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credenza secondo la quali gli ebrei sono stati scelti da Dio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Nell'ebraismo c'è la convinzione che gli ebrei siano il popolo eletto, nel senso che siano stati scelti ("essere eletti, scelti") per far parte di un'alleanza (il Patto) con Dio. Questa idea è riscontrata per la prima volta nella Torah (i cinque libri di Mosè, inclusi anche nella Bibbia cristiana col titolo di Pentateuco) ed è elaborata nei libri successivi della Bibbia ebraica ("Tanakh"). Molto è stato scritto sul tema dell'elezione divina e argomenti correlati, specialmente nella letteratura rabbinica. Le tre maggiori correnti ebraiche – l'ebraismo ortodosso, l'ebraismo conservatore e l'ebraismo riformato – mantengono la convinzione che gli ebrei siano stati scelti da Dio per uno scopo.[2]
« ...Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono Santo. » (Levitico 19.2[1]) |
« Se darete attentamente ascolto alla mia voce e osserverete il mio Patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro/possesso particolare, poiché tutta la Terra è mia. Voi sarete per me un regno/popolo di sacerdoti e una nazione santa. Queste sono le parole che dirai ai figli d'Israele... » (Esodo 19.5-6[3]) |
Per comprendere giustamente il significato di popolo eletto, come interpretato dalla fede ebraica, bisogna anche esaminare il Talmud, uno dei testi sacri dell'ebraismo: testo della Torah orale.
Il Talmud narra la seguente parabola:
"Il Santo, Benedetto Egli sia, ha unito il Suo nome a Israele. A questo proposito si può istituire un paragone con un re che aveva la chiave di un piccolo forziere. Diceva il re: «Se la lascio così si perderà. Ecco, io le farò una catena, così che, se si perde, la catena indicherà dov'è». Similmente parlava il Santo Benedetto Egli sia: «Se lascio i figli d'Israele così come sono, saranno "inghiottiti" fra le nazioni pagane. Attaccherò dunque ad essi il Mio grande Nome e vivranno»." (p. Taan. 65 b.).
L'espressione biblica "Dio d'Israele" è spiegata in questo modo:
"Il Santo Benedetto Egli sia disse a Israele: «Io sono Dio per tutti coloro che vengono al mondo, ma soltanto a te ho associato il mio Nome. Non sono chiamato il Dio degli idolatri, ma il Dio d'Israele"[4]
Il concetto di "elezione" non deve essere frainteso. L'elezione, sostengono le autorità rabbiniche, non implica alcuna superiorità nella differenza etnica – Israele non è il popolo di Dio per i propri meriti o per una presunta purezza della razza, bensì per Volontà divina. L'elezione è un mandato, una missione da compiere che non è stata affidata a nessun altro.[4] Anche i non-Ebrei (ovvero i Goym, cioè le altre nazioni) possono vivere secondo giustizia ed avere una relazione con il Creatore:[Nota 1] per loro infatti sono stati rivelate le sette leggi di Noè che andrebbero osservate da tutti i popoli.[Nota 2]
Secondo la tradizionale interpretazione ebraica della Bibbia,[5] il carattere di Israele come popolo eletto è incondizionato, poiché Deuteronomio 14.2[6] afferma:
La Torah inoltre afferma:
Dio promette di non scambiare mai il Suo popolo con altri popoli[8]:
Altri passi biblici sull'elezione:
L'obbligo imposto agli Israeliti è stato messo in rilievo dal profeta Amos (Amos 3.2[27]):
«...Poiché Tu che operi salvezze, scegliesti noi tra tutti i popoli e linguaggi e ci avvicinasti, nostro Re, al Tuo grande Nome con amore perché Ti possiamo rendere omaggio, proclamare la Tua Unità, temere ed amare il Tuo Nome...»
L'idea dell'elezione (come vocazione, scelta) è stata interpretata dagli ebrei in due modi:
Sebbene collettivamente questa seconda scelta sia stata fatta liberamente, gli ebrei religiosi affermano che ciò crea un obbligo individuale anche per i discendenti degli Israeliti[28]. Un'altra opinione è che la scelta fu libera in un contesto "limitato": sebbene gli ebrei abbiano scelto di seguire i precetti ordinati da Dio, la Cabala e il Tanya insegnano che ancora prima della Creazione, l'"anima ebraica" era già stata scelta.[Nota 3]
Fondamentale per il concetto ebraico di elezione è che esso crea vincoli esclusivi agli ebrei, mentre i non-ebrei ricevono da Dio altre alleanze e altre responsabilità.[29] In generale, non comporta ricompense riservate solo agli ebrei. La letteratura rabbinica classica nella Mishnah Avot 3.14 fornisce questo insegnamento:
Rabbi Akiva usava dire: "Amato è l'uomo, perché è stato creato a immagine di Dio; e il fatto che Dio abbia fatto sapere che l'uomo è stato creato a Sua immagine è indicativo di un amore ancora più grande. Come afferma il passo (Genesi 9.6[30]) «Ad immagine di Dio Egli ha fatto l'uomo», la Mishnah continua affermando: «Amato è il popolo d'Israele, perché sono chiamati figli di Dio; ma è un amore ancor più grande che sia fatto conoscer loro che sono chiamati figli di Dio, siccome è detto: Voi siete i figli del Signore, vostro Dio. Beato è il popolo d'Israele, perché un articolo prezioso [la Torah] è stato dato loro...»"
