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Darptein Taibah (in arabo ﺩﺭﺑﻨﻴﻥ ﻃﻴﺒـة? [darbanayn ṭayyiba]), riportato anche come Darptae Intaiba[1], sarebbe stato il nome assunto durante la dominazione saracena da Bivona, comune italiano della provincia di Agrigento in Sicilia. La storia di Bivona islamica, tuttavia, è testimoniata soltanto da alcuni diplomi del XII secolo andati perduti, che definirono Bivona un piccolo villaggio saraceno[2]. Il nome stesso, Darptein Taibah, sembra essere tratto dai carteggi dell'abate e falsario Giuseppe Vella[3] (autore, nel XVIII secolo, dell'arabica impostura, due falsi codici arabi)[4], e significherebbe due volte buona, riprendendo la forma latina erudita del toponimo Bivona, Bisbona[5].
Le incursioni saracene, iniziate in Sicilia a partire dal VII secolo, condussero rapidamente alla conquista araba dell'intera isola a partire dall'827 e nel corso di tutto il IX secolo, fino alla cacciata da parte dei Normanni nell'XI secolo.
Alfonso Airoldi ritenne Bivona città di origine bizantina[6] e la fece comparire nella tavola VI dei Paralleli Geografici con un doppio nome: Bisbona (toponimo bizantino-normanno) e Darptae Intaiba (toponimo arabo)[1].
Lo storico castronovese Luigi Tirrito ritenne che il nome arabo Darptae Intaiba fosse tratto dai carteggi dell'abate Vella, sedicente professore di arabo che fu poi smascherato da Rosario Gregorio[1].
Nel 1838 lo storico Calcara, che ipotizzò per il centro un'origine precedente alla conquista araba dell'Isola, scrisse:
«Dall'epoca di sua fondazione sino all'arrivo dei Saraceni, ristretto questo comune nei limiti di semplice villaggio, non formò oggetto dell'attenzione degli storici. Allorquando poi i Saraceni occuparono l'isola, il villaggio passò poi sotto la dominazione di essi, fu cinto di muraglie e chiamato Vibon; indi, con la venuta dei Normanni la sua popolazione si accrebbe [...]»
Un'origine dell'abitato in epoca araba era stata ipotizzata anche dall'erudito cinquecentesco Tommaso Fazello, nella seconda edizione della sua opera (De Rebus Siculis decades II del 1560), che ritenne Bivona un pagus Saracenorum[1], cioè un villaggio abitato da gente araba:
«quod olim Ruggerii et Guillermorum Siciliae regum aetate Saracenorum pagus exiguus erat ut eorum diplomatibus memoria proditum est.»
«[Bivona] che una volta, al tempo dei re di Sicilia Ruggero e dei due Guglielmi, era un piccolo villaggio saraceno, come è stato tramandato dai loro diplomi.»
Nel 1580 lo storico Marco Antonio Martines descrisse Bivona alla stessa maniera del Fazello, delle cui note si servì anche Vincenzo Maria Coronelli nella sua Biblioteca Universale, e nel 1873 il Tirrito accettò che Bivona possa essere stato un villaggio saraceno, nonostante non la ritenesse anteriore alla conquista normanna[1].
Il Ferrigno colloca la data di fondazione di Bivona tra il 1154, anno in cui Idrisi pubblicò la sua Geografia Nubiense e il 1172, anno in cui fu redatto un documento che cita Bivona, dal Ferrigno stesso considerato, erroneamente, il più antico testo che parla del paese montano: il fatto che Idrisi non avesse fatto alcun cenno a Bivona nella sua opera, infatti, portò il Ferrigno a ipotizzare la fondazione del paese in data posteriore alla pubblicazione del geografo arabo.
Giovan Battista Ferrigno rafforzò la sua idea specificando che[7]
«[l'] opera completata in Sicilia nel palazzo e sotto gli occhi di re Ruggero, offre ogni garanzia di precisione nello stesso tempo che essa rappresenta la Sicilia araba, essendo stata scritta poco più di mezzo secolo dopo la caduta del dominio musulmano e mentre una gran parte della popolazione parlava l'arabo e professava l'islamismo.»
Bisogna sottolineare, tuttavia, che Idrisi, nella sua opera, non citò una serie di piccoli villaggi conosciuti attraverso la diplomatica a lui coeva: il geografo rivolse la propria attenzione ai centri principali, dando poca o nulla rilevanza alle più piccole comunità sparse in tutta la Sicilia. Per tale ragione il Tirrito pensò che il nome lasciato in fallo da Idrisi relativo a un centro distante 10 miglia ad occidente di Castronovo dovesse riferirsi a Bivona: tuttavia, sia l'Amari che il Rizzitano lo riferiscono al casale di Raia, che si trova ad egual distanza di Prizzi e ad otto miglia di Corleone[8].
