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preghiera cristiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Padre nostro (in latino Pater Noster; in greco antico: Πάτερ ἡμῶν?, Páter hēmôn), così chiamato dalle parole iniziali, detto anche Preghiera del Signore (in latino: Oratio Dominica), è la più conosciuta delle preghiere cristiane.
Sono note due versioni della preghiera: la formula riportata nel Vangelo secondo Matteo durante il Discorso della Montagna (Matteo 6,9-13[1]), e la forma più breve secondo quanto riportato nel Vangelo secondo Luca (11,1[2]), quando, mentre egli si era ritirato in preghiera, uno dei discepoli presenti gli chiese che insegnasse loro a pregare, così come Giovanni Battista aveva insegnato ai suoi discepoli.
Nel testo di Matteo, le prime quattro richieste sono rivolte a Dio; mentre le rimanenti quattro riguardano il genere umano. Solamente il Vangelo secondo Matteo presenta le frasi "sia fatta [obbedita] la tua volontà", e "Liberaci dal male (maligno)". Entrambi i testi greci contengono l'aggettivo epiousios, che non è attestato in altri autori del greco classico né del periodo della koinè; sebbene dibattuta, la parola "[pane] quotidiano" è stata la scelta di traduzione più comune per questo termine greco, sia in italiano sia in altre lingue moderne.
La Didaché riporta un testo molti simile a quello odierno, che si conclude con la dossologia minore.
Matteo 6,9-13 (CEI 2008)[3]
Luca 11,2-4 (CEI 2008)[4]
Testo greco
Traslitterazione:
L'aggettivo supersubstantialem dell'originale traduzione della Vulgata è stato sostituito successivamente da cotidianum nell'uso liturgico cattolico.
Nel testo liturgico viene adottata la variante ne nos inducas in tentationem. Tale espressione presenta una particolarità grammaticale tipica del latino postclassico: l'imperativo negativo nel latino classico era espresso con la forma ne + congiuntivo perfetto ovvero ne nos induxeris in tentationem, mentre la Vulgata usa il congiuntivo presente.
Traduzione in lingua italiana e in uso nella liturgia cattolica[8]
Traduzione in lingua italiana e in uso presso la Chiesa evangelica valdese
Le differenze rispetto alla versione in uso nella liturgia cattolica sono indicate in grassetto.
La suddivisione rispetta il Libro delle preghiere comuni (Books of common prayer) del 1662 in uso presso la Chiesa Anglicana:
Questa frase spiega che Dio Padre è e vive in Paradiso. La parola nostro indica che esiste una famiglia dei Figli di Dio, tali che lo possono chiamare Padre.
In teologia, si parla di trascendenza della Prima Divina Persona della Santissima Trinità, che è Dio Padre.
Tale trascendenza diventerà vera anche per Gesù dopo la l'Ascensione al cielo, che segue la resurrezione dalla morte in croce e la Pentecoste. Dopo l'Ascensione, Egli siede alla destra del (trono regale di) Dio Padre, secondo il Vangelo e secondo il Credo.
Con la Pentecoste viene donato lo Spirito Santo Dio, chiamato Paraclito (dal greco Consolatore) col compito di permanere e operare nella vita terrena del genere umano, quindi non trascendente, fino alla Seconda venuta di Gesù Cristo.
L'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams commenta questa frase come la richiesta che i fedeli rivolgono a un Dio il cui nome è sacro, che ispira un timore reverenziale, e che essi non possono ridurre a uno strumento per i propri fini, "per sottomettere il prossimo, oppure come qualcosa di magico per assicurarsi la salvezza". Unendo i due significati della frase, si può concludere che: "Capire di cosa si sta parlando quando si parla di Dio, questo è grave, questa è la realtà più meravigliosa e spaventosa che possiamo immaginare, più meraviglioso e spaventoso di quanto possiamo immaginare."[11]
Questa petizione ha il suo parallelo nella preghiera ebraica,' possa egli stabilire il suo regno durante la vostra vita e durante i vostri giorni.' nei Vangeli Gesù parla spesso del Regno di Dio, ma non definisce mai il concetto: "egli assunse che questo era un concetto così familiare che non necessitava di ulteriori chiarimenti" riguardo a come il pubblico di Gesù nei Vangeli lo avrebbe capito.
G. E. Ladd pone l'accento sul concetto di fondo della Bibbia ebraica: "la parola ebraica Malkuth [...] si riferisce in primo luogo ad un Regno, dominio, o regola e soltanto secondariamente al Regno su cui un Regno è esercitato. [...] Quando il termine Malkuth è usato in riferimento a Dio, si riferisce quasi sempre alla sua autorità o al suo governo come il re celeste ". Questa richiesta guarda all'istituzione perfetta della legge di Dio nel mondo futuro, un atto del Dio che porta ad un ordine escatologico della nuova era.
