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mito medioevale di origine Celtica del Ciclo Bretone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La storia di Tristano e Isotta è probabilmente uno dei più famosi miti arturiani nati durante il Medioevo. Benché espressione dei temi più noti dell'amor fol,[1] esso fu popolarissimo e continua tuttora a ispirare le opere più disparate: la sua origine è celtica, ma le prime redazioni sono state realizzate da poeti normanni.
Tristano, figlio di Rivalen perde entrambi i genitori in età giovanile. Secondo alcune teorie, infatti, l'etimologia del nome ("triste") rimanderebbe alla morte di parto della madre di Tristano. Lui infatti è stato cresciuto dallo zio, re Marco di Cornovaglia, presso la corte Tintagel in Cornovaglia. Diventato un giovane guerriero, Tristano parte per l'Irlanda per cercare di sconfiggere il mostro Morholt, fratello del re d'Irlanda e zio d'Isotta, che ogni anno chiede come tributo il sacrificio umano di 300 ragazzi e ragazze. Nonostante riesca a uccidere il gigante, Tristano resta ferito a causa della spada avvelenata utilizzata da Morholt. Torna nuovamente in Cornovaglia dallo zio Marco, ma non riuscendo a guarire in seguito alle complicazioni della ferita chiede di essere posto su una piccola barca solo con la sua arpa.
Sbarca dunque sulle coste dell'Irlanda, dove viene accolto e curato da Isotta la Bionda, che, pur non conoscendo il suo vero nome dal momento che Tristano si presenta col nome Tantris (anagramma di Tristan), si prende cura di lui. Tristano, una volta guarito, torna a Tintagel. Pressato a sposarsi per garantire al trono una successione, re Marco decide di prendere in moglie colei cui appartiene un capello d'oro portato da un uccello sulla sua finestra. Tristano, consapevole del fatto che quel capello biondo appartiene a Isotta, parte per l'Irlanda. Il padre d'Isotta, nel frattempo, decide di dare in sposa sua figlia a colui che avesse sconfitto e ucciso un terribile drago. Tristano riesce nell'impresa e Isotta riconosce in lui l'assassino dello zio, dal momento che alla spada di Tristano manca una parte della lama, trovata interamente nel cranio di Morholt.
Rinuncia tuttavia a vendicarsi e accoglie la richiesta di sposare re Marco per sanare le rivalità tra i due regni; s'imbarca dunque con Tristano verso la Britannia. Intanto la regina d'Irlanda affida all'ancella Brangania il compito di preparare un filtro magico, da far bere ai due sposi la notte delle nozze.
Durante la navigazione, però, Brangania dà per errore il filtro magico a Tristano per placare la sua sete e quest'ultimo, successivamente, lo offre a Isotta. Un'altra versione della storia dice che una pietra magica li fece innamorare. I due cadono così preda dell'amore. Isotta sposa comunque Marco, facendosi sostituire da Brangania per la consumazione del matrimonio.
Seguono mesi di amori clandestini, di trucchi e menzogne, durante cui i due innamorati rischiano costantemente di essere scoperti dai baroni invidiosi. Un nano malvagio, buffone del re, tenta di farli cogliere sul fatto durante un loro appuntamento notturno nel verziere, ma Tristano si accorge della presenza del re nascosto tra le fronde di un pino e riesce ad avvertire Isotta, che inscena un dialogo del tutto innocente. Scoperti e condannati a morte, i due riescono a fuggire e si rifugiano nella foresta del Morrois. Scoperti dal re Marco, Tristano viene esiliato e decide di tornare nella sua terra natale, il Sudgalles, dove resta un anno. Non sopportando di vivere lontano dalla sua amata, torna nuovamente in Cornovaglia e si rifugia nella foresta.
Durante il suo soggiorno, gli giunge voce che tutti i cavalieri sono stati convocati presso la corte di Tintagel, così Tristano pensa che la regina Isotta dovrà necessariamente percorrere quella strada per recarsi alla corte e decide di lasciarle un indizio incidendo il suo nome su un ramo di un albero di nocciolo. Isotta, molto scaltra e abituata a simili sotterfugi, nota la presenza del bastone e, dopo essersi allontanata dal corteo, si ricongiunge finalmente col suo amato. Dopo quest'episodio, Tristano si reca nuovamente nel Galles, dove sposa Isotta dalle Bianche Mani, con cui tuttavia non consuma il matrimonio dal momento che l'amore provato per Isotta la Bionda gli impedisce di unirsi fisicamente con la rispettiva moglie.
