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giornalista e scrittore francese (1840–1902) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Émile Zola (1840 – 1902), scrittore, giornalista, saggista, critico letterario e fotografo francese.
In mezzo all'aperta pianura, sotto un cielo senza stelle, nero d'un nero d'inchiostro, un uomo percorreva, solo, la strada maestra tra Marchiennes e Montsou; dieci chilometri di massicciata che si lanciava in linea retta attraverso campi di barbabietole. Quasi non vedeva dove metteva i piedi; e dell'immenso orizzonte piatto che lo circondava aveva solo sentore per le raffiche del vento di marzo: vaste raffiche che spazzavano la pianura come un mare; gelate da leghe e leghe di palude e di landa sulle quali erano passate. Non un profilo d'alberi sul cielo; diritta come un molo, la strada si protendeva in un buio impenetrabile allo sguardo.
[Einaudi, traduzione di Camillo Sbarbaro]
Nel rigido inverno del 1860 l'Oise gelò, grandi nevicate coprirono le pianure della bassa Piccardia, ed il giorno di Natale una bufera di nord-est seppellì quasi la città di Beaumont.
Nella città alta, in via Orefici, in capo alla quale si trova come incastrata la facciata dell'ala nord della cattedrale, quella neve si ingolfava, spinta dal vento, andando a percuotere la porta Sant'Agnese, l'antica porta romana già quasi gotica, molto ornata di sculture sotto la nudità del pinacolo. L'indomani, all'alba, ve n'erano quasi tre piedi.
[Émile Zola, Il sogno, Casa Editrice Bietti, Milano, 1949.]
Durante il rigido inverno del 1860 l'Oise gelò, copiose nevicate coprirono le pianure della Piccardia meridionale, e proprio il giorno di Natale Beaumont ne fu quasi sepolta in seguito a una tempesta proveniente da nord-est.
La neve, che aveva cominciato a cadere fin dal mattino, verso sera infittì e poi andò accumulandosi tutta la notte.
[Émile Zola, Il sogno, traduzione di Maria Azzi Grimaldi, Rusconi Editore, 1987]
Denise se ne veniva a piedi dalla Gare Saint-Lazare, dove il treno da Cherbourg l'aveva sbarcata dopo una notte passata sul duro sedile di un vagone di terza classe.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Lungo il viale deserto, nel profondo silenzio della notte, i carri degli ortolani, diretti verso Parigi, percuotevano con l'eco dei loro monotoni scossoni, a destra e a sinistra, le facciate della case immerse nel sonno dietro i filari confusi degli olmi. Un carro di cavoli e un altro di piselli si erano riuniti sul ponte di Neully ad otto carri di rape e di carote calati da Nanterre; ed i cavalli procedevano a testa bassa, con andatura pigra e uguale rallentata dalla fatica della salita. Su in alto, sdraiati bocconi, sul carico dei legumi, sonnecchiavano i carrettieri coi loro mantelli a righe nere e grigie, le redini arrotolate al polsi.
[Émile Zola, Il ventre di Parigi, traduzione di Maria Teresa Nessi, Garzanti.]
Gervasia aveva aspettato Lantier fino alle due del mattino, poi, tutta, tremante per essere rimasta all'aria pungente della finestra in camicia, s'era gettata di traverso sul letto e si era assopita, febbricitante, con le guance umide di pianto. Da otto giorni, quando uscivano dal "Vitello a due teste", dove mangiavano, lui la mandava a letto con i ragazzi e riappariva a notte alta, raccontando che era stato a cercare lavoro.
Proprio quella sera, mentre lei stava lì alla finestra ad aspettarlo, le era sembrato di vederlo entrare al "Grand Balcon", una sala da ballo le cui dieci finestre sfolgoranti rischiaravano con una luce d'incendio i boulevards esterni, simili a nere colate di metallo.
Dietro di lui aveva scorto l'Adelina, una brunitrice che mangiava allo loro stessa trattoria, camminare cinque o sei passi indietro, con le braccia ciondolanti come se gli avesse lasciato allora il braccio per non passare insieme sotto la luce cruda delle lampade all'ingresso.
[Émile Zola, L'Assommoir, traduzione di Ettore Venzi, Gherardo Casini Editore.]
