Vivaro Romano
comune italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Vivaro Romano (U Juaru in dialetto vivarese), conosciuto ufficialmente come Vivaro fino al 1872,[4] è un Comune montano italiano di 153 abitanti (alla data del 01-01-2024) della Città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio, al confine con l'Abruzzo.
Vivaro Romano comune | |
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L'abitato di Vivaro Romano visto dai resti del Castello Borghese | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Lazio |
Città metropolitana | Roma |
Amministrazione | |
Sindaco | Beatrice Sforza (lista civica) dal 5-6-2016 |
Territorio | |
Coordinate | 42°06′02″N 13°00′27″E |
Altitudine | 757 m s.l.m. |
Superficie | 12,50 km² |
Abitanti | 153[1] (01-01-2024) |
Densità | 12,24 ab./km² |
Comuni confinanti | Carsoli (AQ), Oricola (AQ), Orvinio (RI), Pozzaglia Sabina (RI), Turania (RI), Vallinfreda (RM) |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 00020 |
Prefisso | 0774 |
Fuso orario | UTC+1 |
Codice ISTAT | 058113 |
Cod. catastale | M095 |
Targa | Roma |
Cl. sismica | zona 2B (sismicità media)[2] |
Cl. climatica | zona E, 2 855 GG[3] |
Nome abitanti | vivaresi |
Patrono | san Biagio |
Giorno festivo | 3 febbraio |
PIL procapite | (nominale) 16 504,55 € |
Cartografia | |
Posizione del Comune di Vivaro Romano nella città metropolitana di Roma Capitale | |
Sito istituzionale | |
Alla data del 1º gennaio 2024, sulla base della sua popolazione, è il Comune meno abitato della Città metropolitana di Roma Capitale e il terzo di tutta la Regione Lazio, dopo Marcetelli e Micigliano.[5]
Il Comune è arroccato su uno sperone di roccia chiamato Colle Gennaro,[6] propaggine del monte Croce (1.080 m s.l.m.) uno dei rilievi della catena dei monti Lucretili (o monti Lucretini), vicino al confine geografico orientale del Lazio con l'Abruzzo e la Provincia dell'Aquila e affacciato sulla vicina Piana del Cavaliere.
Il territorio comunale è caratterizzato per la presenza di numerose fonti sorgive, alla base della sua fondazione e usate ancora oggi per l'approvvigionamento idrico comunale.
Il territorio dell'attuale Comune di Vivaro Romano fu abitato dagli Equi sin dall'VIII secolo a.C. e proprio dalla storia di questo popolo con i vicini romani nasce l'abitato. Fu in particolare intorno al 302 a.C. che gli Equi, attaccata la colonia romana di Alba Fucens e provocando così uno scontro con la Repubblica Romana, si videro assoggettati alla neonata colonia di Carsioli (o Carseoli).[8]
Con la fondazione della colonia fa la comparsa per la prima volta il nome latino di Vivarium, per il quale esistono due possibili derivazioni: la prima deriverebbe dal significato del latino vivarium come luogo dove mantenere le bestie feroci,[9] ovvero come luogo dove si svolgeva l'intensa attività di allevamento che nutriva la colonia; la seconda e più accreditata deriverebbe dall'enorme quantità di fonti sorgive che arricchisce la zona di Vivaro Romano ancora oggi, tra cui la fonte di San Benedetto ('a Fonte 'e Santu Binjittu in vivarese) che Carseoli sfruttò con la costruzione di una grande acquedotto.[10]
Vivaro seguì quindi le vicissitudini dell'impero romano; dopo le invasioni barbariche divenne parte del longobardo Ducato di Spoleto. Intorno all'XI secolo entrò nei domini dell'importante Abbazia di Farfa; compare infatti per la prima volta in un documento dei Registri Farfensi come donazione all'Abbazia nel 1012 da parte di tale Transarico figlio di Mainfredo.[11] Tale possedimento fu confermato dall'imperatore Enrico VI di Svevia nel 1118.
