eroe e patriarca dell'ebraismo, figlio di Isacco e fratello di Esaù Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giacobbe (ebraico יַעֲקֹב: Yaʿăqōv, greco antico ᾿Ιακώβ, latino Iacob, arabo يعقوب Yaʿqūb)[1][2] è stato, secondo la Bibbia, uno dei Padri dell'Ebraismo nonché eroe eponimo del popolo di Israele. Giacobbe significa "il soppiantatore".[3] Il nome deriva da ʿāqēb ossia "tallone"; fu chiamato così poiché, «al momento del parto, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello[4], nato per primo e quindi destinatario del diritto di primogenitura», che poi, esattamente, contestò[5], così come sottrasse al fratello la benedizione paterna con l'inganno.[6]
Venne soprannominato da YHWH stesso "Israele" in quanto "lottò col Signore e vinse", dalla radice śry, lottare, ed El, Signore. Le sue vicende sono narrate nel libro della Genesi[7].
Per tutte le Chiese Cristiane è il Terzo e ultimo Patriarca.
Il nome Giacobbe deriva da aqeb ossia "tallone"; infatti Giacobbe al momento del parto teneva con la mano il calcagno del fratello gemello [Genesi 25, 26[8]]. Inoltre, con riferimento all’episodio in cui Giacobbe sottrasse con l’inganno la primogenitura, il nome lo si fa derivare dalla radice aqav che significa "soppiantare – tallonare"[5]. Infatti, in quell’episodio, Esaù esclama al padre Isacco: "Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione!"[6][9].
Per quanto riguarda il nome Israele, secondo quanto affermato nella Bibbia[10], esso deriva dalla radice shr, lottare, ed El, Signore.
«Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini, e hai vinto»( Genesi 32,29, su laparola.net.)
Il nome, teoforico come altri nomi biblici (Elia, Emmanuele, ecc.), è l'unione di El (Dio) e sciarach: "chi combatte per il Signore" (cfr. Sabaoth che significa "Signore degli Eserciti").
Altre interpretazioni erano in voga negli anni 1930 quando le leggi razziali naziste obbligarono ogni ebreo tedesco con primo nome non ebraico, a registrarsi con un nuovo nome, aggiuntivo e davanti al nome proprio: "Israele" se maschio, e "Sara" se femmina[11].
Giacobbe era figlio di Isacco e di Rebecca, che non era riuscita ad avere figli per molti anni. Era inoltre fratello gemello di Esaù, che nacque però per primo. Esaù era il favorito di Isacco, mentre Giacobbe della madre Rebecca. Mentre Esaù divenne un cacciatore, Giacobbe mostrava un temperamento tranquillo.
Un giorno Esaù tornò a casa affamato e stanco e pur di mangiare subito, vendette al fratello Giacobbe la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie (Genesi 25, 29-34[12]);[13] in seguito, quando Isacco era in punto di morte, Giacobbe obbedì alla madre Rebecca che aveva organizzato un piano per far carpire a Giacobbe stesso la benedizione prevista per Esaù indossando una pelliccia di animale, così da poter passare per il fratello, che era molto peloso[Nota 1]. Per sottrarsi all'ira di Esaù, dopo la richiesta del padre Isacco, Giacobbe fuggì presso suo zio Labano.[Nota 2]
Giacobbe lavorò, quindi, presso lo zio Labano, custodendone il bestiame, e si arricchì oltre misura truffando lo stesso zio con un espediente. Giacobbe infatti chiese a Labano, come compenso per il proprio lavoro, di poter ricevere le bestie striate, punteggiate e chiazzate, precisando: «In futuro la mia stessa onestà risponderà per me»[14]. In tal modo Giacobbe si arricchì facendo nascere gli animali striati, punteggiati e chiazzati, che avrebbe ricevuto in pagamento, solo da coppie di bestie robuste,[15] esponendo alla loro vista durante l'accoppiamento rami intagliati a strisce, secondo una credenza dell'epoca, lasciando a Labano solo quelli nati da coppie deboli (durante il cui accoppiamento, sempre secondo la credenza citata, non esponeva i rami intagliati a strisce)[Nota 3]. Sposò, in seguito, prima Lia e poi Rachele, figlie di Labano e sue cugine, dalle quali ebbe otto figli; altri quattro figli li ebbe da due schiave, Zilpa e Bila[16]. Dai dodici figli maschi di Giacobbe ebbero origine le dodici tribù di Israele.[17]
Una notte, durante il viaggio che lo portò a nascondersi presso lo zio Labano per sfuggire al fratello Esaù, Giacobbe fece un sogno (Genesi 28:10-22[18]): una scala da terra si protendeva sino in cielo, con angeli che salivano e scendevano.
