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fase della storia della Sardegna (IX - XV secolo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
I Giudicati sardi furono entità statuali indipendenti che ebbero potere in Sardegna fra il IX ed il XV secolo. La loro organizzazione amministrativa si differenziava dalla forma feudale vigente nell'Europa medievale in quanto più prossima alle esperienze tipiche dei territori dell'Impero bizantino, con istituti giuridici romano-bizantini[1]. Furono Stati sovrani dotati di summa potestas (capacità di stipulare trattati internazionali) e governati da Re chiamati Giudici, in sardo judikes. Nel contesto internazionale del Medioevo si contraddistinguevano per la modernità della loro organizzazione rispetto ai coevi regni europei di tradizione barbarico-feudale, trattandosi di stati non patrimoniali (non di proprietà del sovrano) ma superindividuali, cioè del popolo che esprimeva la sovranità con forme partecipative come le Coronas de curatorias, le quali a loro volta eleggevano i propri rappresentanti alla massima assise parlamentare, chiamata Corona de Logu.[2]
I Giudicati conobbero l'influsso dell'architettura romanica e successivamente di quella gotica catalana, e culturalmente mutarono in modo sostanziale - nel corso dei secoli - oscillando tra un sistema di tipo feudale ed un sistema giuridico che contemplava il progressivo affrancamento delle popolazioni rurali.
Il Re o Giudice governava sulla base di un patto col popolo, il cosiddetto bannus-consensus, venuto meno il quale il sovrano poteva essere detronizzato ed anche legittimamente ucciso dal popolo medesimo (secondo il "diritto alla rivolta" di origine bizantina)[3], senza che questo incidesse sulla trasmissione ereditaria del titolo all'interno della dinastia regnante.
La Sardegna fu sino all'VIII secolo una provincia dell'Impero bizantino, riconquistata ai Vandali nel 534 da Giustiniano e Belisario[4].
Gli Arabi in poco più di ottanta anni conquistarono un vasto impero e gli Abbasidi di Baghdad svilupparono loro flotte e condussero un'imponente operazione di conquista delle isole più vicine a Bisanzio.
In questo contesto dal 703 al 733 la Sardegna subì una serie di incessanti attacchi che tendevano a distruggere la potenza navale bizantina, mentre gli Omayyadi di Damasco, consapevoli dell'invincibilità araba in terraferma, condussero un'espansione di terra lungo le rive meridionali del Mar Mediterraneo.
Dal 705, con l'avanzata dell'Islam verso l'Europa iniziarono le scorrerie dei corsari musulmani provenienti dal Nordafrica e dalla Spagna. Le incursioni improvvise non trovarono efficace opposizione nell'esercito bizantino. Cessate le scorrerie improvvise, dopo una stasi di dieci anni, Arabi e Berberi islamizzati si riorganizzarono e tornarono questa volta con un più ampio schieramento di forze cercando di occupare la parte meridionale della Sardegna.
Fu a seguito di queste offensive che il re longobardo Liutprando inviò alcuni messi a Cagliari - tra il 721 e il 725 - per trattare l'acquisto delle spoglie di Sant'Agostino custodite in città e preservarle da possibili profanazioni[5]. Andata a buon fine la trattativa i Longobardi portarono le spoglie in salvo a Pavia, custodendole nell'Arca di San Pietro in Ciel d'Oro. A Cagliari restarono le vesti del santo.
Le fortificazioni sarde resistettero a diversi attacchi, tanto che in una missiva dell'851 papa Leone IV chiederà aiuto allo Judex Provinciae (giudice della provincia) della Sardegna per la difesa di Roma[6], ma con la caduta nell'VIII secolo dell'Esarcato d'Africa con sede a Cartagine, e soprattutto con l'affermarsi della presenza araba in Sicilia (827) la Sardegna restò scollegata da Bisanzio e dovette necessariamente rendersi economicamente e militarmente autonoma[7]. Non potendo contare sull'aiuto imperiale per difendersi dagli attacchi, gli amministratori locali, gradualmente, organizzarono le difese e presero coscienza di agire di fatto più per proprio conto che per conto di soggetti esterni.
A poco a poco il distante potere imperiale scomparve. Si ritiene che i funzionari imperiali derivanti dall'antico istituto dioclezianeo del vicarius, altrimenti detto lociservator (luogotenente, letteralmente), di grado assimilabile al praeses (sorta di prefetto imperiale) si trovarono ad essere, probabilmente, capi di governo prima - e poi - per riconoscimento e legittimazione diffusa, avrebbero assunto il nome e il potere di Iudex, affermando così una sovranità indipendente ed ereditaria.
Un indizio dell'autonomia da Bisanzio lo si evince dalla notizia della missione condotta in autonomia dai sardi presso Ludovico il Pio (814 - 840)[7], successore di Carlo Magno, in vista di una coalizione anti araba con i Franchi i quali, all'epoca, detenevano la Corsica. I legati stabilirono rapporti di buon vicinato e collaborazione difensiva tra le due isole. Quando nell'828 il conte Bonifacio, governatore franco della Corsica, passò per la Sardegna al fine di colpire le coste del Nordafrica oramai arabo con una spedizione militare, definì la Sardegna Insula amicorum[8]. La Sardegna fu allora decisiva perché divenne uno dei confini più importanti[senza fonte] tra mondo latino e Islam.
La quasi totale assenza di fonti storiografiche non consente di avere certezza sul passaggio dall'autorità bizantina centrale alla nascita dei quattro giudicati autonomi. Restano larghe zone d'ombra. A fronte dell'unica fonte incontrovertibile costituita dalla epistola inviata da Papa Gregorio VII il 14 ottobre 1073 ai quattro Giudici (Orzocco, Torchitorio, Mariano, Costantino) che, citando i loro antiqui parentes palesa il radicamento storico delle generazioni giudicali, per quanto riguarda le nebulose fasi tra il IX e l'XI secolo si ritiene che vi sia stata una evoluzione graduale avvenuta in un contesto di rapporti sempre più rarefatti con Bisanzio a fronte di nuovi rapporti ed equilibri con altre entità statuali influenti nel bacino occidentale del Mediterraneo. Le fonti più importanti in merito sono le epistole papali del IX secolo:
Da questo sistema di informazioni si possono trarre alcuni ragionevoli spunti di riflessione: Bisanzio lasciò al governo di Sardegna, Corsica e Baleari un arconte con sede a Cagliari. La figura dell'arconte unificava i poteri civili del praeses con quelli militari del Dux. Nel 1990 è stato rinvenuto a Tharros (l'antica capitale arborense precedente alla fondazione di Oristano) un sigillo recante l'iscrizione in lingua greca Zerchis àrchon Arbor (Zerchis arconte d'Arborea), e questo significa forse che la figura dell'arconte venne moltiplicata per favorire il controllo e la risposta difensiva nei diversi territori soggetti alle incursioni moresche.
