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La Rivarossi è stata la prima e, per molti anni, la più famosa ditta costruttrice di modelli ferroviari in Italia.
Rivarossi SpA | |
---|---|
Stato | Italia |
Forma societaria | Società per azioni |
Fondazione | 1945 a Como |
Fondata da | Alessandro Rossi, Antonio Riva |
Chiusura | 2004 (da quell'anno il marchio è di proprietà della Hornby International Ltd.) |
Sede principale | Como |
Gruppo | Hornby Railways |
Settore | Modellismo |
Prodotti | Miniature elettroferroviarie |
Sito web | www.hornbyinternational.com/en/6-rivarossi |
«Noi eravamo artigiani, ma con sistemi produttivi industriali.»
Sebbene in Europa e negli Stati Uniti d'America esistessero già da molti anni ditte specializzate nello stesso settore, la Rivarossi contribuì decisamente alla separazione definitiva del treno giocattolo dal "modello". Quest'ultimo era ed è caratterizzato da una maggiore attenzione alla riproduzione fedele e in scala dei suoi prototipi.[Nota 1]
Si distinse, inoltre, per originali innovazioni tecnologiche che le permisero, insieme a un'attenzione alla clientela inconsueta nel mondo della produzione di massa, di far nascere un mercato interno per i suoi prodotti e d'inserirsi rapidamente e stabilmente nei più importanti mercati mondiali.[Nota 2]
La Rivarossi fu fondata il 31 ottobre 1945 come società in accomandita semplice dall'ingegner Alessandro Rossi (Schio, 1921 - Cortina d'Ampezzo, 2010)[2][3][4], discendente dell'imprenditore ottocentesco Alessandro Rossi, che rilevò una fabbrica di commutatori elettrici (Apparecchi Strumenti Aeronautici snc) di cui era già comproprietario il ragionier Antonio Riva (uscito dalla società il 24 ottobre 1946).[5][Nota 3]
Gli inizi furono in un garage di quattro locali adattato ad officina dislocato nel primo e più piccolo cortile di servizio della settecentesca Villa Bassi - Roncaldier di Albese (Como)[6], ma già nel 1947 venne inaugurato lo stabilimento (una palazzina uffici e un capannone doppio), costruito dall'impresa Mario Faverio su terreni di proprietà della madre di Rossi, a Sagnino presso Como[7], che sarà la sede definitiva fino al 2000.
All'inizio volle caratterizzarsi come produttrice di "giocattoli scientifici" oltre che di modelli ferroviari, e nei primi anni produsse anche scatole di costruzioni metalliche ispirate al Meccano.[8]
In Europa contribuì decisamente al passaggio dal treno giocattolo al "modello", con maggiore attenzione alla riproduzione fedele e in scala dei treni.
Fino ad allora le maggiori marche europee, in particolare la Märklin e la Trix[Nota 4], insieme alla Hornby (che produceva anche il Meccano), producevano principalmente treni giocattolo, in latta o fusione di metallo. La scala faceva approssimativamente riferimento alla 00 inglese (1:76), "ma fondamentalmente mancava, da parte di tutti i costruttori, la ricerca della scala esatta" (Giorgio Giuliani).[9][10][11][12][Nota 5]
Successivamente Alessandro Rossi, diventato consulente tecnico del MOROP, promosse la redazione delle norme tecniche unificatrici europee NEM, ispirandosi a quelle statunitensi emanate dalla NMRA che già erano seguite per la produzione della sua ditta destinata a quel mercato.[13][Nota 6]
Nel 1946 venne presentato il primo modello, quello dell'automotrice elettrica E.700 delle Ferrovie Nord Milano[Nota 7], insieme a un primo complesso di binari e componentistica di comando.[14][15] Nello stesso anno la ditta espose alla Fiera Campionaria di Milano il suo primo assortimento con un plastico ferroviario. Un anno dopo il modello di un'automotrice Diesel delle FS segnò l'inizio della transizione dal giocattolo di lusso al modello.[16]
Fin dal 1947 internazionalizzò la produzione affiancando all'assortimento per il mercato italiano quello per il mercato statunitense.[17]
Dai primi anni cinquanta acquisì la rappresentanza esclusiva per l'Italia di alcune delle più importanti ditte straniere produttrici di materiali accessori per il modellismo ferroviario[18]. Nel 1955 iniziarono i lavori di ampliamento della fabbrica con un nuovo capannone a quattro falde nel quale venne insediato il reparto torneria.
