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quotidiano italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Avanti! è stato un quotidiano italiano, organo ufficiale del Partito Socialista Italiano dal 1896 alla sua dissoluzione nel 1994.
Avanti! | |
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Stato | Italia |
Lingua | Italiano |
Periodicità | Quotidiano |
Genere | Politico |
Formato | Lenzuolo, poi Berlinese |
Fondatore | Leonida Bissolati |
Fondazione | 25 dicembre 1896 |
Chiusura | Novembre 1993 |
Inserti e allegati | Avanti! della Domenica, settimanale |
Sede | Direzione nazionale PSI, Via Santa Caterina da Siena, 57 Roma |
Editore | Nuova Editrice Avanti! S.r.l. |
Tiratura | 54 071 (1982) |
Direttore | vedi sezione |
Sito web | www.avantionline.it/ |
Il primo numero uscì a Roma il 25 dicembre 1896[1] sotto la direzione di Leonida Bissolati.
La testata prese il nome dall'omonimo quotidiano tedesco Vorwärts, organo del Partito Socialdemocratico di Germania, fondato nell'ottobre del 1876.
Alla metà degli anni novanta dell'Ottocento, il Partito socialista italiano era in piena ascesa: nelle elezioni politiche tenutesi nel 1895 il Partito socialista aveva quasi quadruplicato i suoi consensi rispetto al 1892 e mandato in parlamento quindici deputati, rispetto ai sei della legislatura precedente. Il partito contava numerosi giornali - circa quaranta - tra settimanali, quindicinali e mensili pubblicati in varie parti d'Italia, ma molti di essi avevano tirature assai limitate e rappresentavano soltanto sé stessi o situazioni locali assai circoscritte.
Nel IV congresso socialista di Firenze del luglio 1896 emersero programmi di sviluppo editoriale e si decise quindi di fondare un giornale a carattere nazionale. Venne lanciata una sottoscrizione a livello nazionale tra i militanti socialisti, grazie alla quale si ottennero 3000 abbonamenti: uno dei primi abbonati fu il filosofo liberale Benedetto Croce.
Il primo numero del giornale uscì a Roma il 25 dicembre 1896, il giorno di Natale del 1896, non per caso, ma per tutti i valori simbolici connessi alla data. Come Cristo, l'Avanti! nasceva per dare voce e sostegno alle ragioni degli ultimi, degli oppressi, dei diseredati. Del resto, nell'iconografia socialista di fine 1800, non era infrequente il riferimento a Gesù quale "primo socialista della storia", specie in riferimento alla cacciata dei mercanti dal Tempio, identificati con i capitalisti dell'epoca moderna.
Ne era direttore Leonida Bissolati e redattori Ivanoe Bonomi, Walter Mocchi, Alessandro Schiavi, Oddino Morgari e Gabriele Galantara; a quest'ultimo, grande disegnatore satirico, co-fondatore della rivista settimanale L'Asino (assieme a Guido Podrecca), si deve la creazione dell'inconfondibile logo del giornale, con i tipici caratteri corsivi arrotondati ed il punto esclamativo finale, riconducibili allo stile liberty di fine XIX secolo[2].
La testata riprendeva quella dell'omologo giornale della socialdemocrazia tedesca, Vorwärts.
Precedentemente erano stati fondati altri giornali dallo stesso titolo: il 30 aprile 1881 Andrea Costa fondò a Imola il Periodico socialistico settimanale" "Avanti!", il cui articolo di fondo iniziava con «Avanti alla luce del sole e a bandiera spiegata», concludendo «Coraggio e avanti: ci accompagnano i voti di milioni di oppressi». Nel maggio dello stesso 1896 il filosofo Antonio Labriola fondò a Cassino il giornale Avanti (senza punto esclamativo)[3], sul quale scrisse anche il socialista libertario Francesco Saverio Merlino.
Nel primo numero dell'Avanti!, il suo primo direttore - nell'editoriale inaugurale - tracciò un manifesto politico-ideale identitario del nuovo giornale, lanciando una sfida all'ordine costituito.
Rivolgendosi direttamente al Presidente del Consiglio e Ministro dell'Interno dell'epoca Antonio Starabba, marchese di Rudinì, che aveva ammonito i dirigenti e gli iscritti al neonato Partito socialista italiano con l'intimazione: “di qui non si passa”, Bissolati rispose, con un titolo che entrerà nella storia del socialismo e del giornalismo, “di qui si passa”, manifestando la fede e la certezza "scientifica" nell'affermazione delle ragioni dei socialisti e nella conquista del potere da parte dei lavoratori:
«DI QUI SI PASSA Mentre lo Starabba,[N 1] a legittimare i delitti commessi dal suo Governo in danno della libertà, e le violenze nuove che meditava contro gli operai e i socialisti, ci intimava per la seconda volta: “di qui non si passa” noi attendevamo tranquillamente a preparare l’uscita del nostro giornale.
Con questo fatto noi rispondevamo e rispondiamo alla sfida lanciataci.
Rispondiamo come quell’antico che alle sciocchezze di chi negava il moto rispondeva semplicemente camminandogli davanti.
Eravamo, or son pochi anni, un pugno di persone compassionate come vittime di un’allucinazione di cui non era il caso di occuparsi con serietà, soggetto di ameni discorsi e di allegra canzonatura; poi, quando le parole nostre cominciarono a trovar eco fra il popolo che lavorava, fummo trattati da malfattori; ma la persecuzione ci rese più forti di numero e di conscienza così da costringere lo stesso persecutore nostro d’oggi, lo Starabba, a confessare che contro di noi, contro l’idea nostra, l’uso della forza era, nonché assurdo, dannoso.»
«Ed ecco che oggi invece questo signore – il quale non agisce di suo capriccio, ma obbedisce agli istinti del variopinto partito conservatore che gli sta dietro – non trova di poter far nulla di meglio contro di noi che riprendere, con un po’ meno di chiasso e con maggiore ipocrisia, i metodi del sudicio Crispi.[N 2]
Così, dopo avere proclamato solennemente in Parlamento essere follia sperar di sopprimere il socialismo perché tanto varrebbe tentar di sopprimere il pensiero; dopo aver riconosciuto che ogni attentato violento al socialismo e al pensiero costituisce un attentato contro la moderna civiltà, lo Starabba si accinge precisamente all’impresa di sopprimere la civiltà, di soffocare il pensiero.
E per questo appunto, on. Starabba, che noi passiamo malgrado i vostri divieti.»
