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Le formazioni di difesa proletaria furono formazioni antifasciste italiane, nate per far fronte allo squadrismo, culminato del "biennio nero" 1921-1922.
La nascita delle formazioni di difesa proletaria è contestuale alla nascita dei Fasci italiani di combattimento, creati da Benito Mussolini, ed alla presentazione del loro manifesto.[1]
Nel 1920 le formazioni di difesa proletaria, come le Guardie Rosse, partecipano all'occupazione delle fabbriche di Torino.[2] Queste formazioni antifasciste, nate spontaneamente e legate alle posizioni politiche di partito per far fronte allo squadrismo, sebbene potessero contare su reduci della Grande Guerra[senza fonte], si dimostrarono talvolta ingenue nell'arte militare, come testimonia la sconfitta delle stesse Guardie Rosse a Torino.
Nel 1921 ha quindi luogo la fondazione degli Arditi del Popolo, organizzazione paramilitare antifascista a forte componente comunista e anarchica, nata a seguito della spaccatura dell'Associazione Arditi d'Italia, iniziata con l'assalto da parte di squadristi e gruppi di Arditi della Camera del Lavoro di Milano.
Le formazioni esistenti si coagularono perciò spesso attorno agli Arditi del Popolo, attirate da capi militari provenienti dagli Arditi quali Argo Secondari, Vincenzo Baldazzi, Alberto Acquacalda, dai ranghi degli ufficiali dell'esercito, spesso pluridecorati, come Antonio Cieri, Guido Picelli, Gaetano Perillo, Alceste de Ambris, Emilio Lussu, o ex-legionari fiumani.
L'ingresso sulla scena degli Arditi del Popolo provocò quindi un cambio di tattica militare con l'utilizzo dell'attacco preventivo: al momento della notizia di colpo di mano da parte delle squadre d'azione, si provvedeva all'inquadramento militare degli uomini in centurie, ovvero battaglioni.[senza fonte]
Questi cambiamenti andarono a scontrarsi con la tattica arrendevole del Partito Socialista Italiano e del Partito Repubblicano Italiano, che disconobbe gli Arditi del Popolo (punto 5 del Patto di pacificazione sottoscritto da fascisti e socialisti, mai osservato nei fatti da entrambi), l'opposizione ferma della maggioranza del gruppo dirigente del Partito Comunista d'Italia (Antonio Gramsci era per contro attento al fenomeno e propenso all'appoggio), contrariamente alle indicazioni dell'Internazionale[3], e le persecuzioni messe in atto da Ivanoe Bonomi impedirono l'adeguato sviluppo della nuova struttura militare antifascista. Questo anche a causa dell'appoggio incompleto da parte della base non combattente dei partiti, che rimase confusa dalle prese di posizione dei dirigenti, ma che comunque continuò a dare nuovi afflussi alle formazioni di difesa proletaria.[senza fonte] Lo storico Tom Behan afferma che queste formazioni, organizzate come gli Arditi del Popolo, avrebbero potuto fermare il fascismo sul suo terreno, quello dello scontro armato.[4]
Formazioni di difesa proletaria operanti prima del luglio 1921:
Personaggi antifascisti di spicco, riguardanti in particolare le zone di Genova, Vercelli e Novara sono stati il genovese Gaetano Perillo ed il vercellese Francesco Leone[8], che successivamente saranno fra i fondatori del fronte unito Arditi del Popolo nelle zone citate. La loro rilevanza storica è dovuta sia al loro impegno politico - che attraversa praticamente mezzo secolo ed oltre - sia come memoria storica (che nel caso di Perillo assume le dimensioni di uno dei maggiori storici del movimento operaio genovese).
Formazioni di difesa proletaria operanti dall'estate del 1921 all'autunno del 1922:
In Emilia-Romagna e nelle Marche, dove si verificarono la Settimana rossa e la Rivolta dei Bersaglieri[9], furono presenti formazioni di difesa proletaria.
A Livorno erano presenti gli Arditi del Popolo capitanati dal tenente Quagliarini, pluridecorato della prima guerra mondiale:
«(...) girate girate per le strade di Livorno, ma nei rioni non potete andare vi son gli Arditi che vi stanno attorno e gli Ardenzini vogliono vendicare(...)»
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