Nel 1957 realizzò un'importante fornitura di materiale rotabile in scala H0 per l'americana Lionel, una delle prime e più importanti ditte del settore e allora la più grande industria di giocattoli al mondo. Lionel produceva solo in scala 0 e per entrare rapidamente nel mercato dell'H0 si affidò alla produzione Rivarossi[19][Nota 8]. In quel periodo il capannone della torneria fu prima ampliato lateralmente e poi rialzato di un piano apponendovi sulla facciata il logo "Rivarossi", infine nel 1961 si eseguì la sopraelevazione della palazzina uffici (in soli cinque mesi e senza mai sospendere l’attività lavorativa al piano sottostante), raggiungendo la situazione edificatoria che sarà quella definitiva e rimarrà tale fino alla cessazione dell’attività nel 2000 e all’abbattimento degli stabili nel 2008.
All'inizio degli anni sessanta, dapprima grazie ad accordi con la tedesca Trix.[20] e poi autonomamente, iniziò la produzione di modelli per i ricchi mercati tedesco e svizzero.[Nota 9]
Nel 1963 la Rivarossi acquisì la quota di Corrado Muratore, uno dei fondatori della Pocher, la quale aveva sviluppate proprie linee produttive nella sua sede di Torino. La produzione di modelli ferroviari già Pocher venne trasferita da Torino a Como nel 1965-1966. L'uscita di Arnaldo Pocher dalla ditta da lui fondata (1968) e l'incendio dello stabilimento torinese (1972), con altri eventi, condussero l'ormai Divisione Pocher all'abbandono della produzione di modelli ferroviari.[21]
Nel 1968 iniziò la produzione dei modelli in scala N (1:160), dapprima in collaborazione con l'americana ATLAS[22], poi autonomamente fino al 1993, quindi insieme alla Lima e dal 1996 anche con l'Arnold Rapido.
Nel 1969 aggiunse alla produzione nella scala H0 quella nella scala 0 (1:45), che continuò fino al 1988.
Dopo avere ricevuto per tre volte il premio Pinocchio d'oro (nel 1962 per la serie di modelli in scatola di montaggio TrenHObby, nel 1963 per il Sistema Tramway e nel 1964 per la serie di modelli verniciati a imitazione dell'ottone Modello HO Oro[23]), all'inizio degli anni settanta la sua produzione, giudicata favorevolmente e premiata dalla stampa tecnica e dalle associazioni di appassionati straniere, aveva ormai una forte e radicata presenza nei principali mercati mondiali.