Durante il feudalesimo sul paese si avvicendarono diverse signorie: dal XIV secolo spettò agli Orsini, che incominciarono la costruzione del castello nel 1440; a questi successero i Brancaleone intorno al 1474[12], i Cenci, i Vitelli, i Ceuli. Da un documento del novembre 1525 risulta che il signore di Vivaro, Alimonte Brancaleoni, difese con successo il suo privilegio sul paese in una complicata controversia ereditaria contro i Cherubini e i Coppari. In seguito a tali eventi gli abitanti del borgo si costituirono in communitas o universitas, cercando di mantenere la loro indipendenza dai signori del castello, forma associativa che dura ancora oggi grazie all'università agraria, costituita in modo ufficiale nel 1907.[13]
Il 17 novembre 1609 Papa Paolo V Borghese acquistò il feudo a vantaggio del nipote Marcantonio II Borghese, figlio di Giovanni Battista Borghese, principe di Vivaro, segnando la trasformazione del feudo in un Principato.[14][15]
Nel 1656 il borgo fu duramente colpito dalla pestilenza, tanto che da una popolazione di 600 persone circa si arrivò a 182 vivaresi[16] con una mortalità di quasi il 70%.[17]
Con l'inasprirsi dei rapporti tra lo Stato Pontificio e Napoleone, Vivaro fu coinvolta negli eventi legati alla fuga del Papa e la neonata Repubblica Romana, una delle repubbliche sorelle filo-francesi. Contro di questa Vivaro iniziò una resistenza, dopo l'uccisione nella vicina Macchia del Sèsera di un componente del corpo d'insorgenti;[18] guidata dal fabbro-ferraio Mastro Lavinio Ferruzzi,[19] al quale è oggi dedicata una delle vie principali del borgo, gli insorgenti si asserragliarono nel castello; attaccati dall'esercito francese più volte e presi dalla fame, alla fine la popolazione fu ospitata dalla vicina comunità di Vallinfreda mentre i volontari rimasti, 25 uomini capitanati dal fabbro,[18] resistettero fino a venire sopraffatti dall'esercito francese.[20]
A seguito di questi eventi, gli stessi abitanti di Vivaro decisero di distruggere completamente il castello vendendone i materiali, tanto che il Principe all'epoca titolare della proprietà, Marcantonio IV Borghese, se ne lamenta in una notifica ufficiale del 6 luglio 1799.[12][21]
Con la Restaurazione seguita al Congresso di Vienna, Papa Pio VII Chiaramonti elevò il borgo a Comune,[22] sembra come compenso per la resistenza opposta dai vivaresi all'esercito dei francesi.
A metà dell'Ottocento, Vivaro fu ovviamente attraversata dal movimento del Risorgimento italiano, tanto che accolse per qualche giorno i volontari di Giuseppe Garibaldi dopo gli esiti della battaglia di Mentana, quando Parroco e Priore del Comune era Camillo di Pietro padre del futuro Cardinale Angelo Di Pietro.[22] Alla guida della comunità vivarese si pose Gio. Giacomo Cerini che viene ricordato per aver innalzato l'Albero della Libertà e poi divenuto anche parte della Giunta provvisoria comunale, presieduta da Giuseppe Mazzetti.[23]
Nel 1902 il Cardinale Angelo di Pietro, vivarese di nascita, affrancò il Comune di Vivaro dal debito che ancora aveva nei confronti dei Borghese, prendendo tutti i possedimenti dell'ex feudo e lasciandoli ai vivaresi stessi che ancora oggi lo amministrano attraverso l'università agraria.[24]
Lo stemma e il gonfalone del Comune sono stati concessi con il Decreto del Presidente della Repubblica del 28 maggio 2010.[25]
«D'oro, al cespo di rose canine di verde, fiorito di nove di azzurro, gli steli accollati in punta dalla vipera di verde, allumata e linguata di rosso, con la testa in banda e la coda in sbarra poste a destra. Sotto lo scudo, su lista bifida e svolazzante, d'oro, la scritta in lettere maiuscole, di nero: communitas vivarii 1807. Ornamenti esteriori da Comune.»
Il gonfalone è un drappo di verde con la bordatura di giallo.
La rosa canina è un fiore tipico delle montagne della zona. L'immagine di una vipera può essere collegata all'errata interpretazione dell’origine del nome del paese quale corruzione di Viprarius, ossia "paese delle vipere".[26]
È la chiesa principale di Vivaro Romano,[27] frutto di una ricostruzione totale avvenuta nel 1910 sulla chiesa medioevale precedente. Nei documenti storici appare per la prima volta nel 1505, nella nota delle Decime che la chiesa doveva al Vescovo di Tivoli,[28] tuttavia si ritiene probabile la sua esistenza sin dai tempi dell'incastellamento del Castrum.
