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compositore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Vincenzo Salvatore Carmelo Francesco Bellini (Catania, 3 novembre 1801 – Puteaux, 23 settembre 1835) è stato un compositore italiano, tra i più celebri operisti dell'Ottocento.
Gran parte di ciò che è noto della vita di Bellini e della sua attività di musicista proviene da lettere scritte al suo amico Francesco Florimo, incontrato come compagno di studi a Napoli.
Considerato, al pari di Gioachino Rossini e Gaetano Donizetti, il compositore per antonomasia dell'era del bel canto italiano, in particolare dell'inizio del XIX secolo, Bellini fu autore di dieci opere liriche in tutto, delle quali le più famose e rappresentate sono La sonnambula, Norma e I puritani.
Bellini nacque a Catania (nel Regno di Sicilia), presso un appartamento in affitto di Palazzo Gravina Cruyllas, in piazza San Francesco d'Assisi, il 3 novembre del 1801, figlio di Rosario Bellini e di Agata Ferlito. Era figlio e nipote d'arte: suo padre era infatti un compositore minore, mentre il nonno paterno, Vincenzo Tobia Nicola Bellini, era un rinomato compositore di musiche sacre, originario di Torricella Peligna (nell'Abruzzo Citeriore, una regione del Regno di Napoli), già attivo a Petralia Sottana e trapiantato, in seguito alla sua scritturazione da parte di Ignazio Paternò Castello, a Catania, dove visse presso via Santa Barbara.
Bellini dimostrò precocemente il suo interesse nei confronti della musica[1] e intorno all'età di 14 anni si trasferì a studiare dal nonno, il quale ne intuì l'alta predisposizione verso la composizione. Intorno al 1817 la sua produzione si fece particolarmente intensa, per convincere il senato civico a concedere una borsa di studio per il perfezionamento, da effettuarsi al Real Collegio di Musica di San Sebastiano, dopo una supplica datata al 1818.
Nel 1819 ottenne la borsa di 36 onze annue grazie all'interesse dell'intendente del Vallo, il duca di Sammartino. Partì da Messina, ospite dello zio padrino Francesco Ferlito, il 14 giugno e giunse al porto di Napoli dopo cinque giorni di tempesta, scampando fortunosamente a un naufragio.
A Napoli fu allievo di Giacomo Tritto, ma, conosciuto Nicola Antonio Zingarelli, preferì seguire quest'altro, il quale lo indirizzò verso lo studio dei classici (Palestrina, Paisiello e Pergolesi su tutti) e il gusto per la melodia piana ed espressiva, senza artifici e abbellimenti, secondo i dettami della scuola musicale napoletana.[2] Tra i banchi del conservatorio ebbe come condiscepoli Saverio Mercadante e il musicista patriota Piero Maroncelli, ma soprattutto vi conobbe il calabrese Francesco Florimo, la cui fedele amicizia lo accompagnerà per tutta la vita e anche dopo la morte: quando Florimo diventerà bibliotecario del conservatorio di Napoli, grazie alle molte lettere scambiate, sarà tra i primi biografi dell'amico prematuramente scomparso.
In questo periodo Bellini compose musica sacra, alcune sinfonie d'opera e alcune arie per voce e orchestra, tra cui la celebre Dolente immagine, il cui testo è attribuito a Giulio Genoino (poeta), dedicata alla sua fiamma di allora, Maddalena Fumaroli, opera oggi nota solo nelle successive rielaborazioni per voce e pianoforte.
Nel 1825 presentò al teatrino del conservatorio la sua prima opera, Adelson e Salvini, come lavoro finale del corso di composizione. L'anno dopo colse il primo grande successo con Bianca e Fernando, andata in scena al teatro San Carlo di Napoli col titolo ritoccato in Bianca e Gernando per non mancare di rispetto al principe Ferdinando di Borbone.
L'anno seguente il celebre impresario Domenico Barbaja commissionò a Bellini un'opera da rappresentare al Teatro alla Scala di Milano. Partendo da Napoli, il giovane compositore lasciò alle spalle l'infelice passione per Maddalena Fumaroli, la ragazza che non aveva potuto sposare per l'opposizione del padre di lei, contrario al matrimonio con un "suonatore di cembalo".
