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patriota italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Luciano Manara (Milano, 25 marzo 1825 – Roma, 30 giugno 1849) è stato un patriota italiano, tra le figure più note del Risorgimento. Cadde durante la difesa della Repubblica Romana.
Luciano Manara | |
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Nascita | Milano, 25 marzo 1825 |
Morte | Roma, 30 giugno 1849 |
Cause della morte | caduto in combattimento |
Dati militari | |
Paese servito | Governo provvisorio di Milano Regno di Sardegna Repubblica Romana |
Forza armata | Corpi Volontari Lombardi Armata sarda Esercito romano |
Arma | Fanteria |
Specialità | Bersaglieri |
Anni di servizio | 1848 - 1849 |
Grado | capo di stato maggiore |
Comandanti | Michele Allemandi Pietro Roselli |
Guerre | Prima guerra d'indipendenza italiana |
Campagne | Invasione del Trentino |
Battaglie |
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Studi militari | Scuola di Marina a Venezia |
Frase celebre | Noi dobbiamo morire per chiudere con serietà il Quarantotto; affinché il nostro esempio sia efficace, dobbiamo morire |
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Nato in una facoltosa famiglia della borghesia milanese, Manara fu amico di Carlo Cattaneo e compì gli studi liceali a Milano. Frequentò le lezioni della scuola di Marina a Venezia e fra il 1840 e il 1846 soggiornò a lungo in Germania e in Francia. Sposò Carmelita Fè il 10 settembre 1843 ad Antegnate e con lei ebbe tre figli: Filippo, Giuseppe e Pio Luciano.
Nella sua giovane età Luciano Manara soleva passare le vacanze estive ad Antegnate, un paese della bassa provincia bergamasca, e qui la sua grandissima passione per la musica portò Luciano, all'epoca ventenne, ad istituire una piccola scuola di musica, facendosi carico delle spese per l'acquisto degli strumenti. Quella piccola scuola di musica è diventata oggi una delle più antiche bande musicali bergamasche attive, il "Corpo Musicale Luciano Manara", che dal 1845 porta con onore il suo nome.
Partecipò valorosamente alle Cinque Giornate di Milano, tra l'altro capeggiando l'operazione che portò alla conquista di Porta Tosa, divenuta così, subito dopo l'Unità d'Italia, Porta Vittoria, e alla Prima guerra di indipendenza italiana del 1848 al servizio del Governo provvisorio di Milano con un gruppo di 500 volontari da lui stesso organizzato, i Bersaglieri Lombardi.
Inquadrato, con il grado di maggiore, nei Corpi Volontari Lombardi del generale Michele Allemandi, prese parte nel mese di aprile all'invasione del Trentino con il compito di occupare Trento, tagliando così la strada della valle dell'Adige ai rinforzi austriaci alle fortezze del Quadrilatero, impresa che fu fermata dagli austriaci a Vezzano il 15 aprile a pochi chilometri da Trento.
Il 20 luglio nella battaglia di Sclemo, nei pressi di Stenico, nonostante il valore dimostrato, Manara fu pesantemente battuto dai 2.000 austriaci del maggiore Pompeius Scharinger von Lamazon e dovette ripiegare nel castello di Stenico. Con la riorganizzazione del Corpo di Osservazione Volontario del Tirolo affidato al comando del generale Giacomo Durando, nell'estate prese parte alle operazioni di controllo del confine trentino operando in Valle Sabbia e sul Monte Stino.
Al ritorno degli Austriaci riparò nel mese di agosto con la sua colonna di volontari nel Piemonte, dove fu messo a capo, con il grado di maggiore dell'esercito piemontese, di un corpo di bersaglieri e inquadrato nella divisione lombarda comandata dal generale Gerolamo Ramorino. Nella breve parentesi della ripresa della guerra contro l'Austria del 1849, Manara combatté con la sua unità sul Po e a La Cava (odierna Cava Manara in provincia di Pavia, che assunse in suo onore la nuova denominazione).
Dopo la sconfitta dell'esercito sabaudo nella battaglia di Novara, lasciò il Piemonte per partecipare alla difesa della Repubblica Romana. Il 22 aprile 1849, con i suoi 600 bersaglieri, su due battelli partì da Portofino per Civitavecchia e il 29 raggiunse Roma.
Dopo diversi combattimenti contro le truppe borboniche nei dintorni della città, venne promosso tenente colonnello e in seguito colonnello. Il 16 maggio con la sua brigata uscì da Roma e con le truppe della repubblica occupò prima Anagni e poi Frosinone.
Dal 3 giugno i francesi del generale Oudinot attaccarono Roma. Vennero organizzate le difese contro le soverchianti forze nemiche e Garibaldi lo nominò capo di Stato Maggiore. Dopo furiosi combattimenti, il 30 giugno nella difesa di Villa Spada venne colpito a morte. Prima della sua morte, Manara ebbe modo di scrivere in una lettera all'amica, Francesca "Fanny" Bonacina Spini, le memorabili parole: "Noi dobbiamo morire per chiudere con serietà il Quarantotto; affinché il nostro esempio sia efficace, dobbiamo morire".
Le esequie furono celebrate nella chiesa di San Lorenzo in Lucina e l'omelia funebre fu pronunciata da don Ugo Bassi. Il corpo rimase per qualche tempo a Roma. La madre non riuscì ad ottenere da Vienna il permesso per riportarlo a Milano. Con le spoglie di Emilio Morosini e di Enrico Dandolo (caduto a Villa Corsini), via mare venne portato a Genova e da qui a Vezia (Lugano), dove venne sepolto temporaneamente nella tomba di famiglia dei Morosini.
Dopo continue insistenze e suppliche, nel 1853 l'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe concesse il permesso di riportare il corpo dell'eroe a Barzanò (dove la famiglia aveva una villa) in forma "strettamente privata". Solo dopo l'Unità d'Italia, nel 1864, ai Manara venne infine concesso di erigere la tomba di famiglia.
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