Il culto a S. Antonio di Padova è presente nel paese sin dal 1609,[29] con un'immagine all'altare della Madonna nella chiesa parrocchiale di San Biagio. La chiesa votiva tuttavia è molto più recente e la sua costruzione fu promossa dalla fratellanza dedicata al Santo, presente nel paese almeno dal 1896, con inizio dei lavori il 29 agosto 1928 e benedizione il 30 giugno 1929. La cappella è estremamente semplice, grande 6x5 metri e dotata sui lati di grandi finestre per permettere di seguire le funzioni religiose anche rimanendo all'esterno. Un grande lampadario in ferro battuto pende dal soffitto e una nicchia nella parete di fondo ospita la statua del Santo.
Di fondazione incerta, da ricercare nel XIII secolo,[30] dato che il santuario viene citato per la prima volta nel 1282 in una bolla papale, sorge sul colle di Santa Maria a 3 km dal paese ed era legato alla presenza di un piccolo convento, abolito intorno al 1653 con il Decreto della Sacra Congregazione, relativo alla soppressione dei piccoli conventi.[30]
Il culto dell'Illuminata è legato a una leggenda miracolosa, secondo la quale il dipinto fu trovato da un pastore richiamato da una luce sfolgorante - da cui l'appellativo Illuminata;[31] riportato al paese, il dipinto venne miracolosamente ritrovato per due volte nel luogo della scoperta, segno che quello doveva essere il luogo della sua definitiva dimora.
A ricordo di tale evento si è storicamente svolta una processione, in passato il 5 agosto durante la mattina che nel 1962 il parroco Don Angelo Matini convinse a spostare alla sera della vigilia,[32] con fiaccole e torce che dal Santuario accompagna la Madonna in Paese.
Intorno agli inizi del XX secolo il Santuario fu sottoposto a un restauro complessivo per merito del Cardinale Angelo Di Pietro[33] ed è durante un restauro del dipinto che fu portato alla luce sotto l'immagine seicentesca della Vergine Maria un'immagine molto più antica.
A seguito di un furto avvenuto intorno agli anni '80 fu creata una copia del dipinto, che prese il posto del dipinto trafugato.
L'amministrazione comunale nel 1911 fece ricostruire il grande fontanile monumentale di acqua pubblica come servizio agli abitanti in luogo del precedente fontanile fatto costruire intorno alla metà del XIX secolo.[34] Si compone di un abbeveratoio e una lunga panca in pietra con in alzato lo stemma comunale e una targa a ricordo dell'evento.
Conosciuto con il nome di Mola, trattasi di un antico mulino della famiglia vivarese De Angelis costruito nella seconda metà del 1800, funzionante fino ai primi anni del secondo dopoguerra e oggetto di un restauro conservativo nel 2024 nell'ambito del PNRR italiano.[35]
Particolarmente interessante a livello locale per il suo sistema di funzionamento: le macchine utili alla macinazione delle granaglie erano infatti azionate grazie all'energia cinetica verticale dell'acqua, che dalla fonte sorgiva di San Benedetto passa come ruscello ad alimentare un bacino artificiale – la Refòta in dialetto locale – posizionata accanto al mulino e a una quota più alta di circa 3 metri; dal bacino artificiale le macchine venivano azionate lasciando muovere l'acqua con un movimento "a cascata".[36][37]
Appartenente alla stessa famiglia De Angelis, è situato a valle del primo mulino, a quota 590 m s.l.m., lungo lo stesso ruscello,[38] in modo da sfruttarne lo stesso meccanismo. Anche questo oggi non è più utilizzato anche se la località dove si trova viene chiamata ancora oggi con il nome del mulino.
La presenza di un primo castello va fatta risalire ai tempo del Regno Longobardo, anche se compare per la prima volta solo nel 1012, come proprietà della potente Abbazia di Farfa[39] e risulta distrutto intorno al 1048. Quando Vivaro entra a far parte delle proprietà della famiglia Orsini risulta ricostruito e allargato, con la costruzione delle mura difensive per l'abitato, un palazzo baronale e all'interno di questo una cappella a S. Michele. Intorno al XVII secolo, durante il Principato della famiglia Borghese, il castello viene arricchito di un portale d'ingresso che ne sancisce la mutata funzione, da infrastruttura militare a palazzo nobiliare, anche se sarà di nuovo utilizzato a scopo difensivo durante un'insorgenza civile nel 1799 a seguito del quale gli stessi abitanti di Vivaro decisero di distruggerlo completamente.