«Noi passiamo a esercitare quella influenza che ci spetta nelle lotte pubbliche, nella vita economica, nello sviluppo morale; passiamo in onta a voi, come passammo in onta a Crispi; e abbiamo la forza di passare, vincendo le vostre resistenze, perché arrestare il socialismo non è possibile senza arrestare quel moto immenso di trasformazione che si opera nella società e che si ripercuote nelle coscienze.
Il socialismo, on. Starabba, non è una chimera di illusi che vogliono rimodellare il mondo secondo il loro sogno, ma è la coscienza netta e precisa delle necessità imperiose che urgono, nella pratica della vita, la maggioranza degli uomini. (...)»
«Ebbene: il socialismo non è che il riflesso e la formula di questo pensiero, che l’esperienza dei dolori e delle lotte d’ogni giorno educa nelle masse lavoratrici.
Or voi potete bensì mandare i vostri poliziotti nei luoghi dove questo pensiero si elabora, mandarli a sciogliere le organizzazioni operaie e i circoli socialisti; potete, commettendo reati previsti dal vostro codice penale, sopprimere per gli operai e pei socialisti i diritti elementari di riunione, di parola, di associazione promessi dal vostro Statuto; potete elevare di nuovo a reato il diritto di sciopero, saldando nuovamente al collo dei salariati moderni il collare dei servi, in sfregio ai principii proclamati dalla rivoluzione borghese; potete scapricciarvi a mandare tratto tratto qualche socialista in galera o alle isole; potete meditare, voi rappresentante di una classe andata al potere coi plebisciti, quanti attentati vi piaccia contro il suffragio popolare; voi potete far tutto questo e anche più, ma non potete fare che questi atti di brutale reazione non dimostrino anche più chiaramente che la causa della emancipazione operaia e la causa del socialismo sono tutt’uno colla causa delle libertà di pensiero e del progresso civile. (...)
Vi par dunque che si passi, Marchese?»
Il quotidiano socialista era composto da quattro facciate, di formato "lenzuolo". Una copia costava 5 centesimi di lira, l'abbonamento annuale 15,00 Lire, quello semestrale 7,50 Lire, quello trimestrale 3,00 Lire, quello mensile 1,25 Lire.
La sede del giornale era a Roma, nel Palazzo Sciarra in Via delle Muratte (tra via del Corso e Fontana di Trevi). Nel 1911, su iniziativa di Turati, la sede del giornale venne trasferita da Roma (dove rimase una redazione che curava la cronaca parlamentare) a Milano, in via San Damiano, dove allora correva ancora scoperto il Naviglio.
I fogli passarono da quattro a sei, arricchendosi della cronaca di Milano.
Dal gennaio al maggio 1898 scoppiano in quasi tutta la penisola innumerevoli manifestazioni popolari per il pane, il lavoro e contro le imposte, duramente represse dal governo. A Milano il 7 maggio, il governo decreta lo stato d'assedio, affidando i pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris, il quale fa aprire il fuoco dei cannoni contro la folla e ordina all'esercito di sparare contro ogni assembramento di persone superiore alle tre unità. Restano uccise centinaia di persone e, accanto ai morti, si potranno contare oltre un migliaio di feriti più o meno gravi. Il numero esatto delle vittime non è mai stato precisato.[N 3]
Il 9 maggio il generale Bava Beccaris, appoggiato dal governo, fa sciogliere associazioni e circoli ritenuti sovversivi e arrestare migliaia di persone appartenenti ad organizzazioni socialiste, repubblicane, anarchiche, fra cui anche alcuni parlamentari: tra gli altri Filippo Turati[N 4] (assieme alla sua compagna Anna Kuliscioff), Andrea Costa, Leonida Bissolati, Carlo Romussi (deputato radicale), Paolo Valera.
Tutti i giornali antigovernativi vengono messi al bando; il 12 maggio a Roma è tratta in arresto l'intera redazione dell'Avanti!. Il giornale poté comunque continuare le sue pubblicazioni sotto la direzione provvisoria di Enrico Ferri. Bissolati venne rilasciato due mesi dopo perché la Camera non diede l'autorizzazione a procedere contro di lui, escludendo che possa aver preso parte ai tumulti avenuti a Milano dove era giunto solo il 9 maggio.[5]
Il 7 giugno 1914, ad Ancona, si tenne nella sede del partito repubblicano un comizio antimilitarista, organizzato da Pietro Nenni, allora esponente repubblicano e direttore del periodico locale "Lucifero", insieme all'anarchico Errico Malatesta. Al termine i carabinieri aprirono il fuoco sui partecipanti mentre uscivano dalla sala, uccidendo due militanti repubblicani e un anarchico. Ne seguì l'immediata proclamazione dello sciopero generale da parte della Camera del Lavoro e varie agitazioni ed atti di rivolta. Il 9 giugno ai funerali dei tre giovani partecipò una folla immensa, che attraversò tutta la città; a parte la violenza verbale degli slogan scanditi e qualche piccola scaramuccia le esequie si svolsero in maniera abbastanza tranquilla. Ma intanto la notizia dell'eccidio si era sparsa in tutta Italia, dando origine a manifestazioni, cortei e scioperi spontanei.
In particolare, ad infiammare gli animi erano gli appelli di Benito Mussolini, all'epoca socialista e direttore dell'Avanti!, che proprio ad Ancona, poco tempo prima, al XIV Congresso del PSI del 26, 27 e 28 aprile 1914, aveva colto un grande successo personale, con una mozione di plauso per gli ottimi risultati di diffusione e di vendite del giornale del Partito, tributatagli personalmente dai congressisti.[6][N 5]
Così il futuro duce incitava le masse popolari sul giornale socialista[9]:
«Proletari d'Italia! Accogliete il nostro grido: W lo sciopero generale. Nelle città e nelle campagne verrà su spontanea la risposta alla provocazione. Noi non precorriamo gli avvenimenti, né ci sentiamo autorizzati a tracciarne il corso, ma certamente quali questi possano essere, noi avremo il dovere di secondarli e di fiancheggiarli. Speriamo che con la loro azione i lavoratori italiani sappiano dire che è veramente l'ora di farla finita.»
Con i suoi articoli Mussolini, facendo leva sulla popolarità di cui godeva nel movimento socialista e sulla grande diffusione del giornale, di fatto costrinse la Confederazione Generale del Lavoro a dichiarare lo sciopero generale, strumento di lotta che determinava il blocco di ogni attività nel Paese, di cui il sindacato riteneva di dover fare uso solo in circostanze eccezionali. Mussolini strumentalizzò i moti popolari anche a fini politici interni al mondo socialista: la direzione del Partito Socialista uscita dal Congresso di Ancona era in mano ai massimalisti rivoluzionari, ma i riformisti erano ancora maggioritari nel gruppo parlamentare e nella CGdL.
