Strage di Piazzale Loreto
eccidio di guerra compiuto a Milano, nel 1944 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
eccidio di guerra compiuto a Milano, nel 1944 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La strage di Piazzale Loreto fu un eccidio nazifascista avvenuto in Italia, il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto a Milano, durante la seconda guerra mondiale.
Strage di Piazzale Loreto strage | |
---|---|
Piazzale Loreto, 10 agosto 1944 | |
Tipo | fucilazione |
Data | 10 agosto 1944 05:45 |
Luogo | Piazzale Loreto, Milano |
Stato | Italia |
Coordinate | 45°29′09.01″N 9°12′58.29″E |
Responsabili | Theodor Saevecke, comandante della sicurezza nazista a Milano Legione Autonoma Mobile Ettore Muti (esecutori materiali) |
Motivazione | eccidio, immotivata rappresaglia per l'attentato in viale Abruzzi, data l'assenza di vittime fra i militari. |
Conseguenze | |
Morti | 15 partigiani |
«Il sangue di piazzale Loreto lo pagheremo molto caro.»
Quindici partigiani furono fucilati da militi del gruppo Oberdan della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti della RSI, per ordine del comando di sicurezza nazista, e i loro cadaveri vennero oltraggiati ed esposti al pubblico.
Attentato di viale Abruzzi attentato | |
---|---|
Data | 8 agosto 1944 08:15 |
Luogo | viale Abruzzi 77, Milano |
Stato | Italia |
Responsabili | I responsabili non furono mai individuati. L'attribuzione ai GAP - Gruppi di Azione Patriottica è sempre stata smentita da Pesce, anche nella sua testimonianza al processo Saevecke presso il Tribunale Militare di Torino[2]. Inoltre la Resistenza, che aveva sempre rivendicato i suoi attentati, non lo fece in questo caso. |
Conseguenze | |
Morti | Nessuna vittima fra i militari. L'episodio è stato dunque usato come espediente per la fucilazione dei 15 partigiani uccisi nella Strage di Piazzale Loreto, con caratteristiche di eccidio e non di rappresaglia. Le vittime civili furono 6, forse 7. In base alla documentazione dell'obitorio civico (scheda 577/44), la settima vittima potrebbe essere Enrico Masnata, il cui nome però non è tra i feriti ricoverati in ospedale nel verbale della GNR dell'8/8/44. Il dubbio non può essere sciolto, inoltre, perché nella scheda non c'è alcuna indicazione sul luogo ove fu ferito. |
Feriti | 11 secondo il Rapporto del capitano Formosa della GNR dell'8 agosto 1944. 5 di questi saranno ricoverati all'Ospedale di Niguarda |
L'8 agosto 1944 elementi ignoti compirono un attentato con due ordigni esplosivi contro un camion tedesco (targato WH 111092) parcheggiato in viale Abruzzi a Milano. In quell'attentato non morì alcun soldato tedesco (l'autista Heinz Kuhn, che dormiva nella cabina di guida, riportò soltanto lievi ferite) ma provocò la morte di sei cittadini milanesi e il ferimento di altri undici.[3] Nonostante l'assenza di vittime militari e di una rivendicazione, l'episodio venne comunque attribuito ai GAP e usato come pretesto per la fucilazione di 15 partigiani.[4] L'episodio, con caratteristiche assai differenti e anomale rispetto ad altri attentati partigiani, si presta al sospetto, come rilevato anche dal tribunale militare di Torino nel processo del 1998, di essere stato organizzato dagli stessi tedeschi per giustificare le successive rappresaglie.[5][6][7]
All'alba del 10 agosto 1944, a Milano, quindici partigiani vennero prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi fascisti del gruppo Oberdan della legione "Ettore Muti" guidati dal capitano Pasquale Cardella[8], che agiva agli ordini del comando tedesco, in particolare del capitano delle SS Theodor Saevecke, noto in seguito come "boia di Piazzale Loreto", allora comandante del servizio di sicurezza (SD) di Milano e provincia (AK Mailand).
Nel comunicato del comando della sicurezza nazista[9], si afferma che la strage fu attuata per un insieme di «atti di sabotaggio» tra i quali è riconoscibile a fatica l'attentato di viale Abruzzi.
