Ci sono persone che nascono con una predisposizione naturale alla compassione. Fin dalla più tenera età dimostrano una benevolenza spontanea nei confronti di coloro che li circondano, animali inclusi. Non è stato il mio caso. Di famiglia bretone, sono andato a pesca fino all'età di quattordici anni. Mi ricordo inoltre che, quand'ero più piccolo, mi divertivo con alcuni compagni di scuola ad abbrustolire le formiche concentrando i raggi del sole con una lente d'ingrandimento. A ripensarci provo vergogna, ma la cosa che più mi sconcerta è che quel comportamento mi sia potuto sembrare normale. Quando avevo cinque anni, in Messico, mio padre mi ha portato a vedere alcune corride. L'atmosfera era di festa e la musica esaltante... Tutti sembravano entusiasti. Perché io non ho lasciato il mio posto e non me ne sono andato in lacrime? Si trattava forse di mancanza di compassione, di educazione o d'iniziativa? Non mi era mai passato per la testa di provare a mettermi nei panni del pesce, della formica o del toro di turno. Avevo semplicemente un cuore duro? O forse non avevo riflettuto, e aperto gli occhi?
Citazioni
Viviamo nell'ignoranza di ciò che infliggiamo agli animali (ben pochi di noi avranno mai visitato un allevamento intensivo o un mattatoio) e siamo vittime di una sorta di schizofrenia morale che c'induce a prenderci una gran cura dei nostri animali da compagnia senza che ciò ci impedisca di affondare la forchetta nella carne dei maiali, mandati al mattatoio a milioni, i quali sono altrettanto coscienti, sensibili al dolore e intelligenti dei nostri cani e gatti. (p. 4)
L'elemento comune, all'uomo e all'animale, che colpisce maggiormente è la capacità di percepire la sofferenza. (p. 5)
L'essere detto «senziente» è un organismo vivente capace di avvertire la differenza tra benessere e dolore, tra i diversi modi in cui viene trattato, vale a dire tra le condizioni propizie o nocive alla sua sopravvivenza. È inoltre capace di reagire di conseguenza, vale a dire di evitare, di allontanarsi, da ciò che potrebbe minacciare la sua esistenza, e di cercare quello che la preserva. Per esempio, nel buddismo tibetano gli esseri senzienti vengono definiti con la parola 'gro ba, che significa «andare», nel senso di andare «verso» ciò che ci salvaguarda e di «allontanarsi da» ciò che può essere dannoso. (p. 36)
La bontà, l'amore altruista e la compassione non vanno d'accordo con la parzialità. Limitare a un campo ristretto il nostro altruismo non solo lo riduce quantitativamente, ma anche qualitativamente. Praticarlo selettivamente, nella fattispecie solo verso gli esseri umani, finisce per impoverirlo. Certamente resta molto da fare, ma è indiscutibile che il mondo occidentale sta acquisendo sempre maggior consapevolezza del fatto che non si può dichiarare di aderire a valori morali sani e coerenti escludendo dal campo d'applicazione dell'etica la maggior parte degli esseri senzienti che popolano la Terra. (p. 46)
Quando, nell'ambito dei sistemi di produzione industriale, si parla di «cure ai porcellini», in realtà si tratta di tagliargli la coda senza anestesia. Sappiate che a tale proposito si dice che il porcellino non provi «dolore», bensì una semplice «nocicezione». Orbene, immaginate che vi si tagli il mignolo avvertendovi che non c'è da preoccuparsi, perché si tratta semplicemente di una questione di nocicezione. (p. 56)
Per quanto riguarda le galline, che dopo aver deposto 300 uova all'anno passano a ritmi inferiori, si dice che vengono «riformate», ma la faccenda è ben diversa da quanto accade per il servizio militare, perché in pratica significa che vengono trasformate in dadi per il brodo, ravioli o pastone per cani e gatti. Generalmente, il loro stato non è tale da permettere di trasformarle in una gallina lessa presentabile. (p. 57)
Ci si abitua a tutto. La banalizzazione della crudeltà, la desensibilizzazione di fronte alla sofferenza altrui, la distanza che allontana l'individuo dallo spettacolo del dolore di cui è causa diretta o indiretta, nonché la dissociazione morale tra certe azioni dannose e il resto della nostra esistenza, permettono agli uomini di perpetrare ciò che la loro coscienza trova riprovevole, senza peraltro provare alcun senso di colpa o responsabilità. (p. 62)