Il 10 giugno si tenne un comizio all'Arena di Milano di fronte a 60 000 manifestanti, mentre il resto dell'Italia era in lotta e paralizzata, la Romagna e le Marche insorte e i ferrovieri avevano finalmente annunciato di aderire allo sciopero generale. Dopo che gli oratori riformisti di tutti i partiti avevano gettato acqua sul fuoco dicendo che questa non era la rivoluzione, ma solo protesta contro l'eccidio di Ancona, e che non ci si sarebbe fatti trascinare in un'inutile carneficina, intervennero Corridoni e Mussolini. Quest'ultimo esaltò la rivolta. Ecco il resoconto del suo infuocato discorso, pubblicato il giorno dopo sull'Avanti![10]:
«A Firenze, a Torino, a Fabriano vi sono altri morti e altri feriti, occorre lavorare nell'esercito perché non si spari sui lavoratori, occorre far sì che il soldo del soldato sia presto un fatto compiuto. .... Lo sciopero generale è stato dal 1870 ad oggi il moto più grave che abbia scosso la terza Italia .... Non è stato uno sciopero di difesa, ma di offesa. Lo sciopero ha avuto un carattere aggressivo. Le folle che un tempo non osavano nemmeno venire a contatto della forza pubblica, stavolta hanno saputo resistere e battersi con un impeto non sperato. Qua e là la moltitudine scioperante si è raccolta attorno a quelle barricate che i rimasticatori di una frase di Engels avevano, con una fretta che tradiva preoccupazioni oblique, se non la paura, relegato fra i cimeli delle romanticherie quarantottesche. Qua a là, sempre a denotare la tendenza del movimento, si sono assaltati i negozi dagli armaioli; qua e là hanno fiammeggiato degli incendi e non già delle gabelle come nelle prime rivolte del Mezzogiorno, qua e là sono state invase le chiese. ... Se – puta caso – invece dell’on. Salandra, ci fosse stato l’on. Bissolati alla Presidenza del Consiglio, noi avremmo cercato che lo sciopero generale di protesta fosse stato ancora più violento e decisamente insurrezionale. .... Soprattutto un grido è stato lanciato seguito da un tentativo, il grido di: "Al Quirinale".»
In sintonia con lui si espressero sia il repubblicano che l'anarchico che intervennero poi.
Proprio per scongiurare il rischio che la monarchia potesse sentirsi minacciata e dichiarare lo stato d'assedio e il passaggio dei poteri pubblici ai militari, la Confederazione generale del lavoro dichiarò concluso lo sciopero dopo solo 48 ore, invitando i lavoratori a riprendere la loro attività.
Ciò frustrò gli intenti bellicosi ed insurrezionali di Mussolini, che, sull'Avanti! del 12 giugno 1914, non si peritò di accusare di fellonia i capi sindacali confederali, che facevano riferimento alla componente riformista del PSI, accusando: "La Confederazione del Lavoro, nel far cessare lo sciopero, ha tradito il movimento rivoluzionario".[8]
Lo sciopero generale durò solo un paio di giorni, mentre il moto rivoluzionario andò man mano esaurendosi dopo che, per una settimana, aveva tenuto in scacco intere zone del paese.
Il 20 giugno 1914 il gruppo parlamentare socialista, in maggioranza moderato e riformista, smentì Mussolini sui fatti della "Settimana rossa", ribadendo la tradizionale posizione gradualista e parlamentare del gruppo dirigente "storico" del PSI, affermando che la rivolta fosse stata:
«... la fatale e anche troppo preveduta conseguenza della stolta politica delle classi dirigenti italiane, la cui cieca pervicacia nel sostituire alle urgenti riforme economiche e sociali i criminosi sperperi militaristi e pseudocolonialisti frustra l'opera educatrice e disciplinatrice del partito socialista per la trasformazione graduale degli ordinamenti politici e sociali e riabilita nelle masse il culto della violenza... [in contrasto con] ...il concetto fondamentale del socialismo internazionale moderno, giusta il quale le grandi trasformazioni civili e sociali ed in particolare l'emancipazione del proletariato dal servaggio capitalistico non si conseguono mercé scatti di folle disorganizzate, il cui insuccesso risuscita e riattizza le più malvagie e stupide correnti del reazionarismo interiore. Occorre dunque rimanere più che mai sul terreno parlamentare e nella propaganda fra le masse nella più decisa opposizione a tutti gli indirizzi di governo militaristi, fiscali, protezionisti e di vigilare per la difesa ad oltranza a qualunque costo delle insidiate pubbliche libertà, intensificando al tempo stesso l'opera assidua e paziente, la sola veramente rivoluzionaria, di organizzazione, di educazione, di intellettualizzazione del movimento proletario.»
Alla fine dello stesso mese, il 28 giugno 1914, l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo sposterà l'attenzione italiana sulle dinamiche europee che porteranno alla prima guerra mondiale, contrapponendo interventisti e neutralisti, fino all'ingresso in guerra dell'Italia il 24 maggio 1915.
Nel 1914-1915 l'Avanti! condusse una forte campagna per la neutralità assoluta da tenere nei confronti degli opposti schieramenti nella prima guerra mondiale, scoppiata il 28 luglio 1914.
Dopo aver mantenuto perentoriamente tale posizione, decisa dalla stragrande maggioranza del PSI, il suo direttore dell'epoca, Benito Mussolini, spinse, con i suoi articoli, il quotidiano socialista verso una campagna interventista. In particolare il 18 ottobre 1914 fece pubblicare un articolo di fondo intitolato Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante. Il 21 ottobre fu sfiduciato dalla direzione del PSI[11].
Già il 15 novembre 1914 usciva il nuovo giornale interventista di Mussolini, Il Popolo d'Italia. Il 24 novembre Mussolini fu espulso dal Partito socialista e l'illustratore satirico dell'Avanti!, Giuseppe Scalarini, preparò per il giornale la vignetta Giuda, con un Mussolini, armato di pugnale e con il denaro del tradimento, che si avvicinava silenziosamente per colpire Cristo (il socialismo) alle spalle.[12] Il dettaglio del denaro non fu però pubblicato dal giornale.
Alla direzione del giornale fu chiamato, per tutta la durata della prima guerra mondiale, Giacinto Menotti Serrati, che divenne uno dei capi della componente massimalista del PSI e che finì, nel 1924, aderendo ai diktat di Lenin e Trotsky, per confluire nel Partito Comunista d'Italia.
