Il referendum abrogativo in Italia del 2016 si tenne il 17 aprile ed ebbe ad oggetto l'abrogazione della disposizione con cui la durata delle concessioni per l'estrazione di idrocarburi in zone di mare (entro 12 miglia nautiche dalla costa) era stata estesa sino all'esaurimento della vita utile dei rispettivi giacimenti[1].
Malgrado la netta preponderanza dei suffragi favorevoli all'abrogazione della norma (pari all'85,85% dei voti validi), il referendum non produsse effetti poiché votò soltanto il 31,19% degli elettori residenti in Italia e all'estero: per l'efficacia della consultazione era infatti richiesta la partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto (quorum)[2].
È stato il quarto referendum abrogativo chiesto da almeno cinque Consigli regionali nella storia della Repubblica Italiana, dopo quelli del 1993 e 1997.
Contesto
La ricerca di idrocarburi liquidi e/o gassosi nel mare italiano può avvenire – con determinate limitazioni poste ai fini della salvaguardia delle coste e della tutela ambientale – solo in determinate «zone marine» individuate dal Parlamento o dal Ministero dello sviluppo economico[3][4]. Dal 2013 sono vietate le nuove perforazioni nel mar Tirreno, nelle aree marine protette e nelle acque comprese entro le 12 miglia nautiche dalla costa[3][5]; tuttavia, le concessioni autorizzate prima del 2013 possono continuare fino all'esaurimento delle risorse da estrarre.
In Italia sono presenti e autorizzate complessivamente 79 piattaforme marine[6], di cui 31 eroganti situate oltre le 12 miglia dalla costa e dalle aree protette[7] e 48 eroganti entro le 12 miglia[8].
Produzione di idrocarburi
Entro le 12 miglia sono autorizzate 9 concessioni (con 39 piattaforme) la cui autorizzazione è scaduta e ne è stata chiesta la proroga entro le 12 miglia (nel caso avessero vinto i «sì» al referendum, non sarebbero state prorogate): tali impianti hanno prodotto nel 2015 circa 622 milioni di metri cubi di gas (pari al 9% della produzione nazionale e al 1,1% dei consumi complessivi del 2014)[9].
Sempre entro le 12 miglia, sono presenti altre 17 concessioni in scadenza dal 2017 e che termineranno nel 2027, che nel 2015 hanno estratto 1,21 miliardi di metri cubi di gas (pari al 17,6% della produzione nazionale e al 2,1% dei consumi 2014) e 500 000 tonnellate di petrolio (circa il 9,1% della produzione nazionale e lo 0,8% dei consumi 2014). Queste concessioni, nel caso di vittoria del «sì» al referendum, non sarebbero state prorogate dopo il 2027[9].
Le piattaforme petrolifere vicino alla costa di Crotone (concessione di coltivazione D.C 1.AG in scadenza nel 2018[10]) hanno prodotto nel 2015 circa 557 milioni di metri cubi di gas (pari all'8% della produzione nazionale, in calo costante a partire dal 2003 e meno di un quarto di quanto produceva nel 1994[11]): la mancata proroga dell'autorizzazione potrebbe causare una perdita a livello nazionale pari allo 0,8% del consumo annuo di gas e allo 0,4% dei consumi totali[9][12].
Zona marina (Regione) | Gas naturale (Sm³) | Gasolina (kg) | Olio greggio (kg) |
---|---|---|---|
A – Emilia-Romagna[A 1] | 935 758 382 | 140 487 | 0 |
B – Marche e Abruzzo[A 2] | 54 004 511 | 436 237 | 295 826 731 |
C – Sicilia[A 3] | 4 625 021 | 0 | 247 054 152 |
D – Calabria[A 4] | 622 667 455 | 0 | 0 |
Totale produzione entro 12 miglia (2015)[8] | 1 518 932 151 | 576 724 | 542 880 883 |
Percentuale di produzione rispetto ai consumi nazionali | 2,27% | 0,91% | |
Consumo nazionale (2015) | ~66 900 000 000[12] | 59 809 999 998[13] | |
Dibattito sulla presenza di inquinanti legati alle attività estrattive in mare
L'inquinamento prodotto in normali condizioni d'utilizzo su pesca e vita marina – insieme ai rischi di disastro ambientale in un mare chiuso in caso di malfunzionamento – sono due dei principali argomenti portati a sostegno del referendum[14][15].
