«Un tiruzzo di Di Giacomo, che poteva sembrare un passaggio, è stato messo dentro a palme aperte da Sarti, che per la disperazione ha poi battuto la testa contro il palo. Così la Juventus si è trovata campione quasi a dispetto dei santi...»
(Ricostruzione di Gianni Brera, estratta da Storia critica del calcio italiano, sull'errore di Sarti che costò all'Inter il campionato 1966-67.[4])
Il veto sull'ingaggio di calciatori stranieri posto dalla Federazione in seguito al flopazzurro nei Mondiali 1966 vanificò un contratto preliminare che la società aveva stipulato con Beckenbauer[5], impedendo l'arrivo del difensore teutonico[5]: neppure le trattative col cagliaritanoRiva e il bolognesePascutti giunsero a compimento inducendo a ripiegare sull'ex bericoLuís Vinício — scelto in luogo di un Peiró accasatosi alla Roma —[6][7] e sul lancio in prima squadra di Dehò[7], schierato unicamente nella sfida coi capitolini del 12 novembre 1966.[1]
A mantenere invariato il punteggio di partenza nel match coi giallorossi contribuì, suo malgrado, lo stesso l'iberico fallendo un calcio di rigore[8]: l'ultimo penalty accordato ad un avversario dei meneghini faceva data al 29 marzo 1964[8], quando durante la trasferta felsinea Sarti neutralizzò la conclusione di Haller dal dischetto.[8] La serie ammontò quindi a 82 partite consecutive senza massime punizioni a proprio carico[8], mentre i granataMeroni e Puia firmavano l'unica sconfitta casalinga del campionato[9]: l'impianto di San Siro non registrava un «2» in schedina da ben 54 giornate[10], ovvero dal derby della Madonnina che il 19 gennaio 1964 aveva arriso al Milan.[10]
Chiamato a coadiuvare il nuovo selezionatore Valcareggi sulla panchina della Nazionale[11][12], Herrera confermava in blocco l'ossatura titolare pur lacunando in fatto di riserve all'altezza di Suárez e Corso[13][14]: Domenghini era sovente preferito a Jair lungo la fascia destra[15][16], con la manovra d'attacco imperniata sui movimenti di Cappellini al centro e sull'incursione di Mazzola alle sue spalle.[17][18] Autore di una doppietta di pregevole fattura al Vasas in Coppa Campioni[19], l'asso baffuto propriziò una deviazione del rossonero Maddè nella sua porta decidendo la stracittadina del 20 novembre 1966.[20][21]
Un solo punto di margine sulla Juventus determinò il primato in campionato al giro di boa[22][23], con la già atavica rivalità che toccava il suo culmine tanto da spingere il giornalista Gianni Brera a coniare l'espressione «derby d'Italia» per identificare il duplice appuntamento stagionale[24][25]; un andamento a senso unico caratterizzava invece il confronto milanese del 2 aprile 1967[26], nel quale il Diavolo era costretto alla resa dal roboante punteggio di 4-0.[26]
L'esperienza europea — inaugurata da un sofferto passaggio del turno contro il sovietico Torpedo Mosca e proseguita quindi coi summenzionati magiari —[27][4] segnalava un altro incrocio col Real Madrid nei quarti di finale[4], con le reti di Cappellini a vendicare la beffa subìta un anno addietro dagli spagnoli[28]: più provante l'impegno in semifinale costituito dal bulgaro CSKA Sofia[4], regolato solamente allo spareggio da un nuovo guizzo sottoporta del centravanti dopo che Facchetti era andato a bersaglio in entrambe le occasioni precedenti.[4][27]
Una frenata primaverile pose in dubbio il mantenimento dell'egemonia nazionale[4][29], con l'Inter giunta a vantare 4 lunghezze sui sabaudi dopo la risicata affermazione a Venezia[4]: l'operato del fischiettoSbardella fu duramente contestato dai lagunari nella circostanza[30], inducendo persino il designatore arbitrale Giorgio Bertotto a parlare di una «sudditanza psicologica» tale da influenzare inconsciamente il giudice di gara nelle sue decisioni durante il gioco.[31] Rallentata dai conseguenti nulla di fatto con Lazio e Cagliari[4], il 7 maggio 1967 la Beneamata perdeva a Torino lo scontro diretto per un gol di Favalli consentendo all'opponente di portarsi a −2[32]: Picchi e soci mancavano quindi d'imporsi a domicilio con Napoli e Fiorentina[4], situazione che demandò l'esito del torneo alla giornata finale cui gli uomini del Mago si presentarono a +1 in classifica.[33][4]
Attesa una settimana più tardi dalla trasferta di Mantova[34], la squadra crollò a un passo dal traguardo in Europa facendosi rimontare dallo scozzese Celtic nella finale di Lisbona[4][33]: schierato Bicicli per sopperire all'infortunio di Suárez[35], i lombardi si portarono avanti con un rigore trasformato da Mazzola subendo poi nella seconda frazione le reti di Gemmell e Chalmers.[36][37] Il 1º giugno era l'ex Di Giacomo a risultare decisivo per i virgiliani[4], con un cross tramutatosi fortuitamente in gol a causa della «papera» di Sarti cui il pallone sfuggì clamorosamente[38]: del passo falso beneficiavano i piemontesi[4], laureandosi campioni d'Italia a quota 49 dopo un successo con minimo scarto sui biancocelesti.[4][33]
Il secondo posto in graduatoria precluse ai nerazzurri la passerella continentale per l'annata a venire[4], con un'eliminazione in Coppa Italia ad opera del Padova che lasciò il club a secco di trofei per la prima volta dalla stagione 1961-1962.[33][39]
Anticipo al sabato disposto per l'impegno del mercoledì seguente in Coppa Campioni; cfr. Inter-Spal l'8 ottobre, in Stampa Sera, 1º ottobre 1966, p.15.
Anticipo al sabato disposto per l'impegno del mercoledì seguente in Coppa Campioni; cfr. L'Inter oggi anticipa con l'Atalanta, in Stampa Sera, 11 febbraio 1967, p.13.
Gara originariamente in programma il 28 maggio 1967 ma rinviata per garantire un maggior riposo a causa dell'impegno in finale di Coppa Campioni; cfr. Giulio Accatino, Il comunicato, in La Stampa, 23 maggio 1967, p.8.