Tra il 1919 e il 1922 l'Avanti! venne assalito e devastato per ben cinque volte:[13]
«L'Avanti! è il simbolo e la bandiera dell'antifascismo. È il suo strumento di lotta più efficace. Ma poiché la lotta è una sanguinosa guerra civile, il quotidiano è al centro anche della guerra stessa: è per lo squadrismo un fortino da assediare, intimidire ed espugnare. C'è di più: una forte carica emotiva. Perché così come l'Avanti! è l'idolo dei socialisti, è per Mussolini personalmente l'oggetto di un grande amore che si è trasformato, dopo la traumatica rottura del 1914, in invidia e odio profondo. Il giornale viene assalito e incendiato cinque volte tra il 1919 e il 1922. E ogni volta risorge dalle ceneri: addirittura, nel 1921, per essere trasferito in una nuova, imponente sede. Intorno alle sue rotative e linotype, ci sono sparatorie, pugnalate, bastonate, scontri tra redattori e fascisti, tra soldati e squadristi, fuoco di mitragliatrici, morti e feriti.»
«I giornalisti, gli impiegati, i tipografi vivono nella tensione e nel pericolo. Nei cassetti ci sono le rivoltelle. Il telefono serve anche a chiamare in soccorso i compagni. Tutti gli assalti hanno la stessa storia, gli stessi commenti, la stessa meccanica, le stesse conseguenze: un copione non dissimile da quello, più in generale, della guerra civile. Ogni volta che le circostanze politiche lo suggeriscono o consentono, il fascismo attacca. Gli aggressori sono organizzati militarmente, mentre i difensori non lo sono. Gli squadristi si preparano con picconi e bombe incendiarie perché l'obbiettivo è già in partenza la devastazione del giornale per impedirne l'uscita. La difesa dell'Avanti! è passiva, come in tutti gli altri episodi della guerra civile. In modo più o meno aperto, gli assalitori sono protetti quasi sempre (...) dalle forze dello Stato. All'indomani degli assalti, il giornale predica prudenza, suggerisce di non cadere nella trappola delle provocazioni.
La reazione alla violenza squadrista è infatti esclusivamente politica e propagandistica: imponenti scioperi e cortei di solidarietà. Accompagnati da una sottoscrizione straordinaria a sostegno del giornale per riparare i danni e rilanciarlo. È lo stile dei socialisti, assolutamente perdente. Ma forse obbligato, considerando che la forza sta dalla parte dello squadrismo, perché esso ha una provvista ormai crescente di denaro, grazie all'appoggio di agrari e industriali, e perché soprattutto ha una copertura del potere statale che diventa con il tempo quasi completa.»
Il 15 aprile 1919, a Milano, nazionalisti, fascisti, allievi ufficiali e arditi furono protagonisti del primo assalto squadristico, durante il quale incendiarono e devastarono la sede del quotidiano.
«Sotto il titolo "Viva l'Avanti!", il primo fondo di commento dopo la devastazione dice. "Sappiamo che la lotta è senza quartiere, abbiamo coscienza che in questa lotta noi rappresentiamo, col nostro glorioso Avanti!, la bandiera più fulgida di una delle parti; non possiamo levare alcuna voce di meraviglia se questa bandiera è stata segnata come il bersaglio dei nemici, se è stata colpita, se è stata atterrata per un momento. "Ma l'Avanti! non può essere spento, perché rappresenta il socialismo stesso. Non si stronca una idea, come si spezza con il martello la macchina che la distribuisce alle centinaia di mille lavoratori nelle officine e nei campi. E poiché è viva l'idea, si ricompone anche la macchina. Avanti!".
Avanti!, dunque.»
«"All'Avanti! si lavora attivamente perché dalle sue ceneri e dai suoi carboni la nostra bandiera torni a sventolare più in alto. C'è la febbre della ripresa, pronta e decisa. C'è la volontà ardente di rispondere a tante manifestazioni di affetto con la tangibile dimostrazione che il barabbismo non può riuscire a spegnere la voce degli interessi del proletariato".»
Il 23 aprile 1919 il giornale, stampato a Torino, esorta i lettori e i militanti a sottoscrivere per ricostruire la sede milanese: "Perché l'AVANTI! risorga più grande, più forte, più rosso", dando atto del "Plebiscito di solidarietà" in corso.
«La "febbre della ripresa" moltiplica gli sforzi e il 3 maggio il giornale ritorna a essere stampato a Milano, dopo neppure tre settimane di interruzione. Piccole, umili e grandi offerte continuano a riempire, in lunghe colonne di piombo, la prima pagina. Si raccolgono due milioni, altri soldi vengono aggiunti dalle cooperative socialiste e dalle case del popolo.»
«Le ali dell'entusiasmo rendono i lavori di progettazione e realizzazione rapidi come, nonostante la tecnologia, sarebbe oggi quasi impensabile. Il 1º maggio 1920 viene posta la prima pietra ... La retorica, frutto del legittimo orgoglio, diventa in quel felice primo maggio inevitabile. "Oggi" - si legge nel fondo dal titolo "Un po’ di sereno…" - "sarà posata la prima pietra della nuova casa dell'Avanti!: costruzione la cui storia rimarrà memorabile, come quella della prima basilica o dei primi palazzi municipali del trecento. È il nostro pensiero vittorioso che si afferma in una salda armonia di pietre. I proletari che sanno e ricordano come i mattoni del sorgente edificio siano usciti dalla fornace del 15 aprile, da un fuoco che doveva distruggere il nostro essere e che invece ne provò la tenacia, come il crogiolo dimostra la bontà del metallo, considerano giustamente questo primo maggio come il più augurale e forse il più lieto della storia nostra. Oggi si canterà e si berrà."
Ed è quello che accade. Un immenso corteo sommerso dalle bandiere rosse si forma in piazza Cinque Giornate e si ingrossa a ogni incrocio mentre arriva all'angolo tra via Settala e via San Gregorio, che i compagni scoprono in mezzo agli applausi essere stata ribattezzata con una nuova targa stradale "Via Avanti!".
Quando il giornale, con la manifestazione del 1911 guidata da Turati, fu spostato a Milano, si sentiva nell'aria la speranza di conquistare un sindaco socialista nella capitale italiana del lavoro. Oggi, il sindaco, Caldara, c'è e pone solennemente la prima pietra. Gli ex direttori dell'Avanti! sono tutti presenti. Manca Bissolati, che è ammalato in ospedale a Roma e che, ministro e uomo di governo, ormai milita in un altro partito. Oddino Morgari lo ricorda con parole commosse. Il popolo socialista sa essere giusto e generoso: le accoglie con un grande applauso. Bissolati, quando lo saprà, nel letto di ospedale dove morirà dopo pochi giorni, piangerà di gioia.