Per quanto riguarda il primo punto, sono stati diffusi pochi dati sull'inquinamento nelle aree di estrazione. L'organizzazione Greenpeace ha pubblicato un report, basato su dati dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), che afferma come i fondali marini al di sotto delle piattaforme stiano superando i limiti di inquinamento nel 79% dei casi (i dati si riferiscono al 2014), con tassi di inquinanti nelle cozze più alti del 30% rispetto ad altre aree marine. L'ISPRA e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, interpellati con un'istanza di accesso agli atti, hanno fornito dati relativi a 34 impianti sulla costa emiliano-romagnola, non dando informazioni sui rimanenti 100[16][17][18].
L'iniziativa referendaria
Il 6 luglio 2015 due organizzazioni ambientaliste, il Coordinamento nazionale No Triv, l'Associazione A Sud Ecologia e Cooperazione ONLUS, hanno sottoposto alle regioni una proposta di referendum popolare sulle trivellazioni in mare[19], da indire senza ricorrere alla raccolta di firme ma avvalendosi del potere d'iniziativa che la Costituzione attribuisce alle regioni medesime[2]. L'istanza, sottoscritta da 130 organizzazioni e da alcune personalità pubbliche, è stata ufficialmente inoltrata alle assemblee regionali il 3 settembre[20]. L'11 settembre 2015 la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali ha approvato all'unanimità la predisposizione di proposta referendaria[21].
Entro il termine del 30 settembre, come prescritto dalla legge[22], la richiesta d'indizione del referendum è stata formalmente approvata – con distinte delibere conformi – dai Consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto, otto dei quali erano accomunati da una maggioranza politica di centro-sinistra[23][24][25].
La regione Abruzzo si è successivamente ritirata dall'iniziativa nel gennaio del 2016[26].
La proposta referendaria comprendeva inizialmente sei diversi quesiti, inerenti rispettivamente alle proposte di[27][28]:
- abrogazione della dichiarazione di strategicità, indifferibilità e urgenza delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi (articolo 38, comma 1, del cosiddetto «decreto Sblocca Italia», vale a dire del decreto-legge 12 settembre 2014, nº 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, nº 164);
- abrogazione della nuova procedura di approvazione del cosiddetto «piano delle aree» di estrazione degli idrocarburi (articolo 38, comma 1-bis, del cosiddetto «decreto Sblocca Italia»);
- abrogazione della nuova disciplina sulla durata delle attività autorizzate dal nuovo «titolo concessorio unico» (articolo 38, comma 5, del cosiddetto «decreto Sblocca Italia»);
- abrogazione del potere sostitutivo dello Stato di autorizzare, in caso di rifiuto delle amministrazioni regionali, le infrastrutture e gli insediamenti strategici, inclusi quelli necessari per trasporto, stoccaggio, trasferimento degli idrocarburi in raffineria e altre opere strumentali per lo sfruttamento degli idrocarburi medesimi (articolo 57, comma 3-bis, del cosiddetto «decreto Semplifica Italia», vale a dire del decreto-legge 9 febbraio 2012, nº 5, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, nº 35);
- abrogazione del potere sostitutivo dello Stato di autorizzare, senza concertazione con le regioni, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi (articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, nº 239);
- abrogazione della possibilità di proroga delle estrazioni fino all'esaurimento dei giacimenti, solo per le concessioni marittime già rilasciate che distano meno di 12 miglia nautiche internazionali dalla costa (articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, nº 152).
Il controllo della Cassazione
Il 27 novembre 2015, l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte suprema di cassazione ha giudicato legittimi tutti i sei quesiti presentati dai Consigli regionali, riformulandone il testo in alcuni passaggi e attribuendo una denominazione a ciascuna delle richieste referendarie[29][30].
