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Alessandro Magno

fondatore dell'impero ellenistico, fu re di Macedonia, egemone della lega ellenica, faraone d'Egitto e imperatore di Persia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Alessandro Magno
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Alessandro III di Macedonia (in greco antico: Ἀλέξανδρος Γ' ὁ Μακεδών?, Aléxandros trίtos ho Makedόn)[N 1], universalmente conosciuto come Alessandro Magno (Μέγας Ἀλέξανδρος, Mégas Aléxandros o in persiano اسکندر کبیر, Eskandar Kabīr; Pella, 20 o 21 luglio 356 a.C.Babilonia, 10 o 11 giugno 323 a.C.) è stato un condottiero e sovrano macedone antico, re di Macedonia della dinastia degli Argeadi a partire dal 336 a.C., succedendo al padre Filippo II. L'epiteto magno deriva dal latino magnus ("grande"), che traduce il termine greco antico μέγας (mégas). Noto anche come Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore o Alessandro il Macedone, è considerato uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia.

Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Alessandro Magno (disambigua).
Disambiguazione – "Alessandro il Grande" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Alessandro il Grande (disambigua).
Dati rapidi Alessandro III di Macedonia detto "Magno" (Il Grande), Re di Macedonia Egemone della Lega Ellenica ...

In soli dodici anni conquistò l'Impero persiano, un territorio vastissimo che si estendeva dall'Asia Minore all'Egitto fino alle regioni corrispondenti agli attuali Pakistan, Afghanistan e India nord-occidentale. Questo straordinario successo fu dovuto sia a una congiuntura storica eccezionalmente favorevole – le crisi interne dell'Impero achemenide e del mondo delle poleis greche, unite all'opera espansionistica già avviata dal padre – sia alle sue indiscusse capacità militari e diplomatiche. Dotato di grande coraggio e carisma, Alessandro esercitava un forte ascendente sui suoi soldati, che spronava partecipando personalmente ai combattimenti. Fu inoltre uno dei primi condottieri dell'antichità a comprendere pienamente l'importanza della propaganda, sia per accrescere il prestigio personale all'interno dell'esercito, sia per intimidire i nemici.

A tal fine, Alessandro si dotò di un articolato apparato celebrativo: si fece accompagnare per gran parte della campagna da storici e cronisti, tra cui Callistene di Olinto, e attribuì grande importanza a gesti di forte valenza simbolica, nonché alla diffusione di leggende sulla propria discendenza da eroi mitici come Eracle e Achille, o persino da divinità. Parallelamente, cercò di favorire l'integrazione tra Macedoni, Greci e popolazioni asiatiche, promuovendo una politica di fusione culturale e amministrativa. Tale disposizione al sincretismo, sebbene non priva di ambiguità e resistenze, risultò inusuale per un sovrano greco del suo tempo e contribuì a diffondere la cultura ellenica su scala intercontinentale, inaugurando il cosiddetto periodo ellenistico.

Alessandro morì a Babilonia nel mese di Daisios (corrispondente al Targelione attico) del 323 a.C., Le cause della morte restano incerte: le ipotesi avanzate includono un avvelenamento, una recidiva di malaria contratta in precedenza oppure, secondo interpretazioni moderne, patologie quali tifo addominale, pancreatite acuta o una grave insufficienza epatica.[1] Dopo la sua morte, l'Impero macedone venne rapidamente frammentato, tra conflitti e guerre, tra i suoi generali (i Diadochi). Da questo processo nacquero i principali regni ellenistici, tra cui il regno tolemaico d'Egitto, quello seleucide in Siria e Asia e quello antigonide in Macedonia.

L'eccezionalità della figura di Alessandro e delle sue imprese ispirò, già in vita e ancor più dopo la morte, un vastissimo corpus di leggende, come quella della costruzione delle mitiche Porte di Alessandro, e una ricchissima tradizione letteraria e figurativa. Il sovrano venne spesso rappresentato con attributi eroici; nella scultura, ad esempio, è talvolta raffigurato nudo, un trattamento che nella Grecia classica era riservato esclusivamente a dèi ed eroi. Nella ritrattistica è frequentemente accostato ad Achille, del quale Alessandro stesso si riteneva discendente per parte materna.

I racconti storici sulla sua figura assunsero presto connotazioni mitiche, rendendo spesso difficile distinguere i dati storici dalle rielaborazioni leggendarie. La sua fama travalicò ampiamente i confini del mondo greco: nella Bibbia (Primo libro dei Maccabei) Alessandro è menzionato esplicitamente, mentre nel Corano il personaggio di Dhu al-Qarnayn ("il Bicorne") è talvolta identificato con Alessandro Magno, sebbene tale identificazione resti oggetto di dibattito e non sia supportata da prove conclusive.

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Descrizione fisica

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(latino)
«Per idem tempus conditorium et corpus Magni Alexandri, cum prolatum e penetrali subiecisset oculis, corona aurea imposita ac floribus aspersis veneratus est consultusque, num et Ptolemaeum inspicere vellet, «regem se voluisse» ait «videre, non mortuos».»
(italiano)
«Nello stesso periodo [Augusto], contemplato con i suoi occhi il sarcofago e il corpo di Alessandro Magno, tratto fuori dal sepolcro, lo venerò, ponendogli una corona d'oro e cospargendolo di fiori; e quando gli fu chiesto se volesse visitare anche il sepolcro dei Tolomei, rispose di aver voluto vedere un re, non già dei morti.»

Alessandro non era descritto dalle fonti come dotato di un fisico particolarmente avvenente: secondo alcune testimonianze era di statura relativamente modesta, di corporatura robusta e compatta. Le fonti antiche riferiscono inoltre che fosse mancino e che presentasse eterocromia, cioè occhi di colore diverso (uno chiaro e l'altro scuro, variamente indicato come azzurro, marrone o quasi nero), mentre la sua voce viene descritta come aspra.[2] Portava abitualmente il collo leggermente inclinato verso sinistra, un tratto che ricorre anche nella ritrattistica ufficiale. Alcuni autori antichi menzionano la presenza di possibili malformazioni o disturbi congeniti, la cui reale natura resta tuttavia incerta e che, secondo ipotesi moderne, potrebbero aver influito sul suo stato di salute negli ultimi anni di vita.[3]

Aveva capelli ispidi e rossicci, sebbene – secondo tradizioni riportate da fonti tarde – fosse solito schiarirli o profumarli con preparati a base di zafferano, potassa e fiori, trattandoli poi con essenze come incenso e mirra. Alessandro usava radersi regolarmente il volto anche in età adulta, un'abitudine piuttosto inusuale tra i Greci del suo tempo, probabilmente anche a causa della scarsa crescita della barba; per uniformità e per non distinguersi eccessivamente dai suoi dignitari, avrebbe incoraggiato anche loro ad adottare la stessa consuetudine.

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Scultura in marmo di Alessandro (Lisippo).

L'immagine di Alessandro fu fissata da numerosi artisti suoi contemporanei, delle cui opere originali non rimangono purtroppo che copie romane e descrizioni letterarie. Il celebre Lisippo fu nominato suo scultore di corte e realizzò numerosi ritratti ufficiali del sovrano, contribuendo a definire l'iconografia canonica di Alessandro. Pirgotele fu invece l'unico incisore autorizzato dallo stesso Alessandro a raffigurarne l'immagine su sigilli e gemme. Sappiamo inoltre che il pittore Apelle lo immortalò in grandi tavole lignee, raffigurandolo sia in scene celebrative sia in episodi di battaglia.

Secondo Aristosseno di Taranto, discepolo di Aristotele, il corpo di Alessandro emanava un profumo naturalmente gradevole.[4] Ateneo di Naucrati, invece, sottolinea la sua inclinazione al bere e agli eccessi conviviali.[5] Plutarco riferisce inoltre che Alessandro, almeno a partire dalla battaglia di Gaugamela, usasse indossare in combattimento la linothōrax, una corazza multistrato di lino pressato, in luogo della più tradizionale corazza oplitica di bronzo.[6] Tale scelta, probabilmente motivata da una maggiore leggerezza e libertà di movimento, è oggetto di dibattito tra gli studiosi, poiché l'effettiva capacità protettiva della linothōrax rispetto alle armature metalliche varia a seconda delle ricostruzioni sperimentali. In alcuni mosaici e raffigurazioni fiunte fino a noi, Alessandro è effettivamente rappresentato mentre indossa questo tipo di corazza.[7]

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Personalità

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Alcuni dei tratti più evidenti della personalità di Alessandro si formarono sotto la forte influenza dei suoi genitori. Sua madre Olimpiade era una donna di grande determinazione e ambizione e lo incoraggiò fin dall'infanzia a credere di essere destinato a compiere imprese eccezionali, in particolare a sconfiggere l'Impero persiano.[8] Questa influenza contribuì a radicare in Alessandro una profonda convinzione nel proprio destino; Plutarco afferma infatti che la sua ambizione «rese il suo spirito grave e superbo con il passare degli anni». Tuttavia, il modello più immediato e determinante per Alessandro fu il padre Filippo, che egli vide fin da bambino impegnato quasi ogni anno in campagne militari vittoriose, spesso riportando ferite gravi. Il rapporto con Filippo forgiò la componente competitiva del suo carattere: Alessandro sentiva il bisogno di superare il padre, come si evince anche dal suo comportamento spesso audace e spericolato in battaglia.[8] Egli stesso temeva che Filippo potesse non lasciargli «nessuna grande o memorabile impresa da mostrare al mondo», e non di rado tendeva a sminuirne i successi davanti ai suoi coetanei.

Secondo Plutarco, Alessandro mostrava tratti di un temperamento violento e impulsivo, che in alcune occasioni influenzò negativamente le sue decisioni. Pur essendo ostinato e poco incline a sottomettersi passivamente all'autorità paterna, era tuttavia disposto ad accettare argomentazioni razionali e ben motivate. Accanto a questo lato impetuoso, possedeva anche una natura riflessiva, intuitiva e calcolatrice. Aveva un forte desiderio di conoscenza, un profondo interesse per la filosofia ed era un lettore appassionato, inclinazioni dovute almeno in parte all'educazione ricevuta da Aristotele. Alessandro era dotato di notevole intelligenza e apprendeva rapidamente; tali qualità si manifestarono chiaramente nella sua abilità strategica e nel successo come comandante militare. Dimostrava inoltre un notevole autocontrollo nei confronti dei piaceri sessuali, mentre faticava maggiormente a imporsi limiti nel consumo di alcolici.

Alessandro era colto e padroneggiava sia le arti sia le scienze. Mostrava scarso interesse per le competizioni sportive e per i giochi olimpici – a differenza di Filippo – aspirando piuttosto a incarnare gli ideali omerici di onore (τιμή, timḗ) e gloria (κῦδος, kŷdos). Dotato di grande carisma e di una personalità dominante, fu un leader capace di esercitare un forte ascendente sui suoi uomini. L'eccezionalità delle sue capacità emerge anche dal fatto che, dopo la sua morte, nessuno dei suoi generali riuscì a mantenere unita la Macedonia e a preservare l'integrità dell'impero: un risultato che solo Alessandro era stato in grado di ottenere.[9]

Negli ultimi anni di vita, e in particolare dopo la morte di Efestione, suo intimo compagno e figura a lui legatissima, Alessandro iniziò a manifestare comportamenti che alcune fonti interpretano come segni di crescente sospettosità e di esaltazione della propria figura.[10] Le sue straordinarie conquiste, unite a un forte senso del destino personale e all'adulazione costante del suo entourage, potrebbero aver contribuito a tali atteggiamenti. Le fonti antiche sottolineano la vastità delle sue ambizioni, talvolta descritte come illimitate, un tratto che divenne in seguito un vero e proprio cliché storiografico. Secondo alcuni autori, Alessandro arrivò a considerarsi di natura divina, o quantomeno a richiedere un trattamento conforme a tale status. Olimpiade sostenne sempre che egli fosse figlio di Zeus, convinzione che Alessandro ritenne confermata dalla consultazione dell'oracolo di Amon a Siwa, evento dopo il quale iniziò a identificarsi come figlio del dio.

In questo contesto si colloca anche l'adozione di elementi del vestiario e del cerimoniale persiano e il tentativo di introdurre la proskynesis, un gesto di deferenza rituale tipico delle corti orientali. Tale pratica, estranea alla tradizione macedone e greca, suscitò forte ostilità tra i suoi compatrioti, che la percepivano come incompatibile con il rapporto tra re e cittadini. Più che una prova di pura megalomania, tuttavia, molti studiosi interpretano queste scelte come il tentativo pragmatico di Alessandro di governare un impero multietnico, in cui il sovrano era spesso considerato una figura sacra o divina. In questa prospettiva, tali comportamenti possono essere letti come strumenti politici volti a rafforzare l'autorità regia e a preservare l'unità di domini culturalmente molto diversi.

Relazioni personali

Lo stesso argomento in dettaglio: Relazioni personali di Alessandro Magno.

Alessandro si sposò tre volte: con Rossane, figlia del nobile sogdiano Ossiarte di Battriana, probabilmente per ragioni personali oltre che politiche; e con le principesse persiane Stateira II, figlia di Dario III, e Parysatis II, figlia di Artaserse III, in entrambi i casi per motivi dinastici e di legittimazione politica. Dalla relazione con Rossane nacque Alessandro IV di Macedonia, figlio postumo, mentre un altro figlio, Eracle di Macedonia, sarebbe nato dalla concubina Barsine, sebbene la sua paternità non sia attestata in modo unanime dalle fonti. Alessandro perse inoltre un altro figlio quando Rossane abortì a Babilonia.

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Busti di Alessandro ed Efestione, presso il museo della Villa Getty, a Malibu.

Alessandro ebbe un legame estremamente stretto con il suo amico, generale e membro della guardia del corpo reale Efestione, figlio di un nobile macedone. La morte di Efestione colpì profondamente Alessandro e provocò una reazione di lutto eccezionale per intensità; secondo alcuni autori, questo evento potrebbe aver contribuito al peggioramento delle sue condizioni fisiche e al suo stato emotivo negli ultimi mesi di vita.

La sessualità di Alessandro è stata oggetto di ampie discussioni e controversie in epoca moderna. Ateneo di Naucrati, citando Dicearco – contemporaneo di Alessandro – riferisce che il re «era incline anche a questo comportamento», alludendo a relazioni omosessuali, e racconta che Alessandro avrebbe manifestato pubblicamente affetto verso l'eunuco persiano Bagoa. Un episodio analogo è riportato anche da Plutarco, che attinge alla medesima tradizione. Alessandro ed Efestione furono spesso accostati ad Achille e Patroclo, una coppia paradigmatica della cultura greca classica. Durante la visita a Troia, Alessandro depose una corona sulla tomba di Achille, mentre Efestione fece lo stesso su quella di Patroclo.[11][12] Claudio Eliano interpretò questo gesto come un segno del fatto che [Efestione] fosse l'erómenos di Alessandro, così come Patroclo lo era stato di Achille».[13][14]

Alcuni storici moderni, tra cui Robin Lane Fox, ritengono probabile che il rapporto tra Alessandro ed Efestione abbia avuto anche una dimensione sessuale, forse protrattasi oltre la giovinezza. Tale ipotesi, pur non unanimemente accettata, si inserisce nel dibattito sul diverso atteggiamento nei confronti delle relazioni omosessuali nelle varie realtà del mondo greco: mentre in città come Atene tali rapporti tra adulti erano generalmente stigmatizzati, è stato suggerito che la Macedonia, o almeno l'ambiente della corte reale, potesse essere più tollerante in questo senso.

Lo storico Peter Green sostiene che nelle fonti antiche vi siano poche prove di un forte interesse sessuale di Alessandro per le donne, evidenziando come egli non abbia generato un erede legittimo fino agli ultimi anni di vita. Al contrario, secondo Daniel Ogden, Alessandro avrebbe concepito almeno tre figli in circa otto anni, un numero non inferiore a quello attribuibile a Filippo alla stessa età. Oltre alle mogli ufficiali, Alessandro ebbe altre compagne, tra cui l'etèra Campaspe, e mantenne un harem sul modello dei sovrani persiani, che tuttavia – secondo le fonti – utilizzò con moderazione, mostrando un notevole autocontrollo nei cosiddetti "piaceri del corpo".

Plutarco descrive inoltre Alessandro come profondamente colpito dalla bellezza di Rossane, lodandolo per non aver fatto ricorso alla forza nei suoi confronti. Green ha anche sottolineato come Alessandro instaurasse rapporti di amicizia e rispetto con diverse donne di rango elevato, tra cui Ada di Caria, che lo adottò simbolicamente, e Sisigambi, madre di Dario III, la quale – secondo la tradizione – sarebbe morta di dolore dopo aver appreso della morte del conquistatore macedone.

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Biografia

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La nascita

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Filippo II, padre di Alessandro.

Alessandro nacque a Pella, seconda capitale del regno di Macedonia (dopo Aigai, l'odierna Verghina), intorno al 20 o 21 luglio del 356 a.C., anche se alcune fonti antiche collocano la nascita intorno al 6 luglio dello stesso anno.[15] Era figlio del re macedone Filippo II e della principessa epirota Olimpiade. Entrambe le famiglie rivendicavano una discendenza mitica: la dinastia argeade di Filippo si diceva discendente da Eracle, mentre la stirpe di Olimpiade faceva risalire le proprie origini ad Achille.[16] Alessandro mostrò sempre grande interesse per questa genealogia eroica e, nel corso della sua vita, diede più volte prova di identificarsi con tali modelli mitici, in particolare con Achille, che considerava il suo ideale di riferimento.

Secondo una tradizione leggendaria, probabilmente incoraggiata dallo stesso Alessandro e da Olimpiade dopo l'ascesa al trono e riferita da Plutarco, il vero padre di Alessandro sarebbe stato Zeus,[17] il quale avrebbe giaciuto con Olimpiade assumendo le sembianze di un serpente. Questo racconto si inserisce nel più ampio contesto delle narrazioni mitiche volte a legittimare il potere regale attraverso una discendenza divina.[N 2]

Un'altra tradizione, diffusa in ambienti ellenistici e talvolta attribuita a Tolomeo I, identificava invece il padre biologico di Alessandro con il faraone egiziano Nectanebo II, deposto ed esiliato dai Persiani.[18] Anche questa versione, priva di fondamento storico, rientra nel complesso corpus di leggende sorte attorno alla figura del conquistatore macedone, soprattutto in epoca successiva alla sua morte.

L'educazione

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Aristotele insegna ad Alessandro.

All'epoca della nascita di Alessandro, sia la Macedonia sia l'Epiro erano considerati da gran parte dei Greci come regni semi-barbarici, posti ai margini settentrionali del mondo ellenico, sebbene le rispettive élite rivendicassero con forza la propria appartenenza alla cultura greca.