Serrati cita il primo titolo dell'Avanti!, dettato proprio da Bissolati: "Di qui si passa". "Un ministro del re" - ricorda - "disse ai primi socialisti italiani: di qui non si passa. Sorse un modesto foglio, l'Avanti!, che rispose: di qui si passa. Ed il partito socialista è passato e passerà alla testa delle folle contro tutti i tradimenti, contro tutte le viltà."»
«Intorno alla prima pietra, in via Settala, si comincia a lavorare a tappe forzate per la nuova sede di Milano, ma neppure tre mesi dopo è la volta dell'edizione romana. Nella capitale, la forza della destra è maggiore. Se a Milano può organizzare azioni militari micidiali, ma limitate, a Roma può tentare ormai il controllo della piazza. È ciò che accade il 22 luglio 1920, quando i nazionalisti, per protestare contro uno sciopero dei tranvieri, organizzano una grande manifestazione che riempie le vie del centro. Da via Nazionale, il corteo raggiunge piazza Venezia e qui cominciano i primi scontri con gli operai che arrivano dalla vicina casa del popolo ... Si scatena la caccia al tranviere e, naturalmente, al socialista.
La sede della direzione del partito, in via del Seminario, è assediata. Poi scatta, pianificata, l'azione principale: l'assalto all'Avanti!. La complicità delle forze dell'ordine è così evidente che persino il Questore dichiarerà: "gli agenti hanno tenuto un contegno per lo meno equivoco". Un poliziotto fa da "palo" all'angolo di via della Pilotta, dove la sede dell'Avanti! è apparentemente protetta da uno squadrone di cavalleria. Vede avanzare una massa e crede per errore che si tratti degli operai giunti dalla casa del popolo in difesa del loro giornale. Fa segno perciò ai carabinieri a cavallo di caricare per disperderli. Ma quando si accorgono che è la squadra dei fascisti, i militari si fermano, retrocedono, li lasciano passare. Alla testa degli assalitori c'è un capitano degli arditi in divisa. "Le porte della tipografia - si legge nella cronaca dell'Avanti! - furono presto sfondate per mezzo di grossi macigni. E mentre un gruppo entrava per la porta, un ufficiale degli arditi, valoroso!, col pugnale in mano entrava per la finestra e muoveva incontro ad alcune donne, le sole che erano in tipografia, addette alla spedizione. Le disgraziate, alla vista di quell'energumeno, fuggirono per i tetti e si rifugiarono discinte in preda al terrore in uno dei locali vicini delle Poste. Nella tipografia tutto fu messo a soqquadro. Le macchine in piano furono guastate seriamente. Anche due linotype furono rese quasi inutili. I caratteri delle cassette sono tutti perduti".
Mentre avviene la devastazione, l'ufficiale che comanda i carabinieri a cavallo resta immobile: "non ho ordini". Un operaio corre allora al comando di Divisione. Riesce trafelato a parlare con il comandante del picchetto. "Non ci posso fare niente - ripete - non abbiamo ordini".»
Un nuovo attacco avvenne a Milano nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1921: la nuova sede del giornale in Via Lodovico da Settala 22, ancora in costruzione, fu bersagliata dalle bombe di una squadra fascista, con il prestesto di un'immediata rappresaglia alla strage dell'Hotel Diana, avvenuta poche ore prima per mano di elementi anarchici.
In questa occasione, mosso da un generoso impulso solidaristico, Pietro Nenni, all'epoca ancora esponente repubblicano, intervenne a difesa del quotidiano socialista. Il direttore dell'epoca, Giacinto Menotti Serrati, dopo pochi giorni, gli chiese di andare a Parigi come corrispondente dell'Avanti!, in prova per sei mesi, a 1800 franchi mensili "comprese per ora le piccole spese di tram, posta, ecc.". Da quel momento iniziò il sodalizio del leader romagnolo con il giornale socialista, che durerà per tutta la sua vita.
Il 19 aprile apparve per la prima volta la firma di Nenni sul quotidiano socialista, sotto l'articolo "La bancarotta dell'interventismo di sinistra".
A Parigi Nenni si iscrisse al PSI ed iniziò un percorso che lo portò, nel breve giro di due anni, a divenire leader della corrente autonomista del partito, che al Congresso di Milano del 1923 batté la posizione "fusionista" di entrata del PSI nel Partito Comunista d'Italia, come imposto dai vertici sovietici, sostenuta proprio da Serrati e dal Segretario del partito Costantino Lazzari. Il Congresso lo nominò direttore dell'Avanti!.
Da allora, per tutto il periodo dell'esilio in Francia e della clandestinità in Italia, Pietro Nenni e direzione dell'Avanti! diverranno un binomio quasi indissolubile, fino al 1948[N 6].
Il 31 dicembre 1925 il governo Mussolini fece approvare dalla Camera dei deputati la legge n. 2307 sulla stampa (una delle leggi fascistissime).
Il 31 ottobre 1926 il regime soppresse tutti i giornali dell'opposizione. L'Avanti!, come tutte le pubblicazioni antifasciste, fu costretto a sospendere le pubblicazioni in Italia, ma continuò ad essere pubblicato in esilio, su impulso di Nenni, con cadenza settimanale, a Parigi e a Zurigo.
Il quotidiano socialista ricomparve clandestino in Italia l'11 gennaio 1943: una pubblicazione dal titolo Avanti!, senza l'utilizzo della storica testata dal carattere corsivo in stile liberty, venne distribuita come "giornale del Movimento di Unità Proletaria per la repubblica socialista".
Dopo la costituzione del Partito Socialista di Unità Proletaria il 22 agosto 1943 (con la fusione tra il Partito Socialista Italiano ed il Movimento di Unità Proletaria), l'Avanti! riprese ad utilizzare la testata tradizionale di Galantara, proclamandosi nel sottotitolo "giornale del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria".
Il n.2 - Anno 47° del 9 (erroneamente fu stampata la data del 3) settembre 1943, nel dare la notizia della stipula dell'armistizio con gli Alleati, titolò, un po' ottimisticamente: "La guerra fascista è finita", mentre nel sottotitolo affermò "La lotta dei lavoratori continua", facendo il verso al proclama del Maresciallo Badoglio del 25 luglio ("La guerra continua").