La maggior parte dei testi ebraici non riportano che "Dio scelse gli ebrei" e basta. Piuttosto ciò è collegato usualmente con una missione o scopo, come la proclamazione del messaggio divino a tutte le nazioni, sebbene gli ebrei non possano rinunciare alla loro "elezione" anche se si sottraggono alla missione. Ciò implica uno speciale dovere, che si sviluppa dalla convinzione che gli ebrei siano stati impegnati dal Patto che Dio ha concluso con il patriarca biblico Abramo, loro antenato, e di nuovo con l'intera nazione ebraica sul Monte Sinai. In questa prospettiva, gli ebrei sono chiamati a vivere una vita santa, come popolo di sacerdoti di Dio.[31]
Nel libro ebraico di preghiere (il Siddur), l'elezione viene citata in vari modi. La benedizione per la lettura della Torah dice –
Nel "Kiddush", preghiera di santificazione dove lo Shabbat viene inaugurato con una coppa di vino, il testo afferma –
Nel "Kiddush" recitato durante i festival, dice –
Una precedente forma di tale preghiera, usata nell'epoca medievale, conteneva un'ulteriore frase:
È nostro dovere lodare il Signore di tutto, attribuire grandezza all'Autore del creato, che non ci ha fatto come i popoli delle nazioni né ci ha messo come le famiglie della terra; che non ci ha dato la nostra parte come la loro, né il nostro destino come quello delle moltitudini, poiché adorano vanità e vacuità, e pregano un dio che non può salvare.
La frase aggiuntiva in corsivo è un'allusione alla Bibbia, Isaia 45.20[32]:
In epoca medievale, alcuni membri della comunità cristiana arrivarono a credere che questa frase si riferisse ai cristiani che adoravano Gesù (in croce di legno) e venne richiesto di ometterla.[Nota 4] Il rabbino polacco Ismar Elbogen, storico della liturgia ebraica, sostenne che l'originale forma di preghiera predatava l'era cristiana e quindi non poteva riferircisi.[Nota 5]
Secondo i maestri ebrei, "Israele è tra tutte le nazioni la più ostinata e testarda, ed è stato il compito della Torah di darle la giusta funzione e la capacità di resistenza, altrimenti il "mondo" non avrebbe potuto resistere alla [propria] ferocia."[33]
"Il Signore offrì la Legge a tutte le nazioni; ma tutte si rifiutarono di accettarla, eccetto Israele."[34]
"Come facciamo a comprendere che «un gentile che consacra la propria vita allo studio e osservanza della Legge si colloca parimenti in alto come il sommo sacerdote»", dice Rabbi Meïr, deducendo il ragionamento da Lev. xviii. 5; II Sam. vii. 19; Isa. xxvi. 2; Ps. xxxiii. 1, cxviii. 20, cxxv. 4, dove tutta l'enfasi è posta non su Israele, ma sull'uomo o sul giusto.[35](L'uomo è infatti considerato come un mondo: da questo l'esegesi ebraica deduce che chi uccide un uomo è come se distruggesse [il] mondo: cfr Anima e Cinque Mondi)
La Ghemara afferma quanto sopra in merito a un non-ebreo che studia la Tora, ma su questo si veda Shita Mekubetzes, Bava Kama 38a, che la riporta come un'esagerazione. In ogni caso, tale affermazione non sembra fatta per lodare il non-ebreo, ma per lodare la Torah, come spiegano i Rishonim.[36]
Il Tosafot spiega che utilizza l'esempio di un kohen gadol (sommo sacerdote), poiché l'affermazione si basa sul versetto "y'kara hi mipnimim" (è più prezioso delle perle). Ciò viene spiegato altrove nella Ghemara col significato che la Torah è più preziosa pnimim (qui tradotto con "dentro" invece che "perle"; quindi, che la Torah è assorbita introspettivamente dalla persona, dentro, nella persona), che si riferisce a lifnai v'lifnim (tradotto come "il più interiore dei posti"), cioè il Santo dei Santi dove entra il kahon gadol; spesso, infatti, anche la tradizione orale della Qabbalah paragona con una metafora ogni ebreo ad un diamante che può essere inizialmente grezzo ma poi lavorato magistralmente, in questo caso da Dio, dal padre e/o da un Maestro o Chakham.[36]
In ogni caso, nella Midrash Rabba (Bamidbar 13:15) tale affermazione viene fatta con un'aggiunta importante: un non-ebreo che si converte e studia la Torah si colloca parimenti in alto... ecc.