La sua nutrice fu Lanice, sorella di Clito il Nero, che in seguito divenne uno dei suoi più fidati generali.[19] Filippo volle garantire al figlio un'educazione pienamente greca e, dopo Leonida – che Alessandro in età adulta ricordava come eccessivamente severo e parsimonioso[N 3] – e Lisimaco, con il quale il giovane principe sviluppò un forte legame personale (al punto da rischiare una volta la vita per salvarlo),[20] scelse come suo precettore il filosofo Aristotele. Quest'ultimo lo educò per circa tre anni, dal 343 a.C. al 341 a.C.,[21][N 4] periodo durante il quale Alessandro ricevette una formazione ampia e articolata.

Aristotele probabilmente gli insegnò scienze naturali, medicina, retorica, letteratura e filosofia, oltre alla lingua e alla cultura greca. Secondo la tradizione, preparò inoltre per lui un'edizione annotata dell'Iliade,[N 5] che Alessandro avrebbe poi portato con sé durante la campagna asiatica come testo di riferimento e fonte di ispirazione. I rapporti tra maestro e allievo, pur conoscendo momenti di tensione, rimasero nel complesso cordiali e continuativi anche dopo la fine del periodo di istruzione; solo negli ultimi anni di vita Alessandro avrebbe iniziato a guardare con sospetto ad Aristotele, probabilmente anche a causa di divergenze politiche e ideologiche.[22]

L'insegnamento si svolgeva presso una scuola situata nei considdetti "Giardini di Mida", a Mieza, località ai piedi del massiccio del Bermio (l'attuale monte Vermio), nei pressi dell'odierna Naoussa, nella Grecia settentrionale.[23]

Non è possibile stabilire con certezza fino a che punto gli insegnamenti di Aristotele abbiano inciso sul pensiero politico di Alessandro. È tuttavia probabile che tra i due vi fossero profonde divergenze: la visione aristotelica, fondata sulla centralità della polis e su una concezione tradizionale e localistica della politica greca, difficilmente poteva conciliarsi con le ambizioni di Alessandro, che, in continuità con il progetto paterno, mirava all'unificazione della Grecia sotto un'unica guida e, successivamente, alla costruzione di un impero sovranazionale.

Ciononostante, Alessandro si dimostrò un allievo brillante e dotato. Le sue capacità nella retorica e nella musica (in particolare nel suonare la lira) furono notate già in tenera età e sono ricordate nelle fonti attiche, che ne attestano la precocità intellettuale.[24] Il giovane principe macedone acquisì inoltre una solida formazione filosofica: in una lettera attribuita a Isocrate, l'oratore ateniese si congratula con lui per la sua preparazione e per le sue qualità intellettuali.[25]

La caccia al leone e l'incontro con Bucefalo

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Il giovane Alessandro Magno doma Bucefalo

Alcune fonti riferiscono che il giovane Alessandro mostrasse già in tenera età la tempra straordinaria che avrebbe poi manifestato pienamente negli anni successivi della sua breve e intensa vita. Numerosi episodi tramandano le presunte imprese del principe in età giovanile, come la leggendaria caccia al leone, durante la quale Alessandro avrebbe ucciso la fiera da solo. Racconti di questo tipo, di chiara impronta encomiastica, contribuirono precocemente a costruire l'immagine eroica del futuro sovrano.

Di grande importanza simbolica nella tradizione biografica di Alessandro è l'episodio dell'incontro con il cavallo Bucefalo, descritto con dovizia di particolari dalle fonti antiche. Quando il principe aveva circa dodici anni, un amico di Filippo – spesso identificato con Demarato di Corinto, secondo una tradizione – avrebbe acquistato l'animale per la notevole somma di tredici talenti, con l'intenzione di offrirlo in dono al re. Poiché il cavallo si mostrava estremamente indocile, Filippo stava per rinunciare all'acquisto, quando Alessandro osservò che l'animale era in realtà spaventato dalla propria ombra. Avvicinatosi con calma, ne rivolse il muso verso il sole e riuscì infine a montarlo; da quel momento, secondo il racconto tradizionale, Bucefalo non avrebbe più accettato altri cavalieri se non Alessandro.

Bucefalo accompagnò Alessandro per gran parte delle sue campagne, attraversando con lui vaste regioni dell'Asia. La sua morte viene generalmente collocata nel 326 a.C., in occasione della battaglia dell'Idaspe, anche se le fonti divergono sulle cause, attribuendola talvolta alle ferite riportate in combattimento o semplicemente alla vecchiaia. In onore del suo destriero, Alessandro fondò una città denominata Alessandria Bucefala (Alexandria Bucephala), situata nei pressi del luogo della battaglia.

Le prime spedizioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Ascesa del regno di Macedonia.

Raggiunti i sedici anni di età, nel 340 a.C., Alessandro concluse la propria formazione sotto la guida di Aristotele. Impegnato in una spedizione contro Bisanzio, Filippo ritenne il figlio pronto ad assumere la reggenza del regno di Macedonia, affidandogli il governo durante la sua assenza. In questo periodo la tribù tracia dei Maedi si ribellò all'autorità macedone; Alessandro reagì con prontezza ed efficacia, riuscendo in breve tempo a sconfiggere i ribelli. Nel cuore del loro territorio fondò una nuova città, Alessandropoli, insediandovi coloni greci come presidio strategico.

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Presunto ritratto affrescato del giovane Alessandro sul cosiddetto fregio della caccia, ingresso della tomba di Filippo II a Ege.

Al suo ritorno, Filippo inviò nuovamente il figlio a reprimere disordini in Tracia, consolidando ulteriormente il controllo macedone sulla regione. In quegli stessi anni, la città focese di Amfissa iniziò a coltivare terre considerate sacre ad Apollo, situate nella pianura di Crisa. Questo episodio fornì a Filippo il pretesto per intervenire direttamente negli affari della Grecia centrale, dove da tempo mirava a estendere la propria influenza. Alessandro fu inviato a capo di un contingente militare che, nel 338 a.C., penetrò in Grecia passando per le Termopili e occupò la città di Elatea, posizione strategica a breve distanza da Tebe e Atene. Tale mossa suscitò forte allarme nelle poleis greche, inducendo gli Ateniesi, guidati da Demostene, a stringere un'alleanza con i Tebani contro la Macedonia.

Lo scontro decisivo avvenne presso Cheronea, in Beozia. Nella battaglia di Cheronea, la cavalleria macedone, comandata dal giovane Alessandro, svolse un ruolo determinante nello sfondamento dello schieramento tebano e nella distruzione del celebre Battaglione Sacro, composto da trecento opliti,[26] fino ad allora ritenuto invincibile. La vittoria sancì il definitivo predominio macedone sulla Grecia.

Dopo Cheronea, Filippo avanzò senza incontrare una resistenza significativa in gran parte della Grecia fino al Peloponneso; Sparta fu l'unica grande polis a rifiutare di sottomettersi. Il sovrano macedone, tuttavia, evitò un conflitto diretto con i Lacedemoni, la cui fama di guerrieri rimaneva ancora notevole, e si ritirò a Corinto.

Qui, nel 337 a.C., Filippo promosse la creazione di una nuova alleanza panellenica, nota come Lega di Corinto, ispirata al precedente modello della coalizione greca anti-persiana del 481 a.C. La lega comprendeva tutte le poleis greche, con l'esclusione di Sparta, e riconosceva Filippo come heghemṓn (ἡγεμών), ossia comandante supremo. In questa sede fu ufficialmente proclamato il progetto di una spedizione militare contro l'Impero persiano, che avrebbe dovuto porsi come vendetta per le invasioni persiane del V secolo a.C.

L'esilio di Alessandro e l'assassinio di Filippo

Lo stesso argomento in dettaglio: Pausania di Orestide.
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Ricostruzione della mappa del Mondo Antico come immaginato da Ecateo di Mileto nel V secolo a.C.

Tornato a Pella, Filippo si legò a Cleopatra Euridice, nipote (e forse figlia adottiva) del suo generale Attalo, che divenne la sua settima moglie. Questo matrimonio inasprì profondamente i rapporti tra Filippo e Alessandro: il principe temeva per la propria posizione di erede, poiché un eventuale figlio noto da Cleopatra Euridice sarebbe stato il primo figlio di Filippo noto da una donna pienamente macedone, mentre la madre di Alessandro, Olimpiade, era di origine epirota.

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Donato Creti, Alessandro il Grande minacciato da suo padre

Le tensioni esplosero apertamente durante il banchetto nuziale, quando Attalo, zio della sposa, espresse nel corso di un brindisi l'auspicio che che gli dèi concedessero presto alla Macedonia un «erede legittimo». Alessandro, interpretando le parole come un affronto diretto, reagì con violenza. Secondo Plutarco, dopo aver insultato Attalo, avrebbe esclamato: «E io che cosa sarei, forse un bastardo?». Filippo, irritato dal comportamento del figlio nei confronti dello zio della nuova moglie, tentò di scagliarsi contro di lui, ma inciampò – probabilmente a causa dell'ubriachezza – cadendo a terra. Alessandro avrebbe allora pronunciato una battuta divenuta celebre: «Ecco l'uomo che si preparava a passare dall'Europa all'Asia, e non riesce neppure a passare da un letto all'altro».[27]

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Pausania uccide Filippo II, padre di Alessandro, durante il corteo che lo porta al teatro

Temendo la reazione del padre, Alessandro lasciò la corte insieme alla madre e si rifugiò inizialmente a Dodona, in Epiro, presso lo zio Alessandro d'Epiro. Dopo un breve soggiorno, proseguì verso l'Illiria, dove trovò protezione presso un sovrano locale. Filippo, tuttavia, decise di riconciliarsi rapidamente con il figlio e lo richiamò a Pella dopo circa sei mesi.

Nell'estate del 336 a.C., mentre si trovava ad Aigai (l'odierna Verghina), capitale ancestrale del regno macedone, per assistere alle celebrazioni nuziali della figlia Cleopatra, promessa sposa dello zio Alessandro d'Epiro, Filippo fu assassinato da una delle sue guardie del corpo, Pausania di Orestide. L'attentatore fu immediatamente inseguito e ucciso da altre guardie reali. Le motivazioni dell'assassinio restano incerte e le fonti antiche offrono versioni discordanti. Alcuni autori, tra cui Plutarco, insinuano il coinvolgimento o quantomeno la conoscenza preventiva della congiura da parte di Olimpiade e dello stesso Alessandro. Altri attribuirono la responsabilità a Dario III, re di Persia, ipotizzando un attentato politico. Secondo Aristotele, invece, Pausania avrebbe agito per vendetta personale: amante di Filippo, sarebbe stato vittima di abusi da parte di uomini legati ad Attalo, senza che il re intervenisse in modo adeguato.[28] Tuttavia, la presenza di presunti complici pronti a favorire la fuga dell'assassino sembra indicare l'esistenza di una cospirazione più ampia, rendendo problematica l'ipotesi di un gesto puramente individuale.

In ogni caso, alla morte del padre, Alessandro fu immediatamente proclamato re dall'esercito e dai principali dignitari del regno, salendo al trono all'età di vent'anni.

Il consolidamento del potere

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I Balcani meridionali e l'Asia minore nel 336 a.C.

Salito al potere nel 336 a.C., Alessandro si adoperò immediatamente per consolidare la propria posizione, eliminando i potenziali rivali al trono secondo una prassi non insolita nelle monarchie macedoni. Fece anzitutto giustiziare il cugino Aminta IV, figlio di Perdicca III, che era stato re nominale prima di essere estromesso da Filippo e che rappresentava ancora un possibile pretendente.[29] Successivamente, con l'appoggio del generale Antipatro, già stretto collaboratore del padre, fece eliminare due dei tre principi della Lincestide, sospettati di ambizioni dinastiche. Infine, ordinò l'uccisione dello zio Attalo, che si trovava allora in Asia Minore al comando dell'avanguardia dell'esercito macedone.

Parallelamente, Olimpiade agì con estrema durezza contro i membri della fazione avversa: secondo le fonti antiche, fece mettere a morte Cleopatra Euridice, giovane vedova di Filippo, e la figlia da lei avuta, Europa. Sebbene i dettagli di questi eventi siano tramandati con toni fortemente polemici, essi contribuirono a eliminare ogni possibile alternativa dinastica.

Assicuratosi il controllo della Macedonia, Alessandro poté rivolgere la propria attenzione alla Grecia continentale, dove la notizia della morte di Filippo aveva incoraggiato movimenti di ribellione, in particolare a Tebe, Atene e in Tessaglia. Alla testa di un esercito numeroso, scese rapidamente verso sud: dapprima ottenne la sottomissione dei Tessali, quindi proseguì fino alle Termopili, dove fu riconosciuto come capo della Lega Anfizionica. Successivamente si recò a Corinto, dove – secondo una celebre tradizione – incontrò il filosofo cinico Diogene di Sinope. L'aneddoto, tramandato dalle fonti, racconta che Alessandro gli chiese se potesse fare qualcosa per lui e che Diogene rispose invitandolo semplicemente a spostarsi, poiché gli faceva ombra.[30] Colpito dall'indipendenza del filosofo, Alessandro avrebbe commentato: «Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene».[N 6]

A Corinto, Alessandro assunse ufficialmente il titolo di heghemṓn (ἡγεμών) della Lega Ellenica, già detenuto dal padre, e fu confermato comandante supremo dell'esercito greco destinato all'imminente spedizione contro l'Impero persiano.

La campagna nei Balcani

Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna balcanica di Alessandro Magno.

Ottenuto l'appoggio delle poleis greche (con la persistente eccezione di Sparta), Alessandro decise di rivolgersi a nord, allo scopo di mettere in sicurezza i confini del regno prima di intraprendere la spedizione contro la Persia. Nella primavera del 335 a.C. partì quindi alla volta dei Balcani. I primi a essere affrontati furono i Triballi, popolazione tracia stanziata in un'area grossomodo corrispondente all'odierna Bulgaria settentrionale. Dopo una serie di scontri vittoriosi,[31] nei quali Alessandro diede prova di notevole abilità tattica e capacità di adattamento al terreno, i Triballi, guidati dal loro re Sirmo, furono definitivamente sconfitti in battaglie combattute presso il fiume Lyginos e successivamente nei pressi dell'isola di Peuce, alla foce del Danubio. Le fonti riferiscono perdite molto elevate tra i nemici, a fronte di un numero relativamente contenuto di caduti macedoni,[32] sebbene tali cifre vadano interpretate con cautela, come spesso accade nella storiografia antica.

Risalendo il corso del Danubio, Alessandro si trovò di fronte all'esercito dei Geti, alleati dei Triballi, schierato sulla riva opposta del fiume. Con una manovra audace, attraversò il Danubio durante la notte, cogliendo di sorpresa il nemico e costringendolo a una rapida ritirata, consolidando ulteriormente il prestigio militare macedone nella regione.

Dopo circa quattro mesi di campagna, giunsero ad Alessandro notizie di nuove insurrezioni in Illiria, guidate dal re dei Dardani, Clito, e dal re dei Taulanti, Glaucia. Egli decise quindi di dirigersi verso ovest e, affrontando separatamente i rivoltosi, riuscì a sconfiggerne gli eserciti. In questo modo assicurò definitivamente la stabilità del confine settentrionale della Macedonia, potendo così rivolgere la propria attenzione alla progettata spedizione asiatica.

L'insurrezione delle poleis

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Tebe.

Dopo le vittorie riportate nei Balcani, si diffuse in Grecia la voce – infondata – che Alessandro fosse rimasto ucciso in battaglia. La notizia favorì lo scoppio di una nuova ondata di ribellioni, in particolare a Tebe e Atene, probabilmente incoraggiate anche dall'azione diplomatica e finanziaria persiana.[33]

Con una marcia di straordinaria rapidità – oltre 200 chilometri in circa quattordici giorni[34] – Alessandro raggiunse Tebe e la pose sotto assedio. La città fu conquistata con la forza: le difese vennero superate e gran parte dell'abitato fu distrutta. Secondo le fonti, furono risparmiati soltanto i templi e la casa del poeta Pindaro, mentre la popolazione fu in larga parte uccisa o ridotta in schiavitù. Il territorio tebano venne smembrato e suddiviso tra le altre città della Beozia. Atene, invece, fu risparmiata, a condizione che consegnasse i principali esponenti del partito antimacedone; alla fine, tuttavia, solo il generale Caridemo fu costretto all'esilio, trovando poi rifugio presso la corte persiana di Dario.[35]

Eliminata ogni resistenza significativa in Grecia, Alessandro poté finalmente prepararsi alla tanto attesa spedizione in Asia. Prima della partenza, secondo una tradizione riportata dalle fonti antiche, si recò all'oracolo di Delfi per consultare la Pizia. Poiché il giorno del suo arrivo non era consentita la divinazione, Alessandro avrebbe reagito con impazienza, trascinando la sacerdotessa nel tempio e costringendola a pronunciarsi. In tale circostanza, la Pizia avrebbe esclamato che egli era «invincibile».[36] L'episodio, di carattere fortemente leggendario, fu in seguito interpretato come un segno del destino eccezionale attribuito al sovrano macedone.

Conquista dell'Impero persiano

Una tradizione riportata da Strabone di Amasia nella Geografia (libro V) menziona un'ambascieria inviata nel 335 a.C. da Alessandro a Roma, con l'intento di minacciare ritorsioni qualora la città non avesse posto fine alle attività di pirateria attribuite alla flotta di Anzio, allora sotto il controllo romano. Secondo questo racconto, l'iniziativa sarebbe stata sollecitata dalle città della Magna Grecia, in particolare Taranto, preoccupate dall'espansione romana nell'Italia meridionale. Strabone aggiunge che Roma, che aveva da poco sottomesso la greca Neapolis (Napoli), avrebbe risposto inviando ad Alessandro una corona d'oro in segno di sottomissione.[37] Tuttavia, la storiografia moderna considera questo episodio altamente dubbio e privo di riscontri indipendenti: è generalmente interpretato come una costruzione retrospettiva di età ellenistica o romana, volta ad attribuire a Roma un riconoscimento simbolico del prestigio di Alessandro, più che come un evento storicamente verificabile.

Nella primavera del 334 a.C., Alessandro, dopo aver affidato la reggenza della Macedonia al fidato generale Antipatro, attraversò l'Ellesponto alla testa dell'esercito macedone, dando ufficialmente inizio alla spedizione contro l'Impero persiano.

