Maurizio Porro (1942 – vivente), critico cinematografico italiano.
- [Su Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri] Ci vorrebbe Lévi Strauss per le rifiniture, ma ai fini dell'impatto emotivo il film dà tutte le coordinate morali, sociali e somatiche (compresi gli eleganti tatuaggi) per parteciparvi: ci si emoziona, si soffre, si parteggia, si tira un mezzo respiro di sollievo.[1]
- [Su Le ali della libertà] Dialoghi ruvidi, forza bruta, claustrofobia, amicizia e inimicizia virile, gigantesco happy end: un film decisamente ben scritto, diretto e ben recitato. In cui contano il ritmo e la sintonia di grandi caratteristi accanto ai protagonisti.[2]
- [Su Solo due ore] Ecco un bel poliziesco, intelligente e ben scritto. Lo stile è da western, inno allo sfrenato individualismo del non eroe americano, dollari d'onore ed Eastwood: qui un poliziotto sempre alticcio che accompagna in tribunale un teste contro colleghi corrotti. Sono 16 isolati ma ci metterà tutto il film, 90 minuti, in un crescendo di agguati, una corsa ad ostacoli morali e materiali e una vena non fasulla di sentimentalismo. Donner, giovane regista 75enne delle Armi letali, è al suo meglio: la suspense, un montaggio ellittico, la precisione psicologica e il criminale maniaco delle torte (trovata ma di puro cinema) reso alla grande dall'hip hop Mos Def. Bruce Willis, poliziotto pensionando sovrappeso in linea con una morale, se ne sta pensoso in un'avventura non solo adrenalinica che ci restituisce il piacere del buon cinema di genere con tutti gli optional, ottimi comprimari.[3]
- [Su Evilenko] Grieco non mostra raccapricci da "Hannibal the cannibal", ma architetta una fastosa scenografia di morte con una tenuta visiva e stilistica non comune per un deb. Se la tentazione di accavallare omicidio e politica non regge, McDowell e Marton Csokas, che in una final scena crudele elisabettiana si fronteggiano nudi per spogliarsi dentro, son più che eccezionali.[4]
- [Su Tutti pazzi per Mary] I fratelli Farrelly, già "scemi e più scemi", non sono registi sopraffini, ostaggi della comicità più bieca, ma la sceneggiatura è ricca e l'incastro delle storie corrisponde a una pazzia che ha del metodo, almeno manda in tilt la finta moralità del cittadino medio. Come si diceva, politically più scorretto, grottesco ed eccessivo di così "Mary" non potrebbe essere: cagnolini vengono addormentati, drogati, elettrizzati e agli handicappati viene fatto lo sgambetto. Come dicono, nei modi e momenti più impensati i cantastorie che tramandano un amore che fa rima con bugia: Mary e Lewinsky sono un po' parenti.[5]
- [Su La città incantata] In una stagione in cui il cartoon è decisamente diventato anche per grandi, questo film giapponese è un trofeo di fantasia visiva, pur riallacciandosi alla classica fiaba morale con una bambina di dieci anni che si perde e trova un mondo fantastico, folle, pauroso da cui la salveranno poi i genitori. Miyazaki è un autore cult (vedi La principessa Mononoke) e qui racconta un viaggio iniziatico inventando personaggi affascinanti con uno stile e una grafia di disegno che rapisce spettatori di ogni età.[6]
- [Su Il regno del fuoco] Molto rumoroso, il film è soprattutto un'esperienza uditiva visiva basata sull'adrenalina che esce dagli attacchi dei mostri, mitologia tutta primitiva.[7]