Ancora, la nazione di Israele è paragonata anche all'oliva. Proprio come questo frutto cede il suo prezioso olio solo dopo essere stato molto pressato e strizzato, così il destino di Israele è uno di grande oppressione e difficoltà, in modo che possa cedere a tutti la sua saggezza illuminante.[37] La povertà è la qualità che più si confà ad Israele come popolo eletto (Ḥag. 9b). Solo grazie alle sue opere buone è Israele tra le nazioni "come il giglio è tra le spine",[38] o "come il grano tra la pula".[39]
Rabbi Lord Immanuel Jakobovits, già Rabbino Capo delle Sinagoghe Unite della Gran Bretagna (Ebraismo Ortodosso Moderno), descrive l'"elezione del popolo ebraico":
Sì, credo proprio nel concetto di popolo eletto come affermato dall'Ebraismo nei suoi scritti sacri, le sue preghiere, e la sua tradizione millenaria. In effetti, credo che ogni popolo — e di fatto, in un certo senso più limitato, ogni individuo — sia "eletto" o destinato a qualche scopo distinto per portare avanti i disegni della Provvidenza. Solo che alcuni compiono la loro missione e altri no. Forse i greci furono scelti per i loro mirabili contributi nell'arte e filosofia, i romani per i loro apporti innovativi in materia di diritto e di governo, i britannici per portare l'ordinamento parlamentare nel mondo, e gli americani per il affermare la democrazia in una società pluralistica. Gli ebrei furono scelti da Dio per essere "la proprietà tra tutti i popoli" come i pionieri della religione e della morale, che era ed è il loro scopo nazionale.[40]
Rabbi Norman Lamm, uno dei leader dell'Ebraismo Ortodosso Moderno scrive:
«L'elezione di Israele si riferisce esclusivamente alla sua vocazione spirituale incorporata nella Torah: la dottrina, infatti,fu annunciato sul Sinai. Ogni volta che viene menzionata nella nostra liturgia — come nella benedizione che immediatamente precede la Shemà... è sempre legata alla Torah o alle mitzvot (comandamenti). Questa vocazione spirituale è costituita da due funzioni complementari, descritte come "Goy Kadosh", quella di una nazione santa, e "Mamlekhet Kohanim", quella di un regno di sacerdoti. Il primo termine indica lo sviluppo di una separazione comune o differenza partitiva al fine di ottenere un'auto-trascendenza collettiva [...] Il secondo termine implica l'obbligo di questa fratellanza élitistica spirituale verso il resto dell'umanità; il sacerdozio è definito dai profeti fondamentalmente come una vocazione didattica.[41]»
L'Ebraismo conservatore e la sua controparte israeliana, l'Ebraismo masorti,[Nota 6] considera il concetto di elezione in questo modo:
«Poche credenze sono stati oggetto di fraintendimenti come quella della dottrina del "popolo eletto". La Torah e i Profeti hanno affermato con chiarezza che ciò non implica alcuna superiorità innata ebraica. Nelle parole di Amos (3.2[42]) ""Soltanto voi ho eletto tra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità". La Torah ci dice che dobbiamo essere "un regno di sacerdoti e una nazione santa" con obblighi e doveri che scaturiscono dalla nostra disponibilità ad accettare questo stato. Lungi dall'essere una licenza di speciale privilegio, ha comportato ulteriori responsabilità non solo verso Dio, ma verso gli altri esseri umani. Come espresso nella benedizione durante la lettura della Torah, la nostra gente ha sempre pensato che fosse un privilegio essere scelti per tale scopo. Per l'Ebreo tradizionale moderno, la dottrina dell'elezione e dell'alleanza di Israele offre uno scopo per l'esistenza ebraica, che trascende i suoi propri interessi personali. Essa suggerisce che, a causa della nostra storia speciale e patrimonio unico, siamo in grado di dimostrare che un popolo che prende sul serio l'idea di essere in alleanza con Dio può non solo prosperare anche di fronte all'oppressione, ma può essere una fonte di benedizione per i suoi figli e per il suo prossimo. Ci obbliga a costruire una società giusta e compassionevole in tutto il mondo e in particolare nel Terra di Israele, dove possiamo insegnare con l'esempio che cosa significhi essere un "popolo dell'alleanza, luce delle nazioni".[Nota 7]»
Rabbi Reuven Hammer dell'Ebraismo masorti commenta sull'omissione della frase nella succitata preghiera di Aleinu:
«In origine il testo riportava che Dio non ci ha fatto come le nazioni che "che adorano vanità e vacuità, e pregano un dio che non può salvare", [...] Nel Medioevo, queste parole furono censurate, in quanto la Chiesa credeva che fossero un insulto al Cristianesimo. Tralasciandole si ha l'impressione che l‘Aleinu insegni che siamo sia diversi che migliori degli altri. L'intento reale [invece] è quello di dire che siamo grati che Dio ci abbia illuminato in modo che, a differenza dei pagani, noi adoriamo il vero Dio e non idoli. Non vi è alcuna superiorità inerente ad essere ebrei, ma invero affermiamo la superiorità della fede monoteista sul paganesimo. Anche se il paganesimo esiste tutt'oggi, non siamo più gli unici ad avere fede in un solo Dio.[43]»
L'Ebraismo riformato considera il concetto di popolo eletto come segue:
«Nel corso dei secoli è stata la missione di Israele di testimoniare il Divino di fronte ad ogni forma di paganesimo e del materialismo. Noi lo consideriamo il nostro compito storico di collaborare con tutti gli esseri umani nella costituzione del regno di Dio, della fraternità universale, della giustizia, verità e pace sulla terra. Questo è il nostro obiettivo messianico.[44]»
Nel 1999 il Movimento riformatore ha dichiarato:
«Noi affermiamo che il popolo ebraico è legato a Dio da un Patto eterno, che si riflette nelle nostre varie concezioni della Creazione, Rivelazione e Redenzione [...] Noi siamo Israele, un popolo che aspira alla santità, scelto mediante la nostra antica alleanza e la nostra particolare storia, unico tra le nazioni ad essere testimone della presenza di Dio. Siamo legati da quella alleanza e da quella storia a tutti gli ebrei in qualsiasi tempo e luogo.[Nota 8]»
Molte fonti cabalistiche contengono asserzioni secondo cui l'anima ebraica è qualitativamente diversa da quella non ebraica.