Lo stesso Amari, infine, ipotizzò per Bivona una sua fondazione da parte dei coloni dell'Italia centro-settentrionale che imposero il nome del loro luogo d'origine alle città siciliane: la Bivona sicula, pertanto, sarebbe stata fondata da coloni di Bibbona, in Toscana, giunti in Sicilia con i Normanni, ma ciò pare improbabile, dal momento che al Fazello risultò da alcuni documenti che Bivona, al tempo dei Guglielmi, era un villaggio abitato da Saraceni[9].
I casali Billucchio, Gordalisi e Sebi furono citati in un diploma del 1171 e furono indicati come casali posti ad occidente di Bivona. Billucchio, detto anche Billucha o Bullegìa (da cui Pollicìa, nome del feudo in cui era sito[10]), è ricordato per l'ultima volta in un documento del 1244[11]. Gordalisi (o Gardulisi) era sito nell'omonima contrada, tra il monte delle Rose e monte San Nicola[12][13]; il territorio di Sebi (o Sebitan) era delimitato dai feudi Rifesi, Gebbia, San Nicola e Pollicia[14].
I tre casali, successivamente, furono integrati nella baronia del Rifesi, intensamente coltivata da bivonesi a partire dal XV secolo[11].
Anche Rahal Nicola fu citato nel documento del 1171 come casale; era sito nella contrada che successivamente si chiamò Carnicola (o Karnicola), che, secondo il Midulla[15]
«serviva come posto di ristoro, stazione, come dice la radice araba rahl, ai viandanti che attraversavano la trazzera regia che collegava il nostro territorio con Palermo»
Il nome, in realtà, deriverebbe da rahalnicola (in arabo ﺭﺤﻞ ﻧﻴﻜﻮلا?, Raḥl Nīkūlā), "casale di Nicola"[16], come spiegato in seguito.
Marrone ricorda, inoltre, che il territorio del casale di Rahal Nicola fu incorporato in quello di Bivona e ne costituì il feudo Carnicola[11].
Villanova, detta anche Billanûbah, Ballanûbah o Bellanubu, era un casale arabo che l'Amari colloca nei pressi di Bivona, ad occidente. Yāqūt, erudito arabo autore del Mu'jam al-buldān (un dizionario geografico sui paesi musulmani durante l'età medievale cristiana), la definì bulayda, cioè "paesetto".
Secondo Paolo Collura, paleografo, diplomatista e storico siciliano, il casale di Villanova è da localizzare nei territori di Villafranca Sicula e Lucca Sicula; il Midulla lo colloca nella contrada denominata Beddanova, nel territorio comunale di Lucca Sicula.
Fu la patria di al-Ballanūbī, poeta arabo siciliano vissuto tra l'XI e il XII secolo.
Secondo il Midulla, nel territorio bivonese sarebbe esistito anche il casale di al-Hadrâ[15]:
«Alle falde dei monti S. Filippo e Contubernio, tra Bivona e Santo Stefano Quisquina, in contrada Kadara sorgeva il casale arabo di «al Hadra», che significa la verde per la ricchezza dei suoi boschi.»
Questo casale venne citato da Michele Amari nel secondo volume della sua Storia dei Musulmani di Sicilia. Dallo stesso Midulla è nominato anche Cadara o Chadra.
Il casale arabo di Karkûd, secondo il Midulla, sarebbe testimoniato dall'esistenza del toponimo Carcaci, a cui corrispondono due località[15]:
Secondo Michele Amari, tuttavia, il casale di Karkûd sembra sostituito da Sommatino, comune in provincia di Caltanissetta[17].
Salvatore Midulla identificò il sito archeologico bivonese di contrada Giattini con Jatini, un centro abitato medievale di probabile origine araba (Gatîn).
La presenza degli Arabi nel territorio di Bivona è attestata dall'esistenza nella toponomastica e nel dialetto locale di termini di origine araba (tra cui xanèa).
Nel territorio di Bivona e di alcuni comuni limitrofi esistono vari toponimi la cui paternità è da attribuire direttamente agli arabi[18][19]:
I seguenti toponimi sono filologicamente arabi, ma, considerata la loro assimilazione in lingua siciliana, non si sa se siano stati attribuiti direttamente dagli arabi o, successivamente, da altre popolazioni che assoggettarono la Sicilia[26]:
Non sembra riscontrare una radice araba, invece, il toponimo Bivona, che pertanto dovrebbe essere preesistente alla conquista saracena della Sicilia[26].
Il toponimo Savuco, nome di un quartiere storico di Bivona, è simile ad altri toponimi abbastanza frequenti in Sicilia, come Savoca, Savoco, Sabucia[27]: secondo il Trasselli, potrebbe risalire al termine arabo zabbug, "olivo selvatico"[28]. Ciononostante, non è da escludere una sua derivazione dal nome dell'arbusto "sambuco"[26].