Oggi ospita il piccolo museo locale Castrum Vivarii ed è utilizzato per lo svolgimento di eventi, nonché come grande giardino al centro dell'abitato.
Evoluzione storica | ||
Anno | Popolazione | Fonte |
1656 | 182 | [17] |
1681 | 439 | [40] |
1982 | 242 | [41] |
1985 | 199 | |
1995 | 244 | [42] |
2005 | 199 | [43] |
2006 | 211 | |
2010 | 194 | |
2015 | 171 | |
2020 | 156 | [44] |
Abitanti censiti[45]
Secondo i dati ISTAT[46] al 31 dicembre 2023 la popolazione straniera residente era di 13 persone di cui 6 maschi e 7 femmine. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano al 31 dicembre 2015:[47]
Costituitasi in modo ufficiale con verbale di atto firmato il 19 settembre 1907,[13] l'università agraria di Vivaro Romano amministra e gestisce il dominio collettivo destinato ad uso pubblico di circa 978,96 ha,[48] di cui il 56% circa destinato a pascolo e coltivazioni e il restante di tipo forestale, con boschi di castagno, cerro, orniello, carpino nero e roverella. Ha la sua sede in vicolo della Paglia 4, in prossimità della piazza del paese ed è dotata di uno proprio stemma, costituito come si legge nello statuto:[49]
«Da uno scudo con all'interno un aratro sormontato da una zappa, una falce, una vanga, tenuti insieme da un fiocco tricolore.»
A Vivaro Romano è presente la sola chiesa parrocchiale di San Biagio, facente parte della quarta vicaria della diocesi di Tivoli.[50] Sono presenti poi un Santuario dedicato a Maria Santissima Illuminata e una piccola chiesa votiva a Sant'Antonio Abate all'entrata principale del paese.
Risultano attive quattro confraternite:[51]
Il reddito pro capite medio dichiarato nel 2022 fu di 16.608 euro,[52] in aumento del 16,67% rispetto alla media di 14.235 euro del 2016.[53] Il 50% della popolazione dichiarava meno di 15.000 euro, mentre il 40,6% si poneva tra i 15.000 e i 26.000 euro; solo il 9,4% dichiarava un reddito medio tra i 26.000 e i 55.000 euro.
È presente una piccola biblioteca comunale, non facente parte di alcun circuito provinciale né regionale, sito all'entrata dell'abitato e composto di una sala lettura e cinque postazioni per lo studio.[54]
Attualmente non sono più presenti scuole attive, causa lo spopolamento progressivo dell'abitato e la mancanza di bambini; in passato erano presenti: un asilo nido, oggi in disuso; la scuola materna di via dei Piani, oggetto di una ristrutturazione complessiva per essere trasformato in un polo civico e spazio di coworking[55] e una scuola elementare divenuta una casa per ferie comunale intitolata a Ippolito Cortellessa.
Anticamente il Castrum era caratterizzato dalla presenza di quattro portali d'ingresso: Porta Colle Gennaro, Porta Lancia, Porta Paola e Porta Nova[58] i cui nomi comparivano anche nei nomi delle vie, come via di Porta San Gennaro (oggi via di Mastro Lavinio) o le persistenti via di Porta Paola e via di Porta Nuova.
L'impianto dell'abitato ancora all'Unità d'Italia presentava le caratteristiche del fenomeno dell'incastellamento medioevale: il tessuto edilizio concentrato completamente intorno al castello e alla chiesa, lasciando la maggior parte del territorio all'agricoltura, principale se non unica fonte di sostentamento.
Gli sviluppi più importanti del borgo si devono rintracciare a partire dal XX secolo, tanto che ancora oggi un raffronto tra il Catasto Gregoriano (1858) e le mappe contemporanee mostrano come l'abitato sia rimasto pressocché lo stesso fino a quel momento:
Nel secondo dopoguerra l'odonomastica del paese fu toccata dalla volontà di onorare figure storiche vivaresi o cittadini caduti in guerra. I nomi antichi di alcune vie, basati su elementi storici o elementi naturali, furono abbandonati e comparvero così via Mastro Lavinio (già via di Porta San Gennaro), via Riccardo di Pietro, via Antonio Sforza, Largo Cardinal di Pietro, via Ascenzio Falchi, via Giovanni de Angelis.