L'uomo ha sempre sfruttato gli animali, prima con la caccia e poi con la domesticazione. Ma è solo dagli inizi del XIX che tale sfruttamento ha assunto proporzioni colossali. Contemporaneamente, tale pratica è letteralmente sparita dal nostro quotidiano perché viene deliberatamente perpetrata al riparo dai nostri sguardi. Nei Paesi ricchi, a seconda delle specie, dall'80 al 95% degli animali di cui ci nutriamo sono «prodotti» in allevamenti intensivi a livello industriale, e la loro breve vita è soltanto un susseguirsi ininterrotto di sofferenze. (pp. 83-84)
Il lavoro nei mattatoi è tra i più faticosi che esistano, fisicamente ed emotivamente. È stato riscontrato un alto tasso di incidenti sul lavoro e di problemi psicologici, tutti legati allo stress e agli sforzi per superare la naturale ripugnanza ad uccidere che caratterizza la maggior parte degli esseri umani. Sono molti gli ex impiegati e gli ex supervisori che soffrono di sindrome da stress post traumatico. (p. 96)
Un documentario filmato da una squadra di investigatori svizzeri tramite telecamera nascosta mostra un gruppo di allevatori cinesi che afferra dei visoni per le zampe posteriori, li fa volteggiare in aria e poi li sbatte violentemente al suolo, quindi li scuoia vivi e dopo averli privati di tutta la pelliccia, li ammucchia in una pila, di lato. Lo sguardo di quei poveri animali durante la lenta, silenziosa e immobile agonia è insopportabile per chiunque possieda almeno un briciolo di pietà. (p. 97)
Voler conciliare compassione verso gli animali e dieta carnivora è un po' come voler far passare nello stesso tubo acqua calda e acqua fredda. (p. 101)
Non sarebbe possibile proporre forme di allevamento non violento, in cui ci si limitasse a prendere il latte dalle mucche, la lana dalle pecore e le uova dalle galline, risparmiando loro la vita? In attesa di qualcosa di meglio, questo consentirebbe di avvicinare le posizioni dei welfaristi, che mirano, attraverso varie riforme, a migliorare le condizioni degli animali utilizzati dall'uomo senza peraltro mettere radicalmente in discussione il sistema, e degli abolizionisti, che chiedono la soppressione di qualsiasi forma di strumentalizzazione degli animali. Per citare un esempio storico, i welfaristi parlavano di rendere la tratta degli schiavi più «umana». Dal canto loro gli abolizionisti, che all'epoca venivano considerati estremisti o pazzi, non hanno provato a cambiare in meglio la tratta degli schiavi, ma hanno lottato per abolirla e, fortunatamente, l'hanno avuta vinta. (p. 102)
[...] Liberazione animale, l'opera che nel corso degli ultimi trent'anni ha maggiormente e indiscutibilmente contribuito al miglioramento della sorte degli animali [...]. (p. 107)
La benevolenza non è qualcosa da distribuire con parsimonia come se fosse una torta al cioccolato. È un modo di essere, un atteggiamento, l'intenzione di far del bene a tutti quelli che entrano nella sfera della nostra attenzione e di porre rimedio alla loro sofferenza. Amando anche gli animali non amiamo meno gli uomini, anzi in realtà li amiamo meglio, perché in tal modo la benevolenza aumenta in ampiezza e qualità. (p. 111)
L'impegno per risparmiare agli animali immense sofferenze non diminuisce affatto la mia determinazione a rimediare alle miserie umane. La sofferenza inutile va combattuta ovunque e di qualsiasi genere sia. È una lotta che va combattuta su tutti i fronti, e ciò è decisamente possibile. Siamo abituati a presupporre che il bene degli uomini sia per sua stessa definizione in competizione con quello degli animali. Eppure, il fatto di includere la sorte di altre specie tra le nostre preoccupazioni non è per nulla incompatibile con la determinazione a fare del nostro meglio per rimediare ai problemi umani. La lotta contro la crudeltà verso gli animali procede nella stessa direzione della lotta contro la tortura degli esseri umani. (p. 112)
I pesci sono gli ultimi tra i «senza voce». Non strillano come i maiali quando vengono sgozzati, sono privi di quelle espressioni facciali che potrebbero rivelarci le loro sensazioni e farci commuovere quando li strappiamo all'acqua e li osserviamo «annegare» nell'aria, proprio come potrebbe capitare a noi in acqua. Tuttavia, se osserviamo con attenzione un pesce agonizzante, i suoi sforzi disperati per respirare, gli occhi sbigottiti e i suoi ultimi sussulti la dicono lunga sui tormenti che sta subendo. (p. 118)