Nel dialetto bivonese l'eredità araba è testimoniata[18]:
Vari studiosi hanno notato l'insolita permanenza di tanti arabismi nell'idioma bivonese: in altre località della Sicilia colonizzate da gente di lingua araba, infatti, si è mantenuta soltanto una scarsa presenza, soprattutto nei toponimi[30].
I motivi sono dovuti sia all'isolamento geografico del paese, che ha contribuito a una stratificazione dialettale, sia alla presenza di una colonia di ebrei di lingua araba, che continuarono a parlare tale lingua almeno fino al 1492, anno del decreto di espulsione da parte di Ferdinando il Cattolico[30].
Se il Fazello indicò Bivona come un piccolo villaggio di Saraceni esistente già nel XII secolo, al tempo di Ruggero II, Guglielmo I e Guglielmo II, è verosimile che la religione dei più antichi abitanti di Bivona fosse stata l'Islam[31].
In paese, nonostante le piccole dimensioni della comunità araba, doveva esistere un luogo di culto, probabilmente una moschea, di cui non si conosce l'ubicazione e non si ha più alcuna traccia[31].
Dopo la conquista normanna Bivona si cristianizzò: la convivenza tra musulmani e cristiani poté durare soltanto fino al 1246, anno in cui Federico II decretò la deportazione dei seguaci dell'Islam a Lucera, in Puglia.
Nei secoli successivi, Bivona non ebbe mai un luogo di culto islamico, anche se la religione musulmana continuò ad essere professata in privato dagli schiavi mori che fino ai primi anni del XVII secolo furono a servizio delle famiglie nobili bivonesi[31][32][33].
È nato a Villa Noba, casale presso Bivona, al-Ballanūbī, noto poeta arabo-siciliano.
Nonostante la quasi totale assenza di scavi archeologici nel territorio bivonese, sono stati rinvenuti, spesso occasionalmente, dei siti che testimoniano una frequentazione umana nell'area circostante il centro abitato di Bivona a partire almeno dall'età del rame[9].
In località Censo (o Incenso), Cesare Sermenghi ha rinvenuto una piccola necropoli della superficie di 108 m² (12 m × 9 m), che il bivonese Salvatore Midulla ritenne di epoca musulmana[34].
Così la descrisse Sermenghi nella sua opera Mondi minori scomparsi[35]:
«Il sito offre alcune tombe rettangolari, lunghe in media m. 2 × 0,80, profonde cm. 70, con perimetro di recinzione a camicia in pietra calcare e con una distribuzione funeraria a gruppi di due-tre loculi, lungo un altipiano posto a quota 708, verso la dorsale sud di Pizzo Scavarrante-Petrosella, a ridosso del grande contrafforte di monte delle Rose.»
Nei pressi di un sito archeologico in località Cerasa, nella contrada Fimmina Morta, al di là del Magazzolo, è stata rinvenuta un'altra piccola necropoli formata da sette-otto tombe, scavate a cubicolo nella roccia di gesso[36]: il Midulla le ritenne di tipo saraceno[34].
Il castello della Pietra d'Amico risale probabilmente al periodo bizantino e fu costruito a difesa delle incursioni saracene nella zona. Successivamente fu abitato proprio dagli Arabi, che qui stabilirono le piccole tribù di agricoltori che provenivano dall'Africa[37].
Il Sedita, nel 1909, attribuì la sua costruzione direttamente ai saraceni[38]:
«Erano nell'828 pervenuti a Girgenti, donde un'orda di essi venne lanciata da Mahammed Ben Abì al Giavan, che passando da Castronovo si sarà inoltrata a Bivona, terra allora delle più ricche delle contrade vicine; ne infestarono il territorio, facendo centro delle loro organizzazioni al di qua degli ex feudi Mailla, ove edificarono un rozzo e turrito castello (casteddru di la Petra)»
I ruderi del castello si trovano in territorio di Alessandria della Rocca, al confine con il territorio comunale di Bivona, presso la diga Castello; durante i lavori di costruzione della diga, negli anni ottanta, intorno al castello vennero trovati altri ruderi, cocci, vasellame e utensili che testimoniano la presenza di un insediamento che, probabilmente, veniva difeso proprio dal Castello[39] e che farebbero datare la costruzione all'VIII-IX secolo[37].
Anche il Sedita, a inizio Novecento, riporta la notizia del ritrovamento di alcuni resti nei pressi del castello, sebbene la sua informazione non sia priva di elementi misti a racconti popolari[40]:
«Risulta per antica tradizione, e nei nostri tempi ancora, che nella contrada Scibè, sottostante al Castello dei Saraceni si sieno trovati, qua e là, dei fossili sparsi. Che sieno stati forse gli avanzi dei nostri compaesani periti sotto il truce ferro dei Saraceni? Non è improbabile, che anzi concorrono tutti gli estremi a farli riconoscere come tali.»
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