Verso il 1970 aveva circa 300 dipendenti oltre a circa 600 collaboratori esterni, tra cui gli stampisti.[24][25][26] In quegli anni la dirigenza considerò la possibilità di delocalizzare la produzione (a Hong Kong), ma l'esito dei controlli di qualità eseguiti su alcuni lotti di provini[Nota 10] e considerazioni di opportunità nel rapporto coi dipendenti anche dell'indotto indussero a mantenere la produzione in Italia.[9][27][Nota 11]
Dopo avere superate con successo alcune crisi industriali, specialmente nel 1974[Nota 12] e nel 1981, quest'ultima causata dal fallimento dell'AHM (grazie a essa all'epoca il mercato statunitense assorbiva gli otto decimi della produzione[28]), Alessandro Rossi nel 1984 lasciò le cariche sociali. Subentrò una nuova proprietà (Rivarossi Nuova Gestione), presieduta da Giorgio Dalla Costa, industriale proveniente dal settore farmaceutico che portò in azienda nuovi capitali, coll'ingegner Alessandro Rossi junior (cugino del fondatore) quale amministratore delegato e direttore tecnico (dal 1984 al 1990), e poi vicepresidente (dal 1991 al 2000).[29]
Mentre i mutati gusti dei consumatori più giovani[Nota 13] e l'evoluzione del fermodellismo inducevano la dirigenza aziendale ad abbandonare le linee produttive destinate ai principianti (come le confezioni d'avvio) e al fermodellista costruttore di modelli e di plastici[Nota 14], e a indirizzarsi ai collezionisti[Nota 15], nel 1990 cambiò nuovamente l'assetto societario ed iniziò una fase di acquisizioni di ditte concorrenti: nel 1992 viene acquisita la Lima[30][Nota 16], a cui seguirono la tedesca Arnold e la francese Jouef.[31]
Ritiratisi il Dalla Costa e gli altri dirigenti del primo periodo "post-Rossi", nel 2000 si ebbe un nuovo assetto societario: con una curiosa alchimia finanziaria venne costituita la Lima SpA con sede a Brescia, e la Rivarossi divenne ora una divisione della ditta che otto anni prima aveva acquisito. Furono chiusi lo storico stabilimento di Como (in località Sagnino) e quelli di Champagnole (Jouef) e Muhlhausen (Arnold), e la produzione viene concentrata nello stabilimento Lima a Isola Vicentina.[31][32]
Dopo alcuni anni di convulse vicissitudini gestionali e finanziarie[33][34][35] e nonostante un tentativo di salvataggio in extremis da parte di una cordata d'imprenditori vicentini, sostenuta anche da ex dirigenti e dipendenti della Lima e della Rivarossi[36][Nota 17][37], nel settembre 2004 il gruppo cessò le attività e venne successivamente acquisito per otto milioni di euro dall'inglese Hornby (altra storica marca del settore), che da allora continua a produrre col marchio Rivarossi ma in Cina. Il comunicato di Hornby relativo all'acquisizione del Gruppo Lima comprendente i marchi Rivarossi, Lima, Jouef, Arnold, Pocher è del 16 dicembre 2004.[38]
La sede di Como ospitava una vastissima raccolta di modelli costruiti dalle principali ditte del settore italiane e straniere. Dopo la chiusura dello stabilimento essa fu trasferita prima a Vicenza e poi presso la sede della Hornby nel Regno Unito, che espose al pubblico pochi pezzi nel proprio museo.[39][40] La restante maggior parte di essa, smentendo varie assicurazioni date agli ambienti fermodellistici italiani e nonostante le loro proteste, dalla stessa Hornby inglese fu venduta a operatori commerciali e da questi a collezionisti privati.[41][42]
Da interviste al personale pubblicate dalla stampa specializzata e d'informazione si sa che gli archivi interni sarebbero stati, almeno in parte, distrutti.[31]
Nei mesi di aprile e maggio 2008 lo storico stabilimento di Sagnino, in via Pio XI (già via della Conciliazione), fu demolito per fare spazio a nuovi edifici di abitazioni e locali commerciali.[31] Costruito nel 1947 dall'Impresa Mario Faverio di Como con carpenteria metallica realizzata dall'Antonio Badoni di Lecco, era in disuso dall'anno 2000.