Nel dicembre del 2015, l'organizzazione ambientalista Greenpeace ONLUS ha commissionato un sondaggio d'opinione dal quale è emerso come la metà degli interpellati fosse a conoscenza dell'iniziativa referendaria; i pareri degli intervistati hanno mostrato inoltre una preponderanza della contrarietà alle trivellazioni in mare[31].
I provvedimenti del Governo e il vaglio della Consulta
In un secondo momento, l'8 gennaio 2016, l'Ufficio centrale per il referendum è stato chiamato a riesaminare i quesiti, respingendo i primi cinque a causa delle modifiche promosse dal Governo Renzi e introdotte nel frattempo dal Parlamento con la legge di stabilità finanziaria[32].
L'unico quesito rimasto, volto a cancellare la facoltà di prorogare le estrazioni fino all'esaurimento dei giacimenti, è stato infine dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale il 19 gennaio 2016[33][34].
Il ricorso delle Regioni per la riammissione dei quesiti esclusi
Alcuni fra i Consigli regionali promotori della consultazione hanno sollevato un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato allo scopo di far riammettere due dei cinque quesiti non accolti dall'Ufficio centrale per il referendum[35]. In particolare le Regioni lamentavano il fatto che il Parlamento, modificando parte della normativa sulle trivellazioni per iniziativa del Governo, avrebbe «legiferato su materie di competenza regionale»[35].
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte costituzionale il 9 marzo 2016 per un mero vizio di forma. I rappresentanti di cinque Consigli regionali (Basilicata, Campania, Liguria, Puglia e Sardegna), infatti, sono stati ritenuti «non legittimati» a sollevare il conflitto di attribuzione, in quanto carenti delle delibere consiliari che li autorizzavano a stare in giudizio (solo l'assemblea del Veneto aveva approvato tale delibera). Dal momento che il referendum deve essere richiesto da almeno cinque regioni, il ricorso è stato dunque respinto senza entrare nel merito[36][37].
La calendarizzazione
Convocazione dei comizi
Il referendum abrogativo è stato fissato per il 17 aprile 2016[38].
In un primo momento, era stato proposto l'accorpamento alle elezioni amministrative. Tuttavia il Governo ha optato per la divisione delle due consultazioni. A favore dell'accorpamento si sono dichiarati i promotori e l'opposizione parlamentare, denunciando un'evitabile spesa aggiuntiva tra i 350 e i 400 milioni di euro[39](in realtà il risparmio sarebbe stato circa tra i 75 e i 100 milioni dato che le successive elezioni amministrative si svolgevano solo in un quarto del territorio nazionale[40]). Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha inoltre dichiarato che il Governo non avrebbe potuto accorpare le consultazioni neanche se avesse voluto perché una legge lo impediva[41].
Il Presidente Sergio Mattarella ha firmato il decreto che indice il referendum anche in base all'articolo 7 del decreto-legge 98 del 2011 («Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria»), che prescrive l'obbligatorietà di abbinare elezioni di diverso grado tra loro in un'unica data nell'anno solare, senza prevedere il medesimo obbligo per i referendum[42]. Vi è un unico precedente di accorpamento di un referendum abrogativo con un'altra consultazione: nel 2009, le operazioni di voto per tre referendum abrogativi si svolsero contestualmente al turno di ballottaggio delle elezioni amministrative.
Il ricorso amministrativo contro il mancato «election day»
All'inizio di aprile, i Radicali Italiani e il Codacons hanno depositato due distinti ricorsi[A 5] al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, al fine di prevenire il danno economico derivante dalla decisione del Governo di non prevedere un'unica data per lo svolgimento del referendum e delle elezioni amministrative. La Regione Puglia ha dichiarato di voler sostenere il ricorso per l'accorpamento nell'«election day»[43][44][45], unitamente al Comune di Napoli[46] e alla Regione del Veneto[47].
