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L'apparato critico è la sezione dell'edizione critica dedicata a documentare lo stato della tradizione di un testo, dando conto delle scelte operate dall'editore nella costituzione del testo stesso.
L'apparato critico assolve due funzioni: innanzitutto, indica a chi legge i punti in cui il testo stampato è differente dalla tradizione manoscritta o dalle congetture di altri studiosi; inoltre, nel riportare in maniera precisa le varianti di un testo, l'apparato critico fornisce anche i mezzi necessari perché il lettore possa giudicare, criticandole o approvandole, le scelte dell'editore.
Mentre fino al XIX secolo l'apparato critico era posto all'inizio dell'edizione (normalmente già nell'introduzione) o alla fine (in un'appendice critica appositamente dedicata), dal XX secolo l'apparato critico è posto, normalmente, a piè di pagina ed è collegato al testo da rimandi numerici alle righe o a singole parole del testo.
L'apparato delle edizioni di testi dell'antichità è generalmente redatto in latino, anche se l'uso è sempre meno praticato nelle edizioni di opere medievali o moderne.
Ogni variante, oppure ogni dato riportato in apparato, deve essere sempre accompagnata dalla fonte, sia essa il manoscritto, o il papiro, o la fonte indiretta che la tramanda. Nel caso si tratti di una congettura, questa deve essere accompagnata dal nome di colui che l'ha formulata (per i filologi umanisti si usa il nome latinizzato, mentre per gli studiosi recenti si usa la trascrizione del nome nella lingua di origine).
Le abbreviazioni con cui sono indicati i manoscritti sono quelle riportate nello stemma codicum, normalmente inserito nell'introduzione, o, comunque, in assenza di stemma, nell'elenco delle abbreviazioni. A seconda della scelta personale dell'editore, le varianti sono separate dai due punti, da uno spazio, dai trattini verticali, da virgole.
L'apparato critico serve a:
L'apparato non riporterà dunque le varianti sicuramente espungibili per eliminatio codicum descriptorum.
L'apparato critico può essere positivo o negativo.
Secondo il significato originale della definizione, un apparato critico positivo documenta tutto il materiale delle varianti senza effettuare vagli semantici e riporta quindi anche varianti paleografiche o pertinenti alla scrittura più che al significato del testo; viceversa un apparato negativo, che si pone come priorità la leggibilità e la chiarezza, dovrebbe essere definito quell'apparato che elimina le varianti non pertinenti o non semantiche.
Di fatto, invece, si definisce apparato positivo quell'apparato che riporta la lezione adottata nel testo e la fa seguire dalle varianti; apparato negativo è invece quello che non mostra la lezione accolta nel testo, ma riferisce solo delle varianti.
Si riporta di seguito un paragrafo dall'Epistula 94 di Seneca, mettendo a confronto due edizioni critiche aventi la prima apparato critico negativo, la seconda positivo:
Leighton Durham Reynolds, Oxford 1965 | François Préchac Parigi 1962 |
---|---|
Magna pars sanitatis est hortatores insaniae reliquisse et ex isto coitu invicem noxio procul abisse. Hoc ut esse verum scias, aspice quanto aliter unusquisque populus vivat, aliter sibi. Non est per se magistra innocentiae solitudo nec frugalitatem docent rura, sed ubi testis ac spectator abscessit, vitia subsidunt, quorum monstrari et conspici fructum est |
Magna pars sanitatis est hortatores insaniae reliquisse et ex isto coitu inuicem noxio procul abisse. Hoc ut esse uerum scias, aspice quanto aliter unusquisque populus uiuat, aliter sibi. Non est per se magistra innocentiae solitudo nec frugalitatem docent rura, sed ubi testis ac spectator abscessit, uitia subsidunt, quorum monstrari et conspici fructum est |
coetu σ - noxia /Qη - vivet Qη - sollicitudo (solit- Q man. rec., R) innocentiae φ | et existo: ex et exito B ex isto Q // coitu BQ Auen. Buechler cetu q coetu dett. vulg.//noxio B: -ia Q //Vivat B : uibet Q //innocentiae solitudo B Schweinghaeuser : sollitudo [it ex icit] |
Da notare come gli spazi stretti di scrittura e la tradizione fortemente conservativa della critica testuale favoriscono ancor oggi la permanenza di tachigrafie e incisi in latino (man.rec., vulg. e molti altri) che possono essere di non agevole comprensione per il lettore estemporaneo.
