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La vida è una breve biografia anonima in prosa di un trovatore o di una trobairitz, scritta in occitano (XIII o inizio XIV secolo).
In occitano la parola vida (vita in limosino) significa «vita». Nei canzonieri, collezioni manoscritte di poesia trobadorica medievale, le opere di un particolare autore sono spesso accompagnate da una breve biografia in prosa. Talvolta è questione controversa stabilire fino a che punto esse siano basate su fonti indipendenti; è indubbio che alcune affermazioni sono dedotte da letture letterali di dettagli delle poesie stesse.
Inoltre, alcune poesie individuali sono accompagnate da razos, spiegazioni delle circostanze nelle quali la poesia fu composta.
Nei « canzonieri » (raccolte di manoscritti di poesia medievale dei trovatori), le opere di un autore particolare sono spesso accompagnate da una biografia. Alcuni poemi sono talvolta anche accompagnati da razós che descrivono le circostanze nelle quali il poema è stato composto.
Sono stati ritrovati 110 testi, principalmente in manoscritti italiani. Costituiscono una delle prime forme di biografia in lingua romanza[1]. Questi testi sono collocati nelle introduzioni delle poesie dei trovatori, e le storie si ispirano a volte alla vita dei reale dei trovatori così come era conosciuta all'epoca o a una vita immaginaria dedotta dalle loro poesie. La questione dell'autenticità di queste vidas è soggetta a interpretazioni divergenti in quanto certe affermazioni scaturiscono semplicemente da una lettura letterale di dettagli ricavati dai poemi. Queste biografie hanno tratto forse origine dalle Vitae Latine di cui Margarita Egan fa notare le similitudini negli stili e nei temi[2].
Gli storici, come Michel Zink, hanno dato una lettura delle Vidas come problematica della « nascita della figura dello scrittore ». La storica americana Eliza Miruna Ghil si è servita di queste Vidas per scrivere il suo libro sulla Parage, il momento in cui si esprime nel corso della Crociata contro gli Albigesi, un'idea di solidarietà tra le genti dei diversi stati d'oc. Jean Boutière e Alexander Herman Schutz hanno fornito un collezione completa di vidas e di razos, con commento e traduzione e in francese. (Vedi sezione Trovatori con vidas).
Posteriore di un secolo alle poesie dei trovatori, le vidas avevano lo scopo di presentare il trovatore e servire da prefazione alle sue poesie. Margarita Egan rileva che, in base allo studio della loro sintassi, queste vidas erano destinate ad essere recitate in pubblico, indizio questo avvalorato dalla conclusione della seconda versione della vida di Bernard de Ventadorn che annuncia le poesie che stanno per essere "cantate"
«E fetz aquestas chansos que vos auziretz aissi de sotz escriptas[3].»
Secondo Jacques Roubaud queste vidas, essendo per la maggior parte state trovate nei manoscritti italiani, permettevano al giullare (jongleur) che le raccontava, di presentare i trovatori sconosciuti a un uditorio straniero come quello delle corti italiane[4], costituito principalmente di letterati provenienti da ambienti aristocratici italiani e spagnoli che conoscevano la poesia cortese antica in lingua d'oc[5]. Questa esportazione della letteratura d'oc verso le corti straniere si spiega come una conseguenza della scomparsa di molte corti della Linguadoca dopo la Crociata Albigese[5].
I dettagli biografici delle vidas sono ispirati dalle poesie dei trovatori di cui evocano la vita. Gli autori hanno forse anche interrogato testimoni o ripreso tradizioni orali[4]. Alcuni dettagli evocati nelle vidas sono stati verificati come autentici[6], ma in gran parte rivelano un passato leggendario, come nel noto caso della vida di Jaufré Rudel che introduce il tema dell'amore lontano direttamente ispirato dalla sua canzone Lanquan li jorn.