Nel frattempo l'innocenza della regina è continuamente messa in dubbio dai baroni malvagi, inducendola a reclamare un'ordalia. Tristano si reca alla cerimonia travestito e aiuta la regina. Più volte ancora Tristano si reca segretamente in Cornovaglia travestito. Una volta l'accompagna il cognato Caerdino (Kaherdin), che offeso per l'ingiuria fatta da Tristano alla sorella (non aveva consumato il matrimonio con Isotta dalle Bianche Mani) vuole vedere coi suoi occhi la bellezza di Isotta la Bionda e l'intensità del suo amore. I due così fanno pace e Caerdino si proclama amante dell'ancella della regina Isotta la Bionda.
Ferito gravemente durante una spedizione, Tristano capisce che solo Isotta la Bionda può guarirlo e la manda a chiamare, chiedendo che vengano messe vele bianche alla nave con cui verrà se lei accetta di venire e nere se si rifiuta. Ella accetta, ma la sposa di Tristano, avendo scoperto il loro amore, gli riferisce che le vele sono nere. Credendosi abbandonato da Isotta, Tristano si lascia morire. La donna, arrivata troppo tardi presso di lui, muore di dolore a sua volta. Pentita per le conseguenze tragiche della sua menzogna, Isotta dalle Bianche Mani rimanda i corpi in Cornovaglia, facendoli seppellire insieme.
Alcune fonti parlano di un re pitta di nome Drust o Drostan, dal significato di "impetuoso", figlio di Talorc, vissuto in Scozia intorno all'anno 780. Tra l'VIII e il IX secolo, e cioè durante l'epoca carolingia, al nome di questo re fu collegata la leggenda di un eroe che avrebbe liberato dal tributo umano un paese lontano, venendo ricompensato con la mano della principessa. Un nome simile, Drystan o Trystan, compare in alcune triadi gallesi: qui l'eroe è amante della regina Essylt, moglie di March (in bretone "cavallo"), figlio di Meirchiawn.
A queste due testimonianze si possono aggiungere altre influenze, questa volta sul piano letterario, riguardo a un paio di Mabinogion, sempre originarie del Galles, che fanno menzione di Marco e Tristano; un aithed del folklore irlandese poi narra la storia di Gráinne e Diarmaid: Gráinne era moglie del capo clan e gettò un incantesimo sul nipote Diarmaid per costringerlo a fuggire nei boschi insieme a lei, diventando amanti. Dalla Bretagna invece deriverebbe il motivo della lotta contro il drago, tipico nelle fiabe di tradizione orale.
Altri critici hanno identificato un'ulteriore fonte del mito nella leggenda irlandese di Deirdre e Naisi.
Anche se la fonte primaria del mito è legata alle leggende celtiche, si possono comunque stabilire delle relazioni coi romanzi antichi. Vi sarebbe legato in particolare il romanzo di Tommaso d'Inghilterra,[2] dal momento che le sue caratteristiche più originali rispetto alla versione comune di Béroul,[2] come la grande presenza di monologhi e di commenti del narratore, sembrano derivare dalla materia antica. Questi sono alla base di una riflessione sull'amore che si sviluppa nel romanzo, che inoltre sviluppa maggiormente la storia di Tristano dalla sua nascita, avvicinandosi quindi ai racconti biografici.
Elementi della leggenda derivati dalla materia classica sarebbero inoltre il filtro d'amore, citato nei Remedia Amoris di Ovidio, e molti tratti della figura di Tristano che lo accomunano all'eroe Teseo (entrambi lottano con dei mostri e in entrambi è presente il motivo delle vele bianche e delle vele nere).