Nel corso del IX - X secolo le figure imperiali presenti in altri distretti dell'Impero bizantino assunsero una natura dinastica e familiare come avvenne ad esempio a Venezia e Napoli. Si assistette quindi ad un processo di radicamento al potere di una stessa famiglia nei diversi giudicati, i Lacon-Gunale[9] (affiancata da altre famiglie aristocratiche). Ciò lo si evince dall'appartenenza sin dalle origini di tutti i quattro giudici sardi, di cui si ha notizia, a questo ceppo originario e dalla pratica dei matrimoni tra consanguinei che denota la loro volontà di mantenere la purezza e la forza dei diritti di successione.
Sono state elaborate al riguardo alcune tesi sulle origini della casata dei Lacon Gunale:
Potrebbe essere comunque probabile anche una tesi mista che, compenetrando le tre precedenti, evidenzierebbe il rafforzamento di una dinastia di ceppo bizantino lasciata al potere dall'Impero, che si apparentò e legò alle principali famiglie latifondiste sarde le quali esercitavano una discreta influenza sul governo giudicale tramite lo strumento consiliare della Corona de Logu. Ciò forse in un processo di distacco dall'autorità centrale cagliaritana di qualche gruppo aristocratico che, probabilmente, riuscì a ottenere una legittimazione imperiale franco durante l'isolamento e gli attacchi saraceni del IX-X secolo.
In particolare è di estremo interesse il fatto che avvenne nel 1065 con Gonario-Comita giudice di Torres e Arborea (de ambos logos), della famiglia Lacon-Gunale, non si sa se a seguito di acquisizione matrimoniale o per un unico regno originario[10]. Gli successe suo figlio Orgodori. Un altro successore, Barisone I, ebbe due eredi, Andrea Tanca e Mariano I, che divisero il regno tra Torres e Arborea, dando origine a due casate distinte (e forse alla nascita formale del Giudicato di Arborea), quella dei Lacon-Gunale giudici di Torres e quella dei Lacon-Zori giudici di Arborea. In Arborea si succedettero in particolare le dinastie dei Lacon-Serra prima e dei Serra-Bas dopo, a seguito dell'apparentamento con la casata catalana Bas-Cervera nel 1157[11]. Questo fatto potrebbe confermare che dal primo regno sardo con sede a Cagliari, gemmò quello di Torres (forse per investitura carolingia nel IX secolo) e, successivamente, quello di Arborea per gemmazione familiare. Per la Gallura si rinnova l'ipotesi di gemmazione dal ceppo familiare Lacon-Gunale cagliaritano, tuttavia non va ignorato il nome del primo giudice storicamente documentato nel 1050, Manfredi, che lascerebbe presumere un controllo diretto dei Pisani subentrato a quello autoctono a seguito dello scontro vittorioso con i pirati saraceni.
Una questione ancora irrisolta riguarda la Barbagia. I confini geografici dei quattro giudicati nella Sardegna centrale convergono verso le zone interne e, in particolare, la Barbagia viene divisa in quattro partes. Ciò non è di facile comprensione ma forse denota la volontà di suddividere la gestione problematica delle libere popolazioni pastorali (conservative e poco urbanizzate) della Sardegna interna (autonoma da Bisanzio fino al VII secolo) o, in alternativa, se fosse valida la deduzione sull'origine autoctona delle dinastie giudicali precedentemente citata, questa zona sarebbe quella che darebbe in parte origine alle casate giudicali ed ai quattro regni.
La Sardegna medievale era una terra dove vigeva il sistema delle signorie fondiarie accompagnate da un sistema di fondi demaniali dati in libera concessione ai cittadini delle ville del giudicato. La popolazione servile - i servos - residente presso le tenute agricole padronali chiamate domus, prestava la propria opera al donnu (signore del distretto rurale) per 4 giorni lavorativi su 6 (tolta sa Dominica). Gli altri 2 giorni erano destinati al sostentamento della propria famiglia e, spesso, all'accumulazione di beni per l'acquisizione del proprio affrancamento dalla condizione servile per entrare nella classe dei livertados (liberi), che costituivano circa 1/3 della popolazione, stimata sui 300.000 abitanti o poco meno[12].
Le dure condizioni servili imponevano che le persone non si potessero spostare dalla curatoria di residenza e che il signore stabilisse anche i matrimoni all'interno del proprio territorio, finendo per campare i diritti di servitù verso la prole. Le stesse condizioni vigevano presso i monasteri che basavano le proprie entrate anche sul lavoro dei servi esattamente come avveniva per i signori dell'aristocrazia fondiaria. Le cessioni immobiliari delle aziende agricole e dei borghi rurali, trasferivano anche la proprietà delle genti asservite. Lo stato e le condizioni della popolazione rurale cambiò moltissimo nel corso di cinque secoli passando da una sorta di servitù della gleba alla quasi completa libertà di tutti i cittadini nel periodo di Eleonora d'Arborea (e ciò forse spiega l'appoggio popolare dei Sardi alla giudicessa per il timore che il successo dei Catalani avrebbe, come poi successe realmente, imposto un ritorno alle condizioni servili di tipo feudale).
In Sardegna si diffuse un ceto di cavalieri - piccoli proprietari terrieri - detti Lieros de Cavallu, che prestavano servizio militare verso il giudicato, sul solco forse della tradizionale figura bizantina dei Kaballarioi: cavalieri sovente esentati da tributi e dotati di un fondo rurale di proprietà per il sostentamento. Ma sin dalle origini più remote dei giudicati si affermò una classe di famiglie latifondiste imparentate con i giudici chiamata dei Donnos majorales che, probabilmente, costituirono l'insieme dei membri che affiancavano il giudice nel controllo dei giudicati con le Coronas de Logu, soggetti di autorità giurisdizionale ed attribuzione della legittimazione al governo dei Giudici. Così avvenne, tra le altre, per le famiglie Lacon, Gunale, De Thori, Athen, Serra, Kerki, Gitil, Carbia.
L'aristocrazia fondiaria assisteva inoltre il giudice nella predisposizione dell'esercito: i documenti citano oltre ai Lieros de cavallu anche le figure dei Buiachesos e dei Maiores de ianna, le guardie giudicali derivanti in tutta probabilità da quegli eskoubitores, guardie imperiali bizantine, che includevano contingenti di Sardi presso il palazzo imperiale di Costantino VII Porfirogenito.
La cerimonia di investitura detta su collectu era estremamente solenne. Nell'assemblea i maggiorenti che vi partecipavano si disponevano in circolo (Corona de Logu) e al centro si collocava colui che aveva il compito di presiederla. La Corona circoscriveva e definiva le attribuzioni e l'ambito del potere del Giudice, ovvero la sua attività di governo, quella giuridica e quella militare.
In un'epistola del 1216 al Papa, la Giudicessa (juyghissa) reggente Benedetta descrive la confirmatio del popolo, in cui lo Iudex diventa tale per boluntade de Donnu Deu ed è rappresentata materialmente dalla consegna del baculum regale (lo scettro), quod est signum confirmationis in regnum. La Giudicessa comunicava inoltre di aver dovuto giurare di regnum non alienare, neque minuere, et castellum alicui aliquo titulo non donare neque pactum aut societatem aliquam cum gente extranea inire aliqua tenus aut facere sine consensu eorundem. Si evince quindi che il Giudice aveva una sovranità formalmente limitata dal rispetto del Consensus e che nulla poteva disporre senza l'approvazione della Corona de Logu. Il Giudice era pertanto il garante degli equilibri collettivi fondati sul diritto ed il capo dello Stato con l'esercizio dei tre poteri sovrani sul territorio: rennare-potestare-imperare.