Il Comune di Como ha fatto propria una proposta d'intitolare al fondatore dell'azienda il piazzale prospiciente l'area dove sorgeva lo stabilimento,[43] in cui, il 3 marzo 2013, è stato scoperto un monumento dedicato a lui e all'azienda.[44]
Nel 2012 è stata diffusa la proposta di costituire, a Como o nella sua area territoriale, un museo-centro di documentazione dell'attività e della produzione della Rivarossi.[45]
Come altre aziende del settore, tra il 1954 e il 1967 pubblicò una rivista bimestrale, HO Rivarossi, dedicata alla promozione del modellismo ferroviario e alla divulgazione della storia e della tecnologia delle ferrovie reali[Nota 18], e perciò con obiettivi più ampi di quelli di un normale periodico aziendale.[46][47][48] Essa aveva "seimila lettori".[49]
Negli ultimi tre anni la rivista fu inserita, come supplemento interno, nella rivista Italmodel Ferrovie[50], fondata, diretta ed edita dal 1951 al 1974 dal pioniere del fermodellismo italiano Italo Briano (Savona, 1901 - Milano, 1985)[51][52], fondatore e primo presidente della Federazione italiana modellisti ferroviari e amici della ferrovia (di essa Alessandro Rossi, socio della prima ora[53], fu anche consulente tecnico e vicepresidente[54]) e della federazione MOROP (acronimo di Verband der Modelleisenbahner und Eisenbahnfreunde Europas/Union Européenne des Modélistes Ferroviaires et des Amis des Chemin de Fer).[55]
Tra i collaboratori di HO Rivarossi va citato Zeta-Zeta, pseudonimo dell'ingegner Bruno Bonazzelli (Loreto 1895-Milano 1984)[56], ispettore del Servizio Impianti elettrici e segnalamento delle FS e tra l'altro ricostruttore dell'Officina Apparati Centrali di Milano dove lavorò Achille Cardani, promotore del Museo ferroviario di Roma (inaugurato nel 1954)[57][58] e poi, con altri, della Sezione ferroviaria del Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci e del Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, che pubblicò ampi articoli sulla storia della trazione a vapore e della trazione elettrica in Italia e in Europa, e una nutrita serie di schede tecniche sulle locomotive a vapore delle FS.
Un altro collaboratore molto attivo era ACu, acronimo di Aldo Cuneo, nato a Genova, ragioniere, rappresentante commerciale per la Liguria e collaboratore della rivista Italmodel ferrovie[59][60], che non esitò, in nome del crescente realismo propugnato dalla Rivarossi[61], ad assumere posizioni autonome rispetto a quelle assunte dal Briano negli anni cinquanta.[62][63][Nota 19]
Sintomatico il caso di Silvano Bevini, (Modena, 1930-Modena, 2016), perito industriale e appassionato modellista che aveva presentato in HO Rivarossi molte sue realizzazioni, e che fu assunto dalla stessa Rivarossi divenendo uno dei componenti della direzione dell'Ufficio tecnico.[64][65]
La parte grafica della rivista era curata da Amleto Dalla Costa[66], presso il cui studio lavorava anche Giorgio Mizzi (Milano, 1940-Buxtehude, 2008), autore dal 1962 al 1971 delle tavole di copertina dei cataloghi generali di vendita.[67] I testi dei cataloghi, all'origine e per molti anni scritti personalmente da Alessandro Rossi, a partire dagli anni Settanta furono in gran parte stesi da Silvano Bevini.[65]
L'attenzione alla clientela non limitata alla garanzia e al post-vendita, espletata tanto dai tecnici della sede centrale quanto dalla rete commerciale e dai riparatori[Nota 20] insieme ai dettaglianti (spesso essi stessi appassionati, come i citati Aldo Cuneo e Domenico Tromby), oltre che tramite la rivista HO Rivarossi, aveva caratteri innovativi per il mondo industriale italiano dell'epoca.[68][69]
In un'epoca in cui la cultura elettrotecnica del fermodellista italiano medio non era molto elevata, anche a causa della bassa scolarità, fu fatta divulgazione non banale sulla componentistica e sugli schemi elettrici.[70][71]
Un punto di forza delle politiche aziendali fu la vendita al pubblico di tutte le parti di ricambio[Nota 21], descritte in appositi cataloghi anch'essi offerti in vendita. Generazioni di fermodellisti hanno iniziato a costruire modelli assenti dal mercato grazie a quella disponibilità[Nota 22], e HO Rivarossi promuoveva la loro attività con le sue rubriche "Diamoci da fare" e "I nostri lettori all'opera".[72] Nel panorama fermodellistico internazionale questa politica aziendale aveva pochi precedenti.[73][74]