Le fonti antiche divergono fin dall'inizio sul numero esatto delle truppe al suo seguito. Le stime più condivise parlano di una fanteria compresa tra 30000 e 48000 uomini e di una cavalleria tra 4500 e 6000 unità, accompagnate da una flotta di circa 120 triremi. Tolomeo, uno dei generali più vicini ad Alessandro e autore di un resoconto oggi perduto ma ampiamente utilizzato, parla di 30000 fanti e 5000 cavalieri; Anassimene di Lampsaco menziona 43000 fanti e 5500 cavalieri, mentre Callistene, storico ufficiale della spedizione, indica 40000 fanti e 4500 cavalieri. È comunque certo che il nucleo principale dell'esercito fosse costituito da Macedoni, affiancati da contingenti greci provenienti dalle poleis appartenenti alla Lega di Corinto.

Sbarcato senza incontrare resistenza sulle coste dell'Asia Minore, Alessandro si recò immediatamente a rendere omaggio alla tomba di Protesilao, l'eroe mitico considerato il primo guerriero acheo a mettere piede sulle spiagge troiane. Qui compì un sacrificio rituale e, secondo la tradizione, manifestò simbolicamente la propria intenzione di conquistare l'Asia gettando una lancia nel suolo e dichiarando la terra persiana "vinta dalla lancia", gesto carico di significato propagandistico e mitico.

La battaglia del Granico

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del Granico.

Il comandante delle forze persiane nella regione era il mercenario greco Memnone di Rodi, che aveva sposato una donna persiana ed era entrato al servizio del Gran Re. Memnone sosteneva che la strategia più efficace per arrestare l'avanzata di Alessandro fosse quella della "terra bruciata": attirare l'esercito macedone verso l'interno e distruggere sistematicamente risorse, raccolti e depositi, rendendo così impossibile il rifornimento delle truppe nemiche. I satrapi persiani, tuttavia, si opposero a questa strategia, riluttanti a devastare i propri territori,[38] e preferirono affrontare Alessandro in una battaglia campale il prima possibile.

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Impero di Alessandro Magno. È riportato il tragitto compiuto dal conquistatore e le principali battaglie.

Lo scontro ebbe luogo nel 334 a.C. presso il fiume Granico, in Asia Minore nord-occidentale, non lontano dalla regione della Troade. Alessandro adottò una tattica aggressiva: attacco frontalmente le forze persiane schierate lungo le rive del fiume, puntando a creare brecce nello schieramento nemico. L'obiettivo era consentire alla cavalleria macedone di penetrare tra le file avversarie e disorganizzarle, permettendo poi alla falange, armata di sarisse, di avanzare e completare la rottura dello schieramento persiano.

La battaglia si concluse con una netta vittoria macedone, sebbene Alessandro fosse ferito nel combattimento e rischiasse la vita; secondo la tradizione, fu Clito il Nero a salvarlo, colpendo un nobile persiano che stava per ucciderlo. Le fonti antiche riferiscono perdite molto elevate tra i Persiani, mentre le vittime macedoni furono relativamente contenute,[39] anche se le cifre precise sono oggetto di discussione storiografica.

Dopo la vittoria, Alessandro inviò trecento armature dei nemici caduti ad Atene, perché fossero dedicate sull'Acropoli con un'iscrizione celebrativa. Il gesto aveva un forte valore simbolico e propagandistico, richiamando deliberatamente i trecento Spartani di Leonida caduti alle Termopili nel 480 a.C. e presentando la campagna asiatica come una vendetta panellenica contro la Persia.

La resistenza di Mileto e l'accordo con la città di Sardi

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Mileto.

L'avanzata di Alessandro incontrò una resistenza significativa solo nella città di Mileto. Sebbene i Milesi avessero inizialmente inviato una lettera di resa ai Macedoni, mutarono atteggiamento non appena vennero a conoscenza dell'imminente arrivo di una flotta alleata in loro soccorso. Alessandro occupò allora il porto, cercando di impedirne l'accesso a circa quattrocento navi nemiche,[40] e diede inizio all'assedio della città. Quando, dopo tre giorni, giunsero i rinforzi persiani, non fu loro consentito di attraccare, grazie all'azione di Nicanore e dei suoi uomini, che, dislocati nei pressi dell'isola di Lade, riuscirono a controllare efficacemente l'ingresso del porto.

Secondo una tradizione riportata dalle fonti, Parmenione avrebbe suggerito di attaccare la flotta nemica, interpretando come favorevole un presagio – un'aquila posatasi sulla spiaggia vicino alle navi macedoni. Alessandro avrebbe tuttavia respinto l'interpretazione, sostenendo che la vittoria sarebbe venuta per terra e non per mare, poiché l'animale si era posato sul suolo. Questo episodio, di carattere chiaramente aneddotico, è considerato probabilmente un'elaborazione posteriore.[41] In ogni caso, i Macedoni ebbero la meglio sui difensori e, dopo la caduta della città, arruolarono trecento soldati nemici nel proprio esercito, una decisione che favorì la resa degli elementi più combattivi tra gli avversari.

Per la città di Sardi fu invece sufficiente un accordo con il comandante persiano Mitrine, che accolse Alessandro in modo amichevole. Il sovrano macedone consentì agli abitanti di continuare a governarsi secondo le leggi tradizionali e concesse ulteriori privilegi, presentandosi come liberatore piuttosto che come conquistatore.[42] Alessandro proseguì quindi verso Efeso, da cui i mercenari persiani erano già fuggiti; la città fu occupata senza combattimenti e vi venne instaurato un regime democratico in luogo della precedente oligarchia, come avvenne anche in altre poleis della regione.[43] Efeso entrò così a far parte della Lega di Corinto.

Questa politica di moderazione e di rispetto delle istituzioni locali garantì ad Alessandro ampi consensi e favorì la resa spontanea di numerose altre città. Le poleis della costa asiatica, che avevano a lungo mal sopportato il dominio e le ingerenze persiane, accolsero il re macedone come un liberatore greco.

Il controllo delle zone conquistate

Il governo della Caria fu affidato ad Ada, ultima sorella di Mausolo e di Pissodaro (quest'ultimo noto anche per aver in precedenza progettato un matrimonio tra la propria figlia e uno dei figli di Filippo).[44] Ada, che aveva trovato rifugio nella fortezza di Alinda, chiese udienza ad Alessandro e si recò personalmente a incontrarlo; secondo la tradizione, durante il colloquio lo chiamò figlio, gesto che Alessandro accettò simbolicamente, adottandola a sua volta come madre.[45] Tale atto sancì il ripristino del suo potere sulla Caria e rafforzò il consenso locale nei confronti del dominio macedone.

Mentre il grosso dell'esercito svernava in Lidia – territorio poi affidato ad Asandro – sotto il comando di Parmenione, Alessandro intraprese una rapida campagna nelle regioni meridionali dell'Asia Minore, attraversando Licia, Panfilia, Pisidia e quindi la Frigia. Quest'ultima venne assegnata a Calate, comandante della cavalleria tessalica. In tale contesto, Alessandro sostituì Calate nel comando della cavalleria con Alessandro di Lincestide, una decisione che si rivelò in seguito infelice: Linceste fu infatti successivamente arrestato con l'accusa di tradimento.[46]

L'assedio ad Alicarnasso

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Alessandro Magno ritratto come il dio Elio.

L'obiettivo strategico di Alessandro era la conquista sistematica delle città costiere, così da impedire alla flotta persiana di disporre di porti sicuri. In questo periodo giunse inoltre notizia della morte di un figlio di Dario, che sarebbe stato fatto uccidere per ordine dello stesso re con l'accusa di tradimento imminente.[47]

Alessandro si trovò quindi di fronte ad Alicarnasso, una delle più solide roccaforti persiane dell'Asia Minore, dove si era rifugiato Memnone di Rodi per coordinare le operazioni terrestri con la flotta persiana ancorata nelle acque circostanti. La città era protetta da un ampio fossato e disponeva di abbondanti scorte, tali da consentirle di sostenere un lungo assedio. In questa fase Alessandro fece uso di macchine da lancio soprattutto a scopo difensivo, per contrastare le sortite nemiche, più che per un immediato sfondamento delle mura.

Tentò inizialmente si abbattere una torre difensiva, sperando che il crollo coinvolgesse anche il tratto di mura adiacente; tuttavia, la caduta della torre non produsse l'effetto sperato. Si concentrò quindi su un altro settore delle fortificazioni, facendo colmare il fossato e impiegando le macchine d'assedio, ma senza risultati decisivi. In questa fase dei combattimenti cadde Neottolemo, fratello di Aminta di Arrabeo, insieme a circa 170 soldati, mentre le perdite macedoni furono limitate – le fonti parlano di sedici caduti e di circa 300 feriti.[48]

I Persiani riuscirono a respingere ulteriori assalti anche grazie all'uso del fuoco, che portò alla distruzione di un'elepoli macedone. Successivamente, Memnone ordinò una sortita notturna: duemila uomini furono inviati fuori dalle mura, di cui mille armati di fiaccole con il compito di incendiare le macchine d'assedio, mentre gli altri mille avrebbero dovuto attaccare i Macedoni nel momento di maggiore confusione. L'azione non colse impreparato l'esercito di Alessandro, che reagì con efficacia; del secondo contingente si occupò in particolare Tolomeo. I Persiani superstiti tentarono di rientrare in città, ma, temendo l'irruzione dei nemici, i difensori chiusero le porte e il ponte non resse al peso della fuga. Le fonti parlano di circa 1500 morti tra i Persiani e di 40 caduti tra i Macedoni, tra cui Clearco, comandante degli arcieri.[49]

Diodoro Siculo fornisce tuttavia una versione in parte differente degli eventi, discostandosi dal racconto seguito da Arriano (che attinge in particolare a Tolomeo). Secondo Diodoro, i Macedoni inizialmente ebbero la meglio, guidati anche da comandanti come Addeo e Timandro, ma nel corso del secondo assalto molti soldati greci furono presi dal panico, aggravato dall'intervento diretto di Memnone, il cui arrivo avrebbe momentaneamente paralizzato lo stesso Alessandro. Solo grazie all'intervento dei veterani, guidati da Atarrias, che incitò i più giovani e inesperti, l'esercito macedone riuscì a ristabilire la situazione e a respingere i difensori, uccidendo Efialte, uno dei comandanti nemici. Questo episodio troverebbe eco in un racconto successivo, in cui Clito il Nero ricordò ad Alessandro che senza l'intervento di Atarrias l'assedio di Alicarnasso avrebbe potuto protrarsi ancora a lungo.[50]

Le fonti menzionano inoltre i nomi di altri comandanti nemici, tra cui Efialte e Trasibulo, in precedenza residenti ad Atene: Alessandro ne chiese la consegna, ma fu loro concessa la possibilità dell'esilio, e finirono per schierarsi al servizio di Dario. In ogni caso, la resistenza della città non superò complessivamente i due mesi.[51]

Alla fine dell'assedio, Alicarnasso venne incendiata dai Persiani stessi.[52] Memnone riuscì a fuggire, rifugiandosi temporaneamente sull'isola di Cos. Entrato in città, Alessandro ordinò l'esecuzione di coloro che avevano appiccato il fuoco e, constatata l'entità delle distruzioni, ne ordinò l'abbattimento; tuttavia, alla luce dei resti archeologici, l'idea di una distruzione totale appare probabilmente esagerata.[53]

Alessandro lasciò Orontobate, rifugiatosi nella roccaforte di Salmacide, e affidò a due dei suoi uomini di fiducia, Tolomeo figlio di Filippo e Asandro, il compito di sottomettere le restanti città della Caria, assegnando loro una parte dell'esercito (3000 fanti e 200 cavalieri). Egli stesso proseguì invece verso l'interno, continuando la campagna di conquista dell'Impero persiano.

I primi tradimenti e il nodo gordiano

A questo punto il re macedone concesse il congedo ai soldati che si erano sposati poco prima della partenza per la spedizione,[54] inviando parte dell'esercito a Perge, mentre egli proseguiva lungo la costa. Durante la marcia si verificò un episodio interpretato dalle fonti come favorevole auspicio: il vento cambiò direzione proprio al suo passaggio, rendendo agevole l'attraversamento di un tratto costiero normalmente difficile.[55] riscosse molti consensi e contributi da parte dei suoi uomini che subito convertì in paghe per i soldati. L'evento accrebbe il consenso attorno ad Alessandro, che ottenne donativi e contributi, immediatamente redistribuiti sotto forma di paghe ai soldati.

Alessandro attraversò quindi Termesso, Aspendo e Faselide. In questo periodo giunse da Parmenione un certo Sisine, indicato da alcune fonti come messaggero persiano inviato da Dario, con l'obiettivo di indurre Alessandro di Lincestide a uccidere il re macedone. In cambio, gli sarebbero stati promessi duemila talenti d'oro, oltre alla stessa corona reale. Secondo il racconto, Alessandro di Lincestide, temendo intercettazioni, evitò di rispondere per iscritto e inviò invece un emissario travestito per chiedere istruzioni sul da farsi.[56]

Questo episodio presenta numerosi punti oscuri e le fonti non concordano nella sua ricostruzione. Anche la sorte di Alessandro di Lincestide è tramandata in modo contraddittorio: Tolomeo non lo menziona più dopo la sua cattura; secondo alcune versioni sarebbe stato giustiziato per tradimento circa quattro anni più tardi, mentre Aristobulo riferisce che sarebbe morto addirittura prima della partenza per l'Asia, ucciso da una donna a cui aveva chiesto del denaro.[57] È tuttavia certo che un personaggio con questo nome ricoprì ruoli militari di rilievo sia al tempo della rivolta di Tebe sia durante le prime fasi della campagna asiatica.

Altri resoconti, invece, identificano Sisine come un uomo di fiducia di Alessandro, rimastogli fedele fino a poco prima della battaglia di Isso, quando gli sarebbe stato affidato l'incarico di assassinare il sovrano. Scoperto il complotto, per ordine di Alessandro Sisine fu giustiziato dagli arcieri.[58]

Dopo aver assegnato al veterano Antigono Monoftalmo un vasto territorio, Alessandro giunse a Gordio, antica capitale frigia, dove si svolse il celebre episodio del nodo gordiano. Secondo la tradizione, un antico carro regale era legato da un nodo inestricabile, e un oracolo aveva predetto che chi fosse riuscito a scioglierlo avrebbe conquistato l'Asia. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, Alessandro avrebbe risolto il problema tagliando il nodo con un colpo di spada.[59] Aristobulo, tuttavia, offre una versione alternativa, secondo cui il re riuscì a scioglierlo senza ricorrere alla spada, semplicemente rimuovendo la spina che lo teneva fissato al giogo.[60]

A Gordio, nel maggio del 333 a.C., Alessandro attese l'arrivo di Parmenione con il resto delle truppe; all'esercito si unirono circa 4000 rinforzi, di cui 3000 Macedoni.[61] In questo periodo il re inviò 500 talenti ad Antipatro e 600 ad Anfotero, con l'obiettivo di rafforzare la flotta greca, in conformità agli obblighi della Lega di Corinto.[62]

Nel frattempo Memnone di Rodi, dopo aver conquistato Chio e parte delle città di Lesbo (senza riuscire a prendere Mitilene), tentò di allestire una flotta di circa 300 navi per un'offensiva contro Eubea e Attica.[63] Tuttavia si ammalò improvvisamente e morì, interrompendo quello che rappresentava il più serio tentativo persiano di contrastare Alessandro sul piano strategico. La resistenza persiana fu quindi proseguita da un suo parente, Farnabazo, con l'appoggio del satrapo Autofradate. Essi ottennero alcuni successi locali – tra cui la conquista di Mitilene, Mileto e Tenedo – alternati a sconfitte, ma la portata delle loro forze non fu tale da costituire una minaccia decisiva per il re macedone.

Battaglia di Isso (333 a.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Isso.
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Alessandro Magno in sella a Bucefalo nel mosaico della battaglia di Isso, conservato presso il Museo archeologico nazionale di Napoli.
Preludio

Nel giugno del 333 a.C. Alessandro entrò in Cilicia e discese in una pianura descritta in precedenza da Senofonte,[64] giungendo dopo una lunga marcia a Tarso. Nel frattempo Dario, che si trovava a Susa, appresa la notizia della morte di Memnone di Rodi, convocò il consiglio di guerra. In tale occasione Caridemo, esule ateniese al servizio dei Persiani, chiese di essere posto al comando di un esercito di 100000 uomini,[65] ma il Gran Re decise invece di assumere personalmente la guida delle operazioni. A partire dal luglio del 333 a.C., Dario iniziò a muoversi verso occidente, partendo probabilmente tra la fine di agosto e l'inizio di settembre.

Le fonti antiche forniscono cifre molto discordanti riguardo alla consistenza dell'esercito persiano, nessuna delle quali può essere considerata attendibile. Arriano e Plutarco parlano di 600000 uomini,[66] Giustino e Diodoro Siculo indicano 400000 fanti e 100000 cavalieri, mentre Callistene e Curzio Rufo menzionano soltanto la presenza di 30000 mercenari greci; altre tradizioni parlano di un totale di circa 160000 uomini. In ogni caso, Dario aveva radunato un'armata molto numerosa, probabilmente tre o quattro volte superiore a quella macedone.

L'esercito persiano si schierò nella pianura a est dei monti Amano (oggi Nur Dağları), all'uscita del passo noto come Porte Siriache, accampandosi nei pressi della località di Sochoi (o Sochi).[67]

Nel frattempo Alessandro fu colpito da una grave malattia, forse a causa di un bagno nelle acque fredde del Cidno. A curarlo fu il medico Filippo di Acarnania, ma sorsero sospetti sulla sua lealtà, poiché si era unito da poco al seguito del re. Secondo Arriano e Curzio Rufo, Parmenione[68] fece pervenire ad Alessandro una lettera in cui lo metteva in guardia da un presunto tentativo di avvelenamento da parte del medico. Alessandro lesse la lettera poco prima di bere il rimedio preparato da Filippo e, confidando nella sua fedeltà, bevve ugualmente la pozione, consegnandogli subito dopo la missiva. Il re guarì verso la fine di settembre del 333 a.C.

Ripresa la marcia, Alessandro passò per Anchialo, dove una tradizione locale affermava che questa città e Tarso fossero state fondate in un solo giorno; dopo la conquista di Soli, si diresse verso Mallo, dove pose fine a una guerra civile. Qui apprese che Dario si trovava accampato a Sochoi e decise quindi di affrontarlo.[69] Alessandro lasciò i feriti e i malati dell'esercito a Isso, quindi riprese l'avanzata e giunse a Miriandro, dove pose il campo.[70] In questo luogo scelse di attendere l'esercito persiano proveniente attraverso le cosiddette Porte Assire (oggi identificate con il passo di Belen).[71]

La battaglia
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Mosaico della battaglia di Isso proveniente dalla Casa del Fauno (Napoli, Museo Archeologico).

