giornalista, sceneggiatore, saggista e attore italiano (1953-2023) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Andrea Purgatori (1953 – 2023), giornalista, sceneggiatore e attore italiano.
Alberto è un amico che stimo, non lo considero un concorrente. [...] Ci accomuna la scelta di andare nei luoghi dove le cose sono accadute, ci accomuna la voglia di far vivere una storia con una scrittura cinematografica, ci accomuna il fatto che non siamo a caccia della lite televisiva, che non dobbiamo rincorrere l'intervista al personaggio politico del momento. Oltre ad Ulisse e ad Atlantide non mi pare ci sia qualcosa di simile nella tv italiana, gli ascolti suoi sono straordinari, quelli miei sono molto buoni. Questo significa che il pubblico c'è.[1]
Ci sarà ancora molto da scoprire e raccontare sul comportamento degli apparati di sicurezza del Belgio, che fin dall'attentato a Charlie Hebdo (gennaio 2015) avevano in mano più che un sospetto per sradicare la rete operativa jihadista che in successione ha tentato la strage sul treno Amsterdam-Parigi (agosto 2015), ha compiuto il massacro di Parigi (novembre 2015) e quelli di Bruxelles.[2]
Ho sempre fatto inchieste o scritto sceneggiature. Nelle inchieste parlano i fatti, nelle sceneggiature i dialoghi e le espressioni dell'attore. Questa volta volevo portare il lettore nella mente dei personaggi e puoi farlo solo con la scrittura di un romanzo.[3]
Il mio impegno sarà portare Greenpeace dentro i problemi nazionali. Declinare le nostra campagne globali sulle emergenze che abbiamo sul territorio. Per cui al primo posto ci saranno le bonifiche. Poi l'agricoltura, per continuare le nostre vittorie contro gli Ogm e ora sensibilizzare sui pesticidi che stanno sterminando le api. E terzo il carbone. Non è accettabile che sia ancora una delle nostre prime fonti di energia.[4]
[...] incontrai Fiorenzo Angelini. Allora solo vescovo, ma già eminenza grigia della sanità cattolica con le mani in pasta in cinque ospedali di Roma, quattrocento immobili e ottomila ettari di tenute agricole intorno alla capitale. Il Giulio Andreotti del Vaticano, di cui era amico fraterno. Lo incontrai a Kisima o Baragoi, non ricordo bene. Comunque, sulla strada (si fa per dire) che conduceva a Loiyangalani, sulle sponde del Lago Rodolfo. Sbucò tra le bouganville di un lodge con una camicia, un paio di bermuda color kaki e una cinepresa in mano. Fate conto Alberto Sordi in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa. Preciso. E dopo essersi presentato, chiese due informazioni: dove convenisse fare un buon cambio al mercato nero e se l'avorio di contrabbando a trentamila lire al chilo fosse un prezzo accettabile. Sembrava uno scherzo.[5]
Nel corso della mia carriera giornalistica ho conosciuto troppe spie perché mi divertisse una narrazione irrealistica, nessuna di quelle che ho conosciuto aveva l'aria di James Bond. Piuttosto mi ha sempre affascinato la sede della Stasi che ho visitato e quella parte dell'archivio segreto che è andato distrutto. C'è un buco nero della memoria collettiva che non è stato mai indagato a fondo. [...] Continuiamo a esserci [negli strascichi della Guerra fredda] dentro sino al collo, basta pensare al Russiagate...O al sommergibile in cui sono da poco morti 14 marinai russi. È molto probabilmente un mezzo utilizzato per operazioni speciali di intelligence.[3]
[Purgatori risponde di aver scritto un romanzo di spionaggio per molti motivi, il primo:] perché avendo conosciuto, nell'arco di tanti anni di lavoro, molte spie dell'Est, dell'Ovest e di tanti Paesi, volevo raccontare anche la loro dimensione umana che è molto diversa da quella del nostro immaginario. Sono donne e uomini fatti come noi e come noi provano emozioni, sentimenti, gioie e dolori ed è curioso, diciamo, che li debbano vivere, in qualche modo, nell'ombra. Anche se a volte poi il sentimento fa saltare questi progetti studiati a tavolino che dovrebbero cambiare gli assetti del mondo.[6]
Oliviero era più colto di me, più svelto a capire, più bravo a collegare i dettagli ed i sintomi del malessere che ci ha mangiato il futuro, se non tutto almeno in gran parte. Ma aveva un qualità: non ne voleva sapere di arrendersi. E fin qui, il giornalista, lo scrittore. Poi c'era l'uomo. Anzi, prima. Generoso e accogliente. A modo suo, che era un bel modo. La sua famiglia sa di cosa sto parlando, i suoi figli sanno di cosa sto parlando. Lo saprà anche il suo nipotino.[7]
[Sul Caso Moro] Quel giorno, il 16 marzo del 1978, e per qualche ora a seguire, credo che il nostro Paese abbia ritenuto di trovarsi di fronte ad una insurrezione, ad una guerra civile, o che potesse essere in atto un colpo di Stato. La gravità di quel rapimento e il livello dell’attacco messo in atto, indirizzato al cuore dello Stato, erano tali da far temere che potesse esserci un’offensiva alla nostra democrazia. Offensiva che, seppur circoscritta all’evento, era reale.
[Il mestiere di conduttore e di sceneggiatore] Sono la stessa cosa. Ad Atlantide non improvviso nulla, è tutto scritto nel copione. Devo essere convinto di quello che dico e devo stare attento alle parole. Devo essere preciso.[1]
Sono stato molto amico dei genitori di Ilaria e di lei ho scoperto, ad esempio, che conduceva le inchieste non andando insieme alle truppe, rifiutando dunque un punto di vista embedded, e non dormiva insieme agli altri giornalisti italiani, perché riteneva quel luogo controllato. Già questo fa capire i rischi a cui si è esposta, oltre al fatto di essere una giornalista donna in un mondo di inviati prevalentemente maschile, in Somalia, nel 1994. Ma succede ancora, solo l’anno scorso sono stati 80 i giornalisti morti in giro per il mondo. Quando accade sembra quasi un danno collaterale, ma non lo è, perché i giornalisti non sono armati e cercano solo di raccontare la verità con penna e telecamere.[8]