L'Avanti! del 16 marzo 1944, stampato e distribuito clandestinamente nei territori della Repubblica Sociale e occupati dalle truppe tedesche, proclamava: "La classe operaia in prima fila nella lotta per l'indipendenza e per la libertà", con sottotitolo: "Lo sciopero generale nell'Italia Settentrionale contro la coscrizione, le deportazioni e le decimazioni"[N 7].
L'edizione romana dell'Avanti! clandestino era curata, come ricordò Sandro Pertini[17], da Eugenio Colorni e Mario Fioretti: « [...] Ricordo come Colorni, mio indimenticabile fratello d'elezione, si prodigasse per far sì che l'Avanti! uscisse regolarmente. Egli in persona, correndo rischi di ogni sorta, non solo scriveva gli articoli principali, ma ne curava la stampa e la distribuzione, aiutato in questo da Mario Fioretti, anima ardente e generoso apostolo del Socialismo. A questo compito cui si sentiva particolarmente portato per la preparazione e la capacità della sua mente, Colorni dedicava tutto se stesso, senza tuttavia tralasciare anche i più modesti incarichi nell'organizzazione politica e militare del nostro Partito. Egli amava profondamente il giornale e sognava di dirigerne la redazione nostra a Liberazione avvenuta e se non fosse stato strappato dalla ferocia fascista[N 8], egli sarebbe stato il primo redattore capo dell'Avanti! in Roma liberata e oggi ne sarebbe il suo direttore, sorretto in questo suo compito non solo dal suo forte ingegno e dalla sua vasta cultura, ma anche dalla sua profonda onestà e da quel senso di giustizia che ha sempre guidato le sue azioni. Per opera sua e di Mario Fioretti, l'Avanti! era tra i giornali clandestini quello che aveva più mordente e che sapeva porre con più chiarezza i problemi riguardanti le masse lavoratrici. La sua pubblicazione veniva attesa con ansia e non solo da noi, ma da molti appartenenti ad altri partiti, i quali nell'Avanti! vedevano meglio interpretati i loro interessi».
Il giornale uscì a Roma in clandestinità fino alla liberazione della capitale il 4-5 giugno 1944.
L'edizione straordinaria del 7 giugno 1944 diede la notizia dell'eccidio romano de La Storta del 4 giugno, titolando: "Bruno Buozzi Segretario della Confederazione Generale del Lavoro assassinato dai nazisti con 14 compagni".[N 9]
L'Avanti! riprese la diffusione pubblica nella capitale e nei territori italiani via via liberati, mentre rimase clandestino nei territori della Repubblica Sociale.
Sempre Pertini fu protagonista della stampa e diffusione del primo numero del giornale a Firenze, immediatamente dopo la liberazione della città: « [...] improvvisamente all'alba dell'undici agosto, la "Martinella" - il vecchio campanone di Palazzo Vecchio - suonò a distesa; risposero festose tutte le campane di Firenze. Era il segnale della riscossa. Scendemmo, allora, tutti i piazza; i fratelli nostri d'oltre Arno passarono sulla destra, i partigiani scesero dalle colline, la libertà finalmente splendeva nel cielo di Firenze. Ci mettemmo subito al lavoro; tutti i compagni si prodigavano in modo commovente. Il nostro fu il primo Partito a pubblicare un manifesto rivolto alla cittadinanza e pensammo di fare uscire immediatamente l'Avanti! sotto la direzione del compagno Albertoni... Nel pomeriggio dell'undici agosto noi tutti uscimmo dalla sede del Partito di via San Gallo con pacchi di Avanti! ancora freschi di inchiostro e ci trasformammo in strilloni. L'Avanti! andò a ruba. Ricordo un vecchio operaio. Mi venne incontro con le braccia tese chiedendomi con voce tremante un Avanti!. Il suo volto, splendente di una luce che si irradiava dal suo animo, sembrava improvvisamente ringiovanire. Preso l'Avanti! se lo portò alla bocca, baciò la testata piangendo come un fanciullo. Sembrava un figlio che dopo anni di forzata lontananza ritrova la madre.»[17]
L'edizione milanese dell'Avanti! clandestino era curata, sino alla sua cattura da parte della Gestapo il 10 marzo 1944, assieme alla quasi totalità del gruppo dirigente socialista di Milano, da Andrea Lorenzetti[N 10][16]: nel periodo settembre 1943-maggio 1944, uscirono ben ventotto numeri, quasi uno la settimana.
Subito dopo l'arresto della redazione, la direzione del giornale clandestino fu affidata a Guido Mazzali, grazie al cui impegno il giornale raggiunse una tiratura di 15 000 copie; esso aveva un recapito nei caselli daziari di Porta Vittoria.
Così Sandro Pertini ricordò l'impegno di Mazzali per la stampa del giornale socialista: «L'organizzazione politica e quella militare del nostro Partito procedeva nel Nord in modo febbrile e sempre più soddisfacente per opera di Morandi, di Basso, di Bonfantini. L'anima di questa organizzazione era l'Avanti! clandestino. Nel settentrione usciva in diverse edizioni: a Milano, Torino, Venezia, Genova, Bologna. Insieme all'Avanti! facevano uscire altri giornali clandestini... La pubblicazione di questi fogli in Milano la si deve alla tenacia, alla abnegazione, alla intelligenza di Guido Mazzali. Sempre sereno, egli non si turbava delle mie richieste di far uscire nuovi giornali: ascoltava tranquillo le mie sfuriate quando lo incitavo a pubblicare con più frequenza l'Avanti! e si metteva paziente al lavoro. Il giornale lo faceva lui, e lui ne curava la stampa e la diffusione. Si pensi che nella sola Milano siamo riusciti a stampare fino a 30 000 copie per numero dell'Avanti!. Il nostro giornale era lettissimo, soprattutto perché non si limitava a fare opera di patriottismo, come facevano i giornali di altri Partiti, ma prospettava sempre quelle che poi dovevano essere ed erano le finalità della guerra di liberazione, e cioè: l'indipendenza, la Repubblica, il Socialismo...»[17]
«... nel tardo pomeriggio del 25 aprile 1945, un signore, tutto trafelato e dall’aria distinta circolava impavido per Milano insorta, con una bicicletta malandata e una borsa piena di carte che altro non erano che materiale da pubblicare su un giornale. Questo signore era Guido Mazzali che attraversava Milano per arrivare al Corriere della Sera. Il giorno successivo, il 26 aprile 1945, usciva finalmente, dopo vent’anni, il primo numero normale dell'Avanti!, alla luce del sole ...»
