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opera di Diodoro Siculo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Bibliotheca historica (in greco antico: Βιβλιοθήκη Ἱστορική?, Biblioteca storica) è un'opera di storia universale scritta da Diodoro Siculo. Consisteva di quaranta libri, suddivisi in tre sezioni.
Biblioteca storica | |
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Titolo originale | Βιβλιοθήκη ἱστορική |
Manoscritto del XV secolo contenente la versione in latino di Poggio Bracciolini (Biblioteca Malatestiana, Cesena) | |
Autore | Diodoro Siculo |
1ª ed. originale | I secolo a.C. |
Editio princeps |
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Genere | raccolta |
Sottogenere | storiografia; geografia |
Lingua originale | greco antico |
Diodoro scelse il nome Bibliotheca in riconoscimento del fatto che stava assemblando un'opera composita da molte fonti. Gli autori da cui attinse, che sono stati identificati, comprendono Ecateo di Abdera, Ctesia di Cnido, Eforo, Teopompo, Geronimo di Cardia, Duride di Samo, Diyllus, Filisto di Siracusa, Timeo, Polibio e Posidonio.
L'immensa opera di Diodoro non è sopravvissuta integra: abbiamo i primi cinque libri e i libri dall'XI al XX. Il resto esiste solo in frammenti conservati in Fozio e negli estratti di Costantino VII Porfirogenito.
La prima data menzionata da Diodoro è il suo viaggio in Egitto durante la 180ª olimpiade (ovvero tra il 60 e il 56 a.C.). In quell'occasione fu testimone dell'ira di una folla che chiedeva la morte di un cittadino romano reo di aver ucciso accidentalmente un gatto, animale sacro agli egizi (Bibliotheca historica 1.41, 1.83).
Il dato storico più recente menzionato da Diodoro è invece la vendetta di Ottaviano sulla città di Tauromenion, colpevole di avergli rifiutato l'aiuto necessario ad evitare una sconfitta navale contro Sesto Pompeo attorno al 36 a.C. Poiché Diodoro sembra ignorare che l'Egitto divenne una provincia romana - il che avvenne nel 30 a.C. - è presumibile che abbia completato l'opera prima di quella data.
Diodoro dice di aver impiegato trent'anni per scrivere l'opera e di aver intrapreso molti viaggi rischiosi in Europa e Asia per le sue ricerche storiche, anche se la critica moderna ha posto sotto esame questa affermazione, avendo rilevato errori che un testimone oculare difficilmente avrebbe commesso.
Il generoso uso di pezzi scritti in cronache precedenti è la causa della dura opinione circa la Bibliotheca historica da parte dell'autore dell'articolo ad essa riservato nell'Enciclopedia Britannica del 1911:
Sulla stessa lunghezza d'onda sono stati altri studiosi più recenti. A Diodoro viene imputato soprattutto l'aver adattato i suoi racconti ad maiorem Graecorum gloriam ("per la maggior gloria dei Greci"), tanto che Alan B. Lloyd lo ha definito uno dei "due più affermati mentitori dell'antichità" (l'altro sarebbe Ctesia di Cnido).[1]
Più favorevole è il giudizio di Charles Henry Oldfather, che nell'introduzione alla sua traduzione di Diodoro scrisse:[2]
Il libro sull'Egitto è interessante soprattutto per essere uno dei primi ad aver accennato ad un metodo d'estrazione mineraria chiamato a fuoco, utilizzato per indebolire e far cedere rocce contenenti oro. Consisteva nell'accendere un fuoco di fronte alla roccia contenente l'oro grezzo, per poi gettarvi sopra dell'acqua: lo shock termico riduceva così la roccia in maneggevoli frammenti. Le condizioni di lavoro di allora erano molto dure, i minatori in prevalenza erano prigionieri di guerra o criminali. Una volta estratto, il minerale grezzo veniva sbriciolato manualmente e ridotto ad una polvere fine. Il passaggio finale consisteva poi nel lavare il minerale grezzo, per estrarvi la polvere d'oro e ciò richiedeva un flusso di acqua corrente. Questa doveva essere la parte più difficile da realizzare, visto che la gran parte delle miniere più ricche si trovava nella regione desertica della Nubia. L'attività mineraria in Egitto vantava una lunga e produttiva tradizione e la descrizione di Diodoro è una delle più antiche ad occuparsi di tale industria.
Diodoro viene anche menzionato da Plinio il Vecchio in quanto è un caso raro tra gli storici greci di semplicità nell'intitolare la propria opera.[3] Plinio, nel libro XXXIII della Naturalis historia, parlando di metodi minerari, menziona anche la tecnica a fuoco. E proprio questa tecnica rimase in voga anche nel Medioevo, a giudicare dalla descrizione fornitaci da Georg Agricola nel suo De re metallica, insieme alle relative illustrazioni. Prima dell'avvento degli esplosivi, era rischioso utilizzare la tecnica a fuoco sotto terra, a causa della tossicità dei prodotti scaturiti dalla combustione, in special modo il monossido di carbonio.
La riscoperta dell'opera avvenne per il tramite della traduzione latina di Poggio Bracciolini, limitata ai primi cinque libri e stampata postuma a Bologna nel 1472.
L'editio princeps del testo originale greco dei libri XVI-XX fu pubblicata a Basilea da Johannes Oporinus nel 1539, a cura di Vincentius Opsopoeus; quella completa degli altri libri sopravvissuti, compresi i pochi frammenti rimasti del libro XXI, da Henri Estienne a Ginevra nel 1559.
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