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filosofo e teologo britannico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Alcuino di York (Alhwin, Alchoin o, in latino, Albinus o Flaccus; York, 735 circa – Tours, 19 maggio 804) è stato un pensatore e teologo anglosassone, venerato come santo dalla Chiesa d'Inghilterra e come beato dalla Chiesa cattolica.
Beato Alcuino di York | |
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Rabano Mauro, accompagnato da Alcuino (al centro), nell'atto di presentare un libro all'arcivescovo di Magonza Autcario, (Vienna, Biblioteca Nazionale Austriaca, cod. 625 f. 1v.). | |
Monaco e teologo | |
Nascita | York, circa 735 |
Morte | Tours, 19 maggio 804 |
Venerato da | Chiesa cattolica (beato) e anglicana |
Ricorrenza | 20 maggio |
Alcuino fu uno dei principali artefici del Rinascimento carolingio: insegnò soprattutto grammatica e arti liberali, improntando il suo magistero a una pedagogia di tipo dialettico[1]. Fu consigliere di Carlo Magno.
Proveniente da una nobile famiglia della Northumbria, il suo luogo di nascita è questione controversa. Probabilmente, però, nacque a York o nelle immediate vicinanze. Mentre era ancora bambino, entrò nella scuola della cattedrale ivi fondata dall'arcivescovo Egberto. La sua attitudine presto attirò l'attenzione di Alberto, allievo di Egberto e maestro nella scuola, nonché quella dell'arcivescovo, che dedicarono particolare attenzione alla sua istruzione. Da giovane, in compagnia del suo maestro, fece numerose visite in continente e quando nel 767 Alberto subentrò nella sede di York il compito di dirigere la scuola fu naturalmente devoluto ad Alcuino.
Durante i quindici anni che seguirono si dedicò alla scuola di York attirandovi numerosi studenti e arricchendone la già preziosa biblioteca. Di ritorno da Roma, nel marzo 781, incontrò Carlo Magno a Parma. Qui fu invitato dal principe, che ammirava grandemente, a trasferirsi in Francia e stabilirsi a corte come "Maestro della Scuola Palatina". La scuola rimase ad Aquisgrana per la maggior parte del tempo, ma si mosse di luogo in luogo, seguendo la residenza reale. Nel 786, Alcuino ritornò in Inghilterra a causa, a quanto pare, di importanti affari ecclesiastici e nuovamente, nel 790, in missione per conto di Carlo Magno.
Nel 794, Alcuino partecipò al sinodo di Francoforte, dove ebbe una parte molto importante nella definizione dei decreti di condanna dell'Adozionismo nonché negli sforzi compiuti successivamente per la sottomissione dei recalcitranti prelati spagnoli.
Nel 796, dopo aver compiuto il suo sessantesimo compleanno, ansioso di ritirarsi dal mondo, fu nominato da Carlo Magno abate di San Martino a Tours. Qui, nella sua vecchiaia, ma con immutato slancio, si dedicò alla costruzione di una scuola monastica modello, raccogliendo libri e attirando studenti, come aveva fatto in precedenza a York e ad Aquisgrana; indicando, tra l'altro, ai suoi confratelli che «fodere quam vites melius est scribere libros», cioè che la via del sapere è migliore di quella dell'agricoltore cui indulgeva ancora una parte piuttosto ampia del movimento monastico. Dai re carolingi della Scuola palatina ricevette in dono cinque abbazie: Ferrières, Flavigny, Saint-Josse-sur-Mer, San Lupo a Troyes e Berge presso Liegi.[2][3]
Alcuino ebbe probabilmente un ruolo importante come consigliere di Carlo Magno nello storico incontro avvenuto a Paderborn nell’estate del 799 con papa Leone III, incontro durante il quale si stabilirono gli accordi per istituire il Sacro Romano Impero.