Un certo numero di fonti cabalistiche medievali contengono affermazioni secondo cui l'anima ebraica è ontologicamente diversa dall'anima di non-ebrei; ad esempio, alcuni ritengono che gli ebrei abbiano tre livelli di anima: nefesh, ruach e neshamah, mentre i non-ebrei hanno solo nefesh. La Zohar commenta sul versetto biblico che recita "Lascia che le acque pullulino con sciami di creature che hanno un'anima viva", come segue: "Il versetto 'creature che hanno un'anima viva', è inteso per gli ebrei, perché sono figli di Dio, e da Dio provengono le loro anime sante ... e le anime delle altre nazioni, da dove vengono? Il rabbino Elazar dice che hanno un'anima dal lato sinistro impuro, e quindi sono tutti impuri, profanando chiunque si avvicini a loro" (commentario della Zohar sulla Genesi).[45]
Tale ostilità teologicamente impostata può essere stata una risposta ad alcune demonizzazioni medievali contro gli ebrei, che si svilupparono in alcune parti della società e del pensiero occidentali e cristiani, a partire dalle scritti patristici.[46] Secondo il mistico cabalista Isaac Luria (1534–72) e altri commentatori della Zohar, i Gentili giusti (cioè coloro che rispettano le Leggi noachiche) non hanno questo aspetto demonico e in molti aspetti sono simili alle anime ebree. Diversi rinomati cabalisti, tra cui Rabbi Pinchas Eliyahu di Vilna autore del Sefer ha-Brit, ritenevano che solo alcuni elementi marginali dell'umanità rappresentano queste forze demoniache. D'altra parte, le anime degli eretici ebrei hanno molta più energia satanica dei peggiori idolatri; questo punto di vista è popolare in alcuni circoli chassidici, soprattutto tra i chassidim Satmar.[45]
Alcune successive opere cabbalistiche elaborano e approfondiscono queste idee. Un punto di vista è quello rappresentato dall'opera chassidica Tanya (1797), che sostiene il carattere diverso di anima degli ebrei: mentre un non-ebreo, secondo l'autore Rabbi Shneur Zalman di Liadi (n. 1745), può raggiungere un livello elevato di spiritualità, simile a un angelo, la sua anima è ancora fondamentalmente diversa in carattere, ma non in valore, da quella ebraica. Un'opinione simile viene espressa all'inizio del libro filosofico medievale Kuzari, di Yehuda Halevi (1075-1141 e.v.). Menachem Mendel Schneersohn, noto come lo Tzemach Tzedek e terzo rebbe di Chabad, ha scritto che i musulmani sono di natura persone generose e di buon cuore. Rabbi Yosef Jacobson, un rispettato docente chabad contemporaneo, insegna che nel mondo di oggi la maggior parte di non-ebrei appartiene alla categoria dei gentili giusti, rendendo in tal modo l'atteggiamento della Tanya anacronistico.[45]
Molti cabalisti importanti hanno respinto l'idea di una diversità tra le anime e credono nell'uguaglianza essenziale di tutte le anime umane. Il talmudista italiano Menahem Azariah da Fano (1548-1620), nel suo libro Reincarnazione delle anime, fornisce molti esempi di figure bibliche non-ebree che si sono reincarnate in ebrei e viceversa; il rabbino mistico contemporaneo chabad Dov Ber Pinson insegna che le distinzioni tra ebrei e non-ebrei in opere come la Tanya non sono da intendersi letteralmente come riferite alle proprietà esteriori di una persona (in quale comunità religiosa siano nati, ecc.), ma piuttosto come un riferimento alle proprietà dell'anima in quanto si può reincarnare in qualunque comunità religiosa.[47]
Un altro rinomato rabbino chabad, Abraham Yehudah Khein (n. 1878 in Ucraina), ha affermato che i gentili spiritualmente elevati hanno un'anima essenzialmente ebraica, "alla quale manca soltanto la conversione formale all'Ebraismo" e che gli ebrei non spirituali sono "ebrei semplicemente sui loro documenti di nascita".[Nota 9] Rabbi Khein è stato un forte antisionista e comunista anarchico che considerava Pëtr Alekseevič Kropotkin un grande Zaddiq. Sostanzialmente Khein legge la Tanya all'incontrario: poiché le anime degli adoratori di idoli sono notoriamente malvagie, secondo la Tanya, mentre le anime ebraiche sono notoriamente buone, conclude che le persone veramente altruistiche sono certamente ebree, in senso spirituale, mentre gli ebrei nazionalisti e gli oppressori di classe non lo sono. Con questa logica, Khein afferma che il filosofo Vladimir Sergeevič Solov'ëv e Rabindranath Tagore probabilmente hanno anime ebraiche, mentre Leon Trotsky e altri personaggi totalitari non le hanno, e molti sionisti, che egli paragonava alle scimmie, sono ebrei solo di nome.[Nota 9] Il grande cabalista del XX secolo Yehuda Ashlag reputava i termini "ebrei" e "gentili" come differenti livelli di percezione, a disposizione di ogni anima umana.