Numerose specie manifestano anche la contrizione. Ciò è particolarmente evidente negli elefanti: quando uno di loro è sul punto di morire, i suoi consimili gli si stringono tutt'intorno, provano a farlo rialzare, talvolta tentano persino di nutrirlo. Quando poi constatano che è morto, cercano dei rami che appoggiano sul suo corpo e tutt'intorno, talvolta fino a ricoprirlo completamente. (p. 120)
Gli umani definiscono «bestiale» tutto ciò che è compiuto brutalmente. Eppure la maggior parte degli animali uccide soltanto per nutrirsi, mentre gli umani sono praticamente i soli a uccidere per odio, per piacere o per crudeltà. (p. 122)
Le lobby delle imprese di pesca in acque profonde, che come abbiamo già visto con le loro reti a strascico distruggono brutalmente una biodiversità molto ricca, hanno anch'esse posto l'accento sulle diverse centinaia di posti di lavoro che andrebbero persi se l'Unione Europea dovesse vietare la loro attività. Claire Nouvian, dell'associazione BLOOM, spiega che dieci pescherecci dotati di reti a strascico possono rovinare, in soli due giorni, una superficie di fondale equivalente alla superficie di Parigi. È un po' come se, armati di ruspe, distruggessimo Notre-Dame e la cattedrale di Chartres nel giro di poche ore, per poi rispondere a chi protesta: «Be', se dovessimo fermarci i ruspisti rischierebbero di perdere il lavoro». (p. 123)
Postulare l'esistenza di stati mentali in alcune specie animali non è rivelatore di un atteggiamento antropomorfico più che paragonare la loro anatomia, il loro sistema nervoso e la loro fisiologia alla nostra. Quando un animale è visibilmente felice o triste, perché non chiamare le cose con il loro nome? (p. 149)
Riconoscere un valore immenso alla vita umana non deve indurci ad azzerare quello della vita animale. (p. 165)
I cambiamenti autentici scaturiscono solo dalla nostra buona volontà. È solo accettando di metterci al posto dell'altro e riconoscendogli un valore intrinseco che possiamo acquisire il rispetto e la considerazione per la sua sorte necessari a dare avvio a trasformazioni culturali. (p. 221)
Parrebbe in effetti che il toro sia uno dei pochi avversari che l'uomo possa combattere, dando l'impressione di correre un pericolo senza peraltro prendersi troppi rischi. [...] Ci si è dunque concentrati sul toro, animale sufficientemente combattivo per garantire lo spettacolo [della corrida], ma non troppo pericoloso, visto che il torero ha almeno 9.999 possibilità su 10.000 di uscirne vivo. Immaginate che ne sarebbe della «superiorità» dell'uomo se dovesse affrontare una tigre, benché munito di spada. (p. 228)
Certo, in ambito letterario, la compassione è definita come «il sentimento che ci porta a compatire e condividere il male altrui» (dal dizionario Grand Robert), ma ai giorni nostri, gli psicologi, i neuroscienziati (e con essi i buddisti) parlano più precisamente del desiderio di rimediare alla sofferenza dell'altro, e di sradicare le cause di tale sofferenza. Secondo tale punto di vista, la compassione è la forma assunta dall'amore altruista quando si confronta con le sofferenze degli altri. (p. 231)
I bonobo sono consapevoli delle conseguenze dei loro gesti, il che dimostra fino a che punto siano capaci di provare preoccupazioni che sottintendono lo stesso senso morale presente negli umani. (p. 270)
Quando notiamo che l'altro ha una necessità che, se soddisfatta, gli permetterà di provare benessere o di evitare sofferenze, l'empatia provoca innanzitutto la condivisione spontanea di quella necessità. In seguito, la preoccupazione per l'altro genera la volontà di aiutarlo a soddisfarla. Al contrario, quando non diamo valore all'altro, questi ci sarà indifferente: non terremo affatto conto dei suoi bisogni, e forse non ne saremo neppure consapevoli. Eppure l'esperienza dimostra che non basta puntare sulla compassione dei nostri simili. È indispensabile proteggere gli animali dagli abusi e dalle sofferenze cui vengono sottoposti da parte di coloro che, per l'appunto, di compassione non ne hanno. (p. 272)
Un numero crescente di persone non si accontenta più di un'etica limitata ai comportamenti dell'uomo verso i suoi simili, e chiede che la benevolenza sia rivolta a tutti gli esseri, non come un'aggiunta facoltativa, ma in quanto componente essenziale dell'etica stessa. Spetta a noi continuare a promuovere l'avvento di una giustizia e di una compassione imparziali, nei confronti dell'insieme degli esseri senzienti. La bontà non è un obbligo: è la più nobile espressione della natura umana.