Il comandante dei Gap, Giovanni Pesce, negò sempre che quell'attentato potesse essere stato compiuto da qualche unità partigiana. Certi elementi anomali hanno fatto definire da alcuni l'attentato come controverso: il caporal maggiore Kuhn aveva parcheggiato il mezzo a poca distanza da un'autorimessa in via Natale Battaglia e dall'albergo Titanus, entrambi requisiti dalla Wehrmacht e a disposizione del personale militare nazista. Il bando di Kesselring, invocato dal comunicato e dalle alte gerarchie naziste[10], prevedeva la fucilazione di dieci italiani per ogni tedesco solo in caso di vittime naziste. Ma nell'attentato di viale Abruzzi, nessun militare tedesco rimase ucciso: morti e feriti gravi erano tutti italiani.
È dunque lecito supporre, come fece il Tribunale Militare di Torino nel processo Saevecke, che la strage di piazzale Loreto sia stata un atto deliberato di terrorismo che aveva lo scopo strategico di stroncare la simpatia popolare per la Resistenza al fine di evitare ogni forma di collaborazione e garantire alle truppe naziste la massima libertà di movimento verso il Brennero. Theodor Saevecke, il cui comando si trovava all'Albergo Regina & Metropoli in via Silvio Pellico, sede delle SS, dei servizi di sicurezza (SD) e della Polizia Politica (la Gestapo) e noto luogo di tortura, pretese e ottenne, ciò nonostante, la fucilazione sommaria di quindici antifascisti, e compilò egli stesso la lista, come testimoniato da Elena Morgante[11], impiegata nell'ufficio delle SS, cui fu ordinato di batterla a macchina.
Dopo la fucilazione, avvenuta alle 06:10, a scopo intimidatorio i cadaveri scomposti furono lasciati esposti sotto il sole della calda giornata estiva, coperti di mosche, fino alle ore 20 circa. Un cartello qualificava i partigiani fucilati come "assassini". I corpi, sorvegliati dai militi della Muti che impedirono anche ai parenti di rendere omaggio ai defunti, furono pubblicamente vilipesi e oltraggiati in tutti i modi dai fascisti e dalle ausiliarie della RSI; inoltre, per intimidire la popolazione e togliere ogni appoggio alla Resistenza, i militi fascisti obbligarono, armi alla mano, i cittadini in transito, a piedi, in bicicletta o sui tram, ad assistere allo "spettacolo".
Appresa la notizia, il partigiano Don Giovanni Barbareschi si recò dall'arcivescovo di Milano, cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, pregandolo di andare a impartire la benedizione alle salme, ma il cardinale gli chiese di andare lui stesso, benché ancora diacono. Egli ricompose alla meglio i cadaveri ammucchiati e cercò nelle tasche i messaggi che questi potevano aver scritto, in modo da recapitarli alle famiglie. Riuscì a compiere questa opera di pietà prima che un milite fascista lo cacciasse via[12]. Tre giorni dopo fu ordinato sacerdote.[13] Barbareschi raccontò poi che dopo aver pregato in ginocchio davanti alle salme, si voltò e vide che tutta la folla presente si era inginocchiata con lui.[14] Quando l'anno successivo i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e 18 gerarchi fascisti furono esposti nello stesso luogo, Don Barbareschi tornò a benedire le salme.[15]
Il poeta Franco Loi, testimone della tragedia e allora abitante nella vicina via Casoretto, ricorda:
«C'erano molti corpi gettati sul marciapiede, contro lo steccato, qualche manifesto di teatro, la Gazzetta del Sorriso, cartelli, banditi! Banditi catturati con le armi in pugno! Attorno, la gente muta, il sole caldo. Quando arrivai a vederli fu come una vertigine: scarpe, mani, braccia, calze sporche; (...) ai miei occhi di bambino era una cosa inaudita: uomini gettati sul marciapiede come spazzatura e altri uomini, giovani vestiti di nero, che sembravano fare la guardia armati!»
L'esecuzione e il vilipendio dei cadaveri impressionarono profondamente l'opinione pubblica tanto che il Prefetto di Milano e capo della Provincia[16] Piero Parini nel suo «Pro memoria urgente per il duce» annota «[...] il modo della fucilazione era stato quanto mai irregolare e contrario alle norme. I disgraziati non avevano neppure avuto l'assistenza del sacerdote, che non si nega neppure al più abbietto assassino. [...] Alle mie rimostranze, i comandanti nazisti hanno risposto tutti allo stesso modo: l'esecuzione era stata un'applicazione del bando del Maresciallo Kesselring [...] L'impressione in città perdura fortissima e l'ostilità verso i tedeschi è molto aumentata. Vi sono stati anche scioperi parziali in alcuni stabilimenti e corre voce che se ne prepari uno domani. [...] Non Vi nascondo che mi sento profondamente a disagio nella mia carica, giacché il modo di procedere dei tedeschi è tale da rendere troppo difficile il compito di ogni autorità e determina una crescente avversione da parte della popolazione verso la Repubblica».