- [Su Il dubbio] Non c'è dubbio che il meccanismo dell'operazione sia architettato per dibattiti dal cineforum al salotto, con una drammaturgia ad alto effetto (la punizione, la redenzione, il sesso) tutta in chiaroscuro psicologico-claustrofobico con Meryl Streep ovviamente strepitosa, che passa dal musical alla penombra religiosa e freudiana [...].[8]
- [Su Ferma il tuo cuore in affanno] Non ci fosse il nome del regista, sembra un film di Malick. Invece è un espatriato di qualità, Roberto Minervini, che racconta il male d'un cuore adolescente nel Texas dei rodei, delle comunità famiglie che vivono secondo i precetti dell'Antico Testamento. La legge del Signore s'incrina di fronte ai turbamenti di Sara: attori presi dalla verità, un panorama esteriore e interiore di grande fascinazione.[9]
- [Su Da Storia nasce Storia] Ottavio Rosati con la sua faccia da Actors Studio esercita per la prima volta psicoterapia di gruppo (globale), dove il gruppo è da intendersi come Audience... fa con queste storie esemplari edite e inedite un piccolo miracolo di fiducia nei media che oggi sarebbe impossibile nella nuova tv sempre più vecchia; stravolge le regole del "Villaggio globale" e ci chiama protagonisti uno per uno, sicuro che l'esperienza darà i suoi frutti.[10]
- [Su V per Vendetta] Pretenzioso e irrisolto nel dialogo, litigioso, il tenebroso ammonimento rimette in circolo la polemica terroristi e-o partigiani con l'efficace regìa di James McTeigue. Natalie Portman si fa radere il cranio per la causa e Hugo Weaving porta la sua inquietante maschera: è la solitudine, bellezza.[11]
- Sembra complicatissimo il messaggio di Matrix, e mai come ora si è confuso con il "medium", ma forse è semplice. I fratelli Larry e Andy Wachowski, che ai tempi del lesbo thriller Bound sembravano due porcelloni, ci mandano a dire che viviamo comandati da una Intelligenza Artificiale, in una realtà virtuale che solo il potere della mente rende tangibile. È Matrix, tesoro, la Matrice. Basterebbe ancora una domanda per risalire alla Causa Prima, forse a Dio. Insomma, la Vita è sogno, parola di computer.[12]
Da Addio Ginger, regina del tip tap, Corriere della Sera, 26 aprile 1995
- [Ginger Rogers] Buona parte della popolazione maschile americana sognò di averla accanto: come un sogno legale, non proibito.
- [Ginger Rogers] È bella ma non tanto da rappresentare un pericolo per le famiglie; è spregiudicata ma in fondo timorata e spesso innamorata: nel suo sguardo sono depositati tutti i valori americani. Una donna forte per suggerimento materno, che ha iniziato e concluso la sua fortunata carriera a Broadway.
Da «Riso amaro», il cult che lanciò un sex symbol, Corriere della Sera, 18 agosto 2007
- Riso amaro non è solo una denuncia con aspetti documentari, è una leggenda: perché la Mangano divenne diva e sex symbol controvoglia, perché fu un miracolo poter girare nelle risaie del vercellese.
- Riso amaro resta un cult del cinema melò-sociale che allargava i temi del neorealismo col richiamo erotico ed è il capolavoro del dimenticato De Santis, poi spinto via dalla commedia italiana. Qui egli lavorò coi compagni Lizzani e Puccini e convinse anche a scrivere musica per il cinema Goffredo Petrassi (l'unica volta) con Trovajoli. C' erano tutti i problemi dell'Italia del dopoguerra: un furto, il lavoro disumano, la gelosia da fotoromanzo, la tragedia finale.
- Tra i molti fans [di Riso amaro], anche Togliatti che si congratulò col regista [Giuseppe De Santis], autore di un travolgente melodramma sociale che mixa giallo e western.
