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pietanza a base di carne, verdure o pesce Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Le polpette sono una pietanza a base di carne, verdure o pesce tritati finemente, con aggiunta di spezie e aromi, impastati in tuorli d'uovo, farina e pangrattato e servite a tavola come seconda portata. Una volta preparato l'impasto, se ne prendono via via piccole porzioni che, schiacciate e lavorate a mano, raggiungono la caratteristica forma rotondeggiante. Le si può cuocere in umido, in forno o fritte.
Polpette | |
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Polpette al sugo di pomodoro | |
Origini | |
Luogo d'origine | |
Diffusione | mondiale |
Dettagli | |
Categoria | secondo piatto |
Ingredienti principali | carne pangrattato uova spezie |
Varianti | vedi varianti |
Le polpette sono una preparazione che si trova già in Mesopotamia, nel IX secolo a.C[1]. Le ricette furono successivamente diffuse in tutto il mondo antico, sia in Persia che in Grecia, Cina che in India[2].
Probabilmente, le prime ricette trovate in Italia sono quelle di Marco Gavio Apicio, cuoco romano, che tra il 35 a.C. e il 25 a.C. cucinava sicuramente delle polpette sia di carne sia di pesce (come si può vedere nei suoi libri di ricette, tramandati fino a oggi). Nonostante questo, non v'è traccia della parola "polpette", che appare soltanto nel secolo XV grazie al Libro de Arte Coquinaria di Maestro Martino, cuoco dell'allora camerlengo patriarca di Aquileia.
Nel capitolo I di questo libro - scritto in lingua volgare - l'autore delinea, a suo giudizio, i modi migliori per cucinare vari tagli di carne di differenti animali. Tra l'altro, scrive: «[...] carne de vitello, zioè il pecto davanti è bono allesso, et la lonza arrosto, et le cosse in polpette. [...] De la carne del cervo la parte denanzi è bona in brodo lardieri, le lonze se potono far arrosto, et le cosse son bone in pastello secco o in polpette».[3]
Nel descrivere poi la preparazione di quelle che lui definisce polpette, Maestro Martino pare però alludere a una pietanza che noi, oggi, chiameremmo involtino allo spiedo. In ogni caso, nella storia della letteratura culinaria italiana, questa è la prima ricetta in assoluto espressamente dedicata alle polpette: «Per fare polpette di carne de vitello o de altra bona carne. In prima togli de la carne magra de la cossa et tagliala in fette longhe et sottili et battile bene sopra un tagliero o tavola con la costa del coltello, et togli sale et finocchio pesto et ponilo sopra la ditta fetta di carne. Dapoi togli de petrosimolo, maiorana et de bon lardo et batti queste cose insieme con un poche de bone spetie, et distendile bene queste cose in la dicta fetta. Dapoi involtela inseme et polla nel speto accocere. Ma non la lassare troppo seccar al focho»[4].
Pellegrino Artusi, nel suo ben noto manuale La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891), così ci presenta le polpette: «Non crediate che io abbia la pretensione d'insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano. Intendo soltanto dirvi come esse si preparino da qualcuno con carne lessa avanzata; se poi le voleste fare più semplici o di carne cruda, non è necessario tanto condimento. Tritate il lesso colla lunetta e tritate a parte una fetta di prosciutto grasso e magro per unirla al medesimo. Condite con parmigiano, sale, pepe, odore di spezie, uva passolina, pinoli, alcune cucchiaiate di pappa, fatta con una midolla di pane cotta nel brodo o nel latte, legando il composto con un uovo o due a seconda della quantità. Formate tante pallottole del volume di un uovo, schiacciate ai poli come il globo terrestre, panatele e friggetele nell'olio o nel lardo. Poi con un soffritto d'aglio e prezzemolo e l'unto rimasto nella padella passatele in una teglia, ornandole con una salsa d'uova e agro di limone».[5]
Di là dalla raffinata salsa in fricassea con cui l'Artusi ci suggerisce di condire il piatto, questo scritto ci ricorda come, almeno in determinati periodi storici, le polpette siano state anche un modo per riciclare gli avanzi di carne, specialmente del lesso. Il trito ci permette di mescolare e "nascondere" gli ingredienti originali, lasciandoci solo da assaporare il gusto finale.[5] Com'è accaduto per altri cosiddetti "piatti poveri", anche le polpette hanno conosciuto la loro evoluzione, divenendo un piatto a sé stante, preparato acquistando appositamente gli ingredienti ed evitando, quasi completamente, il riciclo di eventuali avanzi. Oggigiorno, si privilegiano materie prime "ricche", quali: carne macinata fresca, Parmigiano grattugiato, prosciutto o mortadella (sempre triturati); oppure le si prepara col pesce (ad esempio il baccalà), o di verdure.[5]
L'etimologia del termine "polpetta" è, ancora oggi, non del tutto chiara. Secondo alcune interpretazioni, potrebbe derivare dal francese paupière (palpebra), poiché si vuol individuare, nella loro preparazione, un movimento delle mani simile a quello delle palpebre, quando si chiudono per proteggere gli occhi.
Considerando però - come ci dice Maestro Martino - che in origine le polpette non erano fatte con carne macinata e quindi non c'era nessuna particolare manualità alla quale poter collegare la parola paupière, è più probabile che l'etimo sia da individuare nel tipo di carne anticamente privilegiata per questa pietanza: il taglio più tenero del vitello o del cervo, cioè la polpa.
Probabilmente l'italiano "polpetta" è un diminutivo in -etta dalla parola latina "pulpa, ae" che indica propriamente la carne senz'osso.
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