Parmenione fu inviato in avanscoperta e riuscì con difficoltà a controllare il passo di Kara-kapu, la zona di Alessandretta e parte dell'area di Isso; Alessandro lo raggiunse poco dopo.

Nel novembre del 333 a.C., temendo che l'arrivo dell'inverno lo costringesse a ritirarsi nei quartieri invernali senza aver affrontato il nemico, Dario decise di muovere incontro ad Alessandro. In questa fase, nessuno dei due comandanti conosceva con precisione la posizione dell'altro. Giunto a Isso, Dario trovò soltanto i soldati macedoni lasciati indietro perché feriti o malati, quindi inutilizzabili per la battaglia imminente; l'esercito di Alessandro si trovava in realtà a circa quindici miglia più a sud.[72]

Fiducioso nella netta superiorità numerica delle proprie forze, Dario manovrò alle spalle del nemico e si attestò nella pianura costiera di Isso, identificata con l'odierna Dörtyol. L'intento era quello di tagliare le linee macedoni e schiacciare l'avversario, confidando che la massa del suo esercito potesse prevalere anche su un terreno sfavorevole: una stretta pianura delimitata dai monti dell'Amano (spesso indicati come parte del Tauro), dal mare e dal fiume Pinaro.[73] In questo spazio ristretto poterono essere schierati solo una parte delle truppe persiane: secondo le fonti, circa 60000 fanti, 30000 cavalieri, ulteriori 20000 uomini e, alle loro spalle, 30000 mercenari greci,[74] forze che complessivamente potevano affrontare con efficacia la falange macedone.[75]

Altri contingenti furono disposti più arretrati. Dario, secondo l'uso persiano, prese posizione al centro dello schieramento,[76] su un carro reale, protetto da una guardia scelta di 3000 uomini. Sull'ala sinistra furono collocati 6000 arcieri e 20000 fanti sotto il comando di Aristomede.[74]

Lo scontro ebbe inizio nelle prime ore del 1º novembre.[77] Alessandro guidò personalmente la carica con la cavalleria sull'ala destra, riuscendo a superare gli sbarramenti persiani, mentre la falange, meno mobile, subiva inizialmente la pressione nemica ed era attaccata su più fronti.[78] Nel corso dell'impeto offensivo, Alessandro giunse a breve distanza dal sovrano persiano e, secondo la tradizione, tentò di colpirlo con una lancia senza riuscirvi. A questo punto Dario, temendo di essere accerchiato, abbandonò il carro e si diede alla fuga a cavallo,[79] mentre il fratello Ossatre rimase a combattere e cadde sul campo.

Dopo la battaglia
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La famiglia di Dario davanti ad Alessandro, Justus Sustermans.

La battaglia si concluse con una disfatta totale dell'esercito persiano. Le fonti antiche parlano di perdite enormi tra i Persiani, arrivando a cifre superiori ai 100000 caduti,[80] sebbene tali numeri siano generalmente considerati esagerati dalla storiografia moderna. Tra i morti figuravano alti ufficiali e comandanti di rilievo, tra cui Savace, satrapo d'Egitto, Arsame, Reomitre e Atize, già protagonisti di precedenti scontri contro l'avanzata macedone. Dario perse così gran parte delle sue truppe migliori, numerosi ufficiali esperti e, soprattutto, il prestigio personale di comandante, gravemente compromesso dalla fuga precipitosa dal campo di battaglia.

Le perdite macedoni furono relativamente contenute: le fonti parlano di circa 150 caduti, tra cui 32 fanti, e di oltre 500 feriti.[81] Lo stesso Alessandro riportò una ferita a una coscia. Oltre a un ingente bottino, i Macedoni catturarono anche diversi membri della famiglia reale persiana, tra cui la madre di Dario, Sisigambi, la moglie Statira I e le figlie Statira II e Dripetide.[82]

Il giorno successivo alla battaglia Alessandro, accompagnato da Efestione, si recò a far visita alle prigioniere. In quell'occasione Sisigambi non riuscì a distinguere il re macedone dal suo compagno e rese omaggio a Efestione; avvertita dell'errore, fu rassicurata da Alessandro, che le disse di non preoccuparsi, poiché «anch'egli era Alessandro».[83] Il sovrano macedone, analogamente a quanto aveva già fatto con Ada di Caria, iniziò quindi a rivolgersi a Sisigambi chiamandola madre,[84] adottando un atteggiamento di rispetto e protezione nei confronti della famiglia reale persiana.

Nonostante la propria ferita, Alessandro visitò anche i soldati feriti e onorò coloro che si erano distinti in battaglia, distribuendo ricompense e riconoscimenti adeguati,[85] consolidando ulteriormente il legame personale con il suo esercito.

L'ambasciata di pace

Giunto a Marato (l'odierna Arados in Fenicia), il conquistatore macedone ricevette alcuni ambasciatori inviati da Dario. Essi chiedevano la pace e il riscatto dei prigionieri catturati dopo la battaglia di Isso. Gli emissari erano accompagnati da una lettera nella quale il re persiano ricordava ad Alessandro che, ai tempi di Filippo, Macedonia e Persia erano state alleate, e che sarebbero stati i Macedoni a infrangere per primi tale alleanza.[86]

Alessandro respinse le proposte di pace, rifiutando di accontentarsi dei territori già conquistati e ribadendo la propria determinazione a proseguire la guerra fino alla completa sottomissione dell'Impero persiano. Invece di avanzare immediatamente verso l'interno dell'Asia, decise di assicurarsi il controllo delle coste del Mediterraneo orientale, così da privare definitivamente i Persiani di basi navali e mettere al sicuro le retrovie del proprio esercito. Questa scelta strategica lo avrebbe condotto, attraverso la conquista della Fenicia e della Siria meridionale, fino all'Egitto, prima della successiva avanzata verso il cuore dell'impero achemenide.

Damasco e Tiro

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Tiro (332 a.C.).
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Moneta d'oro di Alessandro.
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Moneta d'argento di Alessandro.

Parmenione fu inviato a Damasco, dove riuscì a impadronirsi di 2600 talenti[87] e di 500 libbre d'argento, risorse che permisero di saldare i debiti contratti con l'esercito. Egli riportò inoltre con sé 329 musiciste e quaranta profumieri,[88] nonché uno scrigno nel quale Alessandro custodì la propria copia dell'Iliade. Tra i prigionieri vi era anche Barsine, figlia del satrapo Artabazo (discendente, secondo la tradizione, da una figlia di un re) e vedova del generale Memnone di Rodi; Barsine divenne una delle compagne di Alessandro e da lei ebbe un figlio, Eracle.[89]

Dopo la vittoria di Isso, Alessandro inviò una lettera a Dario, intimandogli di riconoscerlo come «signore di tutta l'Asia». Il re persiano avrebbe potuto ottenere il riscatto della moglie e dei figli solo presentandosi personalmente; in caso contrario, la guerra sarebbe continuata.[90]

Alessandro si dedicò quindi alla conquista delle città costiere, con l'obiettivo di eliminare le ultime basi della flotta persiana. Arado, Biblo e Sidone si sottomisero senza opporre resistenza, consegnando anche le proprie flotte. Tiro, invece, adottò un atteggiamento attendista, cercando di capire quale dei due contendenti avrebbe prevalso.[91] Alessandro tentò inizialmente una soluzione diplomatica, chiedendo di entrare in città con il pretesto di sacrificare al dio Melqart; i Tiri rifiutarono, suggerendogli di recarsi invece nel tempio situato nella parte continentale della città, evitando così l'accesso all'isola fortificata.[92] Quando Alessandro inviò nuovi messaggeri, questi furono uccisi, violando le consuetudini diplomatiche.[93] Era il febbraio del 332 a.C.

Tiro oppose una resistenza accanita, confidando anche nell'aiuto promesso da Cartagine. La città principale sorgeva su un'isola a circa 700 metri dalla costa; Alessandro decise quindi di costruire un istmo artificiale, utilizzando le rovine dell'antica Tiro continentale – distrutta due secoli prima da Nabucodonosor II dopo un lungo assedio – alternando pietrame, detriti e legname.[94] Nel frattempo il re raccolse una flotta di circa 224 navi, grazie anche all'appoggio delle città fenicie e di Cipro; tra queste vi erano quinqueremi del re cipriota Pnitagora,[95] al quale Alessandro concesse una miniera di rame. Al suo esercito si unirono inoltre 4000 mercenari comandati da Cleandro.

L'assedio durò circa sette mesi, dal febbraio al luglio-agosto del 332 a.C. Furono impiegate numerose soluzioni tecniche, tra cui navi accoppiate che trasportavano arieti. I Tiri opposero una difesa estremamente efficace: riparavano le brecce, lanciavano massi contro le macchine d'assedio, tagliavano le gomene delle navi – inizialmente con sommozzatori, costringendo i Macedoni a sostituirle con catene[96] – e costruivano nuove macchine grazie all'abilità dei loro ingegneri.[97] Sul fronte macedone, l'innovazione tecnica fu affidata soprattutto all'ingegnere tessalo Diade.

Durante l'assedio giunse un'ulteriore proposta di pace da parte di Dario,[98] accompagnata da doni ingenti: 10000 talenti, la mano di una figlia del re e il dominio di un vasto territorio fino all'Eufrate. Secondo la tradizione, Parmenione avrebbe consigliato di accettare l'offerta; Alessandro avrebbe risposto con una frase destinata a divenire celebre: «Lo farei anch'io, se fossi Parmenione; ma io sono Alessandro, e come il cielo non può contenere due soli, così l'Asia non può contenere due re».[93]

Secondo alcune fonti, la notizia della morte della moglie di Dario, avvenuta durante il parto,[99] avrebbe contribuito a irrigidire ulteriormente la posizione del sovrano persiano, che iniziò a radunare un nuovo esercito. Nel frattempo la flotta macedone ottenne vari successi navali contro i comandanti persiani, tra cui Carete, già rifugiatosi in precedenza in Grecia.

Appresa la notizia che gli aiuti cartaginesi non sarebbero arrivati, i difensori di Tiro intensificarono le difese, ricorrendo anche a mezzi particolarmente cruenti, come il lancio di sabbia e fango bollente, che penetravano nelle armature causando gravi ustioni.[100] Secondo alcune tradizioni, Alessandro avrebbe esitato sulla prosecuzione dell'assedio, ma alla fine decise di continuarlo, ritenendo che un ritiro avrebbe compromesso la sua immagine di invincibilità.[101]

Plutarco racconta che, verso la fine di agosto, l'indovino Aristandro predisse la caduta imminente della città; Alessandro avrebbe allora stabilito che il giorno in corso non fosse più il trentesimo, ma il ventottesimo del mese.[102] Poco dopo, la flotta macedone subì un violento contrattacco e diverse navi – tra cui quelle di Pnitagora, Androclo e Pasicrate – furono speronate e affondate. Alessandro reagì ordinando alle navi più vicine di bloccare i porti, impedendo ulteriori sortite nemiche.[103]

L'attacco finale fu condotto con manovre coordinate: assalti simultanei ai due porti, un diversivo navale e l'attacco decisivo alle mura. L'offensiva fu inizialmente guidata da Admeto, ammiraglio della nave reale, che cadde in combattimento,[104] e poi dallo stesso Alessandro. Alcuni difensori, temendo la sconfitta imminente, si tolsero la vita.[105] La città cadde infine; le perdite macedoni furono di circa venti uomini nell'ultimo assalto, cui si sommano circa quattrocento caduti nel corso dell'intero assedio.[106]

Seguì una repressione durissima: secondo le fonti, circa 8000 furono uccisi, di cui 2000 crocifissi,[107] mentre molti altri furono ridotti in schiavitù. Alessandro risparmiò tuttavia coloro che avevano trovato rifugio nei templi, tra cui il re di Tiro Azemilco, e mantenne la promessa di sacrificare a Melqart la macchina d'assedio che per prima aveva aperto una breccia nelle mura.[108]

La data esatta della caduta di Tiro resta discussa: Arriano la colloca nel mese di luglio, durante l'arcontato ateniese di Aniceto, che avrebbe cambiato il proprio nome in Nicerato per celebrare la vittoria di Alessandro.[109]

La conquista di Gaza

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Busto di Alessandro Magno attribuito a Leocare, 330 a.C. circa, Museo dell'Acropoli di Atene

Dopo Dor e Asdod, giunse il turno di Gaza, governata da Batis (o Bati), che oppose una strenua resistenza alla conquista. Alessandro fece trasportare sul posto le macchine d'assedio già utilizzate in precedenza e, di fronte alle perplessità dei suoi uomini, dopo aver osservato le possenti mura della fortezza, arroccata su un'altura scoscesa, affermò che proprio le imprese che apparivano più difficili dovevano essere portate a termine, per stupire alleati e nemici.[110] Ordinò quindi la costruzione di gallerie di mina, un'operazione resa relativamente agevole dalla natura del terreno.[111]

Parallelamente decise di far costruire torri d'assedio più alte delle mura cittadine, così da colpirle dall'alto con le catapulte, poiché le elepoli non riuscivano ad avvicinarsi sufficientemente. Per rendere possibile l'impiego di tali strutture fu necessario erigere un imponente terrapieno; nonostante i Macedoni disponessero principalmente di sabbia e fango, riuscirono nell'impresa in pochi mesi, che Diodoro Siculo quantifica in due.[112] Batis ordinò una sortita per incendiare le macchine d'assedio, ma i difensori furono respinti. Durante questi scontri Alessandro fu colpito da un proiettile di catapulta: pur riparandosi con lo scudo, l'impatto fu così violento da romperlo, perforare l'armatura e ferirlo a una spalla. Secondo la tradizione, l'episodio era stato predetto da un indovino che aveva annunciato la vittoria del sovrano macedone.[113]

Nonostante la ferita, Alessandro tornò presto sul campo di battaglia; nel corso dell'assedio la lesione si riaprì e si aggravò,[114] e il re lasciò temporaneamente il combattimento solo quando rischiò di perdere i sensi.[115] Il terrapieno raggiunse, secondo le fonti, un'altezza eccezionale – indicata come circa 75 metri – costituendo una vera e propria altura artificiale eretta nel corso dell'estate.[116] Da questa posizione elevata, nonostante i tentativi dei difensori di innalzare ulteriormente le mura, la città divenne vulnerabile al tiro delle macchine d'assedio. Le gallerie scavate sotto le fortificazioni contribuirono infine al crollo delle mura.[117]

La caduta di Gaza fu seguita da una repressione estremamente dura: la maggior parte degli abitanti maschi venne uccisa, mentre i superstiti furono ridotti in schiavitù. Batis, ferito più volte durante i combattimenti,[118] subì una sorte che le fonti antiche paragonano a quella di Ettore: sarebbe stato legato al carro di Alessandro e trascinato. Il racconto presenta forti elementi di elaborazione letteraria e tragica, probabilmente accentuati in epoca posteriore. La città fu successivamente ripopolata.

Gerusalemme aprì invece le porte e si arrese senza opporre resistenza. Secondo Flavio Giuseppe, ad Alessandro sarebbe stato mostrato il Libro di Daniele – forse l'ottavo capitolo – nel quale si alluderebbe alla conquista dell'Impero persiano da parte di un potente re macedone.[119] La storiografia moderna considera tuttavia questo episodio non storicamente attendibile, poiché il Libro di Daniele è generalmente datato al II secolo a.C., quindi posteriore alle imprese di Alessandro.[120]

Egitto

Nel novembre del 332 a.C. Alessandro intraprese il viaggio verso l'Egitto; attraversato in circa tre giorni il deserto del Sinai e la regione del lago Serbonide, giunse nel paese del Nilo, dove fu accolto come un liberatore. La popolazione egiziana, infatti, avvertiva in modo particolarmente gravoso il dominio persiano, ristabilito solo dodici anni prima dopo un periodo di indipendenza.[121] Alessandro fu riconosciuto come faraone, assumendo i tradizionali titoli regali egiziani e inserendosi nella continuità della monarchia locale.

La conquista dell'Egitto non rientrava formalmente nel mandato della Lega di Corinto, che era stata costituita con l'obiettivo dichiarato della guerra contro la Persia; tuttavia Alessandro esercitò pienamente il controllo del territorio come sovrano conquistatore. Egli scelse di non nominare un satrapo unico, preferendo un'amministrazione frammentata che limitasse il rischio di concentrazioni di potere. Dislocò guarnigioni macedoni in punti strategici, come Menfi e Pelusio, e affidò l'amministrazione civile a funzionari locali: i nomarchi Doloaspi e Petisi. La gestione delle finanze fu invece assegnata al greco Cleomene di Naucrati, residente in Egitto.[122] Le cariche militari furono riservate ai Macedoni, mentre quelle civili rimasero separate, secondo una prassi già sperimentata in Asia.

Durante il soggiorno apprese inoltre delle ulteriori vittorie riportate dai suoi comandanti e alleati nel Mar Egeo: Lesbo, Tenedo e Cos erano ormai passate sotto il suo controllo.

Alessandro mostrò grande rispetto per la religione egizia e per il clero locale,[123] adottando una politica di conciliazione che gli garantì il sostegno dei sacerdoti. A Menfi compì un solenne sacrificio al toro Api, gesto di grande valore simbolico che contribuì a rafforzare la sua legittimità come faraone.[124] Questo atteggiamento contrastava nettamente con quello dei precedenti dominatori persiani: Artaserse III, durante la riconquista dell'Egitto, avrebbe profanato il culto di Api uccidendo un toro sacro, atto rimasto vivo nella memoria collettiva egiziana.

Le fonti antiche attribuiscono inoltre ad Alessandro un forte interesse per la storia e la regalità faraonica del passato; tuttavia, affermazioni su una sua specifica devozione personale per Ramses II o sulla costruzione diretta di monumenti in suo onore vanno considerate con cautela, poiché non sono attestate con certezza dalle evidenze archeologiche.

La costruzione di Alessandria

Alla fine del 332 a.C., sulle rive del Nilo, Alessandro decise di fondare una grande città destinata a celebrare la sua impresa e a fungere da centro strategico del nuovo dominio. Secondo una tradizione riferita dalle fonti antiche, la scelta del luogo sarebbe stata ispirata da un sogno, nel quale gli furono recitati alcuni versi dell'Odissea relativi all'isola di Faro.[125] Alessandro avrebbe quindi deciso di edificare la città nel Delta del Nilo, su una stretta lingua di terra compresa tra il mare Mediterraneo e la palude Mareotide, in una posizione favorevole sia dal punto di vista commerciale sia da quello militare.

Le fonti raccontano che lo stesso Alessandro avrebbe tracciato personalmente l'impianto generale della città, definendo la disposizione delle mura e delle principali piazze;[126] in mancanza di materiali adeguati, le linee del progetto sarebbero state disegnate sul terreno con farina,[127] episodio di chiaro carattere aneddotico ma ricorrente nella tradizione storiografica.