La richiesta che venga il Regno di Dio è comunemente interpretata nel modo più letterale: come riferimento alla credenza, comune al momento, che un Messia sarebbe stato inviato da Dio per dare inizio al Suo regno nella vita terrena del genere umano. [citazione stata necessaria] Tradizionalmente, la venuta del Regno di Dio è vista come un dono divino per cui pregare, non come un risultato umano. [citazione stata necessaria] Questa idea è spesso contestata da gruppi che credono che il Regno verrà per mano di quei fedeli che lavorano per un mondo migliore. Questi credono che i comandi di Gesù per sfamare gli affamati e rivestire i bisognosi siano il Regno a cui si riferiva. [citazione stata necessaria]
Hilda C. Graef nota che la parola greca in questione, Basileia, significa sia Regno che regalità (cioè, Regno, dominio, governo, ecc), mentre la traduzione in inglese la parola perde questo doppio significato. Il significato di regalità aggiunge un significato psicologico, soggettivo, alla richiesta: si prega anche perché l'anima nel corpo adatti la sua libera volontà alla volontà di Dio.
In cielo così come in terra In Paradiso si trovano soltanto i santi: angeli rimasti fedeli a Dio, pochi assunti al cielo in anima e corpo, e le anime dei morti già salvate. Per tutti loro, ciò è sempre vero: volontà e operato di tutti loro nella vita terrena sempre compiono, sono adatti e graditi alla volontà di Dio.
La traduzione della liturgia valdese esplicita questa idea, comune anche al credo cattolico, e non solo. La richiesta diviene che anche in terra il genere umano ancora peccatore, e che deve salvarsi, adegui (o dia forma a) il proprio volere secondo ciò che vuole Dio: in pensieri, parole ed opere. Non solo anche, ma così in terra, con la stessa determinazione e perfezione propria delle creature che vivono in cielo, pienamente partecipi della vita trinitaria e della Sua perfezione in ogni qualità.
John Ortberg interpreta questa frase del Padre Nostro, come segue: "molte persone pensano che il compito di ognuno di noi sia soltanto quello di curarsi e infine ottenere la propria salvezza dopo la morte. Ma Gesù non disse mai a nessuno, né ai suoi discepoli né a noi, di pregare,' Portami fuori di qui così posso andare lassù .' La sua preghiera era quella di vivere e operare qui in terra così come in cielo. Quindi, la richiesta che "la tua volontà sia fatta" è l'invito di Dio a "unirsi a lui nel rendere le cose qui il modo in cui sono in cielo."[12]
Agostino d'Ippona scrisse De civitate dei, descrivendo una società terrena costruita dal genere umani mediante l'aiuto ed imitazione di Gesù, ad immagine e somiglianza della Gerusalemme Celeste, ordinata alla verità e giustizia proprie di ogni parola ed opera divina.
Nei due vangeli, è Gesù che insegna il Padre Nostro ai suoi discepoli per insegnar loro il modo corretto di pregare. Si deve ricordare che la religiosità ebraica del tempo era molto rigida e aveva riti e orazioni molto precisi. La relazione con Dio era qualcosa di molto delicato, e per questo i discepoli chiesero a Gesù di indicar loro il modo corretto di rivolgersi a Lui, evidenziando così la completa fiducia che riponevano nel suo insegnamento.
Con la preghiera che insegnò loro, Gesù cercò di rompere con l'attitudine che tendeva ad allontanare l'uomo da Dio, e trovò nella semplicità lo strumento che facilitasse il dialogo con Dio, che Gesù chiamò ed insegnò a chiamare "Padre".
In altri passi del Nuovo Testamento Gesù chiama Dio anche con un più confidenziale e meno tradizionale ebraico Abbà, citato per la sua importanza anche nei testi tradotti in italiano, e che può essere reso col nostro papà.
Nei vangeli sinottici la preghiera del Padre Nostro è presente in due forme leggermente diverse in Matteo e Luca.
La versione di Matteo (Mt 6,9-13[13]) è di tenore più ebraico. La preghiera appare nel contesto del Discorso della Montagna: Gesù aveva già iniziato la sua vita pubblica e, per il fatto di essere un predicatore già conosciuto, raccolse molta gente disposta a ricevere i suoi insegnamenti. Decise dunque di salire su un monte perché tutti potessero sentirlo, e da qui pronunciò, secondo Matteo, un discorso che riunisce molti dei passaggi salienti di tutta la sua predicazione: le beatitudini (Mt 5,1-12[14]), la comparazione dei discepoli con la luce del mondo (Mt 5,14-16[15]), le sue posizioni sulla Legge di Mosè (Mt 5,17-20[16]) e i suoi commenti ai comandamenti (Mt 5,21-37[17]).