Nel ricorso presentato dai Radicali Italiani viene contestata, oltre al danno economico del mancato «election day», anche la ravvicinata calendarizzazione del referendum alla prima domenica utile nel periodo consentito dal 15 aprile al 15 giugno, cioè appena 62 giorni dopo del decreto di indizione e senza la consultazione preventiva dei promotori referendari, dell'AGCOM, nonché della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi[43].
Il 13 aprile il TAR ha respinto il ricorso, sostenendo che non fosse più possibile rimediare al danno economico denunciato (infatti, mancando appena 4 giorni al voto, le maggiori spese erano già state compiute), e affermando: «non appaiono ravvisabili elementi sufficienti a rivelare l'irragionevolezza e/o illogicità della scelta della data del 17 aprile 2016»[48].
Subito dopo la sentenza, il Codacons ha preannunciato il ricorso urgente in appello al Consiglio di Stato[48]. Il 15 aprile il Consiglio di Stato ha respinto tale ultima istanza, confermando – in via definitiva – la data del referendum[49].
Sondaggi prima del voto
Data | Realizzatore | Committente | Sì | No | Scarto | Indecisi/ non rispondono |
Affluenza stimata | Raggiungimento del quorum |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
28 marzo 2016 | Istituto Piepoli[50] | Istituto Piepoli | 82%[N 1] | 18%[N 1] | 64% | 21% | 75% | Sì |
22 marzo 2016 | Demopolis[50][51] | LA7 – Otto e mezzo | 74%[N 2] | 26%[N 2] | 48% | 15% | n.d. | n.d. |
15-16 febbraio 2016 | SWG[50] | Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome | 78% | 22% | 56% | n.d. | n.d. | n.d. |
Il quesito
Il quesito propone l'abrogazione della norma che ha consentito di prorogare le concessioni per l'estrazione degli idrocarburi sino all'esaurimento dei rispettivi giacimenti. La disposizione riguarda esclusivamente le trivellazioni in mare già in attività che operano a una distanza non superiore a 12 miglia nautiche dalla costa (12 miglia nautiche equivalgono a 22 224 metri).
- Colore scheda: Giallo
- Motto: Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento.
- Descrizione: Il quesito è relativo all'abrogazione della previsione che le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro dodici miglia nautiche abbiano durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale[52].
Testo del quesito[53] |
---|
Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme in materia ambientale", come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)", limitatamente alle seguenti parole: "per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale"? |
Gli effetti sulla legge
Il comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, nº 152 sarebbe stato così modificato nel caso in cui il referendum avesse registrato la maggioranza di voti per il sì, previo raggiungimento del quorum:
Testo in vigore[54] | Testo proposto in modifica |
---|---|
17. Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea e internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l'aliquota di prodotto di cui all'articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l'olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell'incremento dell'aliquota ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione, rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare, e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per assicurare il pieno svolgimento delle azioni di monitoraggio, ivi compresi gli adempimenti connessi alle valutazioni ambientali in ambito costiero e marino, anche mediante l’impiego dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle strutture tecniche dei corpi dello Stato preposti alla vigilanza ambientale, e di contrasto dell’inquinamento marino. | 17. Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea e internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l'aliquota di prodotto di cui all'articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l'olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell'incremento dell'aliquota ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione, rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare, e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per assicurare il pieno svolgimento delle azioni di monitoraggio, ivi compresi gli adempimenti connessi alle valutazioni ambientali in ambito costiero e marino, anche mediante l’impiego dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle strutture tecniche dei corpi dello Stato preposti alla vigilanza ambientale, e di contrasto dell’inquinamento marino. |
Dibattito sulle conseguenze giuridiche del referendum
Gli effetti pratici dell'abrogazione della norma erano controversi e oggetto di opinioni contrastanti, non solo tra favorevoli e contrari al referendum ma anche all'interno dello stesso comitato promotore. Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano sosteneva che l'abrogazione avrebbe determinato il ritorno in vigore della legge n. 9 del 1991 che avrebbe permesso la proroga della concessione dei pozzi di cinque anni in cinque anni nella fase finale ma con i controlli delle Regioni[55].