L'edizione milanese dell'Avanti venne redatta presso la sede del Corriere della Sera fino al 13 maggio 1945, quando la redazione si trasferì in Via Senato, 38, angolo Piazza Cavour, 2, nella ex sede de "Il Popolo d'Italia"[19].
Venerdì 27 aprile 1945, mentre nell'Italia settentrionale si andava completando la liberazione dei territori dall'occupazione tedesca, apparve sull'Avanti! un articolo, a firma di Pietro Nenni, il cui titolo che divenne famoso: "Vento del Nord". In esso il leader del PSIUP, nell'esaltare lo sforzo dei partigiani che erano riusciti a cacciare o a costringere alla resa i nazifascisti, individuava nella volontà di riscatto e di rinnovamento delle popolazioni del Nord il "vento" che avrebbe spazzato via i residui del regime che aveva governato l'Italia per oltre vent'anni: «Vento di liberazione contro il nemico di fuori e contro quelli di dentro».[20]
Il 28 aprile 1945 giunse a Roma la notizia della fucilazione di Mussolini: Sandro Pertini che gli era vicino nella redazione dell’Avanti!, raccontò che Nenni, in passato amico fraterno e compagno di cella del futuro duce, allora socialista, «aveva gli occhi rossi, era molto commosso, ma volle ugualmente dettare il titolo: Giustizia è fatta!».[21][22][23]
Il 1º maggio 1945, dopo la Liberazione, uscì a Milano il primo numero dell'Avanti! dedicato alla festa del 1º maggio, che venne celebrata per la prima volta dopo 20 anni con uno storico comizio di Sandro Pertini. Nella prima pagina compare la foto di Bonaventura Ferrazzutto, sopra il titolo Gli assenti, in cui si ricordano i compagni caduti o vittime della deportazione nei campi di sterminio nazisti.
Dopo la Liberazione l'Avanti! costituirà, con gli infuocati articoli di Nenni, uno straordinario strumento di propaganda per il voto a favore della Repubblica nel referendum istituzionale e per il PSIUP nelle elezioni per l'Assemblea Costituente del 2 giugno 1946. Famoso è rimasto lo slogan del leader socialista: "O la Repubblica, o il caos!"
Il 5 giugno 1946, nel proclamare l'esito vittorioso del referendum istituzionale, il giornale titolò a tutta pagina: "REPUBBLICA! - IL SOGNO CENTENARIO DEGLI ITALIANI ONESTI E CONSAPEVOLI È UNA LUMINOSA REALTÀ" e, in un riquadro a lui dedicato, il direttore Ignazio Silone espresse la riconoscenza degli elettori socialisti al proprio leader, che aveva infaticabilmente lottato per l'abbinamento tra elezioni per l'Assemblea Costituente e referendum: "Grazie a Nenni".
Nel secondo dopoguerra l'Avanti!, pur non tornando alle tirature e all'influenza che aveva avuto tra le due guerre, è, con i suoi titoli, il testimone della rinascita del Paese e della sua evoluzione democratica.
Grande enfasi viene data dal giornale alla nascita del primo governo di centro-sinistra che vedeva la partecipazione diretta dei socialisti che tornavano nell'esecutivo dopo 16 anni di opposizione assieme ai comunisti. Venerdì 6 dicembre 1963, in occasione del giuramento del primo governo Moro davanti al Presidente della Repubblica Antonio Segni, il giornale titola a tutta pagina: "DA OGGI OGNUNO È PIÙ LIBERO - I lavoratori rappresentati nel governo del Paese".
L'“Avanti!” registra puntualmente i risultati dell'attività riformatrice dei socialisti nello schieramento di governo di centro-sinistra.
"LO STATUTO DEI LAVORATORI È LEGGE" titola l'“Avanti!” del 22 maggio 1970, dando la notizia dell'approvazione della legge 20 maggio 1970, n. 300 e afferma nell'occhiello: "IL PROVVEDIMENTO VOLUTO DAL COMPAGNO GIACOMO BRODOLINI È STATO DEFINITIVAMENTE APPROVATO DALLA CAMERA". Il giornale ricorda il ruolo di impulso svolto dal Ministro del lavoro socialista, prematuramente scomparso l'11 luglio 1969, considerato il vero "padre politico" dello Statuto dei lavoratori, e attacca «l'atteggiamento dei comunisti, ambiguo e chiaramente elettoralistico», che ha determinato il PCI a scegliere l'astensione sul provvedimento.
L'articolo di fondo proclama: "La Costituzione entra in fabbrica", sottolineando «il riconoscimento esplicito di una nuova realtà che, dopo le grandi lotte d'autunno, nel vivo delle lotte per le riforme sociali, vede la classe lavoratrice all'offensiva, impegnata nella costruzione di una società più democratica».
Con un titolo analogo, "IL DIVORZIO È LEGGE - Vittoriosa conclusione di una giusta battaglia", l'“Avanti!” del 2 dicembre 1970 sottolinea l'avvenuta approvazione della nuova "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio", la cosiddetta legge Fortuna-Baslini, risultato della combinazione del progetto di legge del socialista Loris Fortuna con un altro progetto di legge del deputato liberale Antonio Baslini. Il progetto Fortuna risaliva al 1965 ed era stato testardamente riproposto dal deputato socialista all'inizio di ogni legislatura.
In precedenza, nel 1954, un altro deputato socialista, Luigi Renato Sansone, aveva presentato[24] alla Camera un disegno di legge per l'istituzione del cosiddetto piccolo divorzio[N 11][26], mai discusso, riproposto nel 1958 da Sansone, eletto senatore, assieme alla collega Giuliana Nenni (figlia primogenita del leader socialista).
Circa tre anni dopo l'approvazione della legge, il 14 maggio 1974 il giornale socialista proclamò l'esito del referendum sul divorzio, promosso da Gabrio Lombardi, presidente del Comitato per il referendum sul divorzio, e da Luigi Gedda, presidente dei Comitati Civici, e sostenuti dalle gerarchie vaticane e dal leader democristiano Amintore Fanfani[27], all'epoca segretario della DC, titolando a tutta pagina: "Una valanga di NO – Strepitosa vittoria delle forze democratiche".
Dopo la direzione di Paolo Vittorelli (1976-1978), con il consolidarsi del nuovo corso socialista, il segretario del partito Craxi diventò nel 1978 direttore politico e affidò la direzione responsabile a Ugo Intini, che diventerà anche direttore politico nel 1981.