«Bernat de Ventadorn foguèt del castèl de Ventadorn e òme de paura generacion, filh d'un sirvent del castèl qu'escaudava lo forn e cosiá lo pan e sa maire amassava l'eisserment. Bèl òme èra, e adreit e saupèt plan cantar e trobar e èra cortés e ensenhat. Lo Vescomte, lo seu senhor de Ventadorn, s'estrambordèt de son trobar e li faguèt grand onor. E lo Vescomte aviá molhèr fòrt graciosa e gàia Dòna que se meravilhèt de las cançons d'en Bernat e s'enamorèt d'el e el de la Dòna; tant e tant qu'el fasiá sas cançons d'ela, de l'amor que n'aviá e non fasiá mai que de la cantar. De temps durèt aquel amor abans que lo Vescomte e l'autra gent i faguèsson moment e quand lo Vescomte se n'avisèt s'estranhèt del trobador e faguèt sarrar e gardar la Dòna. E la Dòna donèt congèt a En Bernat que se'n anèsse fòra d'aquela encontrada.
El se'n anèt cò de la Duquessa de Normandia qu'èra jova e de granda valor e lo reçaupèt fòrt plan. De temps foguèt en sa cort e s'enmorèt d'ela e ela d'el e ne faguèt de bonas cançons. Sus aquelas entremièjas lo rei Enric d'Anglatèrra la prenguèt per molhèr e se la menèt dins son país. En Bernat demorèt deçà triste e dolent e se'n anèt al bon Comte de Tolosa ont demorèt d'aquí que lo Comte moriguèt. A sa mòrt, En Bernat, per aquela dolor, se rendèt a l'òrdre de Dalon e aquí finiguèt.
E lo Comte En Eble de Ventadorn, filh de la Vescomtessa qu'En Bernat aimèt, me contèt a ieu, Uc de Sant Circ, çò que ieu ai fait escriure d'En Bernat.»
«Bernat de Ventadorn, originario del castello di Ventadorn, era di umili origini, figlio di uno dei servi del castello che scaldava il forno e cuoceva il pane; sua madre raccoglieva e ammassava sarmenti. Era un bell'uomo, slanciato e sapeva ben cantare e comporre; era cortese e istruito. Il visconte di Ventadorn, suo signore, affascinato dalle suo canto gli faceva molti elogi. Il visconte aveva una moglie molto graziosa e vispa che, incantata dalle sue canzoni, si innamorò di lui e lui della Signora. Bernart faceva tante di quelle canzoni per lei, per l'amore che nutriva e non faceva altro che cantare. Per molto tempo durò prima che il visconte e gli altri vi facessero caso; e allorché il visconte ne se ne accorse, si disaffezionò al trovatore e fece chiudere e custodire la Signora. La donna consigliò a Bernart di andarsene via da quella contrada.
Se ne andò con la duchessa di Normandia che era giovane e di grande valore e lo accolse molto bene. Passo del tempo alla sua corte e si innamorò di lei e lei di lui; e ne fece buone canzoni. Ma intanto il re d'Inghilterra Enrico la prese in moglie, portandosela nel suo paese. Bernart rimase triste e sconsolato e se n'andò dal buon conte di Tolosa, restandovi fino alla morte del conte. Addolorato per la sua morte, Bernart, si rititò alla badia di Dalon e qui restò per il restò della sua vita.
Il conte Ebolo di Ventadorn, figlio della viscontessa, amata da Bernart, raccontò a me, Uc de Saint Circ, ciò che ho qui scritto di Bernart.»
«Marcabrun foguèt de Gasconha. Los unis dison qu'èra lo filh d'una paura femna qu'aviá nom Maria o Marca la Bruna coma ditz el en son cantar: " Marcabrun, filh Marcabruna..." Los autris dison que foguèt getat a la pòrta d'un ric òme e que jamai non se poguèt saber qual èra ni d'ont èra vengut. En Aldric del Vilar lo faguèt noirir. Puèi demorèt de temps amb un trobador qu'aviá nom Cèrcamon e d'aquí comencèt a trobar ; e adonc aviá nom Panperdut mas d'aquesta ora a l'endavant aguèt nom Marcabrun. Era del temps que tot çò que se cantava se disiá vèrs e pas encara cançon. E foguèt fòrça conegut e escotat pel mond e fòrça crentat tanben per sa lenga car l'aviá el la lenga tan prompta qu'a la fin lo desfaguèron los castelans de Guion dels quals aviá dit lo mal que ne pensava. Aicí comença çò de Marcabrun que foguèt dels trobaires dels primièrs qu'òm se soven.»