La presenza della locuzione fin amor ("amore perfetto", con cui i poeti designavano l'amore cortese) nel manoscritto di Béroul[2] e di una vera e propria analisi dell'amore in Tommaso[2] potrebbero indurre in errore portando a un affrettato parallelismo tra la storia di Tristano e Isotta e il romanzo cortese. Le differenze sono però molte: al culto del desiderio e dell'amore, visto come forza di vita e spinta alla perfezione, della tradizione cortese, la storia di Tristano e Isotta oppone un desiderio devastante, fonte di dolore più che di elevazione spirituale e vera e propria forza di morte, in quanto il loro amore non può portarli che alla morte.
Il confronto più efficace può farsi con la coppia di Lancillotto e Ginevra, in cui la dama è sempre superiore all'uomo, che per lei è disposto a tutto pur di essere degno del suo amore (fin'anche a umiliarsi, come nel romanzo di Chrétien de Troyes Lancillotto o il cavaliere della carretta) e il cui amore è perfettamente integrato nella società: l'amore di Tristano e Isotta si pone invece in costante sfida nei confronti della società, rendendo impossibile una conciliazione dei valori morali e sociali con quelli dell'amore, e connotandosi più come amore-passione (dal latino patior, cioè "soffrire" e "subire": in effetti i due amanti sembrano più vittime del filtro che li soggioga e si nota in Béroul una preoccupazione costante a giustificare le colpe degli amanti, rendendoli innocenti di fatto e colpevolizzando unicamente l'amore).
Numerosi elementi del mito si ritrovano come motivi delle più popolari fiabe della tradizione orale; tra questi:
Al folklore popolare e in particolare celtico si può attribuire la grande rilevanza della magia, molto presente nella vicenda: la regina d'Irlanda e sua figlia Isotta, per esempio, sono entrambe maghe e guaritrici.
Una delle raffigurazioni più antiche, databile tra il XII e XIII secolo, della storia d'amore di Tristano e Isotta è stata rinvenuta in una sacristia del Duomo di Como (2009) in un manufatto arazziale venuto alla luce in occasione dell'apertura dell'arca Volpi (una preziosissima urna con piastre d'argento in rilievo commissionata dall'omonimo vescovo). Si tratta di una piccola borsa a forma trapezoidale, forse un sacchetto in uso per la raccolta delle elemosine, con scene istoriate e mappe sferiche pendenti. "Un autentico tesoro, un esemplare unico del suo genere", commenta l'ufficio per i beni culturali della diocesi di Como e la curatrice del Museo del Tessuto della Fondazione Ratti. Sullo sfondo rosso, le raffigurazioni sono ben delineate.
Il mito s'interroga sulle cause e sulle conseguenze dell'amore, inquadrato in una società di cui trasgredisce tutte le leggi razionali, morali e sociali. I poeti sono consci della natura provocatoria della vicenda, tanto che tentano spesso di ridimensionarla o d'integrarla in modo accettabile nella società, anche abolendo qualsiasi problematica etica. Ma nelle prime versioni della leggenda, il mito si presenta in modo inevitabile come incarnazione di un ideale amoroso, quello della fol amor o dell'amore fatale fondato sul dolore; fin dalla situazione iniziale, esso si connota negativamente: mette in scena l'adulterio, l'incesto e il tradimento del legame feudale; qualsiasi vita gli amanti scelgano (all'interno della società, costretti a continue menzogne e travestimenti); all'esterno della società, durante la vita nella foresta; separati), essi falliscono e sono condannati all'infelicità; l'unica via d'uscita possibile per loro è la morte. In questo esso si contrappone alla tematica dell'amore cortese, incarnata dalla coppia Lancillotto-Ginevra; e questo ne segna anche l'atemporalità, la sopravvivenza nell'immaginario: se l'amore cortese è legato alla società medievale e può essere capito solo al suo interno, il mito di Tristano e Isotta si pone al di fuori, tanto da essere oggetto di continue riprese, dai romantici fino ai giorni nostri. Secondo Denis de Rougemont,[4] infatti, esso rappresenta una concezione dell'amore tipica del mondo occidentale, contrapponendosi alla letteratura del resto del mondo nell'invenzione di un sentimento reciproco ed infelice — concezione, questa, che ha dato origine alle più celebri storie d'amore della nostra cultura, come Romeo e Giulietta, Piramo e Tisbe ecc.