Il contesto in cui Gesù espose il Padre Nostro è in risposta a coloro – sia giudei sia gentili – che hanno convertito la preghiera, come anche la carità, in un atto meramente esteriore (Mt 6,5-8[18]). Gesù raccomanda di pregare in segreto e con semplicità, ed offre il Padre Nostro ai suoi come esempio di preghiera con la quale rivolgersi al Padre.
In Luca il testo della preghiera viene inserito in un contesto diverso: l'evangelista racconta infatti (cf. Lc 11,1-4[19]) che, dopo che Gesù ebbe finito di pregare in un luogo, uno dei suoi discepoli gli chiese di insegnar loro a pregare, ed Egli dunque pronunciò il Padre Nostro.
Luca racconta che uno dei discepoli chiese a Gesù di insegnar loro a pregare subito dopo un suo momento di preghiera personale. In Matteo non si legge della richiesta del discepolo, ma fu iniziativa di Cristo l'insegnamento del Padre Nostro.
Le differenze fra le due versioni sono le seguenti:
La concordanza è per tutte le traduzioni fra Luca 11,1-4 e Matteo 6,9-15.
Il verso "eccedente" in Matteo 6,13, non è presente nelle altre traduzioni della Bibbia (e nemmeno nel testo greco), e in ogni caso è una preghiera che si pronuncia durante la Santa Messa. Le altre traduzioni, rendono Matteo 6,14 con un «perdonare i peccati», dove peccato è sinonimo di debito con Dio, come nel testo di Luca.
Lo sfondo dei due racconti è lo stesso: Gesù mostra alla sua gente qual è la forma corretta di rivolgersi a Dio. Matteo presenta Gesù mentre parla alle folle, mentre Luca riferisce la preghiera in un secondo momento, dove Gesù risponde «ad uno dei suoi discepoli, [..] dicendo loro» (Luca 11,1-2), parlando comunque a una pluralità di persone presenti.
Vi sono tre ipotesi sulle differenze fra i racconti del Padre Nostro che ci rendono i due vangeli. Se si assume che Gesù abbia pronunciato una sola volta il Padre Nostro, si conclude che uno dei due vangeli è più fedele ai fatti, e l'altro un po' meno:
La terza ipotesi presume che Gesù avesse pronunciato in più occasioni il Padre Nostro:
In effetti, le differenze fra le due versioni del Padre Nostro sono piuttosto marginali: la Chiesa primitiva optò per il testo di Matteo, probabilmente perché più adorno e bilanciato. La differenza fra le due versioni può altresì indicare che Gesù non volesse suggerire una preghiera da recitare a memoria, ma un modello da seguire rivolgendosi al Padre.
Esistono alcune formule di dossologia che possono in alcune occasioni specifiche concludere la preghiera:
In questa parte della preghiera si manifesta il totale riconoscimento da parte dell'orante che Dio è un essere assoluto e supremo, che non ha inizio né fine. Molto verosimilmente si tratta di un'aggiunta sorta attorno al II-III secolo: secondo Joachim Jeremias, non sarebbe stato accettabile che la preghiera terminasse con la parola "tentazione", e per questo motivo la Chiesa primitiva aggiunse per l'uso liturgico tale dossologia, basandosi probabilmente sul testo di 1 Cronache 29,11-13[20].
Padre nostro che sei nei cieli è la frase iniziale di numerose preghiere ebraiche. [21] Il Qaddish dell'età del Secondo Tempio recitava: « Il grande Nome sia magnificato e santificato… Domini il Regno… Il grande Nome sia benedetto nei secoli dei secoli… ».[22][23]
«Ti preghiamo, nel nome della tua santità rivelata, fa' che venga a noi il regno della tua luce, che risplenda nella nostra oscurità, che porti il giorno nelle nostre notti; fa' che la grazia del tuo regno si erga proprio là dove era ancora l'amarezza dei nostri peccati.»
Questa preghiera ha un largo impiego sia nella preghiera privata sia nella preghiera pubblica delle Chiese cristiane, dove viene recitata o cantata coralmente. Il canto gregoriano la presenta in una melodia probabilmente molto antica.