Il costituzionalista Enzo Di Salvatore, tra i promotori del referendum, sosteneva al contrario che tale legge non sarebbe tornata in vigore e pertanto non sarebbe stato possibile ottenere alcuna proroga ulteriore dopo la scadenza delle concessioni già rilasciate[56]. Questa seconda interpretazione è stata sostenuta anche dalla maggior parte dei contrari al quesito tra cui il sottosegretario Claudio De Vincenti – secondo cui la vecchia norma non sarebbe potuta tornare in vigore in quanto abrogata[57] – e il comitato «Ottimisti e razionali», secondo il quale la reviviscenza della norma sarebbe stata esclusa dalla Corte costituzionale[58].
Altri ancora infine sostenevano che l'abrogazione non avrebbe prodotto alcun effetto pratico e consideravano quindi la consultazione un mero «referendum di stimolo». Pietro Ichino (PD), ad esempio, sosteneva che «se si legge il quesito referendario sulla prosecuzione dell'estrazione di idrocarburi dal fondo marino, ci si convince subito che il suo contenuto pratico è nullo. Certo, il voto può assumere un meta-significato politico; ma allora […] di questo si deve discutere e non di "trivelle"»[59].
Posizioni
Partiti rappresentati nel Parlamento italiano e/o europeo
Le posizioni di alcuni partiti sono contenute in un documento dell'AGCOM, che regolerà la par condicio durante la campagna elettorale: si tratta di quei «soggetti politici intenzionati a chiedere spazi informativi o nelle tribune politiche elettorali sulle televisioni private, in vista del referendum»[60][61].
Nella tabella seguente sono elencate tutte le posizioni prese dai partiti politici – anche non elencati nel documento – presenti nel Parlamento italiano ed europeo.
Altri soggetti
Nel documento dell'AGCOM risultano inserite anche alcune associazioni che intendono fare campagna elettorale[60].
Di seguito si elencano, in aggiunta alle associazioni di cui sopra, anche altri soggetti di rilevanza nazionale che hanno espresso il loro parere sul referendum.
Ente | Orientamento | Fonti |
---|---|---|
Circoli dell'Ambiente e della Cultura Rurale | Astensione | [60] |
Federalisti Democratici Europei | No | [60] |
Associazione «Ottimisti e Razionali» | Astensione | [60] |
Confederazione COBAS | Sì | [60] |
Confederazione Unitaria di Base (CUB) | Sì | [92] |
Unione Sindacale di Base (USB) | Sì | [93] |
Associazione A Sud Ecologia e Cooperazione ONLUS | Sì | [60] |
Associazione Marevivo | Sì | [60] |
Legambiente | Sì | [60] |
FareAmbiente – Movimento ecologista europeo | Sì | [60] |
Associazione «Amici della Terra» | Astensione | [94] |
Greenpeace ONLUS | Sì | [60] |
Associazione «Prima le Persone» | Sì | [60] |
Confederazione italiana agricoltori | Sì | [60] |
Associazione «Rete della Conoscenza» | Sì | [60] |
Associazione «TILT! Onlus» | Sì | [60] |
Associazione Italiana Nucleare | No | [95] |
WWF | Sì | [96] |
Adusbef | Sì | [96] |
ARCI | Sì | [96] |
FIOM | Sì | [96] |
Libera | Sì | [96] |
Lega Italiana Protezione Uccelli | Sì | [96] |
Federazione Nazionale Pro Natura | Sì | [96] |
Rete degli studenti medi | Sì | [96] |
Slow Food | Sì | [96] |
Touring Club Italiano | Sì | [96] |
Controversie
Le denunce penali per gli inviti all'astensione da parte dei membri del Governo
Prima del voto sono state presentate denunce penali nei confronti di alcuni membri del Governo e alte cariche dello Stato per presunte violazioni alla normativa elettorale, precisamente per l'invito all'astensione[97]. In particolare, il Presidente del Consiglio e segretario del PD Matteo Renzi rivendicò la legittimità dell'astensione, giungendo a definire il referendum "una bufala";[98] analoghi toni sminuenti adottò il Presidente emerito della Repubblica e senatore a vita Giorgio Napolitano, difendendo il diritto all'astensione e definendo l'iniziativa referendaria "inconsistente e pretestuosa".[99]
Di conseguenza, Maurizio Buccarella, senatore del Movimento 5 Stelle, e Riccardo Magi, segretario dei Radicali Italiani, hanno consegnato le denunce alla Procura di Roma contro il Presidente del Consiglio Renzi e il viceministro allo Sviluppo Economico Teresa Bellanova per la violazione di alcune disposizioni contenute nel testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati (applicabile anche alle consultazioni referendarie), tra cui l'articolo 98 che afferma[100][101]:
«Il pubblico ufficiale, l'incaricato di un pubblico servizio, l'esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all'astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 309 euro a 2 065 euro.»