«Marcabruno era guascone. Alcuni dicono fosse figlio di una povera donna di nome Maria o Marca la Bruna, come dice lui nelle sue canzoni: "Marcabruno, figlio di Marcabruna..." Altri dicono che fu messo davanti all'uscio di un uomo ricco, per cui non si seppe mai né chi era né da dove venisse. Aldric del Vilar lo fece nutrire. Poi soggiornò per un certo tempo presso un trovatore che si chiamava Cercamon; ed è qui che iniziò a comporre e, sebbene il suo nome fosse Panperduto, d'ora in poi volle portare il nome di Marcabruno. Era il tempo in cui tutto quello che si cantava si diceva ancora vers, non ancora canso. Fu molto conosciuto e ascoltato per il mondo, ma anche a causa della sua schiettezza, poiché aveva una lingua sempre pronta, alla fine i castigliani di Guion lo accopparono perché aveva detto ciò che in male pensava di loro. Con Marcabruno si ha il primo trovatore che mai uomo ricordi.»
«Ramon de Miraval èra un paure cavalièr de Carcassés del castèl de Miraval que teniá pas quaranta òmes. Mas per lo seu trobar e per son bèl dire, son saupre e sa coneissença de las causas d'amor foguèt aimat e tengut car pel Comte de Tolosa que se sonavan un a l'autre Audiard. Del Comte aviá cavals, armas, vestit e tot çò dont besonhava. Era pertot al seu ostal cò del Rei d'Arago, del Vescomte de Besièrs, d'En Bertran de Saissac e sénher dins tota aquesta encontrada. Non i aviá Dòna de prètz que non cerquèsse son amistat e En Ramon de Miraval s'entendèt amb mantas Dònas e ne faguèt fòrça bonas cançons mas non se creguèt jamai de cap que li poguèsse faire fisança en dreit amor e totas l'enganèron.»
«Ramon de Miraval era un povero cavaliere di Carcassonne del castello di Miraval che aveva non più di quaranta uomini. Ma per le sue canzoni e il suo bel dire, la sua conoscenza e il suo sapere delle cause d'amore, fu amato e tenuto caro dal conte di Tolosa con il quale suonava insieme l'Audiard. Dal conte aveva cacalli, armi, vestiti e tutto quello di cui aveva bisogno. Si trovava pertanto nella sua casa con il re d'Aragona, il visconte di Besièrs, Bertran de Saissac e i signori di tutta questa contrada. Non vi era donna di pregio che non cercasse la sua compagnia e Ramon de Miraval s'intratteneva con molte dame e ne fece molte buone canzoni, ma non si illuse mai di poter confidare nel giusto amore e tutte lo ingannarono.»
«Jaufre Rudèl èra gentilòme e prince de Blàia e s'enamorèt de la Comtessa de Tripòli, sens la véser, per lo ben que n'ausissiá dire dels romieus que venián d'Antiòcha e ne faguèt fòrça cançons. E per la veire se crosèt e prenguèt la mar. Mas foguèt malaut en camin e pausat dins una albèrga a Tripòli coma mòrt, çò que se faguèt saber a la Comtessa. Alavetz ela venguèt a el e lo prenguèt dins sos braces. E, saupent qu'èra ela, Jaufre recobrèt l'ausir e lo sen e lausèt Dieu que l'aviá mantegut d'aquí a la veire. Puèi moriguèt dins sos braces. Ela lo faguèt, en grand onor, sebelir dins l'ostal del Temple. E puèi, aquel jorn, se rendèt monja per la dolor qu'aviá de la mòrt de Jaufre Rudèl.»
«Jaufré Rudel, gentiluomo e principe di Blaia, s'innamorò della contessa di Tripoli, senza averla mai vista prima, per il bene che ne sentiva dire dai pellegrini provenienti da Antiochia; ne fece perciò molte canzoni. Per vederla prese la croce e il mare, ma si ammalò durante il viaggio. Si fermò in un albergo a Tripoli, moribondo. Ciò fu detto alla contessa, la quale venne da lui prendendolo fra le braccia. Sapendo che era lei, Jaufre riprese conoscenza lodando Iddio che l'aveva portato fin lì a vederla. Poi morì fra le sue braccia. Lei lo fece seppellire dentro il Tempio con grande onore. E dopo quel giorno, per il dolore della morte di Jaufre Rudel, si fece monaca.»
Questa è una lista completa di trovatori conosciuti con vidas[7].
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