Gli apparati critici si sono sempre scritti in latino, e a tutt'oggi la tendenza non dà segni di modificazione. Se la lingua latina è privilegiata per la sua sinteticità e tradizione, le tachigrafie degli apparati critici sono ulteriormente abbreviate in sigle convenzionali. Le più usate sono elencate di seguito:
seguito sempre da una sigla (ad es. "cod. Vict." = "codex Petri Victori") indica un codice scomparso le cui lectiones siano state trasmesse da edizioni degli umanisti o come note a margine in tali edizioni.
Al plurale si usano le seguenti abbreviazioni:
ad indicare il consensus reliquorum codicum in caso di adozione di lectiones minoritarie.
indica in particolari recensioni un gruppo di codici di datazione più recente le cui lectiones congetturali si presumano valide.
Per indicare i punti in cui un codice si interrompe o parte da un punto successivo all'inizio dell'opera si usano le seguenti abbreviazioni:
Mentre le prime due indicazioni sono seguite dalla sigla del codice di cui si sta riferendo, la terza indicazione è seguita dall'intervallo di testo mancante indicato in paragrafi o capitoli o versi.
si usa per indicare se
Le sigle che seguono possono riguardare due aspetti
È buona norma che un'abbreviazione verbale in questo caso sia scritta per esteso: per esempio del. N.N. va letto delevit o deleverunt → "N.N. ha(nno) cancellato, mentre delevi → "Ho cancellato" rende inequivocabile l'azione del recensore del testo.
Le correzioni, di mano del copista stesso o di mani successive possono essere indicate con varie convenzioni a seconda della tracciabilità del processo di correzione. In ordine di crescente pessimismo esse sono
Quanto agli interventi diretti ad alterare il testo per aggiunta, omissione o eliminazione, spostamento, si segnalano le seguenti aggiunte dal significato ambivalente a seconda che l'intervento sia antico o del revisore moderno:
Si usa quando si vuole indicare
Le aggiunte moderne frutto di congettura, così come le correzioni, andranno segnalate accostando ad esse il nome del loro autore in casi diversi dall'autore della revisione del libro su cui sono raccolte (che potrà all'occorrenza firmarsi ego). In bibliografia sarà indicata l'opera in cui compare la congettura o correzione accolta. Per le correzioni è più indicata la sigla
in caso di lacune limitate a poche lettere che si è tentato di colmare con una congettura
si usa quando l'editore ritiene importante segnalare che in uno o più testimoni vi è la lacuna di una lectio, di un brano, di una sezione più o meno vasta del testo. Le omissioni congetturali vanno invece scritte per esteso, mediante frasi come tria verba excidisse videntur ("si direbbe che tre parole siano cadute") o lacunam fere 5 litt. praebent codd. ("i codici presentano una lacuna di circa cinque lettere")
Le modalità per indicare le inversioni o dislocazioni di parti del testo sono diverse a seconda dell'entità e importanza delle parole coinvolte nel processo di copiatura: si va dall'espressione completa tipica degli apparati positivi,
all'uso delle iniziali delle parole invertite
ad una scrittura più esplicita come
cioè "nei codici DRSV Il copista ha invertito X e Y"
Questa scrittura è utile soprattutto quando le trasposizioni sono a distanza o disposte su due o più righe o versi.
indica parti esterne al testo dell'autore come glosse o indicazioni critiche antiche a lato del testo
indica le dittografie che si ritiene utile mettere in evidenza
Normalmente seguito dal nome dell'editore (utile per cinquecentine o edizioni antiche di rilevanza filologica, da presentare rigorosamente nell'introduzione al testo).
Qualora grazie a una esauriente introduzione non sorgano equivoci è possibile tacere l'abbreviazione usando direttamente il nome dell'editore. In casi particolarmente noti anche il nome dell'editore può essere abbreviato (ad esempio Bgk. = Bergk o Wil.=Wilamowitz-Moellendorff).
Abbreviazione che include tutti gli editori che abbiano accolto una congettura presentata in apparato.
Questa abbreviazione di uso inverso alla precedente, distingue una congettura delle edizioni antiche rispetto a un'altra presente nel testo o a una moderna accettata nel testo.
L'editio princeps non raramente si basa su testimoni perduti, accogliendone delle lectiones rilevanti non meno dei manoscritti anteriori ad essa. Anch'essa come nei casi precedenti può essere seguita dal nome dell'editore.
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