Lo Iudex che si fosse macchiato del superamento di tale ordine condiviso, avrebbe tradito il fondamento stesso del proprio potere e, perso il consensus, avrebbe potuto essere destituito e legittimamente giustiziato (come qualche volta storicamente è provato che avvenne).
Fondendo tradizioni autoctone (usi e istituti di incerta e teorizzata derivazione nuragica) ed istituti giuridici romano-bizantini, i quattro giudicati si discostavano dai contemporanei regni medievali in quanto non sottoposti ad un regime privatistico, secondo la tradizione barbarico-feudale europea. I Giudicati erano retti da una particolare forma di monarchia, mista tra quella ereditaria e quella elettiva, per cui i monarchi venivano generalmente scelti nella famiglia del defunto Giudice secondo le proprie regole di successione, ma la loro scelta veniva formalmente effettuata dalla Corona de Logu, il Parlamento giudicale.
Le caratteristiche principali dei regni giudicali erano, come già detto, la loro natura superpersonale e la loro organizzazione amministrativa. Lo Iudex sive rex nell'espletamento del suo regno giudicale era infatti assistito da una complessa organizzazione burocratica: una centrale e una periferica. Vi era, innanzitutto, una perfetta distinzione tra i beni privati dello Iudex e quelli statuali pubblici:
L'attribuzione di un fondo demaniale ad un privato cittadino, mercanti o istituzioni religiose, era detta secatura de rennu (cioè stralcio dalla res statuale). In tal senso si può affermare che il sistema feudale in senso privatistico non fu presente nella Sardegna medievale ma si affermò solo nella seconda metà del Quattrocento, ad opera della corona catalana prima, e spagnola dopo.
L'amministrazione centrale e l'intera società giudicale facevano naturalmente perno sostanziale sul Giudice, tuttavia il sovrano non aveva il possesso del territorio né era il depositario della sovranità in quanto questa era formalmente della Corona de Logu, un Consiglio di maggiorenti (rappresentanti dei distretti amministrativi detti Curatorie) e alti prelati, che nominava il sovrano e gli attribuiva la somma potestà, mantenendo tuttavia il potere di ratificare gli atti e gli accordi che riguardassero l'intero regno (su Logu).
Durante su Collectu (il collegio) si riunivano nella capitale un rappresentante di ciascuna Curatoria, i membri dell'alto clero, i castellani, due rappresentanti della capitale eletti da jurados delegati dalla Coronas de Curadoria (precedentemente riunita nella principale villa distrettuale), quindi lo Judex sive rex era incoronato con un sistema misto elettivo-ereditario seguendo la linea diretta maschile e, solo in via alternativa, quella femminile[13].
Come detto il giudice governava sulla base di un patto col popolo (il bannus-consensus), venuto meno il quale il sovrano poteva essere detronizzato ed anche, nei casi di gravi atti di tirannide e di sopruso, legittimamente giustiziato dal popolo medesimo, senza che questo incidesse sulla trasmissione ereditaria del titolo all'interno della dinastia regnante: è storicamente attestato che ciò sia avvenuto nei Giudicati di Arborea e di Torres.
Nei sigilli in piombo facenti parte delle pergamene giudicali era scritto il nome del giudice seguito dal titolo di Rex, tuttavia il Giudice non era un sovrano assoluto di tipo feudale, almeno nella forma: egli non poteva dichiarare guerra, firmare trattati di pace o disporre del patrimonio del Giudicato senza l'assenso della Corona de Logu, tuttavia essendo questa composta prevalentemente dalle aristocrazie ad esso imparentate e, quindi, accomunate dagli stessi interessi di tipo fondiario, di fatto i giudici si qualificavano come Rex con autorità pubblica.
La successione al trono era di tipo dinastico (di diritto) ma vi era la possibilità di reggenze di fatto, con prevalenza del criterio elettivo ad opera della Corona De Logu. Quando era ancora in vita il Giudice veniva indicato il suo erede designato onde evitare scontri e problemi sulla successione.
I Giudici si distinsero per le rilevanti ricchezze patrimoniali di famiglia derivanti dalle grandi proprietà terriere direttamente gestite: le Donnicallie, derivanti in tutta probabilità dall'istituto delle dominicalie. Ciò conferma che la nascita del potere dei giudici e delle aristocrazie ad essi imparentate avvenne su base fondiaria. Il giudice inoltre rese assai solido il proprio potere con la concessione della gestione di alcuni fondi demaniali ai funzionari e ai militari più fedeli. Interessante anche il fatto che i giudici non avessero inizialmente una sede fissa in quanto le corti giudicali erano itineranti nei vari territori curatoriali (lasciando capire l'importanza del territorio rappresentato dalla Corona de Logu) anche se avevano comunque sedi di residenza privilegiata:
Inoltre vi era l'esigenza di avere altri luoghi distanti dal mare soggetto alle ostili incursioni saracene.
Nel governo del territorio, sempre a livello centrale, il Giudice era assistito da una Camera Scribaniae (Cancelleria Giudicale). L'autorità sovrana era infatti formalizzata con la stesura di atti ufficiali detti Carta bullata, scritti dal Cancelliere statale, in genere un vescovo o comunque un alto esponente del clero, coadiuvato da altri funzionari denominati majores (tra i quali il più importante era il majore de camera).
Il sistema di gestione della cancelleria giudicale innestava elementi indigeni e latini in un sistema avente matrice greco bizantina. Vi erano comunque differenze tra i giudicati dovute alle differenti vicissitudini politiche e commerciali dei giudicati. Così ad esempio:
I giudicati sardi fondavano la propria forza militare su un esercito regolare e su truppe composte da soldati, liberi cittadini, soggetti a rotazione periodica e, in caso di emergenza, all'arruolamento forzoso dei servi del regno. Il corpo scelto era costituito dai cosiddetti Bujakesos, cioè i guardiani del giudicato, cavalieri scelti e di professione che prestavano il servizio regolare sotto il comando del Majore de janna, il comandante addetto alla sicurezza del sovrano. Corpi di bujakesos operavano in missione anche a livello di singola curatoria con funzione di vigilanza, scorta, controllo, e supporto alle truppe locali dette Iskolka, poste al servizio del Curatore. Il servizio come bujakesos era prestato a turno anche da liberi cavalieri (lieros de caballu) possidenti terrieri. La cosiddetta Kita de bujakesos richiama infatti la rotazione settimanale dei cavalieri (kita in sardo significa ancora oggi "settimana"), al servizio della guardiania giudicale e della vigilanza dei confini del regno, anche per la tutela dei propri interessi e proprietà. Questo sistema consentiva ai giudici di risparmiare sulle spese militari e di mantenere l'addestramento di un buon numero di cittadini, sotto l'abile guida dei bujakesos di professione. L'armamento principale, oltre alla spada, la cotta di maglia, lo scudo e l'elmo col nasale, era il temuto birrudu, arma sia da lancio che da taglio, discendente dall'antico verutum, il giavellotto romano. Nella variante locale essa era dotata di lama ricurva e, nell'altra estremità, di un pesante puntale metallico capace di forare armature e scudi in caso di corpo a corpo. Le milizie di terra e i fanti (Birrudos) utilizzavano questa stessa arma in una versione più corta, ancor più adatta alla mischia. Oltre all'uso di comuni lance e scudi un'altra arma caratteristica era la leppa, sciabola con manico d'osso e lama ricurva, lunga tra i 50 e i 70 cm, ancora in uso, in una versione più contenuta, fino alla fine del XIX secolo ed oggi nella versione compatta a serra-manico. In Sardegna veniva prodotto inoltre un ottimo arco lungo, in legno di tasso e si diffuse nel tempo anche l'uso della balestra, utilizzata dai cosiddetti Balisteris. Durante i conflitti era abituale coscrivere forzosamente cittadini e servi maschi, dotandoli di archi, leppe o di un tipo di giavellotto pesante e rudimentale detto Virga Sardesca. Si formavano così contingenti di Lantzeris o, se muniti di cavallo, di Caddigatores (cavalleria leggera).