Durante la sua attività, la Rivarossi ha introdotto diverse innovazioni, alcune delle quali brevettate, poi seguite anche dalle principali industrie di modellismo italiane e straniere. Si possono citare le principali:[75][76][77][78]
Va citato fra le innovazioni anche il gancio, studiato dall'azienda per non dovere pagare i diritti di brevetto ad altre ditte, che negli anni Sessanta fu perfezionato per consentire un maggiore realismo delle manovre.[84][85]
Vanno citati anche gli studi, stimolati dalla presenza sul mercato di analoghi dispositivi di altre ditte europee[Nota 24] e statunitensi e datati al 1962 circa, di dispositivi pneumatici ad azionamento meccanico che avrebbero consentito l'emissione del fumo dal camino delle locomotive a vapore sincronizzandola con la velocità e generando quindi una riproduzione realistica dei "colpi di scappamento".[86][87][88][89]
Il catalogo storico ufficiale del cinquantenario elenca 3568 locomotive, carri e carrozze in H0, 712 in N e 139 in 0.[76][90][91]
Fin dal 1947, oltre alle linee produttive di modelli alimentati a corrente continua per il sistema a due rotaie vengono prodotti anche modelli per il sistema a corrente alternata a tre rotaie introdotto e diffuso dalla Märklin.[92][93][Nota 25]
Inoltre, fin dal 1948, vengono prodotti modelli semplificati di prezzo più accessibile al consumatore medio, con l'obiettivo di allargare il mercato.[Nota 26] Apparsi in varie "serie" ("Standard 48", ""rr", "Junior") sono rimaste in catalogo fino agli anni Novanta, quando i mutati gusti dei consumatori più giovani e l'evoluzione del fermodellismo indussero la dirigenza aziendale a concentrarsi solo su prodotti di "fascia alta", destinati a un mercato via via più esigente e che tendeva ad abbandonare il fermodellismo per il collezionismo statico.[94][95][Nota 27]
Fin dall'inizio offrirà molti prodotti in scatola di montaggio, a prezzi più bassi di quelli dei modelli già montati.[Nota 28] Dal 1962 tale linea confluirà in una "serie" avente una sua caratterizzazione d'immagine, che scomparirà solo negli anni Novanta.[96][Nota 29]
Tra i modelli significativi prodotti per il mercato italiano si possono ricordare quello dell'835, prodotta dal 1954 al 1965 e prima riproduzione realistica[Nota 30] di una locomotiva a vapore FS[97][98][99][100][Nota 31]; quello della E.626 FS, prodotta dal 1948 al 1955, con una ripresa "per collezionisti" nel 1959-1960[101][102][103][104][Nota 32]; le varie versioni del modello della E.424 FS, prodotte dal 1952[Nota 33] senza interruzione e con continui miglioramenti[105][106][107]; e quelli delle E.428 FS, la cui riproduzione della prima serie (E.428.001-096), entrata in produzione nel 1966, sosteneva ancora egregiamente il giudizio tecnico nel 1982.[108][109][Nota 34]
Il mercato statunitense apprezzò molto i modelli delle gigantesche locomotive a vapore articolate come la Big Boy dell'Union Pacific Railroad, in produzione dal 1967, mai uscita dal catalogo e prodotta in quasi un milione di esemplari[9][26][111], e H-8 Allegheny della Chesapeake & Ohio, che era stata scelta dall'autorevole rivista statunitense Model railroader quale miglior "Locomotiva dell'anno 2001" e miglior "Prodotto del settore fermodellistico dell'anno 2001".[Nota 35][112][113][Nota 36] Da ricordare anche i primi modelli di locomotive a vapore statunitensi: la 0-4-0T Dockside tipo C16 Baltimore & Ohio[114][115], prodotta dal 1948 al 1977 e venduta in "decine di migliaia" di unità per i mercati italiano e statunitense[114][116][117], l'"Atlantic" della Southern Pacific[118] dalla cui "italianizzazione" fu ricavata la prima locomotiva a vapore italiana[119] e la macchina del treno Hiawatha, classe A della Milwaukee Road, che sul mercato dell'antiquariato raggiunse quotazioni eccezionali.[120][121]
Una volta cessata la collaborazione con la Trix la Rivarossi iniziò autonomamente a sviluppare progetti per il mercato tedesco.