Nel sogno Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo ed un'immensa discendenza nella quale tutte le famiglie della terra sarebbero state benedette in lui e nei suoi successori.
La notte prima dell'incontro ebbe una misteriosa lotta (teomachia)[19] con Dio nelle sembianze di un uomo o un angelo,[20] fino all'alba.[21] Vedendo che non riusciva a vincerlo, quest'uomo lo colpì al nervo sciatico rendendolo claudicante, ma Giacobbe continuò a lottare, finché l'uomo gli chiese di lasciarlo andare. A quel punto Giacobbe gli chiese la benedizione, e l'uomo gli diede il nome Israele (che in ebraico significa "uomo che vide la figura di Dio" o "uomo che lotta con Dio").[22][3][Nota 4]
Da questo episodio nasce il divieto, previsto dalle norme di casherut, di cibarsi di carne (ovviamente di animali permessi) attraversata da tagli al nervo sciatico. Osservano gli esegeti della École biblique et archéologique française (i curatori della cattolica Bibbia di Gerusalemme)[23] come in questo racconto, di tradizione «jahvista», "si tratta di una lotta fisica, un corpo a corpo con Dio, in cui Giacobbe sembra dapprima trionfare. Quando ha riconosciuto il carattere soprannaturale del suo avversario, forza la sua benedizione".[Nota 5]
Giacobbe e il figlio Giuseppe
La storia di Giacobbe si intreccia con quella del figlio prediletto Giuseppe. Quando quest'ultimo, dopo essere stato venduto dai fratelli, divenne ministro del faraone, fece trasferire le Tribù di Israele, e Giacobbe stesso, in Egitto per salvarli dalla lunga carestia, apparsa in sogno al faraone, sotto forma di 7 vacche magre - sogno che Giuseppe interpretò. Giacobbe prima di morire rivolse a ciascuno dei suoi figli diverse benedizioni e fu inumato accanto agli altri patriarchi, Abramo e Isacco, nella cava sita nel campo di Macpela.
Come tutti i patriarchi veterotestamentari, Giacobbe è venerato come santo dalla Chiesa cattolica il giorno 25 dicembre.
Alcuni passi biblici - come rilevano anche gli esegeti del cattolico Nuovo Grande Commentario Biblico, della Bibbia TOB e della Bibbia di Gerusalemme - divergono in merito al numero di famigliari che entrarono in Egitto con Giacobbe[Nota 6]:
Genesi 46, 26-27[24]: Tutte le persone che entrarono con Giacobbe in Egitto, uscite dai suoi fianchi, senza le mogli dei figli di Giacobbe, sono sessantasei. I figli che nacquero a Giuseppe in Egitto sono due persone. Tutte le persone della famiglia di Giacobbe, che entrarono in Egitto, sono settanta.
Esodo1, 5[25]: Tutte le persone nate da Giacobbe erano settanta, Giuseppe si trovava già in Egitto.
Atti7, 14[26]: Giuseppe allora mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutta la sua parentela, settantacinque persone in tutto.
Simili divergenze si trovano in merito al luogo della sepoltura di Giacobbe:
Genesi 50, 13[27]: I suoi figli lo portarono nel paese di Canaan e lo seppellirono nella caverna del campo di Macpela, quel campo che Abramo aveva acquistato, come proprietà sepolcrale, da Efron l'Hittita, e che si trova di fronte a Mamre.
Atti 7, 15-16[28]: E Giacobbe si recò in Egitto, e qui egli morì come anche i nostri padri; essi furono poi trasportati in Sichem e posti nel sepolcro che Abramo aveva acquistato e pagato in denaro dai figli di Emor, a Sichem.