In caso di conflitti di particolare rilevanza i giudici fecero sovente ricorso a contingenti di mercenari, come ad esempio i temuti balestrieri genovesi.
Secondo tanti giuristi le curatorie sono il vero gioiello dell'organizzazione giudicale[17]. La Sardegna giudicale aveva infatti un territorio (su logu) suddiviso in Curadorias, cioè in distretti amministrativi di varia estensione, formati da centri urbani e ville rurali, dipendenti da un capoluogo dove aveva sede il Curadore. Questi, coadiuvato soprattutto in materia giudiziaria da Jurados e da un consiglio detto Corona de Curadoria, rappresentava localmente l'autorità giudicale e curava il patrimonio pubblico della Corona. Frutto di una lunga e precedente costruzione storica, quello delle Coronas fu un governo assembleare che si ipotizza facesse rivivere lo spirito del parlamento del villaggio nuragico, composto dalle persone maggiorenti e presieduto dal capo del cantone per discutere questioni riguardanti la comunità (o le comunità se erano confederate), e per amministrare la giustizia. Secondo lo studioso della storia sarda Giovanni Lilliu - fu quello uno degli aspetti più interessanti della civiltà nuragica.[18] Questo sistema di governo assembleare sopravvisse all'interno dell'isola e si ritrovò, dopo duemila anni, nello spirito delle Coronas giudicali[18] con le curatorie - si pensa - che ricalcavano la grandezza e la forma di quelli che in epoca nuragica furono i cantoni.[19]
Il Curatore era di nomina regia o comunque approvato dal judike. Egli aveva un mandato a tempo determinato con autorità sull'esazione fiscale, sull'azione giudiziaria penale e civile, sugli organi di polizia, Iskolka, e sull'arruolamento dell'esercito[20]. La sua attività era comunque incentrata sul controllo ed il potenziamento della gestione rurale, fonte della ricchezza giudicale. Non erano ammesse dal Giudice inadempienze ed inerzie nella conduzione della Curatoria in quanto l'ordinamento giudicale riteneva il curatore responsabile in modo diretto del progresso o dei ritardi della Curatoria, soprattutto in tema di sicurezza e prevenzione degli incendi.
I confini di questi distretti venivano definiti per far sì che la popolazione residente in ogni curatoria fosse approssimativamente uguale; di conseguenza i confini erano fluidi e dipendevano dai diversi tassi locali di crescita demografica[17]: pertanto le Curatorie erano probabilmente delle unità censuarie. Le curatorie erano inoltre distretti elettorali: gli uomini liberi di ogni curatoria si riunivano periodicamente in assemblea al fine di eleggere il proprio rappresentante presso la Corona de Logu. Questo sistema amministrativo era radicato ed estremamente efficace per la gestione del territorio e venne meno con l'imposizione del sistema feudale da parte degli Aragonesi, nel corso del XIV e soprattutto del XV secolo.
Il Curatore nominava per ciascun villaggio facente parte della Curatoria un majore de bidda o villa (l'equivalente odierno di un sindaco) con competenze amministrative e di investigazione giudiziaria, con responsabilità diretta sul buon fine delle azioni di gestione del territorio[21].
Nell'XI e nel XII secolo in Sardegna si assistette ad un aumento della popolazione (che successivamente crollò nel XIV secolo). Alcuni centri abitati come Sassari, favorita dal declino di Turris, crebbero per popolazione e importanza proprio a partire dalla prima metà del XII secolo. La Sardegna giudicale era caratterizzata da un insediamento urbano costituito da Ville (biddas), i centri abitati più importanti (capoluogo di Curatoria e non) e da un insediamento rurale sparso, fatto di piccoli borghetti rurali, caratterizzati da autosufficienza e scambi commerciali spesso basati sul Baratto. Queste erano le principali tipologie insediative e rurali[22]:
Domus e Domestia erano spesso di proprietà privata di singoli Donnu (Domnus). I villaggi erano in origine 800 e più nell'intera isola poi ridottisi, dopo il XIV secolo a seguito della peste, della guerra sardo-catalana o dell'assorbimento urbano legato alla crescita dei centri principali, a 360 circa nel secolo successivo[23].
Del territorio della villa, chiamato Fundamentu (i fondi rurali), solo la parte più vicina al villaggio veniva recintata e coltivata da singoli proprietari. Il resto del territorio era proprietà di tutta la collettività (una sorta di demanio) ed era diviso in due parti che venivano destinate ad anni alterni alla semina (era la parte chiamata biddatzone) e a pascolo (chiamato paberile).
Ma il Fundamentu dato in concessione dal giudicato, è un concetto sofisticato per i tempi in quanto indica non solo il fondo fisico ma anche una dotazione rurale definita dal giusto sostentamento e dai bisogni dei cittadini residenti nella villa o nel borgo.
Anche la parte più lontana e periferica dello stesso villaggio era demaniale. Questa gestione comune dei beni di interesse diffuso e la difesa collettiva del territorio può far ipotizzare un probabile influsso del substrato culturale nuragico, precedente alla romanizzazione dell'isola, ma ancora viva in alcune usanze e tradizioni comuni.
Non esistono prove concrete su un'autonoma monetazione giudicale. Nei quattro regni sardi circolava soprattutto la moneta aragonese, ma in Gallura e nel Logudoro anche quella pisana e genovese. Il Giudicato d'Arborea ebbe una vita più lunga degli altri e gli ultimi tre sovrani - Mariano IV, Ugone III ed Eleonora - estesero i confini a quasi tutta l'isola. È insolito il fatto che non avessero pensato di costituire una propria zecca, come in tutti gli Stati europei, anche quelli piccoli.
Negli anni ottanta sono state individuate, presso un privato collezionista, quattro monete assai consunte, dove alcuni vedono lo stemma arborense: non esiste comunque prova documentale che siano state coniate da una zecca giudicale.