David Halperin[48] sostiene che il crollo di influenza della Cabala tra gli ebrei dell'Europa occidentale nel corso del XVII e il XVIII secolo è stato il risultato della dissonanza cognitiva che alcuni esponenti della Cabala provavano tra la percezione negativa dei gentili e i loro rapporti personali positivi con i non-ebrei, rapporti che erano in rapida espansione e miglioravano in questo periodo a causa dell'influenza dell'Illuminismo.
Un certo numero di rinomati Kabbalisti hanno sostenuto che la Kabbalah trascende i confini dell'Ebraismo e può servire come base di teosofia inter-religiosa e di religione universale. Rabbi Pinchas Elia Hurwitz, importante cabalista lituano-galiziano del XVIII secolo e un sostenitore moderato della Haskalah (Illuminismo ebraico), esortò all'amore fraterno e solidale tra tutte le nazioni, e credeva che la Cabala potesse donare poteri a tutti, ebrei e gentili, di abilità profetiche.[Nota 10]
Le opere di Abraham Cohen de Herrera (1570-1635) sono colme di riferimenti ai filosofi mistici gentili. Tale approccio fu particolarmente comune tra gli ebrei italiani del Rinascimento e post-Rinascimento. Cabalisti tardomedievali e rinascimentale italiani, come ad esempio Yohanan Alemanno, David Messer Leon e Abraham Yagel, aderirono agli ideali umanistici e incorporarono gli insegnamenti di vari mistici cristiani e pagani.[45]
Un rappresentante principale di questa corrente umanistica della Cabala fu Rabbi Elia Benamozegh, che esplicitamente lodò il Cristianesimo, l'Islam, lo Zoroastrismo, l'Induismo, oltre a tutta una serie di sistemi pagani mistici antichi. Benamozegh credeva che la Kabbalah potesse conciliare le differenze tra le religioni del mondo, che rappresentano diversi aspetti e fasi della spiritualità umana universale. Nei suoi scritti, Benamozegh interpreta Nuovo Testamento, ḥadīth, Veda, Avestā e misteri pagani secondo la teosofia cabalistica.[Nota 11]
Una differente prospettiva la fornisce Elliot R. Wolfson[49] elencando numerosi esempi dal XVII al XX secolo che disputa l'opinione di Halperin sopra citata, come anche la nozione che l'"Ebraismo moderno" abbia respinto o rifiutato questo "aspetto obsoleto" della religione e, afferma, esistono ancora cabalisti che contemplano questa idea. Wolfson asserisce che, mentre è accurato dire che molti ebrei trovano tale distinzione offensiva, è inaccurato dire che tale idea sia stata totalmente rigettata in tutti gli ambienti. Come sostiene Wolfson, si tratta di un dovere etico da parte degli studiosi di continuare ad essere vigili per quanto riguarda questa materia e in questo modo la tradizione può essere perfezionata dall'interno.[49]
Tuttavia, come spiegato in precedenza, molti noti cabalisti hanno respinto l'interpretazione letterale di questi punti di vista apparentemente discriminatori. Hanno affermato infatti che il termine "ebreo" debba essere interpretato metaforicamente, come riferimento allo sviluppo spirituale dell'anima, piuttosto che come denominazione superficiale della persona, e hanno aggiunto una serie di stati intermedi tra "ebrei" e idolatri, o hanno spiritualizzato la stessa definizione di "ebrei" e "non-ebrei", sostenendo che l'anima può reincarnarsi in diverse comunità (ebree o meno) quanto anche all'interno di una sola.[47]
Anche Rabbi Nachman di Breslov credeva che l'ebraicità è un livello di consapevolezza nel conscio, e non una qualità intrinseca innata. Reb Nachman ha scritto che, secondo il Libro di Malachia, si possono trovare "ebrei potenziali" in tutte le nazioni, le cui anime sono illuminate dal palpito della "santa fede", che "attiva" l'ebraicità nella loro anima. Queste persone potrebbero altrimenti convertirsi all'Ebraismo, ma preferiscono non farlo: riconoscono invece l'unità divina che è nelle loro religioni pagane.[50]
Rabbi Isaac ben Moses Arama, un influente filosofo e mistico spagnolo del XV secolo, credeva che i non-ebrei giusti fossero spiritualmente uguali agli ebrei giusti.[51] Rabbi Menachem Meiri, famoso commentatore talmudico catalano e filosofo maimonideo, considerava tutte le persone, che sinceramente professano una religione etica, di essere "parte-di-più del" grande "Israele spirituale". Includeva esplicitamente cristiani e musulmani in questa categoria e respingeva tutte le leggi talmudiche che discriminavano tra ebrei e non-ebrei, sostenendo che tali leggi si applicavano solo agli idolatri antichi, che non avevano il senso della moralità. L'uniche eccezioni che Meiri riconosceva erano solo alcune leggi connesse direttamente o indirettamente a matrimoni misti. Meiri applicava la sua idea di una "Israele spirituale" alle dichiarazioni talmudiche sulle qualità uniche del popolo ebraico. Ad esempio, egli credeva che il famoso detto che Israele è al di sopra di predestinazioni astrologiche ("Ein Mazal le-Israele") si applicasse anche ai seguaci di altre fedi etiche. Riteneva inoltre che i paesi abitati da non-ebrei moralmente retti, come ad esempio quelli della Linguadoca, fossero parte spirituale della Terra santa.[52]