La città fu chiamata Alessandria d'Egitto. La realizzazione del progetto urbanistico venne affidata al celebre architetto Dinocrate di Rodi,[128] con la collaborazione di Cleomene di Naucrati, già responsabile dell'amministrazione finanziaria dell'Egitto. L'impianto seguì un rigoroso schema razionale, in linea con i principi dell'urbanistica greca, e rispettò le indicazioni attribuite al sovrano macedone. Alessandria d'Egitto fu la prima delle numerose città fondate da Alessandro che portarono il suo nome,[129] e sarebbe divenuta uno dei maggiori centri culturali, economici e politici del mondo antico.

L'oracolo di Amon

In seguito – o forse prima della fondazione di Alessandria, secondo alcuni studiosi[130] – Alessandro decise di recarsi al celebre santuario oracolare di Amon, divinità identificata dai Greci con Zeus. Per raggiungerlo percorse circa 200 miglia attraverso il deserto libico, dirigendosi verso l'oasi di Siwa, probabilmente passando dall'area dell'odierna Marsa Matruh. Il viaggio, difficile e pericoloso, fu presto circondato da racconti di carattere meraviglioso: si parlò di corvi che avrebbero indicato la strada corretta ai viaggiatori e, secondo Tolomeo, persino di serpenti parlanti che avrebbero fatto da guida.[131]

La decisione di compiere questo pellegrinaggio potrebbe essere stata motivata anche dal fatto che, secondo la tradizione mitica, lo stesso viaggio era stato intrapreso in passato da Perseo ed Eracle,[132] eroi ai quali Alessandro amava paragonarsi. Va tuttavia sottolineato che i resoconti dell'episodio furono redatti circa venti mesi dopo l'evento, il che rende plausibile che i dialoghi con l'oracolo siano stati in parte rielaborati o costruiti a posteriori, alla luce delle successive fortune del sovrano macedone.[133]

Secondo una versione diffusa dalle fonti, Alessandro avrebbe posto più domande all'oracolo. In primo luogo avrebbe chiesto se avesse vendicato la morte del padre; gli sarebbe stato risposto che Filippo non era suo padre, poiché egli era figlio di una divinità.[134] Alessandro avrebbe allora riformulato la domanda, chiedendo se restasse ancora in vita qualcuno degli assassini di Filippo e se fosse destinato a diventare signore degli uomini. A entrambe le richieste l'oracolo avrebbe risposto positivamente.[135]

Si racconta inoltre che il sacerdote, per un presunto errore di pronuncia, lo avrebbe chiamato paidios ("figlio di Zeus") invece di paidion ("figlio"),[136] fornendo così un appiglio simbolico alla successiva costruzione di un'aura divina attorno alla persona di Alessandro. Davanti ai suoi compagni e alleati, tuttavia, egli evitò accuratamente di vantare apertamente questa discendenza.

Arriano, tuttavia, propone una versione differente: secondo lui Alessandro non avrebbe posto le domande sopra citate,[137] ma si sarebbe limitato a interrogare l'oracolo su quali divinità fosse opportuno ingraziarsi per ottenere la vittoria sui nemici, deduzione basata su indizi emersi solo quattro anni dopo la visita.[138] Questa discrepanza conferma il carattere problematico e fortemente simbolico dell'episodio.

Durante il soggiorno in Egitto Alessandro adottò la titolatura tradizionale dei faraoni, rafforzando la propria legittimazione come sovrano del paese. Dopo circa un anno di permanenza, lasciò l'Egitto e fece ritorno in Asia, pronto a riprendere la campagna contro Dario.[139] Nel frattempo gli giunsero rinforzi inviati da Antipatro, pari a circa 900 uomini, che andarono a rimpinguare le sue forze.

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Battaglia di Gaugamela (331 a.C.) e la fine di Dario

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Gaugamela.
Preludio
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La battaglia di Gaugamela in un dipinto di Jan Brueghel il Vecchio.

Nella primavera del 331 a.C. Alessandro riprese la marcia verso oriente, dove Dario aveva radunato un grande esercito nelle pianure dell'Assiria, un territorio che consentiva al sovrano persiano di sfruttare al meglio la propria superiorità numerica e l'impiego di carri falcati.

L'armata macedone doveva attraversare l'Eufrate e passare nei pressi di Tapsaco. Al satrapo Mazeo fu affidato il compito di impedire ad Alessandro di avanzare verso Babilonia e di ostacolare l'approvvigionamento di viveri ai Macedoni. Tra le avanguardie dei due eserciti vi furono alcuni scontri, al termine dei quali Mazeo si ritirò. Nonostante ciò, Alessandro scelse di deviare verso nord, probabilmente alla ricerca di un clima più favorevole e di migliori condizioni logistiche,[140] decidendo infine di affrontare l'esercito persiano prima che potesse ritirarsi in regioni per lui più difficili da raggiungere.[141]

Il 20 settembre si verificò un'eclissi lunare, che Alessandro interpretò come un segno divino, accompagnandola con sacrifici propiziatori. Poco dopo l'esercito macedone attraversò il Tigri senza incontrare resistenza,[142] segno della temporanea inattività delle forze persiane. Durante la marcia successiva si verificarono diversi falsi avvistamenti dell'esercito di Dario, tra cui uno il 25 settembre;[143] nello stesso giorno, tuttavia, grazie alle confessioni di alcuni prigionieri, i Macedoni appresero che l'armata persiana si trovava effettivamente nelle vicinanze.[144]

Alessandro si fermò quindi per quattro giorni a organizzare lo schieramento delle proprie truppe, fino alla sera del 29 settembre. Sebbene alcuni dei suoi consiglieri gli avessero suggerito un attacco notturno, il re rifiutò, affermando che «non ruba le vittorie»,[145] e decise di attendere l'alba. Le fonti riferiscono inoltre che quella sera avrebbe compiuto un rito di carattere oscuro, che prevedeva l'uccisione di una persona,[146] episodio la cui interpretazione resta controversa.

Successivamente Alessandro cadde in un sonno profondo, tanto da suscitare la preoccupazione di Parmenione, che gli chiese come potesse dormire così serenamente alla vigilia dello scontro. Alessandro avrebbe risposto che la battaglia era già virtualmente vinta, poiché l'esercito persiano appariva esitante e poco incline allo scontro diretto.[147]

Il contatto decisivo con l'esercito di Dario avvenne all'alba del 1º ottobre.[148] La battaglia si svolse presso il villaggio di Gaugamela (identificato con Tell Gomel), non lontano dalle rovine dell'antica Ninive, e non ad Arbela, come riportato da alcune tradizioni antiche.[149][150]

Forze in campo

La battaglia fu di vitale importanza per Alessandro. Le fonti antiche raccontano che egli disponesse di circa 30000 fanti e 3000-5000 cavalieri contro un esercito persiano numericamente enormemente superiore, talvolta indicato come composto da un milione di uomini. In realtà, il numero dei Persiani è imprecisato e, secondo molti storici moderni, notevolmente inferiore alle cifre tramandate dalle fonti antiche, che variano sensibilmente a seconda dell'autore:[151]

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Battaglia di Gaugamela: disposizione iniziale e primi movimenti.

Nel tentativo di contrastare l'efficacia tattica dell'esercito macedone, Dario aveva introdotto modifiche e miglioramenti all'armamento persiano, senza tuttavia riuscire a colmare il divario qualitativo, soprattutto nella fanteria. Quest'ultima rimaneva infatti il punto debole dell'esercito achemenide, incapace di rivaleggiare per addestramento e disciplina con la falange macedone. I mercenari greci, che costituivano il reparto più affidabile della fanteria persiana, non sostennero efficacemente l'urto, mentre i Cardaci (Kardakes) non si dimostrarono all'altezza delle aspettative.[155]

Dario schierò al centro del dispositivo anche alcuni elefanti da guerra, probabilmente come estrema difesa della propria persona. L'esercito persiano era questa volta disposto con grande attenzione, favorito anche dalla conformazione del terreno, che il re volle rendere quanto più possibile regolare, arrivando a far spianare il campo di battaglia per agevolare l'uso dei carri falcati.[156]

Alle sue forze si erano uniti numerosi contingenti: Besso dalla Battriana con circa 8000 uomini; Mauace, a capo degli arcieri a cavallo; Barsaente con circa 2000 uomini; Frataferne con i Parti; Satibarzane; Atropate con i Medi; Orontobate, Ariobarzane e Orxine con genti provenienti dalle regioni meridionali dell'impero; Oxatre con Uxii e Susiani (forse 2000 uomini); Bupare con i Babilonesi; Ariace con i Cappadoci e infine Mazeo con parte dei Siriani, schierato sull'ala destra.[157]

A questo schieramento Alessandro oppose al centro la falange macedone, armata di sarisse, affiancata sulla destra dagli ipaspisti (circa 3000 uomini), mentre sull'ala destra era collocata la cavalleria degli eteri, guidata dallo stesso re. Seguivano arcieri (circa 2000), frombolieri e lanciatori di giavellotto.[158] Il lato sinistro, affidato a Parmenione, era schierato in modo compatto e difensivo.

Per prevenire un possibile accerchiamento, Alessandro dispose una seconda linea arretrata, con unità collocate obliquamente rispetto al fronte principale, pronte a intervenire o a retrocedere per lasciare spazio alle riserve. Il re mirò a sfruttare al massimo le proprie risorse, eliminando ogni elemento superfluo nell'armamento e nella disposizione delle truppe.[159]

Tra i suoi comandanti figuravano Clito il Nero, Glaucia, Aristone, Eraclide, Demetrio, Meleagro ed Egeloco, sotto il comando di Filota, figlio di Parmenione; l'altro figlio di quest'ultimo, Nicanore, si trovava al centro insieme a Ceno, Perdicca, Poliperconte e Simmia. In posizione più arretrata operavano Cratero, Erigio e Filippo, figlio di Menelao, fino a Parmenione stesso. Andromaco comandava la cavalleria dei mercenari.

Per evitare di essere accerchiato da un esercito assai più numeroso e disteso su un fronte amplissimo, Alessandro schierò dunque due linee di battaglia. La vittoria fu infine decisa dall'attacco risolutivo della cavalleria sull'ala destra, guidato personalmente dal re, mentre Parmenione riusciva a contenere la pressione della cavalleria nemica sul lato opposto.

Alessandro si preparò alla battaglia con grande solennità: indossava una veste tessuta in Sicilia, il pettorale proveniente dal bottino di Isso, un elmo di ferro forgiato da Teofilo, la spada donatagli da uno dei re di Cipro e un manto riccamente decorato realizzato da Elicone, dono della città di Rodi.[160]

La battaglia
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Battaglia di Gaugamela: movimenti decisivi di Alessandro e attacco finale.

Dello scontro nessuno storico poté fornire un resoconto del tutto certo, a causa dell'enorme confusione che si generò durante la battaglia; le fonti concordano tuttavia nel descrivere la fase conclusiva come avvolta in una densa nuvola di polvere. Nel pieno dello scontro la visibilità era infatti estremamente ridotta: si poteva distinguere a malapena ciò che avveniva entro quattro o cinque metri, ma non oltre.[161]

L'attacco persiano condotto dagli Sciti e dai Battriani, volto ad aggirare lo schieramento macedone, venne effettivamente portato a termine, ma si scontrò con il secondo sbarramento predisposto da Alessandro, come previsto dalla sua tattica. I carri falcati furono investiti da una pioggia di giavellotti, frecce e altre armi da lancio; molti rallentarono al punto da consentire ai Macedoni di assalirli frontalmente, balzando sui carri e uccidendone i guidatori.[162] Altri furono bloccati prima ancora di riuscire a entrare in azione. Alcune fonti insistono sugli effetti devastanti di questi scontri, raccontando di arti mozzati e teste che rotolavano sul terreno,[163] mentre altre si soffermano sui cavalli, che, presi dal panico, rovesciavano i carri.[164]

Le truppe di Mazeo si scontrarono con quelle di Parmenione, spingendosi fino alle vicinanze del campo dove erano custoditi i prigionieri persiani; fra questi spiccava Sisigambi, madre di Dario,[165] che tuttavia non venne liberata, poiché i soldati persiani si diedero alla fuga alla notizia della ritirata del loro re.

Nel frattempo Alessandro lanciò un attacco diretto contro Dario: il sovrano macedone colpì con una lancia il cocchiere del re persiano, uccidendolo. Privato del carro, Dario fuggì montando una giovane cavalla. Alessandro si lanciò all'inseguimento, ma fu richiamato da messaggeri inviati da Parmenione, che chiedeva rinforzi per fronteggiare un contingente nemico ancora combattivo. Il re macedone, sebbene profondamente contrariato, accolse la richiesta, consentendo così al sovrano persiano di sottrarsi nuovamente alla cattura.[166]

L’episodio del messaggero è oggetto di ampio dibattito storiografico: non è certa la sua collocazione temporale e risulta poco chiaro come il messaggero sia riuscito a individuare e raggiungere Alessandro in mezzo alla polvere e alla confusione del campo di battaglia; alcuni studiosi ritengono che si tratti di un espediente narrativo volto a sottolineare l'incapacità di Parmenione.[167] Altri mettono invece in discussione il comportamento di Dario, osservando che questa rappresenterebbe la sua seconda fuga davanti al nemico, giudicata eccessiva se confrontata con il coraggio dimostrato nelle fasi iniziali del suo regno.[168]

Prive della guida del sovrano, le truppe persiane rimaste divennero facile preda dei Macedoni. In un primo momento si diffuse la convinzione che Dario fosse stato ucciso; successivamente, prima che i Persiani riuscissero a riorganizzarsi, essi furono assaliti dalle truppe guidate da Arete. Mentre su un lato dello schieramento si inseguivano e massacravano i nemici in fuga, sull'altro si continuava a combattere, e Mazeo sembrava addirittura prevalere sui Macedoni,[169] tanto che solo la disposizione tattica preventiva di Alessandro evitò una disfatta. Seguì un violento scontro di cavalleria, durante il quale i Persiani tentarono di aprirsi un varco per fuggire dal campo, combattendo ormai esclusivamente per la propria salvezza.[170]

Il combattimento si spostò infine nei pressi del fiume Lico, dove molti Persiani annegarono, appesantiti dall'equipaggiamento.[171] Con il calare dell'oscurità la battaglia ebbe termine. Mazeo si ritirò a Babilonia, dove in seguito si arrese agli invasori.

Le perdite furono ingenti. Tra i Macedoni si contarono circa 1200 morti, mentre i feriti furono numerosi, fra cui Parmenione, Perdicca e, in un momento successivo, Efestione. Secondo Arriano, i Persiani avrebbero subito circa 300000 morti, contro poco più di un centinaio tra le file alleate di Alessandro;[172] Diodoro Siculo, più moderato, parla invece di 90000 caduti persiani e 500 macedoni.[173]

Dopo Gaugamela

Alessandro riprese l'inseguimento del re nemico non appena le acque si furono calmate. Poco dopo la mezzanotte si mise in marcia verso Arbela, dove giunse alle prime luci dell'alba senza tuttavia trovare Dario, che si era già rifugiato nelle regioni montuose della Media, ma soltanto una parte del suo tesoro. Non poté proseguire oltre poiché i cavalli erano ormai esausti, al punto che si rese necessario abbatterne circa un migliaio.[174]

Durante il tragitto di ritorno verso il campo, Alessandro fu assalito da un gruppo di cavalieri nemici e dovette affrontarli personalmente, trafiggendone alcuni con la propria lancia prima di essere raggiunto dai suoi uomini. In questo frangente il re macedone si espose in prima linea e, secondo Quinto Curzio Rufo, fu grazie al suo valore personale, più che alla fortuna, che ottenne la vittoria.[175]

Caddero così nelle mani di Alessandro magazzini, oggetti preziosi e decine di migliaia di prigionieri. Egli decise quindi di informare i Greci che le loro città non erano più soggette alla tirannide persiana e che d'ora in avanti si sarebbero governate secondo leggi proprie,[176] affermazione vera solo in parte se rapportata alla complessa realtà politica della Grecia del tempo. Distribuì poi il bottino, inviandone una parte ai Crotoniati, in Italia, come riconoscimento per il valore dimostrato da Faillo di Crotone nel secolo precedente, durante la seconda guerra persiana.[177]

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L'ingresso di Alessandro Magno a Babilonia, di Charles Le Brun (1665)

La marcia proseguì senza ulteriori scontri. Degno di nota fu l'incontro con una voragine dalla quale fuoriusciva costantemente usciva fuoco, e in cui si poteva osservare il fluire di uno strano liquido infiammabile, identificato come nafta.[178] Si trattava dei celebri fuochi eterni di Baba Gurgur.

Alla fine di ottobre Alessandro fece il suo ingresso a Babilonia, dove ottenne la sottomissione del satrapo Mazeo, che venne confermato nel governo della provincia, affiancato tuttavia da un comandante militare e da un tesoriere di origine greca. Qui il re soggiornò per circa cinque settimane, durante le quali ebbe modo di osservare i giardini pensili, attribuiti a Nabucodonosor II; tentò persino di introdurvi piante di origine greca, ma con scarso successo, fatta eccezione per l'edera.[179]

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Riproduzione (probabilmente ottocentesca) dei Giardini pensili di Babilonia

Successivamente si diresse verso Susa, che raggiunse in circa venti giorni, per impossessarsi dei tesori ivi conservati. La città era priva di mura.[180] Qui Alessandro poté anche recuperare numerose opere d'arte sottratte da Serse alla Grecia nel 480 a.C., tra cui il celebre gruppo statuario dei tirannicidi Armodio e Aristogitone, che fece rimandare ad Atene. Le ricchezze sequestrate furono ingentissime: le fonti parlano di quarantamila talenti, ai quali se ne aggiungevano forse altri cinquemila provenienti da depositi secondari.[181]

A Susa furono lasciati i familiari di Dario. Alessandro volle inoltre sedere sul trono del re persiano, gesto fortemente simbolico e atteso dai sudditi, tanto che Demarato non riuscì a trattenere le lacrime, pensando a coloro che erano caduti lungo il cammino senza poter assistere a tale momento.[182] Durante il soggiorno elargì numerose ricompense ai suoi uomini: a Parmenione assegnò la sontuosa casa di Bagoa, il ministro che aveva fatto avvelenare Artaserse III e la sua famiglia, prima di essere a sua volta eliminato da Dario III (da non confondere con l'omonimo eunuco, amico di Alessandro).[183]

Scrisse inoltre alla madre Olimpiade e ad Antipatro, rimasti in Macedonia; consapevole dell'ostilità del secondo nei confronti della prima, scrisse all'amico che le lacrime di una madre cancellano il contenuto di mille lettere.[184] Alessandro lasciò Susa verso la metà di dicembre.