L'unica effettiva e concreta coniazione che ci ricorda il Giudicato d'Arborea la mise in atto l'ultimo giudice Guglielmo III di Narbona (1407-20) nel 1410, presso la zecca di Sassari. Guglielmo era nipote di Beatrice d'Arborea, sorella di Ugone III ed Eleonora. Si trattava di minuti e patacchine in mistura d'argento che riportavano l'albero sradicato d'Arborea sul verso e la croce patente intersecante sul recto.
Secondo le analisi più recenti gli Iudex dovevano coordinare la difesa territoriale in una Sardegna le cui comunità esprimevano un concreto bisogno di protezione dalle incursioni nemiche, le quali, essendo frequenti lungo tutte le coste, sarebbero di fatto il fattore determinante per la nascita di quattro distretti militari in luogo di quello unico lasciato dall'Impero, con sede a Cagliari.
I quattro Giudicati di Calaris, Arborea, Torres e Gallura divennero veri e propri Stati medievali costituiti da quattro fondamentali elementi: nazione, territorio, vincolo giuridico, sovranità. Stati dotati di summa potestas nazionale e internazionale, non recognoscentes superiorem. I Giudicati si caratterizzarono fin dall'inizio come Stati super individuali in quanto la sovranità dello Iudex sovrano, benché ereditaria, non sorgeva da una legittimazione superiore (ad es.: diritto divino) ma dall'approvazione delle comunità aristocratiche giudicali: erano i donnos fondiari che attribuivano l'imperio allo Iudex sive rex, tramite la Corona de Logu (il Consiglio che rappresentava totu su logu cioè l'approvazione di tutti i cittadini dello Stato) e, solo a seguito di un giuramento - il bannus-consensus - espresso durante l'assemblea solenne di incoronazione. La Corona de Logu sceglieva inoltre il successore qualora, alla morte del giudice senza eredi designati, vi fossero diverse opzioni dinastiche sussistenti in alternativa nella stessa famiglia al potere.
Ciò che determinava l'attribuzione del Consensus erano prevalentemente due mandati vincolanti per lo Iudex:
Ognuno dei quattro Stati aveva confini incastellati a protezione degli interessi politici e commerciali, oltre ad avere proprie leggi, propria amministrazione e propri emblemi.[2] Le poche fonti storiche tra 800 e 1050 non consentono, come visto, di effettuare affermazioni certe sullo sviluppo e l'organizzazione originaria di questi regni autoctoni, si sa invece che si affacciarono al nuovo millennio con una struttura territoriale e amministrativa già abbastanza definita e con un sistema giuridico completo e riconosciuto sul territorio.
Al sovrano spettava il supremo potere ed aveva la prerogativa di nominare i suoi amministratori locali (Majores de villa), così da creare una rete di funzionari a lui fedeli nel Giudicato. Tutti e quattro furono retti da Giudici inizialmente appartenenti alla potente famiglia dei Lacon-Gunale la quale, secondo l'opinione di alcuni storici del Medioevo sardo come Francesco Cesare Casula, potrebbe essere stata la legittima titolare nell'ultimo periodo di dominazione bizantina della Sardegna, prima dell'abbandono dell'isola a sé stessa, con l'ufficio di Iudex Provinciae nei territori che poi sarebbero corrisposti alle ripartizioni Giudicali. L'origine storica dei regni sardi medievali risiederebbe, quindi, nell'evoluzione delle antiche circoscrizioni bizantine in entità sovrane autonome.
Il Giudicato di Cagliari o Calari, che si estendeva sul territorio corrispondente a quello delle odierne province sarde di Cagliari, di Carbonia-Iglesias e d'Ogliastra, aveva come capitale Santa Igia, le cui rovine attualmente si trovano sotto i quartieri occidentali di Cagliari. Fu conosciuto anche con la denominazione di Pluminos, si pensa perché attraversato da diversi fiumi (Flumini Mannu, Cixerri e Flumendosa)[24].
Era il Giudicato che aveva nel suo territorio i Campidani di Cagliari, terre fertili e produttive, ma anche parte del massiccio del Gennargentu e il Sarrabus oltre ad altre ricchezze come le attività minerarie dell'Iglesiente. Si estendeva per 8226 km² confinando prevalentemente con il regno di Arborea ma anche con gli altri due giudicati.
Ebbe buoni rapporti con Pisa, fino all'improvviso mutamento politico che portò la repubblica marinara toscana, alleandosi coi restanti Giudicati sardi, ad attaccare e conquistarlo (1258), ponendo fine alla sua storia autonoma. Il suo territorio venne spartito dal Regno di Arborea al centro e a nord, dal Regno di Gallura a est, dalla famiglia Della Gherardesca a sud-ovest, mentre il circondario di Cagliari andò alla Repubblica di Pisa, che era già in possesso della rocca di Castel di Castro dal 1216[25].
Si conoscono almeno dieci generazioni di sovrani che salirono sul suo trono, appartenenti a sei casate: Lacon-Gunale; Lacon-Gunale di Torres; Lacon-Serra; Lacon-Massa-Serra; Massa.
Nel nord dell'isola si trovava il Giudicato di Torres, con capitale inizialmente Turris (odierna Porto Torres), poi Ardara e infine Sassari. Il giudicato si estendeva sul territorio corrispondente all'odierna provincia di Sassari ed alle parti più settentrionali delle attuali province di Oristano e Nuoro.
Questo regno giudicale, di tradizione (e forse investitura) vicina a quella carolingia negli usi diplomatici e di cancelleria, promosse più di altri l'insediamento degli ordini monastici in particolare nel periodo del giudice Gonario II di Torres - XII secolo - e si scontrò spesso con pisani e genovesi contrapposti dalle mire commerciali sul Logudoro. La sua autonomia statuale venne meno allorché la sua ultima regina, Adelasia, venne abbandonata dal legittimo consorte (Enzo di Sardegna, figlio di Federico II di Svevia) e lasciò il regno nelle mani rapaci dei suoi vassalli (1259). Il giudicato venne così suddiviso tra le potenti famiglie dei Doria e dei Malaspina, ma perse importanti territori anche a favore del confinante giudicato di Arborea, mentre l'ultima capitale Sassari divenne una Repubblica pazionata (confederata) con Genova, diventando il primo libero Comune dell'isola.
A testimonianza del suo passato si trovano ad Ardara i resti del castello del giudice e l'antica cappella palatina dei Giudici turritani santa Maria del Regno, che ospita un grandioso retablo con sfondo dorato.
A nord est dell'isola era situato il Giudicato di Gallura, il minore per superficie, abitanti e risorse. Governato da un ramo della famiglia Lacon-Gunale fino al 1207, quando la giovane giudicessa Elena di Gallura (1203-18) sposò il pisano Lamberto Visconti (1207-25). A questi, sopravvissuto alla consorte, succedette il figlio Ubaldo Visconti (1225-38), che non ebbe figli da Adelasia di Torres. Gli subentrò, allora, il cugino Giovanni Visconti (1238-75) che lascerà il piccolo regno al primogenito Nino Visconti, ultimo giudice (1276-96), amico di Dante che lo ricordò nella sua opera.
La Gallura verrà spartita tra i pisani. Sempre nell'ultima parte del Duecento si erano estinti il Giudicato di Torres con la morte senza eredi della giudicessa Adelasia e quello di Cagliari: anche questi regni saranno divisi tra le famiglie dominanti.
