettuale'. dove stava rinchiuso per ore, in compagnia del suo amato e inseparabile gatto; in continuo e accanito schizzare, sovrapponendo idea ad idea, soluzione a soluzione, isolamento che non ammetteva e consentiva interruzioni e violazioni da parte di noi collaboratori.»
«Lavorava in una piccola stanza piena di disegni e di libri col gatto che gli passeggiava fra le mani. Lavorava spesso di notte per non essere disturbato; al mattino restava a letto fino a tardi, sempre col suo fedele gattone [pare, 'Battista'] steso ai piedi.»
Alberto Sartoris sul comportamento di Terragni nel cantiere riporta:
«Quando arrivavano le lastre della facciata, Terragni si presentava in cantiere il mattino presto: sai, faceva mettere due cavalletti, guardava la lastra e, se aveva un difetto, con un martello la spaccava! "Perché - diceva - se dico che non va [...] il capomastro: Sì, sì, Non la mettiamo! la mette da parte, ma appena giro le spalle la rimette, e una volta in opera non la si può più togliere, perché vanno giù anche le altre...". Le spaccava; era forte ed era molto severo; aveva ragione: devono essere così gli architetti.[20]»
Mario Radice offre questa valutazione di Terragni nel contesto del Movimento Moderno:
«Non ho più conosciuto nessuno, dopo Terragni (anche dopo Cattaneo) che riuscisse a vivere come noi vivevamo, completamente estraniati dal mondo degli svaghi, dei divertimenti, dello sport, delle gite, della villeggiatura, del riposo. Si pensava, si parlava unicamente di arte.[21]»
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