Gli studiosi dell'interconfessionale Bibbia TOB[29] sottolineano come il passo degli Atti degli Apostoli "confonde la caverna di Macpela comprata da Abramo col campo comprato da Giacobbe a Sichem, come pure l'inumazione di Giacobbe a Macpela con quella di Giuseppe a Sichem", mentre gli esegeti della École biblique et archéologique française (i curatori della cattolica Bibbia di Gerusalemme)[30] fanno osservare - in merito alle discrepanze in alcuni manoscritti - che tale passo degli Atti "segua una tradizione non conforme alla Bibbia: da qui le correzioni tentate da diverse varianti [di manoscritti]". Anche all'interno dello stesso libro della Genesi si fondono poi tradizioni divergenti in merito alla sepoltura di Giacobbe[Nota 7].
Giacobbe ebbe anche nome Israel[Nota 9] (cfr Angelo) e Yeshurun (cfr Urim e Tummim), quest'ultimo "nome" correlato alla "gioia provata" da Dio per lui, terzo Patriarca ebreo.
A Giacobbe viene anche attribuita la Mitzvah della Kippah da quando, sul monte Moryah in Sion (cfr Gerusalemme), mise sotto la sua testa delle pietre che per miracolo [ne] divennero una sola; in quel momento egli vide in sogno angeli che salivano e scendevano da una "scala" quando poi Dio gli "parlò" cosicché esclamò: "Questa è proprio la Porta del Cielo... ed io non lo sapevo" (secondo diverse opinioni dell'Ebraismo rabbinico, quegli angeli furono gli stessi delle 70 nazioni).
Egli aveva in segreto con la sposa Rachele una "parola" che lei stessa poi rivelò alla sorella Leah (cfr Matrimonio (religione)).
Giacobbe perse Ruach haQodesh e quindi parte di Profezia, sconfortato per l'episodio di Yosef, di cui non seppe sino a molti anni dopo: i due infatti si rincontrarono con molti onori, anche grazie ai fratelli ormai perdonati (Parashah e Provvidenza).
Giacobbe, come già gli altri Patriarchi ebrei consapevole di questo, voleva rivelare ai propri figli quanto per Profezia celato per l'era messianica.
Il semplice confronto di alcuni passi nello stesso Libro della Genesi riferisce la promessa di Dio ad Abramo per una discendenza numerosa (Gn 13:16, 15:5, 17:5, 22:17) quanto le stelle del cielo, la benedizione rinnovata ad Isacco nel nome di Abramo per tutte le nazioni della terra (Genesi 26:4-24, e 28:24), e poi a Giacobbe (Genesi 35:12) con il rinnovo della promessa della stirpe della terra data ai suoi padri.
I biblisti e gli ebraisti riportano almeno un paio di motivi per pensare alla figura di Giacobbe e al suo rapporto col divino come emblema d'una tipologia spirituale del tutto particolare, all'interno d'una tripartizione che chiama in causa anche i primi due patriarchi ebrei.
«Un allievo chiese al Maestro: "Perché è detto Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe (Esodo 3, 6[31])[Nota 11] e non il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe?" E il Maestro rispose: "Perché Isacco e Giacobbe non si appoggiarono sulla ricerca e il servizio di Abramo, ma ricercarono da sé l'unità del Creatore e servirono Dio in modo diverso da Abramo". Ecco la via dell'individuazione.»
«Nella tradizione ebraica, le tre preghiere [quotidiane] vengono assegnate ciascuna ad uno dei tre Patriarchi. La preghiera della sera ('aravît) si considera istituita da Giacobbe, [...] perché si dice: Si incontrò con il Luogo e vi passò la notte, poiché il sole era tramontato (Genesi 28, 11)[33].»
Gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico" osservano che "il famoso detto di Agostino per il quale il trasferimento della benedizione a Giacobbe non fu una menzogna ma un mistero, non rende giustizia al pathos del racconto. Giacobbe è un bugiardo, eppure egli è anche il portatore della promessa e della benedizione" e inoltre "Giacobbe è senza scrupoli [...] La maggiore evidente difficoltà sarà il contrasto tra la sua levigatezza e la pelosità di Esaù (cf.25,25)". (Brown, 2002,p. 37).