Superato il fiume allora chiamato Pasitigris (in seguito Karun), entrò nel territorio degli Uxii, situato a circa sessanta chilometri da Susa. Questi, non ancora sottomessi, chiesero al nuovo sovrano il pagamento di un tributo in cambio del libero passaggio. La risposta di Alessandro fu deliberatamente provocatoria: ordinò loro di farsi trovare pronti al momento del suo arrivo, quindi li attaccò di notte, alla testa di circa 8000 uomini della falange, devastando i loro villaggi.[185] Gli Uxii superstiti tentarono più volte di reagire, ma furono sempre respinti. In una sola giornata Alessandro risolse un problema che affliggeva il regno persiano da quasi due secoli.[186]

Restava infine Ariobarzane, satrapo della Perside, deciso a fuggire con il tesoro rimasto, confidando nella maggiore rapidità delle proprie truppe rispetto all'intero esercito macedone. Alessandro divise le sue forze in due contingenti, avanzando con quello più mobile e raggiungendo il nemico in cinque giorni presso le Porte Persiane, nelle attuali montagne dello Zagros. Qui dovette affrontare un numero consistente di avversari: 40000 uomini e 700 cavalieri secondo Arriano,[187] 25000 soldati secondo Curzio Rufo,[188] ai quali Diodoro aggiunge 300 cavalieri.

Per rallentare l'avanzata macedone, Ariobarzane fece costruire un muro che ostruiva parzialmente l'unica via praticabile. Alessandro tentò un primo assalto, che fallì anche a causa di una frana provocata dagli stessi Persiani; fu costretto quindi a ripiegare di alcuni chilometri verso ovest, raggiungendo una radura chiamata Mullah Susan. Da lì partiva un altro sentiero, apparentemente più agevole, ma Alessandro lo evitò per non lasciare i suoi caduti «insepolti».[189]

La svolta avvenne grazie all'intervento di un pastore del luogo, che rivelò ai Macedoni un percorso secondario per aggirare lo schieramento persiani. Alessandro diede così inizio all'attacco, mentre successivamente giunsero in supporto anche le truppe di Cratero. Ariobarzane riuscì a fuggire con pochi uomini fino a Persepoli, ma gli abitanti gli rifiutarono l'ingresso, costringendolo a tornare a combattere, dove trovò infine la morte.[190]

Persepoli

Nel mese di gennaio del 330 a.C. Alessandro entrò infine a Persepoli (il sito oggi noto come Takht-e Jamshid), una delle capitali cerimoniali dell'Impero persiano, dove rinvenne circa 120000 talenti di metallo prezioso non coniato.[191] Nel frattempo il re persiano Dario III aveva trovato rifugio a Ecbatana (l'odierna Hamadan), dove fu raggiunto dai suoi più fidati collaboratori – Besso, Barsaente, Satibarzane, Nabarzane e Artabazo – nonché da circa 2000 mercenari greci.

Alessandro rimase a lungo a Persepoli, inviando contingenti a Pasargade e richiedendo a Susa l'invio di un ingente numero di animali da soma necessari al trasporto del tesoro. Partì poi con una parte ridotta dell'esercito per una spedizione di circa trenta giorni, volta a sottomettere le tribù che abitavano le regioni collinari circostanti, assoggettando sia i gruppi nomadi sia i restanti territori della provincia. Al suo ritorno continuò, secondo una consuetudine ormai consolidata, a ricompensare con doni proporzionati coloro che lo avevano sostenuto.[192] Prima di lasciare la città, restituì l'amministrazione locale al governatore persiano e vi lasciò 3000 soldati macedoni agli ordini di un suo uomo di fiducia.

Secondo le fonti, verso la fine della primavera Alessandro avrebbe dato l'ordine – o forse sarebbe stato egli stesso l'artefice – di appiccare un incendio che devastò i palazzi di Persepoli, distruggendo anche parte del tesoro. Le indagini archeologiche condotte sui resti della Sala delle Cento Colonne, fatta costruire da Serse, hanno mostrato come le travi lignee crollarono alimentando un incendio di vaste proporzioni.[193]

Secondo il racconto attribuito a Tolomeo, Alessandro, contro il parere di Parmenione, avrebbe voluto vendicare in tal modo l'incendio di Atene del 480 a.C., attribuito ai Persiani.[194] Plutarco, riferendo l'episodio, aggiunge che il re si sarebbe pentito quasi immediatamente dell'atto, ordinando di spegnere le fiamme.[195] Una tradizione più tarda sostiene invece che l'incendio sarebbe scoppiato accidentalmente, su istigazione di Taide, una cortigiana greca che accompagnava l'esercito macedone.[196] sebbene questo racconto non trovi concordi gli storici moderni, Taide è ricordata nei Deipnosofisti come compagna di Tolomeo, dal quale avrebbe avuto tre figli.[197]

Nel frattempo, in Grecia, Antipatro aveva sconfitto Agide III, re di Sparta, nella battaglia di Megalopoli (autunno del 331 a.C.), ponendo fine all'ultima seria opposizione delle poleis greche al dominio macedone.

L'inseguimento di Dario

Nel maggio del 330 a.C. Alessandro marciò verso Ecbatana, distante circa 450 miglia da Persepoli. Durante il tragitto ricevette rinforzi, portando l'esercito a un totale stimato di circa 50000 uomini.[198] Dario III, consapevole della rapidità dell'avanzata macedone, modificò i propri piani: rinunciò a dirigersi verso Battriana e Balkh (nell'odierno Afghanistan), come inizialmente previsto, e puntò invece verso le Porte Caspie. All'interno del suo seguito, tuttavia, iniziarono a emergere gravi dissensi. Nel frattempo l'esercito macedone dovette affrontare marce durissime, segnate da sete e stenti, che causarono numerose perdite lungo il cammino.

Alessandro venne a conoscenza degli spostamenti di Dario quando si trovava a Ragae (Rei), nei pressi dell'odierna Teheran. Raggiunto il passo, fu informato da due messaggeri che era scoppiata una rivolta guidata da Besso, Barsaente e Nabarzane contro il re persiano, il quale era stato fatto prigioniero. Alessandro tentò allora di intercettare Besso, riuscendo a raggiungerlo in un giorno e mezzo.[199]

Venuto poi a sapere del luogo in cui Dario era detenuto, proseguì l'insediamento con estrema rapidità: scelse 500 opliti, li fece montare a cavallo al posto dei cavalieri[200] e marciò tutta la notte, percorrendo circa ottanta chilometri. Giunse all'alba nei pressi di Damghan, ma con lui arrivarono soltanto sessanta uomini.[201]

Intimoriti dall'imminente arrivo di Alessandro, i satrapi rimasti – Barsaente e Satibarzane (secondo altre fonti Nabarzane) – pugnalarono Dario e si diedero alla fuga. Alessandro non riuscì quindi a incontrare vivo il suo rivale. Plutarco, tuttavia, riporta una versione diversa: Dario, agonizzante, sarebbe riuscito a parlare con un soldato macedone, Polistrato, bevendo l'acqua da lui offerta e ringraziando la clemenza dimostrata verso i familiari catturati.[202]

In ogni caso, il conquistatore macedone, dopo aver coperto il corpo di Dario con il proprio mantello, lo fece trasportare indietro e gli concesse una sepoltura regale nelle tombe dinastiche achemenidi. Giunto a Ecbatana, Alessandro congedò i contingenti delle città greche, dichiarando conclusa la missione di vendetta per l'invasione della Grecia da parte di Serse. Iniziò quindi una nuova fase della sua politica imperiale: arruolò Essatre, fratello di Dario,[203] e consolidò il rapporto con Bagoa, già influente a corte.

Il destino degli assassini di Dario

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Alessandro dà sepoltura al corpo di Dario.

Besso si proclamò re di tutta l'Asia[204] assumendo il nome di Artaserse V, e venne inseguito da Alessandro attraverso le regioni dell'Ircania. Durante la marcia, Bucefalo, il cavallo prediletto del re – utilizzato solo nelle occasioni più solenni e normalmente affidato alla custodia di alcuni soldati – fu catturato da un gruppo di barbari. Appena informato dell'accaduto, Alessandro inviò loro un araldo minacciando la morte per tutti i responsabili e per le loro famiglie. Intimoriti, i rapitori restituirono immediatamente il cavallo e si arresero; il sovrano li trattò con clemenza e ricompensò generosamente chi gli aveva riportato il fedele compagno.[205]

Nel corso della spedizione Alessandro giunse a Zadracarta, capitale dell'Ircania (Gurgan), accompagnato da Cratero, che aveva assunto un ruolo di primo piano sul fronte per anzianità e prestigio, accanto a Parmenione. Qui ottenne la sottomissione di Autofradate, Frataferne e Nabarzane; Artabazo, padre di Barsine, preferì invece trattare direttamente con il re macedone. Alessandro rimase nella regione per circa quindici giorni. Secondo una tradizione riportata da alcune fonti, in questo periodo avrebbe incontrato la regina delle Amazzoni, la quale, desiderosa di generare un erede, avrebbe giaciuto con lui per tredici giorni;[206] si tratta tuttavia di un episodio considerato in larga misura leggendario dalla storiografia moderna.

Da questo momento in poi le udienze con il re furono rigidamente regolamentate da uscieri e mazzieri, sotto la supervisione di Carete di Lesbo, riprendendo consuetudini di corte persiane. Alessandro iniziò inoltre ad adottare usi orientali, tra cui l'abbigliamento cerimoniale e il diadema. Anche lo stile della sua corrispondenza mutò: salvo che con pochi uomini di fiducia, come Focione o Antipatro, egli cominciò a utilizzare il "noi" regale, e le lettere provenienti dall'Asia venivano sigillate secondo l'uso dei re persiani.[207]

Alessandro decise quindi di concentrare le proprie forze contro Satibarzane. Giunto in Aria, nei pressi dell'odierna Mashhad, incontrò il satrapo, che chiese la grazia. Il re macedone gliela concesse, restituendogli il governo della satrapia e affiancandogli un contingente macedone comandato da Anaxippo. Poco dopo la sua partenza, Alessandro apprese che tutti i soldati lasciati a presidio erano stati uccisi e che Satibarzane si era ribellato; non riusvì tuttavia a intercettarlo, poiché il satrapo fuggì con circa 13000 uomini in direzione di Besso, lasciando l'Aria in mano macedone.

Gran parte delle truppe ribelli si rifugiò su una collina ritenuta inespugnabile; approfittando di un vento favorevole, i Macedoni appiccarono un incendio, ottenendo un risultato devastante. Molti dei nemici morirono tra le fiamme, altri si gettarono nel vuoto, mentre solo pochi si arresero, scampando alla morte.[208] In seguito alla vittoria venne fondata Alessandria degli Arii, la futura Herat, e la regione fu affidata al satrapo Arsame. Questi tuttavia appoggiò ben presto gli avversari di Alessandro e venne ucciso da un reparto comandato da Erigio; il governo fu quindi assegnato al cipriota Stasanore.[209]

Alessandro si diresse quindi verso l'Aracosia, raggiungendo la Drangiana (nell'attuale Afghanistan occidentale). Barsaente, informato del suo arrivo, fuggì presso una popolazione indiana del Punjab, che lo tradì consegnandolo al re macedone. Egli venne condannato a morte per la partecipazione all'uccisione di Dario.[210]

In queste regioni Alessandro fondò numerose città denominate Alessandria, tra cui la cosiddetta Alessandria del Caucaso, che ebbe vita relativamente breve. Scavi archeologici condotti a Bor-i-Abdullah, a sud della futura Begram, hanno rivelato resti di insediamenti successivi a quelli macedoni, così come di un'altra fondazione nei pressi dell'odierna Kandahar. Dopo aver sostato per alcuni mesi (la partenza avvenne probabilmente nel mese di maggio o poco dopo), Alessandro raggiunse l'Hindu Kush, celebrato da Aristotele come il limite estremo del mondo orientale conosciuto.[211]

La discesa delle montagne fu particolarmente dura: l'esercito patì la fame, il cibo veniva venduto a prezzi elevatissimi e, in mancanza di foraggio, molti animali da soma furono abbattuti per nutrire i soldati. Se Besso avesse continuato a devastare i campi o avesse attaccato in quel momento di difficoltà, avrebbe potuto infliggere gravi danni ai Macedoni; mutò invece strategia, limitandosi a bruciare le imbarcazioni dopo aver attraversato il fiume Osso (l'odierno Amu Darya). Tale decisione gli alienò il sostegno di gran parte del suo esercito. Le sue scelte sono forse da collegare alle azioni di Artabazo, che aveva nel frattempo sconfitto e ucciso Satibarzane in uno scontro non lontano da Herat.[212]

Attraversata Kunduz, Alessandro giunse fino a Balkh. Per proseguire l'inseguimento si evitò, quando possibile, la marcia diurna a causa del caldo estremo. Nei pressi di Kilif, il re decise di congedare i feriti, i veterani e i pochi Tessali rimasti, ricompensandoli generosamente.

Restava infine il problema dell'attraversamento del profondo fiume Oxus, dove la costruzione di un ponte risultava impraticabile. Si decise pertanto di riempire pelli cucite di paglia secca, creando zattere galleggianti; l'intero esercito riuscì ad attraversare il fiume in cinque giorni.[213]

Besso, ormai isolato e accompagnato soltanto dal generale Spitamene, venne infine abbandonato dai suoi stessi uomini, tradito e fatto prigioniero. Consegnato nudo a Tolomeo, fu arrestato nel 329 a.C.; successivamente venne mutilato e giudicato colpevole di alto tradimento da un tribunale persiano, che ne decretò l'esecuzione a Ecbatana.[214]

Il comportamento di Spitamene non fu inizialmente chiaro ad Alessandro, che ritenne volesse arrendersi; in realtà egli mirava soltanto a liberarsi di un alleato divenuto ormai ingombrante e pericoloso.

La sorte di Parmenione e dei suoi figli

(francese)
«Ce que j'aime dans Alexandre le Grand ce ne sont pas ses campagnes que nous ne pouvons pas concevoir, mais ses moyens politiques [...] Il avait eu l'art de se faire aimer des peuples vaincus. Il eut raison de faire tuer Parménion qui, comme un sot, trouvait mauvais qu'il eût quitté les mœurs grecques»
(italiano)
«Quello che mi piace in Alessandro Magno non sono le sue campagne militari che noi non possiamo neanche concepire, ma i suoi metodi politici [...] Aveva avuto l'arte di farsi amare dai popoli vinti. Ebbe ragione a far uccidere Parmenione, che, come uno stolto, disapprovava che lui avesse abbandonato i costumi greci»

Quando le truppe di Alessandro trovarono riposo a Farah, emerse lo strano comportamento di Parmenione, che iniziò a non obbedire più agli ordini del re. L'ultimo comando ricevuto – quello di raggiungere Alessandro con i suoi 25000 uomini – venne ignorato, nonostante il re potesse allora contare su forze di poco superiori.[216]

I figli di Parmenione occupavano posizioni di grande prestigio nell'esercito macedone. Nicanore morì di malattia nell'ottobre del 330 a.C., mentre Filota, comandante della cavalleria degli eteri, venne coinvolto nel cosiddetto complotto di Dimno. Secondo alcuni resoconti, il macedone Dimno (o Dymno), venuto a conoscenza di un progetto di attentato contro Alessandro, ne parlò al proprio amante Nicomaco.[217] Questi rivelò a sua volta l'esistenza del complotto al fratello Cebalino, il quale lo riferì a Filota tre giorni prima dell'attentato previsto. Nei due giorni successivi, tuttavia, Filota non informò il re, pur avendone più volte l'occasione. Preoccupato dal silenzio dell'ufficiale, Cebalino confidò il segreto a un'altra persona, che si affrettò ad avvisare Alessandro.

Il re fece convocare Dimno, che preferì togliersi la vita; rimaneva dunque certo solo il fatto che Filota fosse a conoscenza della congiura e non ne avesse informato il sovrano. Seguendo il consiglio di Cratero, Filota fu arrestato nottetempo nella sua tenda, messo in catene e tradotto davanti al tribunale dell'esercito. Plutarco offre una versione parzialmente diversa: secondo lui il congiurato si chiamava Limno di Calestra, che avrebbe rivelato il piano a Nicomaco nel tentativo di coinvolgerlo;[218] inoltre Filota sarebbe stato da tempo sorvegliato attraverso una donna, Antigone.[219] Il nome di Dimno è invece attestato da Curzio Rufo e Diodoro Siculo.[220]

In precedenza, durante la permanenza in Egitto, Alessandro non aveva dato credito alle insinuazioni su un presunto coinvolgimento di Filota in trame contro di lui;[221] in questa circostanza, tuttavia, l'ufficiale venne riconosciuto colpevole di alto tradimento dal tribunale dell'esercito.[222] Secondo alcune fonti fu immediatamente ucciso a colpi di lancia insieme ai complici;[223] secondo altre venne prima torturato e giustiziato solo dopo aver confessato.[224] Alcuni resoconti riferiscono inoltre che Filota avrebbe indicato come vero ideatore del complotto un certo Egeloco, già morto in precedenza.

Non ancora soddisfatto, Alessandro fece indagare anche sugli amici e i sostenitori di Filota. Uno di essi riuscì a fuggire, mentre i suoi fratelli furono arrestati, ma seppero difendersi efficacemente e vennero scagionati. Alessandro di Lincestide, già detenuto da tempo, fu invece condannato a morte. Alla condanna sfuggì Demetrio, membro della guardia reale.

Probabilmente venuto a conoscenza di una lettera scritta da Parmenione ai figli, nella quale si accennava a progetti ambigui o potenzialmente ostili,[225] Alessandro ordinò l'uccisione del vecchio generale, eseguita da alcuni suoi ufficiali.[226] La stessa sorte toccò anche all'ultimo figlio superstite di Parmenione, per prevenire ogni possibile tentativo di rivolta. Il re temeva infatti una possibile convergenza tra i soldati fedeli a Clito e quelli ancora legati a Parmenione, che avrebbe potuto dar vita a una forza numericamente superiore alla sua.