Uno dei critici degli "ebrei come popolo eletto" fu il filosofo Baruch Spinoza. Nel terzo capitolo del suo Tractatus Theologico-Politicus (Trattato teologico-politico), Spinoza costruisce un'argomentazione contro quella che egli reputa un'interpretazione ingenua della scelta degli ebrei da parte di Dio. Fornendo prove dalla Bibbia stessa, Spinoza sostiene che la scelta divina di Israele non fu unica (Dio aveva scelto altre nazioni prima di scegliere la nazione ebraica), e che la scelta degli ebrei non è né inclusiva (non include tutti gli ebrei, ma solo quelli "pii") né esclusiva (comprende anche i "veri" profeti gentili). Infine, egli afferma che la scelta di Dio non è incondizionata: ricordando le numerose volte che Dio ha minacciato la completa distruzione della nazione ebraica, asserisce che questa "scelta" non è né assoluta, né eterna, né necessaria. Inoltre, nell'aforisma nr. 12, Spinoza scrive: "Quindi gli ebrei oggi non hanno assolutamente nulla che possano attribuire a se stessi, ma non ad altri popoli..."[Nota 12]
L'Ebraismo ricostruzionista rifiuta il concetto di "elezione". Il suo fondatore, Rabbi Mordecai Kaplan, ebbe a dire che l'idea che Dio abbia scelto il popolo ebreo conduce a credenze razziste tra gli ebrei stessi, e quindi deve essere rimossa dalla teologia ebraica. Tale rifiuto dell'elezione viene reso esplicito nei libri di preghiera (Siddurim) del movimento.[53]
Ad esempio, la benedizione tradizionale recitata prima di leggere la Torah, contiene la frase "asher bahar banu mikol ha'amim" — "Lodato sia il Signore nostro Dio, Re dell'Universo, che ci ha scelto tra tutti i popoli dandoci la Torah." La versione ricostruzionista viene riscritta come "asher kervanu la'avodato", "Lodato sia il Signore nostro Dio, Re dell'Universo, che ci ha portato al Suo servizio dandoci la Torah."
A metà degli anni ottanta, il movimento ricostruzionista pubblicò la sua Piattaforma del Ricostruzionismo, con la dichiarazione che l'idea di elezione è "moralmente insostenibile", perché chiunque abbia tali credenze "implica la superiorità della comunità eletta e il rifiuto degli altri."[54]
Non tutti i ricostruzionisti accettano questo punto di vista. L'ultimo siddur del movimento, il Kol Haneshamah, include le benedizioni tradizionali come opzione, e alcuni scrittori ricostruzionisti moderni hanno osservato che la formulazione tradizionale non è razzista, e dovrebbe essere accettata.[53]
Un libro di preghiere originale, della poetessa ricostruzionista femminista Marcia Falk, The Book of Blessings (Il Libro delle Benedizioni), è stato ampiamente accettato da entrambi gli ebrei riformati e ricostruzionisti. Falk respinge tutti i concetti relativi a gerarchia o distinzione: crede che qualsiasi distinzione porti all'accettazione di altri tipi di distinzioni, determinando in tal modo i pregiudizi. Scrive che come femminista politicamente liberale, deve respingere distinzioni tra uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali, ebrei e non-ebrei, e in qualche misura anche le distinzioni tra lo Shabbat e gli altri sei giorni della settimana. Falk respinge quindi l'idea di popolo eletto come immorale. Respinge inoltre la teologia ebraica in generale, e sostiene invece una forma di umanesimo religioso. Falk scrive:
«L'idea di Israele come popolo eletto di Dio [...] è un concetto chiave nell'ebraismo rabbinico. Eppure è particolarmente problematico per molti ebrei d'oggi, poiché sembra opporsi in contrasto alla credenza monoteista che tutta l'umanità sia stata creata a immagine di Dio - e, di conseguenza, tutta l'umanità è altrettanto amata e apprezzata da Dio [...] Trovo difficile concepire un ebraismo femminista che lo inserisca nel suo insegnamento: la valorizzazione di un popolo al di sopra degli altri è fin troppo analogo al privilegiare un sesso rispetto ad un altro.[55]»
Anche l'autrice ricostruzionista Judith Plaskow critica l'idea di popolo eletto, per molte delle stesse ragioni di Falk. Lesbica politicamente liberale, Plaskow respinge la maggior parte delle distinzioni tra uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali, ebrei e non-ebrei. A differenza di Falk, Plaskow non respinge tutti i concetti di differenza in quanto portino inerentemente a credenze non etiche, e mantiene una forma più classica di teismo ebraico.[56]
Un certo numero di risposte a questi punti di vista sono state date dagli ebrei riformati e da quelli conservatori, sostenendo che queste critiche sono contro insegnamenti che non esistono all'interno delle forme liberali di Ebraismo, e che sono rari anche nell'Ebraismo ortodosso (all'infuori di alcune comunità haredi, come ad esempio quella Chabad). Una critica a parte deriva dalla esistenza di forme femministe di Ebraismo in tutte le correnti ebraiche, che non hanno problemi con i concetti di popolo eletto.[53]