Secondo, invece, un'altra tradizione («sacerdotale»), contenuta sempre nel libro della Genesi, "il motivo della partenza di Giacobbe non è la collera del fratello come nella tradizione jahvista, ma l’obbligo di non sposare una donna straniera per conservare la purità del sangue e della fede" (Come affermato dagli esegeti dell'interconfessionale Bibbia TOB, Elle Di Ci Leumann, 1997, p. 87, ISBN 88-01-10612-2.).
Gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico" osservano che "Giacobbe ha una sua soluzione per allevare gli animali di colore raro. La pratica deve riflettere una convinzione popolare sui fattori esterni che influenzano il processo della nascita", come confermano anche gli studiosi dell'interconfessionale Bibbia TOB: "gli antichi pensavano che in questo modo si potesse influire sulle qualità dei nascituri". (Brown, 2002,p. 41; Bibbia TOB, Elle Di Ci Leumann, 1997, p. 91, ISBN 88-01-10612-2.).
Tale evento è stato scelto come simbolo del dissidio tra pensiero filosofico e teismo da Claudio Ciancioet al., In lotta con l'angelo. La filosofia degli ultimi due secoli di fronte al cristianesimo, Torino, SEI, 2ª ed. 1991. ISBN 88-05-05086-5; ISBN 978-88-05-05086-4.
Gli studiosi del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico" (Brown, 2002,p. 43) affermano che "si tratta di un antico racconto, con motivi popolari ben conosciuti [...] Nell'attuale forma del testo questo racconto misterioso è applicato a Giacobbe ed è costruito come una lotta con Dio".
Notano infatti gli studiosi del Commentario come "la lista ha diverse discrepanze, che fanno pensare che si tratti di una composizione posteriore. Nel contesto, essa si propone di descrivere la famiglia al tempo della migrazione di Giacobbe, ma 10 figli sono attribuiti al giovane Beniamino (v. 21). Figlie e nipoti sono menzionate nel v. 7, ma solo una di ognuno ricorre nell'elenco. Nel v. 26 il numero è 66. Nel v. 27 il numero 70 (DI 10,22) si deve spiegare contando Giacobbe, Giuseppe, e i suoi due figli. Il numero 70 era inteso, probabilmente, come un numero arrotondato, ma l'elenco cerca di riempirlo"; anche gli esegeti dell'interconfessionale Bibbia TOB ritengono che "il totale di 70 può forse rievocare anche i 70 anni della cattività a Babilonia. A spiegare la divergenza tra il totale di questo e la cifra 66 del precedente, non basta il fatto che nel v. 27a non siano contati i due figli di Giuseppe. Il numero 66, probabilmente più antico esclude anche Er e Onan, morti già prima della partenza di Giacobbe. Un'altra tradizione raccolta dalla traduzione greca e dagli Atti degli Apostoli (7,14), conta invece 75 persone", cosa rilevata anche dagli studiosi della Bibbia di Gerusalemme: "[in Es1,5 la Bibbia LXX] ha: «settantacinque (cf. Gen 46,27+)". (Brown, 2002,p. 53; Bibbia TOB, Elle Di Ci Leumann, 1997, p. 121, ISBN 88-01-10612-2; Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, p. 125, ISBN 978-88-10-82031-5.).