Due giorni prima del voto anche l'allora segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista Paolo Ferrero ha denunciato Matteo Renzi per induzione all'astensione.
Presunta violazione del silenzio elettorale
Il giorno del referendum, mentre la votazione era ancora in corso, esponenti di varie forze politiche avrebbero violato il silenzio elettorale rilasciando dichiarazioni a telegiornali, agenzie di stampa e altri mezzi di comunicazione di massa, a sostegno ora del «sì», ora del «no», ora dell'astensione. Tra questi, si è distinto il deputato del PD Ernesto Carbone, che di fronte all'evidente mancato raggiungimento del quorum ha beffeggiato scrivendo "ciaone" sul suo account Twitter i sostenitori del referendum.[102][103]
Risultati
Risultati per area
Risultati in Italia
La Basilicata è stata l'unica regione in cui si è raggiunto il quorum (oltre alla più alta percentuale di voti per il «sì»), mentre la più bassa affluenza e la maggiore frazione di suffragi per il «no» sono state registrate nella Circoscrizione Estero[104].
La provincia con la minor percentuale di votanti è stata quella di Bolzano con il 17,61% dei votanti, mentre quella con la maggiore affluenza è stata la provincia di Matera con il 52,35%[105].
Di seguito i risultati per regione.
Regione | Percentuale votanti | Sì | No |
---|---|---|---|
Valle d'Aosta | 34,74% | 83,90% | 16,10% |
Piemonte | 34,02% | 81,37% | 16,63% |
Liguria | 31,62% | 83,29% | 16,71% |
Lombardia | 30,46% | 79,60% | 20,40% |
Trentino-Alto Adige | 25,19% | 83,74% | 16,26% |
Veneto | 37,86% | 85,63% | 14,37% |
Friuli-Venezia Giulia | 32,16% | 81,97% | 18,03% |
Emilia-Romagna | 34,27% | 80,30% | 19,70% |
Toscana | 30,77% | 83,55% | 16,46% |
Marche | 34,75% | 85,18% | 14,82% |
Umbria | 28,42% | 82,77% | 17,23% |
Lazio | 32,01% | 88,29% | 11,71% |
Abruzzo | 35,44% | 88,27% | 11,73% |
Molise | 32,73% | 90,76% | 9,24% |
Campania | 26,13% | 91,45% | 8,55% |
Basilicata | 50,16% | 96,40% | 3,60% |
Puglia | 41,65% | 95,09% | 4,91% |
Calabria | 26,69% | 93,02% | 6,98% |
Sicilia | 28,40% | 92,56% | 7,46% |
Sardegna | 32,34% | 92,40% | 7,60% |
Risultati all'estero
Di seguito i risultati per singola ripartizione.
Ripartizione | Votanti | Percentuale votanti | Sì | No |
---|---|---|---|---|
Europa | 405 560 | 19,29% | 73,92% | 26,08% |
America Meridionale | 272 806 | 21,56% | 73,26% | 26,74% |
America Settentrionale e Centrale | 66 021 | 17,83% | 69,89% | 30,11% |
Africa, Asia, Oceania e Antartide | 35 161 | 16,49% | 69,90% | 30,10% |
Note
Voci correlate
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Collegamenti esterni
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