Sia Il pirata (1827), sia La straniera (1829) ottennero alla Scala un clamoroso successo: la stampa milanese riconosceva in Bellini l'unico operista italiano in grado di contrapporre a Gioachino Rossini uno stile personale da cui prende la bellezza proprio quest'ultimo, basato su una maggiore aderenza della musica al dramma e sul primato del canto espressivo rispetto al canto fiorito.
Meno fortuna ebbe nel 1829 Zaira, rappresentata a Parma per inaugurare il nuovo Teatro Ducale (oggi Teatro Regio di Parma) e la cui rappresentazione riscosse scarso successo. Lo stile di Bellini mal si adattava ai gusti del pubblico di provincia, più tradizionalista. Delle cinque opere successive, le più riuscite sono non a caso quelle scritte per il pubblico di Milano (La sonnambula, e Norma, entrambe andate in scena nel 1831) e Parigi (I puritani, 1835). In questo periodo compose anche due opere per il Teatro La Fenice di Venezia: I Capuleti e i Montecchi (1830), per i quali adattò parte della musica scritta per Zaira, e la sfortunata Beatrice di Tenda (1833).
La svolta decisiva nella carriera e nell'arte del musicista catanese coincise con la sua partenza dall'Italia alla volta di Parigi. Qui Bellini entrò in contatto con alcuni dei più grandi compositori d'Europa, tra cui Fryderyk Chopin, e il suo linguaggio musicale si arricchì di colori e soluzioni nuove, pur conservando intatta l'ispirazione melodica di sempre. Gioachino Rossini, che viveva a Parigi, lo considerava il suo pupillo. Oltre a I puritani, scritti in italiano per il Théâtre-Italien diretto da Rossini, a Parigi Bellini compose numerose romanze da camera di grande interesse, alcune delle quali in francese, dimostrandosi pronto a comporre un'opera in francese per il Teatro dell'Opéra di Parigi.
La sua carriera e la sua vita furono però stroncate a soli 33 anni da una forma di rettocolite ulcerosa complicata da un ascesso epatico, malattia probabilmente esacerbata dalla particolare emotività del compositore. [3]
Bellini fu sepolto nel cimitero di Père-Lachaise, con un monumento funebre realizzato da Carlo Marochetti,[4] dove rimase per oltre 40 anni, vicino a Chopin e a Cherubini. Rossini fu tra coloro che portarono il feretro. Il 23 ottobre 1876 la salma, traslata dal Père Lachaise, fu inumata nel duomo di Catania con una cerimonia descritta dall'amico compositore Francesco Florimo.[5]
Nelle varie tappe che segnarono il ritorno in patria, il feretro del compositore fu accolto ovunque con calore e commozione. Giunto infine nella sua città natale, vennero celebrate le solenni esequie, a cui parteciparono migliaia di catanesi, alcuni parenti del compositore (tra cui due fratelli ancora in vita), e una folta rappresentanza di autorità civili, militari e religiose. In onore del ritorno in patria delle sue spoglie, la sua città natale riprodusse l'Arco di Trionfo di Parigi in ricordo del soggiorno francese del musicista.
La tomba fu realizzata dallo scultore Giovanni Battista Tassara, mentre il monumento cittadino fu opera di Giulio Monteverde.
Heinrich Heine lo descrive così:[6] «Egli aveva una figura alta e slanciata e moveva graziosamente e in modo, starei per dire, civettuolo. Viso regolare, piuttosto lungo, d'un rosa pallido; capelli biondi, quasi dorati, pettinati a riccioli radi; fronte alta, molto alta e nobile; naso diritto; occhi azzurri, pallidi; bocca ben proporzionata; mento rotondo. I suoi lineamenti avevano un che di vago, di privo di carattere, di latteo, e in codesto viso di latte affiorava a tratti, agrodolce, un'espressione di dolore». Secondo Heine, Bellini parlava francese molto male, anzi: «orribilmente, da cane dannato, rischiando di provocare la fine del mondo».[7]
La musica di Bellini è un singolare connubio tra classicismo e romanticismo. Classicista era la formazione ricevuta a Napoli, basata sui modelli di Palestrina, della scuola operistica napoletana (Pergolesi e Paisiello), di Haydn e di Mozart, e anche una personale tendenza a valori poetici come armonia e compostezza. Romantico era invece il pathos delle sue opere, l'importanza che le passioni e i sentimenti assumono nelle vicende rappresentate. Il punto di raccordo fra le due tendenze è la melodia, che senza venir meno a una classica sobrietà crea atmosfere sognanti, sensuali e malinconiche, vicine al romanticismo del tempo. Tale talento nel cesellare melodie della più limpida bellezza conserva ancora oggi un'aura di magia, mentre la sua personalità artistica si lascia difficilmente inquadrare entro le categorie storiografiche.