Rimarrà solo il Giudicato di Arborea che sopravviverà fino al 1420 con periodi di grande espansione e poi di declino.
Il Giudicato di Gallura si estendeva sul territorio corrispondente all'odierna zona est della provincia di Sassari, (regione storica della Gallura) nonché sulla parte settentrionale dell'attuale provincia di Nuoro (regione storica delle Baronie).
La sua "capitale" era ubicata a Civita, ricostruita sui ruderi dell'antica città romana di Olbia, il cui nome compare per la prima volta nel 1113, anche se la corte giudicale, si ipotizza, itinerasse spesso tra i maggiori centri delle curatorie del regno, in particolare a Luogosanto nei castelli di Balaiana e Baldu, ma la cosa non è assodata.
Il più longevo dei quattro regni fu il giudicato di Arborea, con capitale Tharros e, dal 1076, Oristano. Si estendeva inizialmente sul territorio corrispondente all'odierna provincia di Oristano (eccetto le zone più settentrionali), a quella del Medio Campidano e a gran parte della Barbagia, arrivando fino a Punta La Marmora; a partire dal 1250 il Giudicato inglobò sempre maggiori porzioni degli altri giudicati, ormai estinti, conquistando la Planargia, il Goceano, il Nuorese, l'Iglesiente, il Campidano di Cagliari, fino al quasi totale controllo sull'isola.
Prosperò sino all'inizio del XV secolo, allorché avallò le pretese sulla Sardegna del regno di Aragona, a cui il papa Bonifacio VIII aveva concesso, con una licentia invadendi, la patente di conquista sull'isola. Gli Arborea, già legati familiarmente agli aragonesi, si allearono con essi diventandone vassalli, partecipando dal 1324 in poi alle battaglie che scacciarono le repubbliche marinare dall'isola e permisero la nascita del Regno di Sardegna. Dopo le terribili epidemie di peste nera che decimarono la popolazione, il Giudicato entrò nelle ostilità alleandosi ai Doria che ancora resistevano agli aragonesi (la città da loro fondata di Castelsardo cadde solo nel 1448) e combattendo per decenni i catalano-aragonesi, arrivando già dal 1354 a controllare quasi l'intera isola. La guerra fra mediazioni, trattati di pace e tentativi di assimilazioni dinastiche divise i due regni e si prolungò fino al 1420, quando l'ultimo re di Arborea, Guglielmo III di Narbona, cedette quel che rimaneva dell'antico regno alla Corona aragonese per 100.000 fiorini d'oro. Il Giudicato fu retto nel tempo degli Arborea, il nome con il quale si facevano chiamare le dinastie dei Lacon - Gunale, dei Lacon - Serra, dei Bas - Serra, dei Cappai de Baux, e alla quale apparteneva la celebre regina Eleonora d'Arborea, che governò come reggente in nome dei figli dal 1383 al 1402, data in cui presumibilmente morì di peste. Ma un'altra figura avveduta e raffinata fu suo padre, Mariano IV di Arborea, che governò in modo illuminato per diversi decenni.
««Ego prebitero Rodulfo - ki certait mecu iudice Gunnari in su monte pro Simion Macara. Et ego non bi voli 'n' certare cun illu. Et osca falaince assa festa de sanctu Gaviniu et naraililu assu archipiscopu su certu: a donnu Athu, ci fuit monacu de Camaldula. Et isse naraitindeli a iudice ca: «Male fakes et peccatu, ki li lu levas a Sanctu Nichola». Et isse, co donnu bonu et ca la amavat sa anima sua, benedissitililu a Sanctu Nichola, o clericu esseret o laycu. Testes: su archipiscopu, et issu piscopu de Plavaki donnu Gualfredi, et issu piscopu de Gisarclu donnu Mariane Thelle. Testes.». - Io prete Rodolfo (scrivente): il giudice Gonario (Gonario II di Torres) fece lite con me sul monte per Simone Macara. Ed io non volli contendere con lui. E poi scesi alla festa di San Gavino e la lite la raccontai all'arcivescovo: a donnu Athu, ch'era monaco di Camaldoli. Ed egli disse al Giudice: «Ti comporti male e fai peccato, se lo levi (un bene o un servo) a San Nicola ». Ed egli, ch'era uomo buono e che amava la sua anima, lo lasciò a San Nicola, sia che fosse di proprietà ecclesiastica o laica. Testimoni: l'arcivescovo e il vescovo di Ploaghe donnu Gualfredo e il vescovo di Bisarcio donnu Mariano Thelle.»
I Giudicati segnarono l'affermazione di un sistema culturale che presentava diverse peculiarità rispetto ad altri stati medievali coevi. I Giudici tuttavia non furono sovrani isolati e lontani dalle dinamiche internazionali. Furono infatti inseriti nelle dinamiche storiche medievali come le Crociate, l'avvento del monachesimo, la lotta tra impero e papato, tra guelfi e ghibellini, i traffici commerciali mediterranei.
Sia l'architettura che la cultura romanica prima, e quella di influsso catalano dopo, assunsero una caratterizzazione legata alla rielaborazione culturale locale, che si espresse anche nel campo del diritto, con l'equiparazione dei cittadini di fronte alla legge, sottratti al libero arbitrio dei signori locali, come invece era tipico di tanti altri sistemi di derivazione barbarico-medioevale.
«Con ciò, l'accrescimento ed esaltamento delle Provincie, Regioni, Terre, discenda e provenga dalla Giustizia e che per i buoni Capitoli, si freni la superbia degli uomini rei e malvagi e li costringano per la paura delle pene, in modo che i buoni, puri ed innocenti possano vivere insieme e stare tra i rei, sicuri che per paura delle pene, ed i buoni per la virtù dell'amore siano tutti obbedienti ai Capitoli ed Ordinamenti di questa Carta de Logu. Ci imperò Eleonora, per la Grazia di Dio Giudicessa d'Arborea, Contessa di Goceano, e Viscontessa di Basso, desiderando, che i Fedeli, e Sudditi nostri del nostro Regno d'Arborea siano informati dei Capitoli, ed Ordinamenti, per i quali possano vivere e si possano conservare nella via della Verità, e della Giustizia, ed in stato buono, pacifico e tranquillo, ad onore di Dio Onnipotente, della gloriosa Vergine Madonna Santa Maria sua Madre, e per conservare la Giustizia, e buono e pacifico e tranquillo stato del popolo del nostro predetto Regno, e delle Ecclesie e regioni Ecclesiastiche e degli uomini buoni e liberi e popolo tutto della detta Terra nostra e del Regno d'Arborea, facciamo gli Ordinamenti e Capitoli scritti sotto»
Le Cartas de Logu sono raccolte di norme penali, pubbliche, civili e fondiarie di grande importanza in vigore nei diversi Giudicati. Della Carta Caralitana si sono purtroppo conservate solo poche parti. La Carta de Logu del Giudicato di Arborea segna, verso la fine del Trecento, la nascita di uno Stato di diritto ad opera di Mariano IV prima e di sua figlia Eleonora dopo, la quale ha esteso la portata delle norme per adattarle ad una realtà mutata nelle condizioni sociali. La Carta è scritta in sardo (del ceppo logudorese) e da ciò si evince l'intento giudicale di renderla nota effettivamente ai cittadini in modo da renderli consapevoli sui comportamenti leciti e su quelli non leciti, con i conseguenti risvolti penali. Si definisce quindi una situazione di certezza del Diritto.