I simpatizzanti del generale eliminato furono raccolti in una piccola unità separata, che continuò a distinguersi per valore in combattimento,[227] mentre la cavalleria degli eteri, precedentemente comandata da Filota, venne affidata a Efestione e Clito. Prima di lasciare Farah, Alessandro decise infine di cambiarne il nome, ribattezzandola Proftasia (Anticipo).[228]

Guerriglie in Sogdiana

Alessandro era impegnato a combattere il suo ultimo avversario persiano di rilievo, Spitamene, ma l'impresa si rivelò particolarmente ardua, poiché questi riuscì a sollevare contro i Macedoni gran parte della nobiltà della Sogdiana. Il re macedone, lungo il corso del fiume Syr Darya, aveva lasciato presidi in diverse fortezze di frontiera (sette in totale), destinate a proteggere i confini settentrionali. Trascorse tuttavia poco tempo prima che tali guarnigioni venissero annientate e gli avamposti conquistati dai ribelli.[229]

In pochi giorni Alessandro riuscì a riconquistare tutte le fortezze,[229] riducendo in schiavitù i superstiti. Solo contro Ciropoli (identificata con l'odierna Ura-Tjube/Istaravšan, nel Tagikistan) incontrò serie difficoltà. La città, la più imponente della regione, fu inizialmente isolata e posta sotto assedio da Cratero[230] per impedirne il rifornimento; durante l'attacco i Macedoni scoprirono però un passaggio inatteso, costituito da un corso d'acqua prosciugato che scorreva sotto le mura. Attraverso di esso riuscirono a penetrare nella fortezza e ad aprire le porte agli assalitori. Alcune fonti riferiscono che, nel corso dell'azione, Alessandro venne colpito alla testa e al collo da una pietra.

Divenne quindi evidente la strategia di Spitamene: colpire le regioni dell'impero lasciate scoperte dall'assenza del re. Egli attaccò Samarcanda, inducendo Alessandro a inviare contro di lui circa 2300 mercenari, comandati da Farnuce, mentre egli rimaneva con un esercito di circa 25000 uomini.[231]

I Macedoni dovettero poi affrontare gli Sciti schierati sull'altra riva del fiume. In un primo momento Alessandro impiegò le catapulte, armi sconosciute a quel popolo; la morte di un loro comandante indusse gli Sciti a una ritirata iniziale. I Macedoni attraversarono allora il fiume, ma si trovarono esposti alle manovre della cavalleria nemica, composta da arcieri a cavallo scarsamente corazzati, che tentarono un accerchiamento colpendo ripetutamente con le frecce. Alessandro reagì con una manovra di inganno, inviando avanti un contingente più debole; quando i nemici si concentrarono su esso, li attaccò con forze più consistenti. Gli Sciti si diedero alla fuga, ma i Macedoni, forse debilitati dall'assunzione di acqua malsana, non riuscirono a inseguirli efficacemente.[232]

Nel frattempo i reparti inviati in precedenza da Alessandro furono attaccati su un'isola del fiume Zeravshan e sterminati fino all'ultimo uomo in un'azione condotta personalmente da Spitamene.[233] Appresa la notizia, Alessandro cercò di raggiungere il nemico in tre giorni, avanzando con circa 7000 uomini, ma senza riuscire a intercettarlo; il numero complessivo delle sue truppe era ormai sceso a circa 25000.[233] A rinforzo giunsero quindi 21600 uomini dalla Grecia, guidati da Asandro e Nearco.[233]

Alessandro lasciò una parte delle forze a Cratero, ma le incursioni di Spitamene continuarono fino a quando il ribelle non subì una prima sconfitta per mano di Ceno. Poco dopo fu tradito dai suoi alleati, che offrirono al re macedone la sua testa. Alessandro gli rese comunque onori funebri e dispose che il generale Seleuco sposasse la figlia di Spitamene.

L'ultima e più ostinata resistenza provenne dal satrapo Ossiarte, che si rifugiò con i suoi uomini nella Rocca Sogdiana (identificata con la fortezza di Arimazes, nei pressi dell'odierna Ghissar, in Tagikistan). La roccaforte fu conquistata nel marzo del 327 a.C. grazie all'impresa di 300 rocciatori macedoni, ai quali Alessandro aveva promesso un compenso di dodici talenti d'argento ciascuno, una somma eccezionale, considerando che un talento equivaleva a circa 35 kg di metallo.

Curzio Rufo descrive così la situazione:

«Il numero dei ribelli ammontava a trentamila uomini ben armati; le alte mura a strapiombo rendevano il luogo inespugnabile. La neve profonda ostacolava l'avvicinamento, ma garantiva acqua in abbondanza ai difensori, e le scorte di viveri consentivano di resistere a un assedio di due anni. La roccia aveva un perimetro di circa venticinque chilometri; le case in muratura spessa e il legname accumulato permettevano di affrontare il freddo. Quando Alessandro intimò la resa, Ossiarte lo sfidò a procurarsi soldati alati, poiché l'assedio era, a suo dire, inutile.[234]»

Ossiarte si sottomise infine e venne risparmiato; la figlia sedicenne, Roxane, fu data in moglie ad Alessandro e lo seguì fino alla morte a Babilonia, mentre era incinta. La campagna in Sogdiana si concluse con la presa della Rocca di Sisimitre (o Rocca di Chorienes), situata presso l'attuale Kohiten, non luntano dal passo di Kolugha (o Derbend), nell'odierno Uzbekistan.

La sorte di Clito

Il proposito di Alessandro di unificare Greci e Persiani in un solo popolo e, soprattutto, la sua idea di conferire alla monarchia un carattere divino, cominciarono progressivamente ad alienargli le simpatie di una parte significativa del suo seguito. L'opposizione emerse in modo particolare quando tentò di introdurre anche tra i suoi sudditi occidentali il cerimoniale della proskýnesis, tipico della corte persiana. Tale pratica prevedeva che chiunque fosse ammesso alla presenza del re si prostrasse davanti a lui, per poi rialzarsi e ricevere un bacio. Questo gesto risultava inaccettabile per la mentalità greca, secondo cui un uomo libero poteva rendere omaggio solo agli dèi, non a un altro uomo. Di fronte al rifiuto quasi unanime di Greci e Macedoni, Alessandro fu costretto ad abbandonare il tentativo, che in ogni caso non aveva mai formalmente reso obbligatorio.

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L'assassinio di Clito da parte di Alessandro Magno

A Samarcanda, nel 328 a.C., durante una serata di festeggiamenti con generali e ufficiali, Alessandro accolse alcuni uomini provenienti dalle regioni costiere, giunti per offrirgli frutta in segno di omaggio. Il re incaricò Clito il Nero di condurli al suo cospetto e, per riceverli, interruppe un sacrificio in corso, gesto che gli indovini giudicarono di cattivo auspicio.

Nel corso del successivo banchetto furono recitati versi di un poeta di corte, Pranico, che schernivano alcuni generali.[235] Clito, già in stato di ebbrezza, si sentì particolarmente offeso e ricordò ad Alessandro di avergli salvato la vita in passato, durante la battaglia del Granico. Ne seguì un violento scambio di accuse: Clito criticò aspramente la politica di integrazione tra Macedoni e Persiani e accusò il re di non essere all'altezza del padre Filippo, che definì il vero sovrano macedone. Alessandro, dopo aver parlato con Artemio di Colofone e Senodo di Cardia, gli scagliò contro una mela e cercò quindi una lama,[236] che gli fu immediatamente sottratta da Aristofane. In preda all'ira, Alessandro colpì a pugni un uomo che si era rifiutato di suonare la tromba, mentre gli amici di Clito tentavano di allontanarlo.

L'episodio degenerò definitivamente quando Clito fece ritorno e citò alcuni versi di Euripide,[237] nei quali si affermava che il merito delle vittorie spettava ai soldati, mentre i comandanti tendevano ad appropriarsene.[238] A quelle parole, Alessandro, anch'egli ubriaco, afferrò una lancia e trafisse Clito, uccidendolo sul colpo.

Nel 327 a.C. fu scoperta una congiura dei paggi reali, che furono tutti condannati a morte e giustiziati. Tra le vittime indirette dell'episodio vi fu anche Callistene, nipote di Aristotele, storiografo ufficiale della spedizione e aperto oppositore della proskýnesis, nonché educatore dei paggi. Callistene venne arrestato, imprigionato e infine giustiziato, un atto che contribuì ad allontanare ulteriormente da Alessandro ampi settori del mondo intellettuale e filosofico greco.

Spedizione in India

Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna indiana di Alessandro Magno.
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Campagna macedone in India.

Alessandro, dopo aver assoggettato la regione della Sogdiana, giunse ai confini dell'odierno Xinjiang cinese, dove fondò un'altra Alessandria, che chiamò Eschate (Ultima), l'odierna Chodjend, nell'agosto 329 a.C., in una zona della Valle di Fergana nota per i vigneti reali persiani che producevano un ottimo vino. Soggiornò ancora a Samarcanda e nella Bactriana. Sposò Rossane, figlia di un comandante della regione, per rafforzare il suo potere in quei territori.

Invasione dell'India

«Quali Alessandro in quelle parti calde

d'Indïa vide sopra 'l süo stuolo
fiamme cadere infino a terra salde»

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Battaglia dell'Idaspe (Charles Le Brun, 1673).

Come continuatore dell'impero achemenide, Alessandro vagheggiava un impero universale e si proponeva forse di arrivare con le sue conquiste fino al limite orientale delle terre emerse. Gran parte dell'India nord-occidentale era stata sottomessa dai persiani al tempo di Dario I, il quale fece esplorare l'intera valle dell'Indo, ma in questo periodo la regione era suddivisa in vari regni in lotta tra loro.

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Poro si arrende ad Alessandro

Dopo aver preparato un nuovo esercito, con truppe in gran parte asiatiche (solo gli ufficiali e i comandanti erano tutti greci o macedoni), nella primavera del 326 a.C. Alessandro marciò verso l'odierna Kabul, dove venne accolto come alleato dal re di Taxila e, attraversata l'Uḍḍiyana da Ora a Bazira (attuali Udegram e Barikot), giunse all'Indo nell'estate del 326 a.C. Sconfisse nella battaglia dell'Idaspe il re indiano Poro (Purushotthama o Paurava), in una battaglia dura e sanguinosa, e fondò due città, Alessandria Nicea (odierna Mong o Mung) e Alessandria Bucefala (oggi Jehlum), quest'ultima in onore del suo cavallo Bucefalo, morto durante la battaglia in quel luogo.

Alessandro aveva forse intenzione di arrivare fino alla vallata del Gange, ma l'armata macedone giunta sul fiume Ifasi (oggi Beas), stanca dell'idea di proseguire una lunga campagna contro i potenti indiani (il Regno Magadha stava attrezzando un potente esercito di centinaia di migliaia di soldati e migliaia di elefanti che spaventava i macedoni) fra giungle monsoniche, febbri malariche ed elefanti da guerra, si rifiutò di seguirlo oltre verso est dopo un ammutinamento durato tre giorni. Arriano di Nicomedia scrive che il Macedone pianificò allora di marciare verso est, raggiungendo le rive del Gange da cui aveva appreso notizie a Taxila, per affrontare gli imperi dei Nanda: il Regno Magadha ed il Regno dei Gangaridai del Bengala, in piena decadenza, volendo raggiungere lo "Oceano Ultimo", ma i suoi uomini stanchi di marce estenuanti in un clima caldo afoso, sottoposti a settimane di piogge monsoniche che rendevano le strade acquitrini e pantano, di fronte a giungle infestate da serpenti velenosi, belve feroci ed insetti, in una terra ignota e non cartografata prima d'allora, verso una destinazione ignota con distanze altrettanto sconosciute, fecero venire meno la coesione indispensabile per continuare ad avanzare. Sempre Arriano, inoltre, narra che i macedoni, avendo trovato i coccodrilli lungo il corso dell'Indo, interpretarono la scoperta erroneamente come se il fiume fosse un affluente del Nilo per cui non si capiva il motivo per procedere oltre. Alessandro allora, a malincuore, dovette accettare la decisione dei suoi uomini ma promise che avrebbe ritentato l'impresa indiana l'anno successivo con un esercito interamente composto da soldati persiani.[239] Attraversato l'Indo, l'avanzata macedone verso oriente fu - dunque - arrestata dalla stanchezza dei soldati. La campagna indiana si arrestò al fiume Ifasi (Beas), ultimo immissario a Est del fiume Indo. Questo grande fiume con i suoi affluenti venne a costituire così, nel progetto di Alessandro, l'estremo confine naturale e storico del suo immenso impero, in territorio dell'odierna India, in una zona tra le attuali città indiane di Gurdaspur e di Amritsar. Prima di riprendere la via del ritorno, Alessandro fece innalzare sulla riva sinistra del fiume Ifasi dodici altari agli dei, in forma di torri. Al centro una colonna di bronzo portava la scritta: "Qui si fermò Alessandro". A distanza di 2500 anni, è praticamente impossibile conoscere l'esatta ubicazione dei dodici giganteschi altari di confine, in quanto il corso - mutevole nei secoli - del fiume può averli erosi, fatti crollare, sepolti sotto diverse decine di metri di spessore di limo. Addirittura, lo studioso indiano Ranajit Pal del Bhandarkar Oriental Research Institute di Nuova Delhi, propone la suggestiva teoria che i dodici altari furono fatti asportare dal re Asoka dell'Impero Maurya che ne riciclò le colonne utilizzandole come basamento per le sue statue sparse per tutta l'India.[240] Infine, va citata la teoria di un generale indiano,[241] secondo cui la teoria dell'ammutinamento delle truppe di Alessandro sarebbe un falso storico. Egli ritiene che truppe che avevano marciato per otto anni attraverso deserti e pianure, attraversato fiumi imponenti, valicato vette alte anche 7000 metri, percorso circa 30000 km in ogni clima e con condizioni meteorologiche spesso avverse, e che adoravano il loro condottiero, difficilmente avrebbero scelto di ammutinarsi. La ragione più probabile fu la libera scelta di Alessandro di non proseguire oltre in quanto, gli esploratori inviati in ricognizione, avevano percorso circa 330 km e gli avrebbero riportato la notizia che il Regno di Nanda che si estendeva al di là del Beas stesse reclutando un esercito enorme per le forze macedoni, composto da 200000 fanti, 80000 cavalieri, 8000 carri da guerra, e 6000 elefanti da guerra. A riprova di ciò, il militare cita le fonti classiche secondo cui il Beas era la frontiera tra il Regno di Poro ed il reame indiano dei Nanda, che Alessandro avesse inviato esploratori in avanscoperta, che uno dei motivi di preoccupazione dei suoi soldati fosse la consistenza dell'esercito avversario ed, infine, la proposta di Alessandro di ritentare l'impresa l'anno successivo con un'armata più numerosa vista e considerata la difficoltà di aver ragione di Poro con il suo esercito molto esiguo rispetto a quello che si sarebbe dovuto affrontare in India. Egli conclude col dire che questa rinuncia divenne definitiva per Alessandro probabilmente a causa della difficoltà dell'arruolamento di ulteriori militi e questo mancato intervento in India dei Macedoni spalancò le porte, appena un lustro dopo all'ascesa dell'Impero Maurya con Chandragupta, che iniziò proprio a conquistare le terre dei Nanda, per riversarsi, poi, nei domini macedoni degli attuali Pakistan ed Afghanistan in cui il potere centrale era molto debole. Per quanto Alessandro non ebbe l'opportunità materiale per invadere l'India, la sua fama di sovrano saggio ed invincibile penetrò ugualmente nella regione, tanto che, a tutt'oggi, si tramanda la sua epopea condita da episodi più o meno fantasiosi, come l'incontro mitologico con gli acefali (uomini senza testa che possedevano il volto incastonato nel torace) o la discesa in fondo al mare all'interno d'una campana di vetro per poter esplorare anche gli abissi.

Ritorno

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Cameo rappresentante Alessandro (325 a.C.).

Alessandro seguì quindi la valle dell'Indo fino alla sua foce, dove sorgeva la città di Pattala. Da qui spedì una parte dell'esercito, al comando di Cratero, verso l'Afghanistan meridionale, mentre egli seguì la costa attraversando la regione desertica della Gedrosia (attuale Makran nel Pakistan e nell'Iran meridionale). La discesa del corso dell'Indo fu accompagnata da una dura lotta, combattuta con inaudita ferocia, contro la guerriglia che ostacolava la marcia dell'esercito macedone, e vide tutta una serie di battaglie vittoriose (Andaca, Arigaeum, Massaga, Malavas, Euspla, Ora, Bazira. Nell'assalto alla rocca di Aorno (odierna Pir Sar, pochi chilometri ad ovest della città di Thakot, in Pakistan), nell'aprile del 326 a.C., una freccia colpì Alessandro, trapassando la corazza della sua armatura (e con essa anche la pleura e un polmone); il condottiero scampò di poco alla morte.

Inviò inoltre una flotta, al comando del cretese Nearco, a esplorare le coste del Golfo Persico sino alle foci del Tigri. La descrizione dei luoghi e dei popoli incontrati (tra cui gli Ittiofagi) fatta da Nearco ci è nota grazie soprattutto all'inserimento del suo diario negli Indikà ("Resoconti dell'India") di Arriano.

Ultimo periodo di regno e morte

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Matrimonio di Alessandro, affresco pompeiano ritenuto dalla critica copia di un'opera alessandrina ritraente le nozze fra Alessandro e Statira, rappresentati nelle vesti di Afrodite e Ares, Antiquarium di Pompei

Nel 324 a.C. Alessandro giunse nuovamente a Susa, dove venne a conoscenza della cattiva amministrazione messa in atto dai satrapi da lui un tempo graziati; fece procedere immediatamente ed energicamente contro i colpevoli, sostituendone molti con governatori macedoni.

Per perseguire il suo progetto di unione tra Greci e Persiani, il re spinse ottanta alti ufficiali del suo esercito alle nozze con nobili persiane e altri diecimila veterani macedoni si sposarono con donne della regione. Egli stesso sposò Statira II, figlia di Dario III, mentre un'altra figlia del re persiano, Dripetide, andò in sposa al suo amico Efestione.

Passò per la prima volta in rassegna il nuovo corpo militare di 30000 giovani Persiani, accuratamente scelti e addestrati per formare una falange macedone. Diecimila veterani furono congedati e rimandati in Macedonia con Cratero, quest'ultimo incaricato di sostituire Antipatro, che era venuto in contrasto con la madre di Alessandro, Olimpiade; Antipatro dovette recarsi in Asia con nuove reclute.

Durante l'inverno il re si ritirò a Ecbatana seguendo l'usanza della corte persiana. Qui morì Efestione (probabilmente per tifo addominale ed eccessivo uso di vino, contro le raccomandazioni del medico), per il quale Alessandro soffrì terribilmente: rase al suolo un vicino villaggio del popolo montanaro dei Cossei, passando alla spada tutti i suoi abitanti come "sacrificio" nei confronti dell'amico e rimase a lutto per sei mesi; inoltre progettò un grandioso monumento funerario mai finito e organizzò imponenti manifestazioni di lutto.

Nella primavera del 323 a.C. Alessandro condusse una spedizione contro gli stessi Cossei e inviò una spedizione per esplorare le coste del Mar Caspio.