I "Figli di Israele" godono di una particolare condizione nel testo sacro islamico, il Corano:
O Figli di Israele, ricordate i favori di cui vi ho colmati e di come vi ho favorito sugli altri popoli del mondo. (Qur'an 2.47, 2.122 Archiviato il 2 aprile 2015 in Internet Archive.).[57]
Tuttavia, studiosi musulmani indicano che questa condizione non conferisce agli Israeliti nessuna superiorità razziale ed è valida solo fintanto che gli Israeliti mantengono la loro alleanza con Dio.[58] Il Corano quindi afferma:
Allah accettò il Patto dei Figli di Israele e suscitò da loro dodici capi. Allah disse: "Sarò con voi, purché eseguiate l'orazione e paghiate la decima e crediate nei Miei Messaggeri, li onoriate e facciate un bel prestito ad Allah. Allora cancellerò i vostri peccati e vi farò entrare nei Giardini dove scorrono i ruscelli. Chi di voi, dopo tutto ciò, sarà miscredente, si allontana dalla retta via".(Qur'an 5.12 Archiviato il 29 giugno 2019 in Internet Archive.)[59]
Gli ebrei furono scelti da Dio quale "popolo eletto". Deuteronomio 14.2[60] dichiara: "Tu sei infatti un popolo consacrato al Signore tuo Dio e il Signore ti ha scelto, perché tu fossi il suo popolo privilegiato, fra tutti i popoli che sono sulla terra."[61] Tuttavia la maggior parte dei cristiani crede che, siccome gli ebrei non accettano Gesù, i cristiani stessi a loro volta hanno ricevuto questa speciale condizione di eletti (cfr. Romani 11.11-24[62]).[Nota 13] Tale dottrina è nota come Supersessionismo.[63]
A livello psicologico,[64] si afferma che rimanga comunque il fatto che i non-ebrei vedano con soggezione e a volte con timore questa "elezione" del popolo ebraico, inconsciamente riconoscendone la base e quindi sentendone "invidia" e timore – riscontrando la prova di questa elezione nell'eccellenza degli ebrei nei campi della conoscenza umana.[Nota 14] Secondo alcuni sociologi, questo ha portato alle grandi persecuzioni antisemitiche della storia e, nel secolo scorso, all'Olocausto.[Nota 15]
Avi Beker,[Nota 16] studioso accademico e già Segretario Generale del Congresso Ebraico Mondiale, reputa l'idea di popolo eletto quale concetto definitore dell'Ebraismo, "problema implicito centrale psicologico, storico, teologico, fulcro delle relazioni ebraico-gentili". Beker vede il concetto dell'elezione come la forza trainante delle relazioni tra ebrei e gentili, che spiega sia l'ammirazione e, più acutamente, l'invidia e l'odio che il mondo ha sempre sentito per gli ebrei in termini religiosi e anche secolari.[65] Beker sostiene che mentre il Cristianesimo ha modificato la sua dottrina sulla dispersione degli ebrei, accusa l'Islam di non aver ancora emendato o riformato la propria teologia sulla successione sia degli ebrei che dei cristiani. Secondo Baker, questo costituisce un grave ostacolo per la risoluzione dei conflitti tra arabi e israeliani.[66]
Il filosofo israeliano Ze'ev Levy scrive che l'elezione può essere "(parzialmente) giustificata solo dal punto di vista storico" per quanto riguarda il suo contributo spirituale e morale alla vita ebraica attraverso i secoli, un potente agente di consolazione e di speranza". Egli fa notare, tuttavia, che le moderne teorie antropologiche "non si limitano soltanto a proclamare l'uguaglianza intrinseca universale di tutte le persone [come] esseri umani, ma sottolineano anche l'equivalenza di tutte le culture umane" (corsivi nell'originale). Levy continua che "non ci sono persone o culture inferiori e superiori, ma solo differenti, altre". Conclude dicendo che il concetto di popolo eletto comporta l'etnocentrismo "che non va di pari passo con l'alterità, cioè con il rispetto incondizionato dell'alterità".[67]
Quanto afferma Levy non tiene però conto delle definizioni di "popolo eletto" che l'Ebraismo generalmente propone nelle sue molteplici Dichiarazioni, che sono più sopra riportate. Lo stesso succede con alcuni studiosi[68] che in passato hanno asserito che il concetto di popolo eletto nell'Ebraismo è razzista perché implica che gli ebrei sono superiori ai non-ebrei. La Anti-Defamation League (ADL, Lega Antidiffamazione) però, insieme ad altre autorità, affermano che il concetto del popolo eletto nell'ambito dell'Ebraismo non ha niente a che fare con la "superiorità razziale", ma piuttosto è una descrizione del rapporto speciale degli ebrei con Dio.[Nota 17]
È sempre stato difficile definire "scientificamente" l'identità ebraica, dato che riunisce in sé caratteri biologici, etnici, culturali e, naturalmente, religiosi. Nelle varie epoche storiche, a causa di discriminazione e antisemitismo, chi perseguitava gli ebrei ha variamente usato definizioni religiose, razziali, genetiche e politiche.