In generale si assiste, nel susseguirsi dei testi e delle differenti versioni, a un appiattimento delle problematiche etiche e sociali poste dagli amanti: nel Tristano in prosa,[5] per esempio, gli episodi amorosi si perdono nella sterminata successione di avventure cavalleresche, e il re Marco viene ridotto a codardo traditore in opposizione all'eroe cortese Tristano. Il protagonista viene così integrato nella geste dei cavalieri della Tavola Rotonda, e anzi il suo stesso amore non è più segnato dal dolore, ma gode invece di lunghi periodi di felicità: questa tendenza è presente già nei primi testi come quello di Tommaso d'Inghilterra, nel quale la vita nella foresta, dura e insostenibile in Béroul, assume caratteristiche idilliache. Più tardi Tristano viene reso maggiormente accettabile anche dal punto di vista della moralità cristiana, integrandolo nelle avventure della ricerca del Graal.
La critica moderna si è interrogata sulle valenze simboliche di singoli episodi del mito, come quello del perdono concesso da re Marco quando egli trova gli amanti nella foresta, addormentati ma vestiti, e separati dalla spada di Tristano: gli oggetti che il re lascia per segnalare la sua venuta sono stati visti come simboli di perdono, o meglio come richiami al rituale di investitura feudale (la spada, il guanto, l'anello. Ma più in generale la rivalità tra i due uomini è vista come primo segnale del fallimento cui è destinato il rapporto vassallatico medievale.
Si è visto nel matrimonio con Isotta dalle Bianche Mani il profilarsi del motivo, molto presente nella letteratura dei secoli XII e XIII, dell'uomo tra due donne: tale motivo è lungamente sviluppato da Tommaso d'Inghilterra,[2] che "classifica" anche i protagonisti delle due coppie in base al grado di felicità data dal possedere l'amore spirituale o l'amore fisico: Marco, per esempio, ha solo il corpo di Isotta, ed è quindi considerato più felice di Isotta dalle Bianche Mani che non ha né il cuore né il corpo del marito.
Anche il linguaggio è stato frutto di analisi, per esempio nei giuramenti ambigui che costellano la vicenda (come quello di Isotta che, dopo aver guadato un fiumiciattolo in groppa a Tristano travestito da pellegrino, si sottopone serenamente all'ordalia giurando di non aver mai avuto tra le gambe altro uomo che il marito e quel pellegrino del fiume); le continue menzogne degli amanti li pongono in una situazione di sovversivi, in una cultura che considera tutt'uno la parola e l'oggetto.
Nel XII secolo nascono diversi romanzi che raccontano la storia di Tristano e Isotta; molti sono andati perduti: è il caso di un romanzo che avrebbe scritto Chrétien de Troyes, come si legge nel prologo del Cligès. Degli altri testi si conservano solo frammenti, dei quali i più antichi sono in antico francese:
I testi francesi riscossero immediatamente un grandissimo successo e furono ben presto tradotti in altre lingue; in tedesco soprattutto:
Entrata in Italia attraverso il romanzo del Tristano in prosa (di cui venticinque manoscritti su ottanta provengono appunto dalla penisola), la leggenda conosce numerose rielaborazioni italiane:
«Era adobbata d'una bella partita e di fini colori; e li suoi biondi capelli andavan giù per le spalle di dietro, sì come era l'usanza, e in su sua testa portava una gentile e bella corona d'oro e di pietre preziose, e nel viso sie pareva una rosa novella, morbida, onesta e piacente, tanto leggiadra, quanto dire si potesse.»
Dall'Italia il mito arriva anche in Spagna, forse attraverso il Tristano Riccardiano:
Merita di essere citata, anche se profondamente diversa, la ballata Tristram e Isin che ancora oggi sopravvive nelle isole Fær Øer.
Il mito di Tristano e Isotta è spesso ripreso nei poeti provenzali e francesi — come, per fare un solo esempio, nella famosa canzone Can vei la lauzeta mover di Bernard de Ventadorn — dove Tristano incarna il martire per amore o l'amante cortese ideale, oppure serve a nobilitare l'autore mediante un paragone — come in Heinrik von Veldeke o nel primo testo italiano che ne faccia menzione, un'elegia di Arrigo da Settimello, entrambi del XII secolo. Tristano viene citato anche da Dante Alighieri tra i lussuriosi che si trovano nel secondo cerchio dell'Inferno, nel quinto canto della Divina Commedia, in numerosi testi della Scuola siciliana (Giacomo da Lentini, Re Giovanni...) e nei Trionfi di Francesco Petrarca, dove gli amanti sono condannati per aver ceduto all'amore. In Germania lo nomina Bernberg von Horheim (XIII secolo), in Inghilterra Geoffrey Chaucer.