Gli studiosi della Bibbia TOB osservano infatti: "[Gen47,10: ...portami via dall'Egitto e seppelliscimi nel loro sepolcro], l’aggettivo loro sembra in disaccordo con la tradizione «jahvista» di 50,5, secondo la quale Giacobbe ebbe una propria tomba. Forse è un'armonizzazione con la tradizione «sacerdotale» di 49, 29-31"; inoltre, "con uno schema complessivo che gli è proprio, il testo «sacerdotale» raggruppa nella stessa grotta familiare tutti i patriarchi morti, con le loro spose salvo Rachele. Ma il c. Contiene altre tradizioni in proposito. Si nota subito il compendio di provenienza «sacerdotale» rappresentato da 50, 12-13. I racconti «jahvista» ed «elohista» sono più difficili da individuare. I due funerali corrispondono a due seppellimenti diversi uno in Canaan, l’altro al di là del Giordano. Ma la redazione ultima li ha fatti coincidere, così come ha identificato Israele, di cui parla la tradizione «jahvista», con il Giacobbe di quella «elohista». Il racconto «elohista» suppone la dimora degli Israeliti in mezzo agli Egiziani (v. 3b), mentre quello «jahvista» li presenta abitare in Gosen (v. 8b), lontano dagli egiziani (cf 46, 34b)"; anche gli studiosi della Bibbia di Gerusalemme notano come nel racconto della Genesi vi siano dei "siti sconosciuti. Si hanno qui le vestigia di una tradizione diversa da quella di Macpela; Giacobbe sarebbe stato sepolto in Transgiordania". (Bibbia TOB, Elle Di Ci Leumann, 1997, pp. 124, 129, ISBN 88-01-10612-2; Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, p. 123, ISBN 978-88-10-82031-5.).
Giacobbe dovette combattere contro l'angelo Samael; quando Giacobbe non riusciva più a muoversi, chiedendo quindi aiuto a Dio, pare rivolgersi all'angelo ma in quel momento non era più Samael bensì Michael poiché quest'ultimo, principe angelo della Misericordia per il popolo ebraico, stava tenendolo immobile al fine di sconfiggere Samael che infatti nulla poté: così Michael chiese a Giacobbe il motivo della domanda rivoltagli con forza sino a quando Giacobbe vide lo stesso angelo principe Michael... Samael è infatti anche l'angelo della morte e nulla può contro gli ebrei, protetti da Dio, da Michael appunto e da Gabriel, da Rafael, da Uriel, nella Merkavah, ecc Invero durante la lotta viene "rappresentato" il conflitto tra Esaù e Giacobbe: quasi come nel ventre, i due sembrano lottare sino ad un confronto-pari, cioè misurandosi vicinamente uno con tattiche dell'altro ma, poiché assai simili ma pressoché opposti, ne risulta la vittoria d'Israel, cioè di Dio che riesce a trasformare Giacobbe in uno che ha lottato con esseri divini... Come ovvio, quando poi nel resoconto del Pentateuco viene spiegato l'incontro tra Giacobbe-Israel ed Esaù, la spiritualità dell'anima è prioritaria rispetto alla materialità che nella scala valoriale è più facilmente accessibile; Israel, ovvero il popolo ebraico, ha ormai ottenuto anche le ricchezze accumulate presso Labano, che aveva tentato tutto per "provarlo": Giacobbe cerca di permettere che si comprenda che la spiritualità è più delicata ma più forte dei modi rudi e volgari quando annuncia all'ancora "insistente" Esaù che il suo seguito potrebbe "stancarsi troppo lungo il cammino", dunque i due si separano definitivamente come la Misericordia equilibrata nella giustizia contro un limitato rigorosissimo e cieco desiderio di potere e ricchezze poi evidente nell'ultimo abbraccio quando Esaù morde il collo [di Giacobbe]
"Ma Giacobbe prese rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami. Poi egli mise i rami così scortecciati nei truogoli agli abbeveratoi dell'acqua, dove veniva a bere il bestiame, proprio in vista delle bestie, le quali si accoppiavano quando venivano a bere. Così le bestie si accoppiarono di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati, punteggiati e chiazzati. [...] Ogni qualvolta si accoppiavano bestie robuste, Giacobbe metteva i rami nei truogoli in vista delle bestie, per farle concepire davanti ai rami. Quando invece le bestie erano deboli, non li metteva. Così i capi di bestiame deboli erano per Làbano e quelli robusti per Giacobbe. Egli si arricchì oltre misura" ( Gen30,37-43, su laparola.net.).
Cf. Andrea Barretta, Il guado di Iabbok. Scritti di antropologia trascendentale e filosofia della religione, Roma, Gruppo Albatros Il Filo, 2009. ISBN 88-567-0867-1; ISBN 978-88-567-0867-7. Estratto del testo disponibile online. URL consultato l'11-04-2011.