Grevaise aveva aspettato alla finestra Lantier fino alle due del mattino. Poi, tremante di freddo, per essere rimasta, in camicia, esposta all'aria della notte, si era assopita, buttata di traverso sul letto, febbricitante, con le guance bagnate di lacrime. Da otto giorni, quando uscivano dal «Veau à deux têtes», dove abitualmente cenavano, lui la spediva a casa a dormire, insieme ai bambini, per ricomparire soltanto a tarda notte, dicendo che era andato a cercare lavoro. Quella sera, mentre ne spiava il ritorno, le era parso di vederlo entrare al ballo del Gran-Balcon, le cui dieci finestre, vividamente illuminate, gettavano un bagliore d'incendio sui bui viali della circonvallazione esterna. Dietro di lui, a pochi passi di distanza, le era sembrato di scorgere la piccola Adèle, un'operaia brunitrice di metalli che di solito cenava al loro stesso ristorante. La ragazza camminava con le mani penzoloni, come se avesse appena lasciato il braccio dell'uomo, per non passare insieme a lui sotto la luce cruda delle lampade appese sopra l'arcata del portone.
[Émile Zola, L'ammazzatoio (L'assommoir), traduzione di Luisa Collodi, Newton Compton editori, Roma 1995.]
Quando si esce da Plassans per la Porta di Roma, situata a sud della città, si trova, a destra della strada per Nizza, oltrepassate appena le prime case del sobborgo, un terreno incolto che la gente del luogo chiama "aia di Saint-Mittre".
L'aia di Saint-Mittre è uno spazio rettangolare di una certa estensione, che costeggia il marciapiede della strada: ne è separato soltanto da una striscia d'erba avvizzita. Da un lato, a destra, un vicolo cieco fiancheggia l'aia con una fila di catapecchie; a sinistra e in fondo, l'aia è chiusa da due lembi di muraglie corrosi dal muschio, al di sopra dei quali si scorgono i rami più alti dei gelsi del Jas-Meiffren, una grande proprietà che ha il suo ingresso più giù nel sobborgo. Così, chiusa da tre lati, l'aia è come una piazza che non serve di transito verso alcun altro luogo e che è attraversata solo da chi ha voglia di passeggiare.
[Émile Zola, La fortuna dei Rougon, traduzione di Sebastiano Timpanaro, Garzanti.]
Alle nove, la sala del teatro delle Variétés era ancora vuota. Poche persone in balconata e in platea, aspettavano, sperse in mezzo alle poltrone di velluto granata, nella scarsa luce del lampadario a fiamma abbassata.
Sono proprio dieci anni, mia cara anima, ch'io t'ho raccontato le mie prime storielle. Che begl'innamorati eravamo noi allora! Io venivo da codesta terra di Provenza, dove sono cresciuto così libero, così fidente, così pieno di tutte le illusioni della vita. Io ero tuo, ero di te sola, delle tue tenerezze, del tuo sogno.
Te ne ricordi, Ninetta? Il ricordo è oggi l'unica gioia, nella quale il mio cuore si riposa. Fino a vent'anni, noi abbiamo fatta insieme la stessa strada. Io sento i tuoi piedini sul duro terreno; io scorgo il lembo della tua bianca gonnella sul raso delle erbe avveniticcie; io sento il tuo alito fra gli odori della salvia che mi giungono da lontano come soffi di giovinezza.
[Émile Zola, Nuove storielle a Ninetta, traduzione di Raffaello Barbiera, Milano, Treves, stampa 1922]
Il treno aveva subìto forti ritardi tra Pisa e Civitavecchia, durante la notte, ed erano quasi le nove del mattino quando il prete Pierre Froment, dopo un faticoso viaggio di venticinque ore, arrivò a Roma.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
In cima alla via Guénégaud, venendo dalla strada lungo la Senna, si trova il passaggio del Ponte Nuovo, una specie di corridoio stretto e oscuro che va dalla via Mazarino alla via della Senna. Quel passaggio ha, al massimo, trenta passi di lunghezza e due di larghezza; è selciato di pietre giallastre, consunte, sconnesse, che trasudano sempre un'acre umidità; la vetrata che lo ricopre, tagliata ad angolo retto, è nera di sporcizia.
Nei bei giorni d'estate, quando un ardente sole incendia le vie, un chiarore biancastro cade dai vetri sporchi e si trascina miseramente nel passaggio. Nei brutti giorni d'inverno, nelle mattinate di nebbia, i vetri gettano soltanto oscurità sulle pietre viscide, oscurità sporca e ignobile.
[Émile Zola, Teresa Raquin, traduzione di Luigi Martin, Fabbri Editori.]
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