Nel XIV secolo si trovano allusioni sparse alle vicende tristaniane, per esempio in Bruzio Visconti, Francesco di Vannozzo, Stoppa de' Bostichi, nell'Intelligenza, in Fazio degli Uberti. Nel XV secolo compaiono alcuni cantari su questo tema (La battaglia de Tristan e Lancellotto e della Reina Isotta, L'innamoramento di messer Tristano e madonna Isotta), perlopiù di qualità mediocre. Con l'avvento della stampa, si tenta anche un adattamento del mito al gusto rinascimentale, come la compilazione di Jean Maugin del 1554 o il Tristan di Pierre Sala (1525-1529), il poema cavalleresco Innamoramento di messer Tristano e di madonna Isotta di Niccolò degli Agostini (1520). In Germania il poeta Hans Sachs inizia un dramma intitolato Tristran mit Isalde (1553), ma non lo porta a compimento. Ad interessarsi in maniera particolare al mito è, però, il Romanticismo, che lo vede come simbolo della indissolubilità di bellezza e morte, come per esempio nel Tristan di August von Platen-Hallermünde (1826). Walter Scott pubblica per la prima volta il poema in medio inglese, che lo influenza poi largamente nei suoi romanzi; Tristan è anche il titolo di un frammento scritto da August Wilhelm Schlegel nel 1800, e così pure di uno di Friedrich Rückert del 1839; Karl Immermann progetta un poema epico nel 1840, ma muore prima di portarlo a termine.
Citiamo poi la tragedia Tristano e Isotta di Friedrich Roeber del 1845, il Tristan di Hermann Lingg del 1854, un altro poema epico, intitolato Tristans Eltern (I genitori di Tristano), di Adolf Ludwig Follen e uscito postumo nel 1857, un'altra tragedia di Joseph von Weilen del 1860, intitolata Tristan. Inglesi sono i poemi Tristam and Iseult di Matthew Arnold (1853), Idilli del re (Idylls of the King) di Alfred Tennyson (1885), Tristram of Lyonesse di Algernon Swinburne (1882). Di nuovo tedeschi i drammi Tristano e Isotta di Ludwig Schneegans (1898) e Tantris der Narr (Il folle Tristano) di Ernst Hardt (1907), il romanzo Tristano e Isotta di Will Vesper (1911), il poema epico Das Tristan Lied (Il canto di Tristano) di Max Geißler. Nel 1902 Thomas Mann pubblica Tristano, romanzo breve che si riallaccia al mito di Tristano e Isotta.
In Italia Giovanni Berchet traduce una ballata sul tema, mentre Giacomo Leopardi assume Tristano come interlocutore di una delle Operette morali (1832); Gabriele D'Annunzio rievoca la vicenda dei due amanti ne Il trionfo della morte (1894).[19]
Nonostante sia stato stampato fin dal XVI secolo, il Tristano in prosa[5] conobbe otto edizioni (dal 1498 al 1544), in quei secoli il mito rimane essenzialmente un fenomeno di erudizione; esso riscuote davvero interesse solo durante il Romanticismo, che — come già visto^ — vede in esso il simbolo dell'amore eterno, irrazionale e aspirante all'infinito. Veri e propri studi filologici del mito iniziano nel XX secolo, quando si tenta di ricostruirne un archetipo probabilmente inesistente: una Estoire (il termine è di Gertrude Schoepperle, che la daterebbe alla seconda metà del XII secolo) che fosse già esistente e definita prima delle trascrizioni che ci sono pervenute, le quali ciascuna a suo modo riprenderebbero dalla leggenda madre aspetti o motivi. È su queste basi che Joseph Bédier ha attuato una riscrittura che tenta di risalire alla sostanza originale del mito, ne Il romanzo di Tristano e Isotta, comprendendo in esso tutti i motivi e temi presenti nei vari testi. Ma più recentemente i critici preferiscono pensare che esistessero invece diverse tradizioni della leggenda, come sembrano provare i molteplici riferimenti, a diverse fonti, che fanno i primi poeti.