Poiché nelle sue lettere amava definirsi «Albinus, humilis Levita», alcuni studiosi sono convinti che Alcuino sia stato solo un semplice diacono, mentre altri suppongono che in età ormai avanzata sia diventato sacerdote. Il suo anonimo biografo, nel descrivere l'ultimo periodo della sua vita, dice che «celebrabat omni die missarum solemnia» Jaffé et al., Monunmenta alcuiniana, Vita, 30). In una delle sue ultime lettere, Alcuino accettava il dono di una casula, che prometteva di utilizzare nelle «missarum solemniis» (Epistola 203). È probabile che egli fosse un monaco benedettino, ma anche questo è contestato, e alcuni storici hanno supposto che fosse un membro del clero secolare, anche quando esercitava l'ufficio di abate a Tours.
Della sua opera di educatore e studioso si può dire, in generale, che si inquadrava per la maggior parte nel movimento per la rinascita degli studi che distinse l'età in cui visse e che rese possibile la grande rinascita intellettuale di tre secoli dopo. Con lui la scuola anglosassone raggiunse la massima influenza. La ricca eredità intellettuale lasciata da Beda il Venerabile a Jarrow fu ripresa da Alcuino a York e, attraverso le sue opere nel continente, divenne propria della civilizzata Europa.
Le influenze che Alcuino subì a York derivavano principalmente da due fonti: irlandese e continentale. Dal VI secolo in poi i monaci irlandesi furono impegnati a fondare scuole, chiese e monasteri in tutta Europa; e da Iona, secondo Beda, Aidan e altri missionari celtici portarono la conoscenza dei classici e la fede cristiana in Northumbria. Tuttavia, la scuola celtica contribuì solo indirettamente alla formazione di Alcuino. La forte caratterizzazione romana che aveva imbevuto la Scuola di Canterbury, fondata da Teodoro e da Adriano, inviati dal Papa in Inghilterra nel 669, si riproponeva naturalmente nella Scuola di Jarrow e da questa, a sua volta, nella scuola di York. L'influenza è ben visibile in Alcuino, sia sul lato religioso, per la sua adesione alla tradizione romana, sia sul lato intellettuale poiché la sua conoscenza del greco, materia prediletta dagli studiosi irlandesi, sembra essere stata molto approssimativa.
Una caratteristica importante del lavoro di educatore svolto da Alcuino a York fu la cura e la conservazione, nonché l'ampliamento, della sua preziosa biblioteca. Intraprese infatti molti viaggi attraverso l'Europa al solo scopo di copiare e raccogliere libri. Riunì intorno a sé anche numerosi allievi provenienti da tutte le parti d'Inghilterra e da tutto il continente europeo. Nel componimento Sui santi della Chiesa di York, scritto probabilmente prima di trasferirsi in Francia, ci ha lasciato una preziosa descrizione della vita accademica a York, insieme con un elenco degli autori presenti nella sua raccolta di libri. Il corso di studi abbracciava, secondo le parole di Alcuino, «le arti liberali e le sacre scritture», ovvero le sette arti liberali, che comprendevano il trivium ed il quadrivium, e lo studio delle Scritture e dei Padri della Chiesa per gli studenti più avanzati.
Una caratteristica della scuola che merita di essere citata era l'organizzazione degli studi di impronta moderna: gli studenti erano separati in classi, secondo gli argomenti e i soggetti studiati, con un insegnante per ogni classe. Ma fu solamente quando assunse l'incarico presso la Schola Palatina che le abilità di Alcuino risaltarono maggiormente. Nonostante l'influenza di York, in Inghilterra la cultura era in declino, il paese scosso da contrasti e da guerre civili, e Alcuino percepì nella crescente potenza di Carlo Magno e nel suo desiderio di sviluppo della cultura un'opportunità che neanche York, con tutta la sua preminenza, poteva offrire. Non rimase deluso. Carlo contava sull'educazione per completare l'opera di costruzione del suo impero e la sua mente era piena di progetti educativi.