- [Su Danny Kaye] Affermatosi dopo anni di gavetta, come vuole l'etica del self made actor, K. fu integralmente uomo di spettacolo, attore, cantante e ballerino in grado di intrattenere il pubblico nelle maniere più imprevedibili. Amava abbandonarsi al piacere eccessivo e infantile del varietà, improvvisare spericolati scioglilingua e cantare le filastrocche che scriveva per lui la moglie Sylvia Fine, e giunse a fare della stravaganza la sua stessa cifra espressiva, così da costituire una figura essenziale, nel teatro e nel cinema, per capire la comicità ebraica che si rivelò poi con Woody Allen e Mel Brooks. (KAYE, Danny)
- [Su Silvana Pampanini] Bruna, sensuale, di vistosa bellezza, è stata la prima diva maggiorata amata dagli italiani del dopoguerra, la più popolare di un cinema comico mediocre ma vitale, interpretato dai grandi talenti della rivista. Pur non apprezzata dalla critica, la P. ha rappresentato un "non oscuro" oggetto di desiderio, come la canzonettista che fa girare la testa al protagonista, ossia Totò in 47 morto che parla (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia [...]. (PAMPANINI, Silvana)
- [Su Greer Garson] Con i suoi ruoli di moglie e madre esemplare, malgrado i capelli fulvi sempre leggermente scomposti, rappresentò la rassicurante risposta, in linea con le direttive del Codice Hays [...], al fascino esplosivo di attrici come Betty Grable e Rita Hayworth, o ai personaggi, a volte ambigui, di Bette Davis o Joan Crawford. In particolare, rimane consegnata alla memoria collettiva la sua interpretazione in uno dei più celebri melodrammi sentimentali e patriottici, Mrs. Miniver (1942; La signora Miniver) di William Wyler [...]. (GARSON, Greer)
- [Greer Garson ne La signora Miniver] costruì la sua immagine di attrice dolce, di belle maniere, ricca di garbo e in grado di evocare con la sua presenza un'atmosfera serena, ma che forse la costrinse a nascondere per sempre ogni altro aspetto della sua personalità. [...] Venne così inaugurato il breve periodo di gloria di un'attrice che forse avrebbe potuto offrire di più ‒ non a caso in teatro aveva recitato con Laurence Olivier copioni scelti di drammaturghi insigni ‒ e invece fu bloccata in uno stereotipo, pur se di successo [...]. (GARSON, Greer)
- [Su Jennifer Jones] Dotata di un temperamento istintivo, che rispecchiava la sua bellezza aggressiva e proterva, poco incline a subire i condizionamenti di Hollywood, ma decisa a imporsi con caparbia determinazione, negli anni Quaranta la J. interpretò film destinati a ottenere successo in tutto il mondo, in particolare The song of Bernadette (1943; Bernadette) di Henry King [...] e il famoso, sensuale e barocco mélo western di King Vidor Duel in the Sun (1946; Duello al sole), cui è legata l'immagine più famosa e suggestiva dell'attrice, quella della splendida meticcia che scatena la drammatica rivalità tra due fratelli. Successivamente si specializzò in melodrammi sentimentali che se da un lato hanno addolcito la sua figura seducente, dall'altro non le hanno consentito di cimentarsi con personaggi carismatici che avrebbero potuto imporla definitivamente nel ricordo del pubblico, come nel caso di altre attrici divenute veri simboli dell'immaginario. (JONES, Jennifer)
- [Su Eleonora Rossi Drago] Forte di una sensualità prepotente ma al tempo stesso algida e di un portamento elegante e raffinato, la R. D. si è distinta per una bellezza non tradizionalmente italiana nel panorama cinematografico nazionale degli anni Cinquanta e Sessanta. (ROSSI DRAGO, Eleonora)
- [Su Leslie Howard] Interprete mite e sensibile, specializzato nella rappresentazione di figure di idealisti, di intellettuali raffinati, di perdenti nella vita, con il suo volto allungato, i capelli biondi, gli occhi chiari e disarmati, fu il classico esempio di artista inglese destinato a essere particolarmente amato dal pubblico americano. (HOWARD, Leslie)
- ↑ Da Corriere della Sera, 13 gennaio 1995; citato in Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri, comingsoon.it.
- ↑ Da In arrivo «Le ali della libertà» Tim Robbins eroe in prigione, Corriere della Sera, 30 aprile 2003.
- ↑ Da Le pagelle, Corriere della Sera, 31 marzo 2006, p. 52.
- ↑ Da Corriere della Sera, 17 aprile 2004; citato in Evilenko, comingsoon.it.
- ↑ Da Corriere della Sera, 17 ottobre 1998; citato in Tutti pazzi per Mary, cinematografo.it.
- ↑ Da TVsette, 12 febbraio 2004; citato in .
- ↑ Da Corriere della Sera, 14 dicembre 2002; citato in Il regno del fuoco, comingsoon.it.
- ↑ Da Corriere della Sera, 30 gennaio 2009; citato in Il dubbio, cinematografo.it.
- ↑ Da Corriere della Sera, 5 dicembre 2013; citato in Stop the Pounding Heart, cinematografo.it.
- ↑ Da Ero perduta, poi mi apparve in tv Papa Giovanni, Corriere della Sera, 10 gennaio 1994.
- ↑ Da Le pagelle, Corriere della Sera, 17 marzo 2006, p. 52.
- ↑ Da Corriere della Sera, 8 maggio 1999; citato in Matrix, cinematografo.it.
- Enciclopedia del cinema, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 2003-2004.