La Carta sopravvisse, sia pure con qualche difficoltà, al periodo giudicale e rimase in vigore in epoca spagnola e sabauda fino all'emanazione del Codice di Carlo Felice dell'aprile del 1827. Dallo studio della Carta si evince una grande attenzione della Giudichessa verso la tutela della sicurezza delle campagne e delle produzioni agricole, compreso l'allevamento dei cavalli e la produzione del cuoio, anche a scapito della pastorizia. Ciò denota una grande attenzione verso la base produttiva che sosteneva gli sforzi degli eserciti nella lotta per l'indipendenza della Sardegna.
Per lo studio del periodo giudicale fra l'XI e il XIII secolo rivestono grande importanza anche i Condaghi. Termine di origine bizantina (kontakion - bastone su cui verrivano arrotolate delle schede cucite l'una sull'altra) che definisce il registro su cui venivano trascritte le pergamene degli atti di donazione ai monasteri o ad altri enti ecclesiastici. In essi venivano riportate con dovizia di dettagli le somme di denaro, i servi, le ancelle, le terre coltivate, le vigne, le aree boschive (i saltos), i pascoli e il bestiame donati dalla nobiltà locale. Dai Condaghes è stato possibile ricostruire gran parte delle dinamiche giudicali a noi note oltre ad essere le più antiche testimonianze del sardo volgare antico.
Dopo l'abbandono del greco bizantino, nei Giudicati oltre all'uso del latino medievale si sviluppò il sardo che diventò la lingua ufficiale nazionale nelle sue varianti, venendo impiegato anche nella redazione dei documenti giuridici e amministrativi, come i condaghes, gli statuti comunali e le leggi dei Regni quali ad esempio la Carta de Logu. Il sardo veniva considerato e impiegato come lingua colta anche dalle popolazioni dell'isola parlanti altre lingue, come nel caso del sassarese. Altri documenti della stessa epoca, come il Breve di Villa di Chiesa, iniziarono a essere redatti in toscano, mentre a partire dal 1324 si assistette a una forte penetrazione prima del catalano e poi dello spagnolo, che esercitarono una forte influenza linguistica sulle lingue parlate nell'isola e diventarono lingue ufficiali fino alla metà del XVIII secolo.
Il cristianesimo si diffuse in buona parte dell'isola già dai primi secoli, esclusa la parte più impervia della Barbagia, fino alla fine del VI secolo quando alcuni inviati di papa Gregorio I raggiunsero un accordo con Ospitone capo dei barbaricini che garantì la conversione del suo popolo al cristianesimo. Essendo la Sardegna nella sfera politica dell'Impero bizantino, essa sviluppò un Cristianesimo di matrice orientale grazie all'opera di evangelizzazione dei monaci basiliani e di altri religiosi orientali (da cui derivano alcune feste popolari ancora oggi assai vissute, come quelle che esaltano, ad esempio, la memoria dell'imperatore Costantino, santo per la chiesa orientale).
La Chiesa sarda non fu comunque mai una istituzione autocefala come spesso capita di leggere, cioè indipendente sia dalla Curia romana che da quella bizantina[26], ma la Chiesa cattolica nella figura di diversi pontefici aveva voce nell'ordinazione dei vescovi isolani i quali, però, continuavano a seguire culti e riti greci e, spesso, diatribe teologiche orientali. La Chiesa in Sardegna restò sempre sotto la giurisdizione patriarcale romana e non vi sono prove di autocefalia o di una sua seppur lontana dipendenza dal patriarcato di Costantinopoli[27]. Anzi, nell'XI secolo, dopo lo scisma del 1054, gli Judikes, in accordo con papa Alessandro II, iniziarono una politica a favore dello sviluppo della liturgia e del monachesimo occidentale nell'isola, con la finalità di una maggiore diffusione della cultura e della spiritualità romana ma anche delle nuove tecniche di coltivazione delle terre cui i monaci erano esperti. L'immigrazione monastica nell'isola fu alimentata con la donazione di fondi, servi e chiese fatte costruire dall'aristocrazia locale. Tuttavia permanevano forti legami con la liturgia orientale, infatti papa Gregorio VII chiese espressamente che i sacerdoti tagliassero la barba per assumere un aspetto meno orientale e che adottassero la liturgia latina. Nel 1092 una bolla papale condannò espressamente eventuali pretese di autonomia e autocefalia di vescovi o autorità ecclesiastiche sarde, anzi, per un più obiettivo controllo pastorale le diocesi sarde furono poste sotto la primazia dell'arcivescovo di Pisa.
Il primo atto di donazione a noi noto fu fatto compilare nel 1064 da Barisone I di Torres allorché donò ai monaci benedettini di Montecassino, una vasta area del suo territorio con chiese (compresa la chiesa bizantina di Mesumundu), secondo alcuni da identificare con una chiesa non distante da Tergu. Da allora in poi per diversi secoli arrivarono nell'isola rappresentanti di numerosi ordini religiosi fra i quali: i monaci dell'abbazia di Montecassino, i camaldolesi, i vallombrosani, i vittorini di Marsiglia, i cistercensi di san Bernardo. A seguito di questo fenomeno, tramite il notevole impegno finanziario dell'aristocrazia locale ed all'apporto di maestranze lombarde, pisane e francesi furono fondate numerose chiese, si ebbe così lo sviluppo dell'architettura romanica che, nell'isola, assunse dei caratteri originali e molto interessanti. Si rafforzarono le professioni dei mastros de pedra e de muru (scalpellini e muratori) locali e, dal condaghe di Santa Maria di Bonarcado, si apprende che spesso erano gli stessi monaci che avevano il compito di edificare.
La fondazione di monasteri e abbazie benedettine, camaldolesi e vittorine nei territori giudicali fu favorita da papa Gregorio VII e voluta dai giudici sardi che capirono l'importanza di introdurre le nuove metodiche agricole come la rotazione delle colture e le bonifiche in una Sardegna con uno sviluppo agricolo non ancora sufficiente a supportare una crescita demografica utile alle finalità politiche giudicali. I monasteri benedettini vennero costruiti in luoghi isolati (secondo la regola di San Benedetto) e vicini a corsi d'acqua, in un'ottica di colonizzazione di territori deserti come del resto avvenne in tutta Europa[28]. I monaci ed i servi che ivi arrivarono in donazione dalla nobiltà locale, disboscarono e conquistarono spazi fertili, coltivarono orti, costruirono mulini, officine artigiane, ecc.
I monasteri diventarono soggetti economici importanti anche grazie alle decime fiscali. Tuttavia l'avvento dei Cistercensi, ramo più severo dell'ambiente dei Benedettini, pose in tutta evidenza il contrasto tra decime, lavori servili e donazioni, con i più autentici principi cristiani. Questi monaci crearono le più avanzate aziende agricole del tempo, la grangia, ed impiegarono persone libere facenti parte della comunità, dette conversi. Fu soprattutto Gonario II di Torres che, capendo l'importanza dei Cistercensi per lo sviluppo economico e, non meno, per la cristianizzazione più autentica, favorì il loro insediamento nel proprio giudicato.