Una rinascita letteraria, in realtà, era già incominciata. Ad Aquisgrana giunsero studiosi provenienti da Italia, Germania e Irlanda e, quando nel 782 Alcuino si trasferì presso Carlo Magno, presto, insieme con i giovani membri della nobiltà che era stato chiamato a istruire, si trovò circondato da un gruppo di studenti più anziani, alcuni dei quali erano considerati tra i migliori studiosi del tempo. Sotto la sua guida, la Schola Palatina divenne ciò che Carlo aveva sognato: il centro della conoscenza e della cultura per il regno e l'Europa intera. Carlo Magno stesso, la sua regina, sua sorella, i tre figli e le due figlie studiarono presso la scuola: un esempio che il resto della nobiltà non mancò di imitare. Il maggior merito di Alcuino quale educatore laico, tuttavia, non fu solamente la formazione di una generazione di uomini e donne, ma soprattutto l'ispirare, con la sua passione per l'insegnamento e l'apprendimento, giovani di talento che accorrevano a lui da tutte le parti.
Le sue opere sull'istruzione, che comprendevano i trattati Sulla Grammatica, Sull'Ortografia, Sulla retorica e le Virtù, Sulla Dialettica, la Disputa con Pipino, e il trattato astronomico intitolato De Cursu et Saltu Lunae ac Bissexto, offrono uno spaccato delle materie e dei metodi di insegnamento impiegati nella Schola Palatina e nelle scuole del tempo in generale, ma non sono rimarcabili né per originalità né per eccellenza letteraria. Essi sono, per la maggior parte, antologie, generalmente in forma di dialoghi, tratte dalle opere degli antichi studiosi ed erano probabilmente destinati a essere utilizzati come libri di testo dagli alunni.
Alcuino, come Beda, era un insegnante piuttosto che un pensatore, un produttore e un distributore piuttosto che un originatore di conoscenza e, in questo senso, la predisposizione del suo genio rispose perfettamente alle necessità intellettuali dell'epoca, che erano la conservazione e la rinascita al mondo dei tesori di conoscenza ereditati dal passato e a lungo nascosti. «Disce ut doceas» ("impara per insegnare") fu il motto della sua vita, e il valore supremo che dava all'ufficio dell'insegnamento è riconoscibile nell'ammonimento che impartiva sempre ai suoi discepoli: «chi non impara in gioventù, non insegna in vecchiaia» («Qui non discit in pueritia, non docet in senectute»). Anche vivendo nel mondo e quindi molto occupato negli affari pubblici, condusse una vita in completa umiltà; ebbe un infinito entusiasmo per lo studio e un instancabile zelo per il lavoro pratico in classe e in biblioteca.
La sua disponibilità e umanità lo resero universalmente amato e il vincolo che lega maestro e allievo si evolse spesso in un'intima amicizia che durò per tutta la vita. Molte delle sue lettere che si sono conservate furono scritte ai suoi ex allievi; di queste più di trenta erano indirizzate all'amato discepolo Arno, che divenne arcivescovo di Salisburgo. Prima di morire, Alcuino ebbe la soddisfazione di vedere i giovani che aveva preparato impegnati nell'opera dell'insegnamento in tutta Europa. «Ovunque - diceva Wattenbach parlando del periodo che seguì - in qualsiasi attività letteraria visibile, si può essere certi di trovare un allievo di Alcuino». Molti dei suoi allievi occuparono posizioni di prestigio nella Chiesa e negli Stati e prestarono la loro influenza alla causa della cultura, come il succitato Arno, arcivescovo di Salisburgo; Teodolfo, vescovo di Orléans; Eanbaldo, arcivescovo di York; Adelardo, il cugino di Carlo, che divenne abate di Corvey, in Renania Settentrionale-Vestfalia; Aldrich, abate di Ferrières, e Fredegiso, successore di Alcuino a Tours. Tra i suoi allievi a Tours fu anche il celebrato Rabano Mauro, che nella sua scuola a Fulda proseguì il lavoro intrapreso da Alcuino ad Aquisgrana e a Tours.