I cattolici di rito latino e di rito bizantino usano recitarla o cantarla durante la Messa, dopo la preghiera eucaristica. Nella liturgia delle ore viene recitata nelle lodi mattutine e nei vespri. Nel Rosario viene anteposta a ogni decina di Ave Maria. Ricorre poi nella recita di innumerevoli devozioni, talvolta accompagnata da un Ave Maria e da un Gloria.
Alcuni ordini religiosi hanno introdotto delle innovazioni nella recita del Padre Nostro. L'ordine dei ricostruttori nella Preghiera è solito celebrare il Padre Nostro durante la Messa con pause di silenzio di alcuni secondi, per separare e sottolineare i punti più importanti della preghiera. Altra innovazione è la recita del Padre nostro tenendosi per mano, come nelle Agape cristiana.
Nella celebrazione eucaristica secondo il messale romano di Paolo VI, il Padre Nostro viene recitato dal celebrante e dall’assemblea dopo la preghiera Eucaristica e viene preceduta dalla formula, letta o cantata dal celebrante, «Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire:» o da altre formule contenute nel Messale. Nella messa solenne può essere sia cantato in italiano che in latino, accompagnato dall’organo oppure a cappella.
Nel rito tradizionale della Messa tridentina, il Pater Noster viene sempre dopo la preghiera eucaristica. Nella messa solenne viene cantato o recitato dal solo celebrante fino a tentatiónem; nella messa bassa l'assemblea può recitarlo insieme al sacerdote.[24] Questa facoltà prima dell'edizione del Messale romanum del 1962 era stata concessa per indulto ad alcuni luoghi, tra cui tutta la Francia, mentre non era prevista dal Messale.[25]
«In cielo, cioè in noi, con la fede, si fa la volontà di Dio e noi diventiamo celesti; così pure sulla terra, cioè nei non credenti, chiediamo che si compia la volontà di Dio; che coloro i quali per la loro prima nascita sono ancora terrestri, diventino celesti nascendo dall’acqua e dallo Spirito.»
«Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand'è consumato, produce la morte.»
«Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla»
«Non ci indurre in tentazione significa non permettere che siamo condotti alla tentazione da colui che tenta in tutti i modi»
«Che cosa chiediamo nella sesta domanda: e non ci indurre in tentazione? Nella sesta domanda: e non ci indurre in tentazione, chiediamo a Dio che ci liberi dalle tentazioni, o non permettendo che siamo tentati, o dandoci la grazia di non essere vinti»
Alcuni vangeli apocrifi[senza fonte] hanno un'altra forma per la frase in questione, argomentando implicitamente che Dio non può tentare i suoi fedeli.
«Non possiamo pregare di essere liberati da tutto ciò che consideriamo male, perché ci sono cose che noi crediamo siano male mentre invece non lo sono affatto.»
Quasi tutti i verbi sono imperativi aoristi: passivi in terza persona e attivi nella seconda persona singolare. L'aoristo nel greco antico indica un'azione senza tempo e senza confini, una volontà già fatta propria prima dell'azione e un'azione iniziata nel passato e che dura nel presente. Dunque, significa "continua a darci il pane quotidiano" o "non smettere di darci il pane quotidiano", "continui a essere fatta la tua volontà", così come accade anche nel Kyrie eleison.[35]
Durante l'anno giubilare 2020-2021 in onore di San Giuseppe, papa Francesco ha concesso l'indulgenza plenaria a chiunque avesse meditato la preghiera del Padre nostro per almeno 30 minuti.[36]
La preghiera presenta alcune affinità con il Kaddish ebraico, dal quale si distingue principalmente per l'invocazione al "Padre nostro" e per l'uso confidenziale della seconda persona[37].
L'idea catara sul padre nostro era che si trattava del cantico di Sion, cioè del ricordo dei canti di lode a Dio degli spirituali quando erano ancora angeli in cielo prima di scendere in terra e che poi il diavolo fece dimenticare mentre li rivestiva del corpo. Il ricordo di questo cantico, e quindi della visione beatifica di Dio, era vista come la reminescenza platonica in cui sarebbe consistito il vero battesimo.[38]
Nell'aprile del 1999, si è tenuto a Perugia il primo incontro interreligioso per la definizione di un testo condiviso del "Padre nostro" in lingua italiana.[39][40][41]
Nel giugno 2012, è stato ripreso il dibattito fra l'Ufficio per l'Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della C.E.I. (mons. Giuseppe Chiaretti), la Confederazione delle Chiese Evangeliche Italiane presieduta dal pastore battista Domenico Tomasetto e la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d'Italia e Malta rappresentata dall'arcivescovo Gennadios Zervós.[42]
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