Legato a una concezione musicale antica, fondata sul primato del canto, sia esso vocale o strumentale, il siciliano Bellini portò prima a Milano e poi a Parigi un'eco di quella cultura mediterranea che l'Europa romantica aveva idealizzato nel mito della classicità. Il giovane Wagner ne fu tanto abbagliato da ambientare proprio in Sicilia la sua seconda opera, Il divieto d'amare, additando la chiarezza del canto belliniano a modello per gli operisti tedeschi e tentando di seguirlo a sua volta.[8]
All'interno di una sorta di Bellini renaissance, la musica del compositore catanese ha attirato nel XX secolo l'attenzione di diversi compositori d'avanguardia come Bruno Maderna e, soprattutto, Luigi Nono, che l'hanno riletta al di fuori delle categorie operistiche, concentrando l'attenzione su una particolare concezione del suono, della voce e dei silenzi le cui radici - secondo musicologia contemporanea - affonderebbero nella musica della Grecia antica e dell'area del Mar Mediterraneo piuttosto che nella moderna tradizione musicale europea.[9]
Già nel 1827, Bellini ottenne riscontri positivi con Il Pirata. Successivamente, sia I Capuleti e i Montecchi, rappresentata a La Fenice nel 1830, che La sonnambula, a Milano nel 1831, raggiunsero nuove vette trionfali. Norma, data a La Scala nel 1831, non andò altrettanto bene fino alle successive rappresentazioni. La carriera di Bellini si concluse con il trionfo de I puritani a Parigi.
In una lettera di Giuseppe Verdi, datata 1869 e indirizzata a Florimo, il grande compositore esprime la sua ammirazione nei confronti del musicista catanese:
"Sono poi completamente d'accordo con voi, caro Florimo, nelle lodi che tributate a Bellini. S'egli non aveva alcune delle brillanti qualità di qualche suo contemporaneo, aveva ben maggiore originalità, e quella tal corda che lo rende tanto caro a tutti, e che nel tempio dell'arte lo colloca in una nicchia ove sta solo... Lode a lui e lode grandissima"
A proposito di Bellini, il critico londinese Tim Ashley ha detto:[10]
«Bellini was also hugely influential, as much admired by other composers as he was by the public. Verdi raved about his "long, long, long melodies such as no one before had written". Wagner, who rarely liked anyone but himself, was spellbound by Bellini's almost uncanny ability to match music with text and psychology. Liszt and Chopin professed themselves fans. Of the 19th-century giants, only Berlioz demurred. Those musicologists who consider Bellini to be merely a melancholic tunesmith are now in the minority.»
«Bellini, oltre ad essere molto influente, fu ammirato sia da altri compositori che dal pubblico. Giuseppe Verdi era entusiasta delle sue 'lunghe melodie', Richard Wagner, che raramente apprezzava qualcuno a parte sé stesso, era affascinato dalla capacità quasi sorprendente di Bellini nell'abbinare la musica al testo e alla psicologia. Liszt e Chopin si dichiararono ammiratori. Tra i giganti del XIX secolo, solo Berlioz si mostrò indifferente. Oggi, quei musicologi che consideravano Bellini un semplice melodista, rappresentano la minoranza.»
Numerosi sono gli omaggi al Maestro:
Tutte le composizioni di Bellini saranno pubblicate nella Edizione critica delle opere di Vincenzo Bellini, Milano, Ricordi, 2003 sgg.
Tutte le composizioni sacre di Bellini risalgono al periodo degli studi, ovvero sono state scritte prima del 1825.
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