Lo sviluppo della Schola Palatina, tuttavia, per quanto importante, fu solo una parte dei grandi piani culturali di Carlo Magno. Per la diffusione della cultura, dovevano essere istituiti in tutto il regno altri centri educativi e per questo, in un'epoca in cui l'istruzione era così ampiamente sotto il controllo della Chiesa, era essenziale che il clero dovesse essere composto da uomini di cultura.
Con questo obiettivo bene in vista, furono emanati, a nome dell'imperatore, una serie di decreti o Capitolari, che imponevano a tutto il clero secolare e regolare, pena la sospensione dall'ufficio, la capacità di leggere e scrivere e il possesso delle cognizioni necessarie per l'intelligente esercizio delle funzioni imposte dallo stato clericale. Dovevano essere istituite scuole di lettura a beneficio dei candidati al sacerdozio e i vescovi erano tenuti a esaminare il loro clero di tanto in tanto per accertarne il grado di conformità con tali disposizioni legislative. Fu stilato anche un programma per l'istruzione elementare universale. Un capitolare dell'anno 802 stabiliva che «tutti avrebbero dovuto mandare il proprio figlio a studiare lettere, e che il bambino doveva rimanere a scuola con la massima diligenza fino a che non fosse stato ben istruito» (West, 54). In virtù dei decreti del Concilio di Vaison, in ogni città e villaggio doveva essere istituita una scuola in cui i sacerdoti avrebbero insegnato gratuitamente.
È impossibile stabilire in che misura Alcuino contribuì all'organizzazione di un così vasto sistema di istruzione basato su un'istituzione centrale, la Schola Palatina, un certo numero di scuole subordinate in cui si insegnavano le arti liberali sparse in tutto il Paese, e scuole per la gente comune in ogni città e villaggio. La sua mano non è percepibile in alcun provvedimento legislativo, ma non vi può essere alcun dubbio sul fatto che ebbe molto a che fare con l'ispirazione, se non con la definizione, di queste leggi. «La voce - dice giustamente Gaskoin - è la voce di Carlo, ma la mano è la mano di Alcuino»[4] Fu, comunque, anche su Alcuino e i suoi allievi che ricadde la responsabilità dell'applicazione delle leggi. È vero che le leggi furono applicate imperfettamente; le misure previste e parzialmente attuate per l'istruzione delle persone non furono un completo successo; il movimento per la rinascita e la diffusione della cultura in tutto l'Impero non giunse a buon fine, tuttavia molte cose erano destinate a durare nel tempo. «La saggezza accumulata o il passato, che aveva corso il pericolo di scomparire, era stato preservato e, quando diversi secoli più tardi, giunse una più grande e permanente rinascita culturale, le fondamenta gettate nell'VIII secolo erano ancora lì, pronte a sostenere il peso della più elevata cultura che gli studiosi della nuova rinascita avrebbero costruito» (Gaskoin, cit., p. 209).