Il genetista David B. Goldstein, collaboratore dello scienziato italiano Luigi Luca Cavalli-Sforza, ha svolto un'interessante ricerca[69] sulla storia genetica ed il lignaggio degli ebrei, analizzando il DNA di maschi ebrei che evidenziano nei cromosomi "Y" una discendenza sacerdotale.[Nota 19] Goldstein afferma che lo studio della genetica non solo sta cambiando lo studio della storia ebraica, ma «ha alterato le nozioni di identità ebraica e persino la nostra comprensione di cosa renda un popolo tale.»[70]
Per l'Halakhah (la legislazione rabbinica) è ebreo chi nasce da madre ebrea o chi si converte all'ebraismo. Il Tribunale rabbinico (Beth Din) tende ad ostacolare le conversioni soprattutto perché il convertito sarebbe poi tenuto, come chi è nato ebreo, all'osservanza di numerosissimi precetti, sacrificio questo del tutto inutile dal momento che per l'ebraismo la salvezza non si raggiunge necessariamente essendo ebrei, ma piuttosto amando il prossimo che ama Dio (Salmi 15.4[71]) e seguendo i Suoi Comandamenti.[72]
Chi sono dunque gli ebrei? Una religione? Una cultura? Un popolo? Una razza? La vita quotidiana dell'ebreo devoto è scandita da numerose pratiche religiose, ma anche chi, nel corso degli anni, si fosse allontanato da queste, resta ugualmente ebreo.
È certo che il testo sacro ebraico, la Bibbia, ha dato origine ad una forte spinta culturale, essendo il libro più letto nel mondo, ma altre antiche civiltà scomparse hanno lasciato un segno importante nella storia culturale dell'umanità (si pensi per es. alla Grecia). In quanto ad essere un popolo, quello ebraico è certamente restato idealmente unito dalla comune fede e dalle stesse pratiche ritualistiche, ma sparso, spesso in piccoli gruppi, in ogni parte del mondo, ha sempre contribuito allo sviluppo sociale, artistico, culturale, economico e soprattutto scientifico della nazione in cui vive al pari di qualsiasi altro cittadino, ciascuno secondo le proprie possibilità e capacità.[72] Nello stesso Stato d'Israele poi, ricostituito solo nel 1948 dopo essere stato annientato dai romani nel 70 e.v., la popolazione israeliana è composta da cittadini di tutte le religioni, compresi musulmani e cristiani.
In quanto alla razza, premesso che all'interno della specie umana il concetto di razza è di difficile e controversa applicazione poiché non esistono criteri fisiologici, morfologici né psicologici in grado di dare solida base ad una suddivisione, gli ebrei presentano caratteristiche somatiche così diverse tra loro che è impossibile inquadrarli in qualche modo.[Nota 18]
In conclusione, come risposta generica alla domanda "Chi sono gli ebrei?", si può asserire che sono i discendenti di quelle famiglie patriarcali, incontrate nella Bibbia, che continuano a vivere secondo regole che lo stesso popolo ebreo si è dato, derivandole direttamente dalla Torah (termine tradotto erroneamente con "Legge", ma con il vero significato di insegnamento). Poiché l'ebraismo si trasmette per linea femminile, si afferma che stia alla donna far sì che i figli siano «come anelli di una catena attraverso la quale il patrimonio religioso, ereditato dalle generazioni passate, si trasmetta a quelle future.»[72].
Anche metafora del popolo ebraico, re Salomone scrisse in Shir haShirim:
« Come una rosa tra le spine, così è la Mia amata tra le ragazze... » (Cantico 2.2[73]) |
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