Il Piano Regolatore Generale comunale fu adottato dal Consiglio Comunale con deliberazione n.51 del 27 luglio 1986.[59]
Numerose sono le località e i toponimi di Vivaro:
Vivaro Romano non è servito direttamente da una stazione ferroviaria. La linea più prossima è la ferrovia Roma-Sulmona-Pescara che collega il Comune con i maggiori centri del Lazio e dell'Abruzzo attraverso le tre più vicine stazioni:
Il Comune è servito da navette bus Cotral che collegano l'abitato sia alle linee dello stesso gestore che attraversano la SS5 Via Tiburtina Valeria in direzione Roma e/o i Comuni dell'Abruzzo, sia al Comune di Carsoli, dov'è presente la stazione della linea ferroviaria Roma-Pescara.
Mandato | Nominativo | Partito | Coalizione | Affluenza | Note | ||
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Inizio | Fine | ||||||
Sindaci eletti dal Consiglio Comunale (1946-1993) | |||||||
29 luglio 1988 | 7 giugno 1993 | Gino Cortellessa | Partito Socialista Italiano | PSI-PR-DC-PDS-Lista verde | [60] | ||
Sindaci eletti direttamente dai cittadini (dal 1993) | |||||||
7 giugno 1993 | 26 aprile 1997 | Gino Cortellessa | Partito Socialista Italiano | PSI-DC-PDS-Indipendenti | 78,93% | [61] | |
27 aprile 1997 | 12 maggio 2001 | Lista civica di centro-sinistra | 80,37% | [62] | |||
13 maggio 2001 | 27 maggio 2006 | Gaetano Cerini | Lista civica | 87,03% | [63] | ||
28 maggio 2006 | 14 maggio 2011 | 90,48% | [64] | ||||
15 maggio 2011 | 4 giugno 2016 | Francesco Mezzaroma | Lista civica Rinnovamento | Liste civiche | 87,43% | [65] | |
4 giugno 2016 | 2 ottobre 2021 | Beatrice Sforza | Lista civica Vivere Vivaro | 87,27% | [66] | ||
3 ottobre 2021 | in carica | Lista civica Vivere Vivaro Insieme | 80,38% | [67] |
Repubblica Romana
Dal 15 febbraio 1798 al 19 settembre 1799, durante la prima Repubblica Romana sorta nella scia della Rivoluzione francese, in base all’art. CCCLXVIII della Costituzione della Repubblica Romana[68] il generale Louis Alexandre Berthier dell’Armée d'Italie con il proclama n.139 attribuì Vivaro al Cantone di Riofreddo, appartenente al Dipartimento del Tevere,[69] nominando edili aggiunti i vivaresi Flaviano e Biagio Ferruzzi.
Stato Pontificio
Dal 1816 al 1870 il Comune fu parte della Comarca di Roma, suddivisione amministrativa dello Stato Pontificio, facente parte del distretto di Tivoli, governo di Arsoli.
Regno d'Italia
Dal 1870, in seguito alla presa di Roma e conseguente caduta dello Stato Pontificio, il Comune passò nella Provincia di Roma - fino al 1927 come parte del Circondario di Roma abolito poi dalle riforme amministrative fasciste.
Con il Regio Decreto 1114/1872, emanato il 25 novembre 1872 ed entrato in vigore il 01 gennaio 1873[4], a seguito della deliberazione del Consiglio Comunale votata il 1° novembre 1872,[70] il Comune assunse l'attuale nome di Vivaro Romano, in luogo del precedente Vivaro.
Repubblica Italiana
Al referendum istituzionale del 1946 nell'ambito della nascita della Repubblica Italiana, i vivaresi votarono in maggioranza per la Monarchia, con 376 voti su 516 votanti - una maggioranza del 77,69% - e un affluenza del 90,69%,[71] in linea con i risultati della Circoscrizione Roma-Viterbo-Latina-Frosinone di cui Vivaro Romano faceva parte.[72] Per l'Assemblea Costituente il partito maggiormente votato fu la Democrazia Cristiana con 283 voti (61,39%) su 569 elettori e 516 votanti (un affluenza del 90,69%); il Fronte dell'Uomo Qualunque raccolse 67 voti (14,73%); il PSIUP 60 voti (13,02%); pochi voti raccolsero il Blocco Nazionale della Libertà con 13 voti (2,82%), il PRI con 11 voti (2,39), il PCI con 7 voti (1.52%) e i monarchici con 4 voti (0,87%).[73]
Nel 2015 entra a far parte della Città metropolitana di Roma Capitale, ente sostitutivo della vecchia Provincia di Roma.
Fa inoltre parte delle organizzazioni sovracomunali:
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