Ai tempi di Alcuino l'insegnamento si fondava interamente sul quadrivium (geometria, aritmetica, astronomia e musica) e sul trivium (grammatica, retorica e logica). L'aritmetica, in particolare, si rifaceva sostanzialmente alla traduzione latina dell'opera di Nicomaco di Gerasa (II secolo d.C.) da parte di Boezio, mentre la geometria si fondava per lo più sulle nozioni di agrimensura che erano state ereditate dal mondo romano. In questo periodo, tuttavia, emerse un problema particolarmente caro agli ecclesiastici, che contribuì a mantenere vivo l'interesse verso la matematica: si tratta del cosiddetto problema del computus, ossia del calcolo della data della Pasqua, che, per la sua difficoltà, vide impegnati i più eminenti intellettuali del tempo. Già Beda il Venerabile aveva dato una soluzione al problema nel suo trattato De ratione temporum, in cui offriva anche un'utile esposizione del cosiddetto «calcolo digitale», cioè del calcolo eseguito con le dita delle mani. Alcuino, dal canto suo, mostrò un interesse meramente didattico nell'insegnamento della matematica. Nelle sue Propositiones ad acuendos juvenes, infatti, la maggior parte dei problemi sono del genere della cosiddetta «matematica ricreativa», che si prefigge lo scopo di migliorare le abilità mentali dei giovani lettori attraverso quesiti di varia difficoltà. Il più celebre dei problemi discussi da Alcuino è esposto nella Propositio 18, in cui si chiede come trasportare al di là della riva di un fiume un lupo, una capra e un cavolo senza danno:
«Homo quidam debeat ultra fluvium transferre lupum et capram et fasciculum cauli, et non potuit aliam navem invenire, nisi quae duos tantum ex ipsis ferre valebat. Praeceptum itaque ei fuerat, ut omnia haec ultra omnino illesa transferre. Dicat, qui potest, quomodo eos illaesos ultra transferre potuit.»
«Un uomo doveva trasportare al di là di un fiume un lupo, una capra e un cavolo e non poté trovare altra barca se non una che era in grado di portare soltanto due di essi. Gli era stato ordinato però di portare tutte queste cose di là senza alcun danno. Chi è in grado dica in che modo poté trasferirli indenni.»
Le Propositiones ad acuendos juvenes presentano problemi di aritmetica elementare e di geometria, nonché problemi risolvibili con il cosiddetto «metodo della falsa posizione», problemi di suddivisione di vettovaglie e di liquidi, problemi di acquisto e di vendita e problemi di inseguimento.
L'opera di Alcuino quale teologo può essere classificata come esegetica, morale e dogmatica. Anche in questo campo, il fine principale che perseguì fu quella della conservazione piuttosto che dell'originalità. I suoi nove commentari sulle scritture ("Sulla Genesi", "I Salmi", "Il Cantico dei Cantici", "l'Ecclesiaste", "i Profeti ebrei", "il Vangelo secondo Giovanni", "la Lettera a Tito", "la Lettera a Filemone", "la Lettera agli Ebrei", "i Detti di San Paolo" e "l'Apocalisse") consistono principalmente di frasi tratte dai Padri; l'idea, apparentemente, era di raccogliere in forma conveniente le osservazioni sui più importanti brani scritturali fatte dai migliori commentatori che lo avevano preceduto.
La sua più importante opera biblica fu, comunque, la revisione del testo della Vulgata. All'inizio del IX secolo, questa versione era diffusa in molte varianti, anche diverse dall'originale, in tutta Europa. Di fatto, l'uniformità nel testo sacro era sconosciuta. Ogni chiesa e monastero aveva le sue letture e spesso si trovavano testi diversi anche all'interno delle stesse strutture. Anche altri studiosi cercarono di porre rimedio a questa condizione. Teodolfo d'Orléans produsse un testo rivisto della Vulgata che è sopravvissuto nel Codex Memmianus. L'opera originale di Alcuino, però, non è giunta ai nostri giorni; la disattenzione di copisti e la vasta diffusione che raggiunse portarono a innumerevoli, anche se, per la maggior parte, di poco conto, variazioni dallo standard che aveva cercato di creare. Nelle sue lettere, Alcuino citava semplicemente il fatto che era stato incaricato da Carlo Magno in emendatione Veteris Novique Testamenti (Epistola, 136). A Tours, esistono quattro Bibbie che si pensa siano state preparate da Alcuino stesso o sotto la sua stretta supervisione, probabilmente tra il 799 e l'801, grazie a delle poesie di dedica che vi sono scritte. Secondo il parere di Berger tutte le "Bibbie di Tours " ricalcano in maggiore o minore grado, nonostante alcuni dettagli, l'originale testo di Alcuino (Hist. de la vulg., 242).