Durante i preparativi di invasione dell'Arabia e la costruzione di una flotta con cui intendeva attaccare i domini cartaginesi, venne colpito da una grave malattia, che gli provocò una febbre che lo portò alla morte il 10 giugno[N 7] del 323 a.C., al tramonto, a meno di 33 anni. Secondo un aneddoto «disperando della vita – racconta un emulo dello Pseudo-Callistene – Alessandro risolse di gettarsi nell'Eufrate per nascondere la sua morte ai soldati e persuadere il mondo che si era ricongiunto con i padri della sua stirpe celeste. Ma essendosi sua moglie Rossane opposta a questo disegno, egli la rimproverò piangendo di contrastare la gloria, concessagli dalla sorte, di essere un dio.»[242] Nel suo testamento commissionava la costruzione di magnifici templi in diverse città, la costruzione di un mausoleo intitolato a suo padre (che avrebbe dovuto rivaleggiare in imponenza con le piramidi egizie), la prosecuzione dell'unione fra Persiani e Greci, la conquista dei territori cartaginesi (Nord Africa, Sicilia e Spagna), l'espansione verso occidente e la costruzione di una strada in Africa lungo tutta la costa; i suoi successori ignorarono gran parte del testamento ritenendolo eccessivamente megalomane e inattuabile.

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La morte di Alessandro, di Karl von Piloty.

Sulle cause della sua morte sono state proposte varie teorie, tra cui: l'avvelenamento da parte dei figli di Antipatro o da parte della moglie Rossane (in particolare avvelenamento da arsenico[243]); una ricaduta della malaria che aveva contratto nel 336 a.C.; un eccessivo abuso di alcool durante una cena, tale da causargli coma etilico, insufficienza epatica fulminante o pancreatite acuta; conseguenze di alcolismo cronico come cirrosi epatica; o anche, secondo le caratteristiche della febbre, tifo addominale,[1][244] leucemia fulminante,[245] encefalite da virus del Nilo occidentale e molte altre.[1] In particolare gli storici riportano di un banchetto in cui Alessandro bevve un'intera anfora di vino non diluito (come invece si usava nell'antichità), la cosiddetta "coppa di Eracle" (circa cinque litri di vino dall'alta gradazione), accusò poi un forte dolore alla schiena, "come se fosse stato trafitto da una lancia", una fitta seguita da vomito, ma si riprese dopo un po' e ricominciò a bere. Secondo gli studiosi moderni potrebbe essere un sintomo di pancreatite, degenerata poi nella complicanza di un'infezione dei focolai necrotici nel pancreas e nella sindrome da risposta infiammatoria sistemica.[246] Un recente studio ipotizza anche la sindrome di Guillain-Barré, seguita a febbre intestinale batterica da Campylobacter jejuni, sostenendo che Alessandro sarebbe stato dichiarato deceduto prima della morte effettiva per insufficienza respiratoria, in quanto paralizzato, in coma o in stato di morte apparente.[247] Il corpo venne infatti esposto per sei giorni e non si decompose, e questo fatto fu considerato prova dell'origine divina del re. Tuttavia, questa sarebbe l'unica prova portata a sostegno della tesi.[244][248]

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Rappresentazione ottocentesca del corteo funebre di Alessandro, basata sulla descrizione di Diodoro Siculo
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Alessandro Magno nel fiume Cidno salvato dai suoi soldati, Metropolitan Museum of Art, New York.

Secondo le notizie di Flavio Arriano, noto anche come Arriano di Nicomedia,[249] Alessandro, già febbricitante, si ammalò per essersi bagnato nelle acque gelide del fiume Cidno: all'inizio parve riprendersi, ma poi morì probabilmente per una ricaduta di polmonite. Quinto Curzio Rufo descrive come ciò avvenne nella sua Historiae Alexandri Magni Macedonis, delineando i sintomi improvvisi di ipotermia che colpirono Alessandro dopo essersi immerso nel fiume.[250]

Dopo la morte

Il corpo di Alessandro venne sottoposto ad una procedura di imbalsamazione e poi, secondo Plutarco, alla mummificazione rituale dei faraoni egizi.[248][251] Secondo Quinto Curzio Rufo e Giustino, Alessandro, poco prima di morire, espresse la volontà di essere sepolto nel tempio di Zeus Amon nell’Oasi di Siwa. Il condottiero, infatti, considerandosi figlio dello stesso dio Amon, non avrebbe voluto essere sepolto accanto al suo vero padre, Filippo II di Macedonia, a Ege, nel sepolcro reale degli Argeadi.[252] Tuttavia, questo desiderio non fu esaudito.

Il luogo di sepoltura di Alessandro è stato oggetto di disputa:[253] oggi, si ritiene che il corpo mummificato di Alessandro, contenuto in un sarcofago d'oro massiccio, possa essere stato portato in Egitto da Tolomeo I nel 321 a.C., e sepolto inizialmente nella necropoli di Saqqara;[254] in seguito fu trasferito in un grandioso mausoleo, nella città da lui fondata, Alessandria d'Egitto (dopo lo spostamento della capitale da Menfi), centro del potere tolemaico. Esso sorgeva in un grande complesso oggi andato distrutto e fondeva elementi ellenistici ed egizi. Sono state ipotizzate diverse ubicazioni sotto l'attuale città, seguendo le descrizioni della posizione del mausoleo date da diversi storici antichi, come Strabone.[255] Esso era, secondo alcune testimonianze ispirato a quello di Alicarnasso.[256]

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Augusto alla tomba di Alessandro, Eugène Buland, musée d'Orsay.

Numerosi personaggi celebri dell'antichità, come Cesare e Augusto, resero nel tempo omaggio alla tomba di Alessandro, ma al tempo della caduta dell'Impero romano d'Occidente si erano perse le tracce della mummia. Alcuni archeologi, come Zahi Hawass, ritengono che il corpo del re macedone sia stato in seguito messo in salvo durante un'incursione barbara nei territori dell'Impero romano d'Oriente, o per sottrarla ad alcuni cristiani locali che volevano distruggerla (in quanto il rendere omaggio a Alessandro era considerato rito pagano), e si trovi quindi tra i numerosi corpi nella "valle delle mummie dorate", presso l'oasi di Bahariya (dove si trovano anche i resti di un tempio a lui dedicato).[257][258]

Nel 2014 una tomba con diverse sepolture ad Anfipoli in Macedonia (nell'odierna Grecia) è stata da alcuni identificata nella definitiva sepoltura di Alessandro, forse il luogo di una possibile traslazione dei resti del condottiero da parte dell'imperatore romano Caracalla (III secolo d.C.), ma si tratta di un'ipotesi controversa. La cosiddetta tomba di Kasta, probabilmente progettata per Alessandro, non fu mai usata per la sua scelta di non essere sepolto in Macedonia destinando il mausoleo di Anfipoli a cenotafio di Efestione (e forse in seguito vi fu sepolto il figlio Alessandro IV, che un tempo si riteneva inumato a Ege, o più probabilmente la madre Olimpiade[259][260][261][262]), oppure per il fatto che Tolomeo I si impadronì dopo poco della mummia portandola in Egitto.[263][264]

Secondo un ricercatore e giornalista del National Geographic, Andrew Chugg, sarebbe addirittura possibile che i resti del corpo di Alessandro si trovino sepolti a Venezia nella basilica di San Marco, in quanto le ossa del re macedone sarebbero state scambiate per errore durante il Medioevo con quelle del santo evangelista, e portate nella città italiana nel IX secolo.[248][265]

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Successione

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Una rara moneta di Tolomeo I; sul rovescio è raffigurato Alessandro trionfante su un carro trainato da elefanti, a ricordare il successo della campagna in India.

Alessandro ebbe due figli: Eracle di Macedonia,[266] nato nel 327 a.C. da Barsine (figlia del satrapo Artabazus di Frigia) e Alessandro IV di Macedonia, nato postumo nel 323 a.C. dalla moglie Rossane (figlia del satrapo Ossiarte di Battriana). Aveva anche numerosi amanti, tra i quali l'amico Efestione e Bagoas. Quando adottò la poligamia, sposò anche la figlia di Dario III, Statira II, e sua cugina Parisatide II. La prima era probabilmente incinta alla morte di Alessandro. Entrambe furono comunque fatte assassinare a Susa da Rossane quando il re morì, poiché intendeva assicurare la successione a suo figlio che doveva nascere.

Al morente Alessandro fu chiesto il nome di colui che aveva scelto come suo successore. Egli diede un'indistinta risposta nella quale qualcuno comprese il nome di Eracle (il figlio avuto da Barsine) e altri «tôi kratistôi»[267] (e cioè al migliore, al più capace).[268]

Subito dopo il suo decesso, ci fu la cosiddetta Spartizione di Babilonia, che vide contrapporsi due linee di successione: il figlio di Alessandro avuto dalla moglie Rossane, Alessandro IV, e il suo fratellastro Filippo III Arrideo. Poiché il primo era ancora in fasce e il secondo era infermo di mente, i generali dell'esercito macedone (Diadochi) elessero un reggente, Perdicca, successivamente accettato in modo formale dall'assemblea dei soldati. Eracle, ritenuto da molti non realmente figlio di Alessandro, fu immediatamente escluso e non prese parte alle rivendicazioni.[269]

Nel 322 a.C. Perdicca si scontrò con Tolomeo (uno dei Diadochi e satrapo d'Egitto, che si considerava fratellastro di Alessandro e Arrideo, in quanto presunto figlio illegittimo di Filippo II[270]), contro il quale mosse guerra e rimase ucciso.

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La divisione dell'impero di Alessandro: i regni dei Diadochi dopo la battaglia di Ipso (301 a.C.).

     Impero seleucide

     Impero tolemaico

     Regno di Lisimaco

     Regno di Cassandro I

Successivamente i Diadochi elessero come reggente il generale Antipatro, anche se questi non fu accettato da tutti. Ne nacque una guerra civile tra Antipatro e poi suo figlio Cassandro da una parte, e buona parte della famiglia reale argeade dall'altra, nel corso della quale trovarono la morte i familiari ancora in vita di Alessandro Magno, tra cui i due figli Eracle e Alessandro, la moglie Rossane, la madre Olimpiade, la sorella Cleopatra, fatti quasi tutti assassinare dal reggente o da suoi alleati, ma anche la cognata Euridice e il fratellastro Filippo III, fatti uccidere da Olimpiade. Successivamente i Diadochi si divisero ufficialmente l'impero, passando da satrapi a sovrani effettivi, e originando i primi quattro regni ellenistici (in seguito ulteriormente suddivisi nei secoli successivi), dove fu portata avanti la politica di Alessandro riguardo alla fusione tra costumi orientali e greci (un perfetto esempio fu il Regno indo-greco nato nel 180 a.C.). Estinta la linea maschile legittima della dinastia argeade nel 310 a.C., Cassandro (cognato di Alessandro in quanto marito di Tessalonica, figlia superstite di Filippo II), divenne re di Macedonia succedendo ad Alessandro IV. L'anno successivo Cassandro fece avvelenare Eracle, ponendo fine alla discendenza del condottiero. L'enorme territorio persiano passò invece a Seleuco, che nel 305 a.C. fondò l'Impero seleucide con diversi stati satelliti come il Regno greco-battriano, mentre Tolomeo divenne faraone d'Egitto e fondatore della dinastia tolemaica.

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Fonti storiche e leggenda

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Lo stesso argomento in dettaglio: Storici di Alessandro Magno.

Le fonti storiche su Alessandro sono piuttosto numerose. Conosciamo l'esistenza di resoconti a lui contemporanei, provenienti dallo storico di corte Callistene, dal generale Tolomeo, dall'architetto militare Aristobulo e da Clitarco di Alessandria; queste opere sono però andate tutte perdute.

I principali storici che successivamente trattarono delle sue vicende sono:

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La leggenda del Volo di Alessandro, decorazione della torre del duomo di Fidenza.

Ognuno offre una differente immagine del re macedone e, come dice Strabone, "tutti coloro che scrissero di Alessandro preferirono il meraviglioso al vero".

Alessandro divenne una leggenda mentre era ancora in vita ed episodi meravigliosi furono narrati già dai suoi contemporanei che avevano assistito alle sue imprese. Oggi il suo nome viene equiparato ai più grandi condottieri di ogni tempo, come Giulio Cesare, Gengis Khan e Napoleone.

Nel secolo successivo alla sua morte, i racconti leggendari sulla sua vita furono raccolti a Alessandria d'Egitto nel Romanzo di Alessandro, falsamente attribuito a Callistene (l'autore è a volte citato come pseudo Callistene). Questo testo ebbe grande diffusione per tutta l'antichità e il Medioevo, con numerose versioni e revisioni. In epoca tardo-antica venne tradotto in lingua latina e in siriaco, da qui poi divulgato in moltissime lingue, compreso l'arabo, il persiano, il malese[271] e le lingue slave.

È invece andata quasi completamente perduta la Alessandriade (Αλεξανδριάς), un poema epico scritto dal poeta Adriano e del quale è pervenuta una sola linea.

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Nella cultura di massa

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Letteratura

  • Il Romanzo di Alessandro è una raccolta di storie con elementi fantastici e leggendari, diffuse e popolarissime fin dall'antichità, sulla sua vita. Collegato ad esso è anche il poema cavalleresco Giuramento del pavone.[272]
  • Alexandros è un poemetto di Giovanni Pascoli pubblicato nel 1895 e incluso poi nei Poemi conviviali.
  • Lo scrittore olandese Louis Couperus scrisse il romanzo storico Iskander. De roman van Alexander den Groote, del 1920, su Alessandro dopo l'invasione dell'Asia. Basato largamente sugli storici Quinto Curzio Rufo, Arriano e Plutarco, vi racconta le condizioni psicologiche di Alessandro negli ultimi anni di vita.
  • Nel 1929, Klaus Mann pubblicò a Berlino presso la casa editrice Fischer, Alexander. Roman der Utopie.
  • Robert Payne pubblicò nel 1954 il romanzo Alexander the God, sulla sua vita.
  • Nel 1958, il francese Maurice Druon scrive il romanzo Alexandre le Grand.
  • Dal 1969 al 1981, la scrittrice britannica Mary Renault scrisse una trilogia di romanzi storici sulla vita del macedone: Fuoco dal cielo (sui suoi primi anni fino all'adolescenza), Il ragazzo persiano (sulla sua conquista della Persia, la spedizione in India, e la sua morte, raccontate dal punto di vista di Bagoa, un eunuco persiano ed eromenos di Alessandro) e Giochi funerari (sugli eventi seguiti alla sua morte). Alexandros appare anche in altri romanzi della Renault: brevemente in La maschera di Apollo; vi si allude in Le ultime gocce di vino e indirettamente in The Praise Singer. In aggiunta, Renault scrisse anche una biografia sul macedone: The Nature of Alexander.
  • Ivan Antonovič Efremov scrisse il romanzo storico Thaïs l'ateniese (1972) sulla vita dell'etera greca Thaïs, mentre segue Alessandro nelle sue campagne militari. Alessandro e Thaïs hanno una relazione amorosa nel romanzo.
  • Lo scrittore francese Roger Peyrefitte scrisse una trilogia su Alessandro, qui visto da erudito: La Jeunesse d'Alexandre (1977), Les Conquêtes d'Alexandre (1979) e Alexandre le Grand (1981).
  • Nel 1998, lo scrittore italiano Valerio Massimo Manfredi ha pubblicato la prima edizione della trilogia Aléxandros, che comprende Il figlio del sogno, Le sabbie di Amon e Il confine del mondo. Tali romanzi sono sempre stati pubblicati dalla Mondadori. Lo stesso autore, inoltre, ha pubblicato un saggio storico intitolato La tomba di Alessandro, che affronta le tematiche delle circostanze della sua morte, ubicazione della sua tomba e le sue volontà. Manfredi ha anche realizzato, per la trasmissione radiofonica di Rai Radio 2 "Alle Otto della Sera" un ciclo di 20 episodi riguardanti Alessandro Magno.
  • Nel 2007, lo scrittore spagnolo Javier Negrete ha pubblicato il romanzo Alessandro Magno e l'aquila di Roma. In Italia il romanzo è uscito 12 anni dopo, pubblicato da Newton Compton Editori.

Cinema e televisione

Baz Luhrmann aveva pianificato un film inconsueto su Alessandro Magno, con Leonardo DiCaprio, ma la realizzazione di Oliver Stone lo ha costretto a posticipare l'evento a data da destinarsi (il film avrebbe dovuto basarsi sulla trilogia di romanzi di Valerio Massimo Manfredi Aléxandros).[278][279]

Animazione

Musica

  • Il gruppo metal britannico Iron Maiden ha inserito una canzone intitolata Alexander The Great nel proprio album Somewhere in Time del 1986. La canzone, composta completamente dal bassista Steve Harris, incomincia con una citazione di re Filippo II e descrive la vita di Alessandro Magno attraversandone i punti principali: la nascita, le sconfitte inflitte a Persiani, Sciti e Egizi, le conquiste di Persepoli, Babilonia e Susa, la leggenda del "nodo gordiano", la diffusione dell'Ellenismo e la mancata marcia sull'India, non intesa come Stato moderno ma come regione che allora comprendeva, tra gli altri territori, anche il Pakistan;
  • Il musicista brasiliano Caetano Veloso ha incluso nel 1998 nel suo album Livro una canzone epica su Alessandro Magno intitolata Alexandre;
  • Roberto Vecchioni ha dedicato a Alessandro Magno la canzone Alessandro e il mare, inclusa nell'album Milady del 1989.
  • Nell'album Kokler (Roots) del gruppo turco dei Baba Zula, è presente una canzone dal titolo Iskender, dedicata a Alessandro. Oltre alla versione lunga, è stata inserita anche una versione dub, più corta;
  • L'album The Fourth Legacy, del gruppo metal Kamelot, comprende la canzone Alexandria, che si riferisce alla città omonima del macedone, intendendola come una rappresentazione concreta della mentalità e dei sogni del sovrano.
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Alecxandro M. come Re di Spade nei Tarocchi Sola Busca, Pinacoteca di Brera, Milano.

Giochi di carte

  • Già sul finire del Quattrocento, la figura di Alessandro fu inserita nelle carte da gioco francesi come Re di Fiori, con la didascalia ALEXANDRE, e in tal modo si è conservata fino all'Ottocento, quando presero piede nuove raffigurazioni.[280]
  • Nelle carte dei Tarocchi, il conquistatore macedone appare nel mazzo Sola Busca (oggi alla Pinacoteca di Brera) come Re di Spade, con la didascalia ALECXANDRO M.,[281] e nel mazzo Leber, anche qui come Re di Spade (oggi alla Biblioteca municipale di Rouen), con la didascalia ALEXANDER MAGNUS REX MACEDONICUS.[282]

Videogiochi

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Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

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