Molta attenzione è stata data negli ultimi anni — conformemente al progredire degli studi che si fondano meno sulla ricerca delle origini quanto su un'analisi approfondita di temi, strutture e formule — alla struttura del mito, nel quale si individuano elementi fiabeschi^, influenze antiche^ o orientaleggianti (arabe in particolare: per esempio si riscontrano temi simili in una leggenda anteriore, dell'XI secolo, nella storia persiana di Vis e Rāmin).
Parallelamente ci si concentra sui significati del mito e si cerca di fornirne un'interpretazione^: è del 1939 il saggio di Denis de Rougemont L'amore e l'Occidente,[4] che vede in esso la rappresentazione della concezione dell'amore che domina nel mondo occidentale: secondo lui, amore infelice e adulterio si combinano con un potente desiderio di morte, rimanendo uno dei leitmotiv della letteratura europea.
Le testimonianze artistiche del successo riscosso dal mito sono numerosissime e si possono classificare generalmente in tre tipi.
Temi preferiti delle opere iconografiche sono la scena del verziere (che tra l'altro compare in un modiglione della cattedrale di Chester, 1380, o nell'Hôtel de Jacques Cœur a Bourges, 1443-1450) o il filtro d'amore, oppure le imprese di Tristano.
Una delle estampie (composizione strumentale per danza) più famose in riferimento a tale mito è il Lamento di Tristano. Inoltre Hermann Kurz scrisse alcune romanze nel 1844, intitolate Tristano e Isotta. Ma il vero punto di svolta nella trasmissione visiva, oltre che in generale in tutta la ricezione posteriore della leggenda, è il dramma che ne trasse Richard Wagner nel 1859, rappresentata per la prima volta a Monaco di Baviera nel 1865 e intitolata Tristano e Isotta: Wagner interpreta a modo suo il mito rielaborando spunti anche dal Romanticismo (in particolare da Schopenhauer) o dal Buddismo, ed eliminando dalla vicenda ogni elemento non strettamente indispensabile; nel dramma gli amanti aspirano alla notte, unica amica nella quale il loro amore possa dispiegarsi, cosicché l'amore stesso diventa un'aspirazione alla notte, alla morte.
Altre riprese del mito sono l'oratorio Il vino speziato di Frank Martin (1942), la partitura per orchestra di Hans Werner Henze (1973), il mistero La follia di Tristano di Armin Schibler (1981), oltre ad alcuni balletti (Tristano pazzo su musica di Wagner e con costumi disegnati da Salvador Dalí, del 1944; Tristano del 1965, con musiche di Boris Blacher e coreografia di Tatjana Gsovsky) e ai Tristano e Isotta di Gillian Whitehead (1978) e di Timothy Porter (1980).
Anche il gruppo power metal tedesco Blind Guardian ha scritto una canzone, intitolata The Maiden and the Minstrel Knight (La fanciulla e il cavaliere menestrello) e inserita nell'album A Night at the Opera, che narra il mito di Tristano e Isotta. Il gruppo heavy metal tedesco Grave Digger ha scritto la canzone Tristan's Fate, inserita nell'album Excalibur.
Inoltre il cantautore inglese Patrick Wolf ha scritto in onore della storia Tristan, singolo estratto dall'album Wind in the Wires del 2003.
Anno | Film | Regia | Note |
---|---|---|---|
1911 | Tristano e Isolda | Ugo Falena | |
1911 | Tristano e Isotta | Albert Capellani | |
1920 | Tristano e Isotta | Maurice Mariaud | |
1972 | Tristan e Isotta | Yvan Lagrange | |
1998 | Il cuore e la spada | Fabrizio Costa | Fiction televisiva |
2002 | Tristan et Iseut | Thierry Schiel | |
2006 | Tristano & Isotta | Kevin Reynolds |
Dei molti film ispirati al mito,[20]citiamo:
Numerosi sono anche i romanzi e le opere di fantasia,[19] negli ultimi anni, che riprendono il tema allontanandosene o rimanendovi fedeli:
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