In ogni caso, qualunque fossero state le esatte modifiche apportate dal Alcuino al testo della Bibbia, il noto temperamento dell'uomo, non meno che i limiti degli studiosi dell'epoca, rendono certo che questi cambiamenti non furono di ampia portata. L'idea era, sicuramente, quella di riprodurre fedelmente il testo di San Girolamo e, per quanto possibile, di correggere i gravi errori che si erano tramandati nelle Sacre Scritture. Pertanto, da questo punto di vista, il lavoro di Alcuino fu molto importante.
Dei tre brevi trattati morali che Alcuino ci ha lasciato, due, il De virtutibus e vitiis e il De animæ ratione, sono in gran parte arrangiamenti delle opere di Agostino d'Ippona, mentre il terzo, Sulla Confessione dei Peccati, è una sintetica esposizione sulla natura della confessione, indirizzata ai monaci di San Martino di Tours.
Strettamente legati agli scritti morali, per spirito e finalità, sono le sue opere sulla vita di san Martino di Tours, San Vedasto, san Ricario di Centule[5] e san Villibrordo, quest'ultima una biografia di notevole lunghezza.
La fama di Alcuino come teologo, però, è dovuta principalmente alle sue opere dogmatiche. Avendo percepito l'atteggiamento sostanzialmente eretico di Felice ed Elipando sulla questione cristologica, un atteggiamento la cui eterodossia, inizialmente, era stato nascosta persino ai loro occhi dalla pretestuosa distinzione tra figli naturali e adottivi, Alcuino si erse a campione della Chiesa contro l'eresia adozionista. La condanna della nascente eresia da parte del Sinodo di Regensburg (792), avendo fallito nel controllo della sua diffusione, provocò la convocazione di un altro e più grande sinodo, composto dai rappresentanti delle Chiese di Francia, Italia, Gran Bretagna e Galizia, a Francoforte da parte di Carlo nel 794. Alcuino era presente a questo incontro e, senza dubbio, ebbe una parte di rilievo nel dibattito e nella stesura della Epistola Synodica, anche se, con la consueta modestia, nelle sue lettere non ne fornì mai alcuna prova. In base agli atti del Sinodo, Alcuino rivolse a Felice, del quale aveva alta stima, una toccante lettera di ammonimento e di esortazione, alla quale ricevette risposta dopo il suo trasferimento a Tours, nel 796. Nella missiva Felice faceva capire che sarebbe stata necessaria qualcosa di più di una supplica amichevole per fermare l'eresia.
Contro gli insegnamenti degli eretici, Alcuino aveva già redatto un piccolo trattato, consistente principalmente in citazioni patristiche, dal titolo Liber Albini contra haeresim Felicis, ma ora intraprese una più ampia e approfondita discussione delle questioni teologiche coinvolte. Questa opera, in sette libri, Libri VII adversus Felicem, era una confutazione delle posizioni adozioniste, piuttosto che l'esposizione della dottrina cattolica e, di conseguenza, seguiva la linea delle loro argomentazioni anziché un rigoroso ordine logico. Alcuino usava contro gli adozionisti l'universale testimonianza dei Padri, le incongruenze insite nella loro stessa dottrina, la sua logica relazione con il nestorianesimo, e lo spirito razionalista che era sempre pronto a chiedere spiegazioni umane per gli imperscrutabili misteri della fede. La disputa tra Alcuino e Felice ebbe luogo nella primavera del 799 nel palazzo reale ad Aquisgrana e si concluse con il riconoscimento da parte di Felice dei suoi errori e la sua accettazione degli insegnamenti della Chiesa. Felice, in seguito, rese una visita amichevole ad Alcuino a Tours.