All'inizio dell'XI secolo ripresero gli attacchi degli Arabi di al-Andalus che nel 1015, condotti da Mujāhid al-ʿĀmirī (detto nelle fonti occidentali Museto o Mugetto), signore di Dénia, nelle Baleari, sconfissero la resistenza sarda e, secondo alcuni storici, conquistarono Cagliari, anche se dalle fonti pisane si evince che Mujāhid sbarcò presumibilmente in territorio del Giudicato di Torres, nella Sardegna nord-occidentale, cioè in una parte dell'isola raramente sotto attacco, e non ebbe perciò difficoltà a saccheggiare gli sguarniti centri costieri. Sollecitate dal papa preoccupato anche per le incursioni lungo le coste tirreniche continentali, le repubbliche marinare di Pisa e Genova si allearono ma solo nel 1044 (ma per alcuni nel 1035), dopo aver più volte inviato occulti ricognitori e preparato il tutto con decisiva accuratezza, toscani, liguri e sardi uniti sferrarono un mortale attacco congiunto a Bona, la roccaforte dove si era rifugiato il pirata, sconfiggendo l'esercito di Mujāhid e preservando l'isola come parte della cristianità. La Sardegna liberata dalle incursioni moresche vide però lo sviluppo dell'interesse commerciale e politico delle due Repubbliche marinare le quali iniziarono ad interferire nei vari governi giudicali. L'ingerenza politica pisana sui re giudici di Gallura e di Calari durò dall'XI al XIV secolo, trasformandosi lentamente prima in protettorato, poi in dominazione. Lo scontro tra Genova e Pisa per la Sardegna e la Corsica venne influenzato dalle politiche papali e dal posizionamento delle due città tra le fazioni guelfe e ghibelline con frequenti cambi di fronte. Il Giudicato di Arborea e di Torres coltivarono una politica di alleanza con Pisa e Genova a seconda delle convenienze politico militari ma fu solo quello di Arborea a riuscire a mantenere una concreta autonomia.
Già dal 1167 papa Alessandro III rivendicava esplicitamente una giurisdizione sulla Sardegna e, scrivendo all'arcivescovo di Genova, rivelava una forte preoccupazione per il tentativo pisano di sottrarre la Sardegna al dominio et iurisdictioni Sancti Petri. Ma tra il 1150 e il 1250 anche il Sacro Romano Impero si interessò alla Sardegna con Federico Barbarossa prima e Federico II dopo, il quale fece sposare nel 1238 Adelasia di Torres, vedova senza eredi di Ubaldo Visconti con il tredicenne figlio naturale Enzo di Hohenstaufen, nominandolo subito dopo Rex Sardiniae. A partire dalla seconda metà del Duecento i tre giudicati di Torres, Gallura e Calari terminarono la loro esistenza autonoma grazie alle manovre diplomatiche e matrimoniali di Genova e Pisa sul territorio, sui commerci, sulle curie vescovili e sulle cancellerie giudicali.
Il Giudicato di Torres terminò di fatto con la gestione diretta di buona parte dei territori ad opera delle famiglie Doria e Malaspina. La Gallura andò alla famiglia Visconti di Pisa. A Cagliari si insediarono i marchesi di Massa prima e i Visconti dopo. Queste famiglie riuscirono a sfruttare il meccanismo della reggenza femminile dei giudicati e, a seguito di un'oculata politica matrimoniale, riuscirono anche a far eleggere giudice un membro della propria famiglia ad opera della Corona de Logu.
In questo contesto la Chiesa riuscì a interferire pesantemente con la nomina di vescovi genovesi o pisani che spesso facevano l'interesse delle due Repubbliche Marinare quando chiamati a svolgere la funzione di Legati Pontifici. Il Giudicato di Arborea, che mantenne oltre il 1250 il legame di vassallaggio con il papato, dovette opporsi allo strapotere di Pisa con le proprie forze e riuscì a conservare l'indipendenza. Nel corso del XIV secolo strappò gradualmente la Sardegna ai potenti signori di origine genovese e pisana prima ed agli aragonesi dopo, arrivando all'unificazione dell'Isola nel 1391 ad esclusione della città di Alghero e della rocca di Castello a Cagliari.
Fu infatti papa Bonifacio VIII che, creando nel 1297 il Regno di Sardegna e Corsica e infeudandolo alla Corona d'Aragona, aveva dato una licentia invadendi che avviò uno stato di belligeranza quasi centenario, dovuto al fatto che tale investitura, legata alla volontà del Papa di ricevere censi annuali dai sovrani catalani, si scontrava con la presenza effettiva e militare del Giudicato di Arborea il quale viveva una fase di ascesa economica, politica e di piena sovranità.
La Corona d'Aragona, forte dell'infeudazione pontificia, avviò la campagna militare solo 26 anni dopo, quando nel 1323-24 con l'aiuto dei loro parenti, alleati e vassalli degli Arborea riuscì a concretizzare grazie alla vittoria nella battaglia di Lucocisterna la nascita del Regno di Sardegna. Dopo le terribili epidemie di peste nera che decimarono la popolazione, mentre i Doria ancora resistevano agli aragonesi (la città da loro fondata di Castelsardo cadde solo nel 1448) gli Arborea ruppero l'alleanza schierandosi con questi ultimi, e combattendo per decenni i catalano-aragonesi arrivarono già dal 1354 a controllare quasi l'intera isola. La Corona d'Aragona dovette lottare per quasi 90 anni, con tutte le proprie energie e perdendo sul campo molti dei migliori rampolli delle famiglie catalane a causa di cocenti sconfitte militari, prima di domare, grazie anche a frequenti epidemia di peste, una guerra che fra mediazioni, trattati di pace e tentativi di assimilazioni dinastiche divise i due regni e si prolungò fino al 1420, quando l'ultimo re di Arborea, Guglielmo III di Narbona, cedette quel che rimaneva dell'antico regno alla Corona aragonese per 100.000 fiorini d'oro.
Terminò così il dominio di quelli che i re aragonesi consideravano solo vassalli-ribelli, ma che erano una delle casate più antiche d'Europa, forti di oltre cinquecento anni di sovranità legittima. Ancora verso la fine del XV secolo un discendente dei giudici, Leonardo Alagon, tentò di difendere i propri diritti sul Marchesato di Oristano contro il viceré Nicola Carroz, anch'esso discendente degli Arborea, scatenando una vasta ribellione fra i sardi che si concluse nel 1478 con la sconfitta, la morte di circa diecimila uomini, e la definitiva pacificazione del Regno sotto la Corona d'Aragona. La conquista e l'introduzione del sistema feudale portarono all'arresto del processo di rinnovamento economico e culturale che Pisa e Genova, e la Chiesa stessa con i suoi ordini monastici, avevano portato avanti, con l'isola che si avviava verso un chiaro progresso sociale, gettando invece le basi per una condizione di sottosviluppo che l'isola paga ancora oggi.[29]
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