A seguito del promemoria, Mussolini comunicò all'ambasciatore tedesco presso la RSI, Rudolf Rahn, che i metodi utilizzati dai militari tedeschi «erano contrari ai sentimenti degli italiani e ne offendevano la naturale mitezza»[17]; di fatto però senza impegnarsi concretamente per riportare la giustizia. Meno di un anno dopo, all'alba del 29 aprile 1945, sullo stesso piazzale, i cadaveri di Mussolini, dell'amante Claretta Petacci e di altri 15 fascisti[18], furono esposti davanti alla folla accorsa alla notizia della morte del duce.
Theodor Saevecke, per la Resistenza milanese: il "boia di Piazzale Loreto", fu processato dal Tribunale Militare di Torino e fu condannato all'ergastolo il 9 giugno 1999; tuttavia, malgrado la richiesta della magistratura militare italiana, non fu mai estradato né subì mai alcun processo in patria. È morto nel suo letto, a quasi 90 anni, il 16 dicembre 2000. Come altri criminali nazisti, nel dopoguerra venne arruolato dai servizi segreti statunitensi (nome in codice Cabanio)[33] e più tardi ricoprì l'importante incarico di vice responsabile dei servizi di sicurezza della Repubblica Federale Tedesca. Nel 1963 la Germania Ovest aveva chiesto informazioni sull'attività criminosa di Saevecke a Milano durante l'occupazione nazista, cui le autorità italiane risposero, dopo aver consultato il fascicolo nascosto nell'armadio della vergogna, con un rapporto del Ministero degli Esteri indirizzato all'omologo Ministero tedesco.
Aligi Sassu dipinse di getto i Martiri di Piazzale Loreto (titolo originale La guerra civile[34]), sotto l'impressione del brutale assassinio. Il quadro del 1944 (olio su tela 150 x 200 cm) fu esposto per la prima volta alla mostra veneziana del 1952, la Biennale del realismo, dove lo storico dell'arte Giulio Carlo Argan lo notò e fece acquisire dalla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, che ancora lo espone. Martiri di Piazzale Loreto propone una consuetudine della poetica di Sassu, ossia la dialettica tra la resa della realtà contemporanea e l'attualizzazione del mito.
Lo stesso artista, partigiano impegnato insieme a De Grada, Grosso e Guttuso, nella sua autobiografia "Un grido di colore" (Todaro editore, Lugano, 1998) ricorda: «Ho dipinto I martiri di Piazzale Loreto nell'agosto 1944, subito dopo aver visto il ludibrio che la canaglia repubblichina faceva dei corpi dei nostri fratelli. Eppure vi era in me, nel fuoco e nell'ansia che mi agitava, nel cercare di esprimere quello che avevo visto, una grande pace e non odio, ma una tristezza immensa per la lotta fratricida. Da quei corpi sanguinanti e inerti sorgeva un monito: pace, pace».
Alla fine della guerra, sul luogo della strage e in memoria dei martiri ivi caduti fu eretto un cippo commemorativo. Tale cippo fu sostituito da un monumento eretto nell'agosto 1960, opera dello scultore Giannino Castiglioni (1884-1971), sito all'angolo tra il piazzale e viale Andrea Doria. Il monumento, sul fronte, reca un bassorilievo che rappresenta un martire sottoposto a esecuzione sull'iconografia di San Sebastiano, sul retro reca la dicitura «ALTA/L'ILLUMINATA FRONTE/CADDERO NEL NOME/DELLA LIBERTÀ» cui segue l'elenco dei 15 caduti, la data dell'eccidio, 10 agosto 1944 e i simboli della Repubblica Italiana e del Comune di Milano.
Seamless Wikipedia browsing. On steroids.
Every time you click a link to Wikipedia, Wiktionary or Wikiquote in your browser's search results, it will show the modern Wikiwand interface.
Wikiwand extension is a five stars, simple, with minimum permission required to keep your browsing private, safe and transparent.