Tra le locomotive a vapore tedesche spiccano le articolate Gt 2x4/4 poi BR 96[122] e BR 98[123][124], la BR 77¹ giudicata "la migliore tra le locomotive a vapore da essa costruite"[125] e la BR 59.[126]
Tra le locomotive elettriche si cita il modello della DB 118 (già E 18), che nonostante la sua età nel 1993 sosteneva ancora bene il confronto con analoghi modelli di produzione Märklin e Roco.[127]
Da segnalare la serie "Modello H0 Oro" costituita da modelli di locomotive e carrozze scelte fra i più significativi e placcati a imitazione dell'ottone.[128]
Notevoli i modelli di carrozze dei tipi costruttivi della prima metà del Novecento della Compagnie Internationale des Wagons-Lits.[129]
Alla fine degli anni Settanta fu avviata una linea produttiva in scala 0, denominata "Capolavori 0", di modelli prodotti completamente a mano.[130]
Accordi commerciali con varie ditte, tra cui quello con la tedesca Trix in base al quale la ditta tedesca commercializzò molti prodotti di quella italiana e viceversa, inserendoli nei rispettivi cataloghi, permisero all'azienda di penetrare in mercati "difficili" come quello tedesco.[131]
Fin dall'inizio la Rivarossi assunse il ruolo di importatrice per l'Italia dei prodotti di ditte specializzate, dapprima nella produzione e vendita di giocattoli generici e poi solo di prodotti per il modellismo, non solo ferroviario. Tali prodotti, per circa un ventennio, furono descritti in appositi cataloghi. Poi si ritenne sufficiente offrire direttamente i cataloghi di vendita originali.[132]
Tale linea commerciale rispondeva alla necessità, molto sentita da parte degli acquirenti italiani, di disporre di prodotti per la costruzione di plastici e di diorami, e fu seguita, tra gli altri, dal pioniere italiano del settore Italo Briano coi suoi marchi Modelprodotti e Modelcarta
Interessante anche la produzione di accessori, iniziata fin dal 1947.[Nota 37] Spiccano il sistema dei binari e deviatoi, attentamente progettato e ingegnerizzato[Nota 38], le riproduzioni di vere stazioni e di veri fabbricati d'esercizio delle FS[133][134][135] e di semafori ad ala e fissi, collegati ai sistemi di comando della circolazione dei convogli.[136]. Anche questi componenti furono brevettati.[70]
Rivarossi diventò socia di minoranza nel 1963 e proprietaria nel 1974 della Pocher, altra importante ditta italiana del settore[137][138], inserendo così nel proprio catalogo la sua produzione di modelli ferroviari[139] e commercializzando la sua prestigiosa produzione di autovetture in scala 1:8, giudicate dalla stampa specializzata ai vertici del modellismo mondiale.[140]
Tra i modelli realizzati dalla Pocher a Torino nel 1963 su richiesta della Rivarossi (nella persona dell'ingegner Brunner) si cita quello della locomotiva Bayard, eseguito in 875 pezzi e probabilmente "il primo modello di serie in Europa costruito in tutto ottone".[141][Nota 39]
Un caso speciale è quello dal modello dell'elettrotreno FS ALe 803, progettato dalla Pocher e presentato come novità nel 1965, quando già la ditta torinese era diventata una divisione di quella comasca, che fu l'unico modello di elettrotreno italiano prodotto dalla Rivarossi durante la direzione aziendale di Alessandro Rossi (nel 1997, durante la "nuova gestione", fu prodotto il modello dell'elettrotreno FS ETR.200).[142][143]
Le scelte aziendali della Pocher, dipendenti dall'origine come orafo del suo fondatore, si caratterizzarono dapprima come tipiche dell'alto artigianato e solo dal 1963 circa, dopo l'ingresso nella proprietà della Rivarossi, cominciarono a orientarsi verso la produzione di massa.[144]
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