L’Avanti! amplificava tutte le battaglie politiche e culturali del partito, quotidianamente ripreso, come si usava al tempo, dai telegiornali e quotidiani nazionali. Divennero citati e famosi anche i corsivi che Craxi, pur presidente del Consiglio, cominciò a scrivere con lo pseudonimo di Ghino di Tacco (GdT).
Alcune battaglie però, che si possono elencare rapidamente, furono soprattutto sue, perché legate non soltanto alla politica ma alle inchieste giornalistiche e alla cronaca. Dopo la campagna per la liberazione di Moro, lo scontro con tutti gli altri media si ripropose con il sequestro del giudice D’Urso e questa volta ebbe un esito opposto. Sfiorando la crisi di governo, l’Avanti! pubblicò infatti i comunicati delle BR, come da esse richiesto e il giudice inviò nel gennaio 1981 al direttore una lettera nella quale gli comunicava che sarebbe stato liberato.
L’Avanti!, sempre isolato tra i media, insistette sulle radici del terrorismo rosso, che stavano a suo parere nel leninismo, nell’estremismo sindacale e in quella parte minoritaria della Resistenza comunista che aveva come obbiettivo non la democrazia, bensì la rivoluzione proletaria. Unico tra i media (e difeso soltanto del presidente Pertini) documentò e denunciò l’appoggio al terrorismo dall’Unione Sovietica. Così come sostenne che il tentato assassinio del Papa era stato organizzato non da fanatici, bensì dal KGB.
L’Avanti! sollevò uno scandalo per il fatto che i responsabili dell’assassinio, nel 1980, di Walter Tobagi (un socialista che aveva cominciato a lavorare proprio nella sua redazione) fossero rimasti in carcere soltanto tre anni in quanto “pentiti”. Scoprì e pubblicò poi un documento dal quale risultava che un infiltrato dai carabinieri tra i terroristi aveva preannunciato la tragedia cinque mesi prima. Il documento, sempre nascosto anche al processo, fu dichiarato autentico dal ministro dell’Interno Scalfaro, che difese l’Avanti! in Parlamento. I suoi giornalisti e persino i parlamentari socialisti (cui fu tolta l’immunità per un reato di opinione) furono condannati. Il presidente del Consiglio Craxi espresse la sua solidarietà, il CSM si convocò in seduta straordinaria per censurarlo e il presidente della Repubblica Cossiga vietò la riunione minacciando l’intervento dei carabinieri e provocando il più clamoroso scontro istituzionale tra potere politico e giudiziario.
Nel 1987, l’Avanti! fu rilanciato con una nuova veste grafica disegnata da Sergio Ruffolo (fratello di Giorgio) che aveva creato anche quella della Repubblica. Intini passò al ruolo di portavoce del partito, conservando la direzione editoriale del giornale, di cui diventarono direttori prima Antonio Ghirelli (già portavoce di Pertini, direttore del Corriere dello Sport e del TG2), poi Roberto Villetti (già vice direttore dell’Avanti!, di Mondoperaio e segretario della Federazione Giovanile socialista).
Il crollo del PSI del 1993 portò con sé inevitabilmente prima la crisi e poi la chiusura dell’Avanti!, che fu l’unico quotidiano a opporsi frontalmente agli eccessi di Mani Pulite. Ugo Intini sostenne ad esempio che ci si trovava di fronte a un “Golpismo strisciante“ (titolo del 29 luglio 1992) nel quadro di una campagna di opinione a livello mondiale per sostituire in pratica il potere finanziario a quello politico dopo che, come sosteneva Fukuyama, finito il comunismo, erano finite anche la storia e, a maggior ragione, la politica (“Fukuyama in salsa italiana“, del 21 aprile 1992).
L’Avanti!, nato perseguitato, morì allo stesso modo. Proprio nel momento del più disperato bisogno, Palazzo Chigi gli bloccò infatti il pagamento di dieci miliardi arretrati dovuti (come a tutti) come contributo statale all’editoria. Il giornale fallì e i suoi amministratori furono subito incriminati per bancarotta fraudolenta, in quanto avevano iscritto a bilancio come debito del partito verso il giornale il contributo che ogni anno il partito stesso (quale unico azionista) aveva sempre riconosciuto e regolarmente pagato per ripianare il passivo (cosa che, distrutto imprevedibilmente il PSI, non fu più possibile). Il processo e l’assoluzione avvennero soltanto nel 2007.
Dopo il crollo della prima Repubblica, si ricostruì faticosamente il partito che si poneva nella continuità storica con il partito socialista di Nenni, Pertini e Craxi. Prima lo SDI (Socialisti Democratici Italiani), poi il suo successore PSI (con le segreterie di Enrico Boselli, Riccardo Nencini e Enzo Maraio) si posero perciò come primo e naturale obiettivo quello di conservare anche la continuità dell’Avanti! Dal 1998 al 2013, il partito pubblicò perciò come settimanale cartaceo l’Avanti! della Domenica e dal 2012 in poi il quotidiano l’Avanti! online.
L’Avanti della domenica è tornato in edicola prima, dall’aprile 2022, inserito ne Il Riformista e poi, dal febbraio 2023, in modo autonomo, diretto da Giada Fazzalari.
Con lo scioglimento del Partito Socialista Italiano la testata era finita in liquidazione, come gli altri beni di proprietà del partito. L'ultimo congresso del PSI (Roma, 12 novembre 1994) aveva nominato un commissario liquidatore, Michele Zoppo, al quale venne affidato, tra gli altri beni, anche l'Avanti!. Ma non avendone curato la pubblicazione prevista dalla legge sulla stampa (47/48 art.7) è stato inadempiente al mandato ricevuto al momento della nomina che lo rendeva garante della tutela dei beni del partito, testate comprese.
Dopo tale data, comparvero in edicola tre diversi periodici che, pur richiamandosi tutti alla medesima storica testata socialista, erano diversamente schierati a livello politico:[30]
Tutti i tre periodici hanno sospeso le pubblicazioni: L'Avanti! di Lavitola nel 2011; l'Avanti! di Bobo Craxi confluì nell'Avanti! della Domenica nel 2006; il quale a sua volta cessò le pubblicazioni il 6 ottobre 2013, a seguito dell'apparizione sul web del quotidiano on-line Avanti! il 5 gennaio 2012.
Il 5 novembre 2011 il nuovo commissario liquidatore Francesco Spitoni firmò, tramite scrittura privata, la cessione definitiva del marchio originale "Avanti!" al Partito Socialista Italiano (2007) con segretario Riccardo Nencini, nella persona del tesoriere Oreste Pastorelli.[41] Da allora, il titolo della testata è conteso da due soggetti:
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