Dopo aver cercato invano la sottomissione di Elipando, Alcuino redasse un altro trattato intitolato Adversus Elipandum Libri IV, incaricando della sua diffusione gli emissari che Carlo Magno aveva inviato in Spagna. Nell'802 inviò all'imperatore l'ultimo e forse il più importante dei suoi trattati teologici, il Libellus de Sancta Trinitate, un'opera in forma particolare, probabilmente suggeritagli durante le dispute con gli adozionisti. Il trattato contiene una breve appendice intitolata De Trinitate ad Fridegisum quaestiones XXVIII. Il libro è un compendio della dottrina cattolica sulla Trinità basato sulle opere di sant'Agostino.
Non è certo in quale misura Alcuino condivise gli atteggiamenti negativi assunti dalla chiesa franca, su incitazione di Carlo Magno, verso i mal tradotti e malintesi canoni del Concilio di Nicea del 787. Tuttavia, lo stile dei Libri Carolini, che condannavano, in nome del re, i canoni del concilio, porta a favorire l'ipotesi che Alcuino non abbia partecipato direttamente alla loro stesura.
Oltre alla giustamente meritata fama di educatore e di teologo, Alcuino ebbe l'onore di essere stato il principale agente nella grande opera di riforma liturgica operata da Carlo Magno. All'incoronazione di Carlo il rito più diffuso in Francia era quello gallicano, ma così modificato da tradizioni e usi locali da costituire un serio ostacolo all'unità ecclesiastica. Scopo principale dell'imperatore era quello di sostituire il rito romano a quello gallicano o, almeno, pervenire a una revisione tale di quest'ultimo da renderlo sostanzialmente uno con quello romano. La forte propensione di Alcuino verso le tradizioni della Chiesa romana, combinata con il suo carattere conservatore e l'autorità universale di cui godeva il suo nome, lo qualificavano per la realizzazione di un cambiamento che l'autorità regale in sé era impotente a realizzare.
La prima opera liturgica di Alcuino fu, probabilmente, un omiliario, una raccolta di sermoni in latino a uso dei sacerdoti. Un'altra opera liturgica di Alcuino consisteva in una raccolta di epistole da leggere la domenica e nei giorni di festa, dal titolo Comes ab Albino ex Caroli imp. praecepto emendatus. Prima della sua opera, i passi delle Scritture da leggere durante la Messa, spesso, erano indicati solo ai margini del Bibbie utilizzate; il Comes, invece, si basava sulla sequenza romana, avvicinandosi, in tal modo, a un'uniformità dei riti. L'opera di Alcuino che ebbe la più grande e duratura influenza in questa direzione, tuttavia, fu il Sacramentario, o Messale, che compilò basandosi sul Sacramentario Gregoriano, aggiungendovi parti da altre fonti liturgiche. Prescritto come messale ufficiale per la Chiesa Franca, presto venne comunemente usato in tutta Europa, contribuendo alla realizzazione dell'uniformità liturgica della Messa in tutta la chiesa occidentale. Altre opere liturgiche di Alcuino furono una raccolta di Messe votive, redatta per i monaci di Fulda, un trattato intitolato De psalmorum usu, un breviario per i laici e una breve spiegazione delle cerimonie battesimali.
Compose anche opere poetiche come la Oratio in nocte, De cuculo, Certamen Veris et Hiemis, De clade lindisfarnensis monasterii.
I componimenti poetici di Alcuino spaziano da brevi versi epigrammatici indirizzati ai suoi amici, o intesi come chiose per i libri, iscrizioni per chiese, altari, ecc, a lunghe storie in metrica di eventi biblici o ecclesiali. La più corposa è il "Poema de pontificibus et sanctis Ecclesiae Eboracensis" (dei pontefici e dei santi della chiesa di York), che consiste di 1657 esametri. I suoi versi raramente assursero al livello di vera poesia e, come per molti suoi contemporanei, spesso non riuscirono a conformarsi alle regole di qualità. La prosa, che anche se semplice e vigorosa, mostra qua e là un apparente disprezzo per i canoni accettati della sintassi.
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