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documento approvato nel 1681 dall'Assemblea del clero di Francia che codifica il gallicanesimo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Dichiarazione del clero di Francia, nota anche come Dichiarazione dei quattro articoli, è un documento prodotto nel 1681 dall'Assemblea del clero di Francia. Promulgata ufficialmente nel 1682, codificava per la prima volta in quattro articoli i principi del gallicanesimo in un sistema coerente con formule ufficiali e definitive.
Il concordato di Bologna del 1516 tra la Santa Sede e il Regno di Francia abrogò e rimpiazzò esplicitamente la Prammatica Sanzione di Bourges del 1438 e fu confermato dal contemporaneo quinto concilio Lateranense[1][2] e approvato dai Parlements nel 1518.[3] Roger Aubenas, nel The New Cambridge Modern History, definisce il documento "una logica divisione di prerogative, che tuttavia comportò l'interruzione della pratica delle elezioni".[4] Secondo i termini del concordato, l'elezione dei vescovi da parte dei canonici e degli abati da parte dei monaci fu abbandonata; il diritto di presentazione di un candidato per i ruoli di vescovo, abate o priore fu assegnato al re, mentre il diritto di conferma del candidato, il diritto di devoluzione[N 1] e il diritto di riserva furono assegnati al papa.[2] Data comunque la necessità di presentare un candidato adatto e qualificato, "la scelta del re non poteva essere del tutto arbitraria".[4] Il concordato rinegoziava inoltre le annate e altre questioni.[2]
Nel 1663, il Collegio della Sorbona dichiarò solennemente che non avrebbe accettato alcuna autorità papale nei domini temporale del re, né la sua superiorità alle decisioni di un concilio ecumenico o la sua infallibilità se non con il consenso della Chiesa.[1]
Nel 1673, re Luigi XIV di Francia, un sovrano assoluto, estese il droit de régale a tutto il regno francese.[5] Esistevano due tipi di régale: régale temporelle e régale spirituelle.[6] Già i precedenti re di Francia avevano affermato che il droit de régale spettasse loro di diritto in virtù della supremazia della Corona sulle sedi episcopali, incluse quelle precedentemente considerate esenti dalla rivendicazione di tale diritto.[N 2] Sotto Luigi XIV, la pretesa del diritto di appropriarsi delle rendite delle diocesi vacanti e di stabilirne i beneficiari fu messa in atto con massima fermezza.[7] I Parlements si ritennero soddisfatti e la maggioranza dei vescovi si sottomise senza alcuna effettiva resistenza. Solo due prelati, Nicolas Pavillon, vescovo di Alet, e François de Caulet, vescovo di Pamiers, entrambi giansenisti, si opposero all'ingerenza reale.[5][7] Nel 1677, dopo essersi entrambi appellati senza successo al loro arcivescovo metropolita, che si schierò con Luigi XIV, si appellarono direttamente a papa Innocenzo XI.[5][N 3]
Con ben tre brevi apostolici, Innocenzo XI esortò Luigi XIV a non estendere il suo diritto alle diocesi che ne erano precedentemente esenti,[5] alle quali diede il suo pieno sostegno.[7]
Nel 1681, Luigi XIV convocò a Parigi l'Assemblea del clero per valutare la questione del droit de régale. Fu presieduta da François de Harlay de Champvallon, arcivescovo di Parigi, e da Charles-Maurice Le Tellier, arcivescovo di Reims. La questione fu rapidamente risolta in favore del re. Luigi richiese poi che l'Assemblea si pronunciasse anche sulla questione dell'autorità papale, e questa si schierò nuovamente dalla parte del sovrano.[5][7]
Le decisioni dell'Assemblea furono raccolte in quattro articoli (detti quattro articoli gallicani),[9] redatti da Charles-Maurice Le Tellier, arcivescovo di Reims, Gilbert de Choiseul du Duplessis Praslin, vescovo di Tournai, e Jacques Bénigne Bossuet, vescovo di Meaux.[10][11][12] Secondo quanto riportato da Antoine Dégert nella Catholic Encyclopedia, le dottrine espresse nei quattro articoli erano le seguenti:[N 4]
Secondo la dottrina gallicana, quindi, il primato papale era limitato da:
C'erano due tipi di gallicanesimo:
Il gallicanesimo parlamentare era di più portata più ampia di quello episcopale ed era spesso disconosciuto dai vescovi francesi.[1] W. Henley Jervis ha scritto, in The Gallican Church, che il gallicanesimo precedeva Luigi XIV e non ebbe inizio con la Dichiarazione del clero di Francia, né fu creato dal concordato di Bologna o dalla Prammatica Sanzione di Bourges.[25] Due delle più importanti libertà difese dal gallicanesimo parlamentare erano il diritto del re di Francia di convocare concili ecclesiastici nei propri territori e il diritto di promulgare leggi e regolamenti riguardanti materie ecclesiastiche, entrambi risalenti all'epoca medievale.[26]
Luigi XIV ordinò che la Dichiarazione del Clero di Francia fosse promulgata da tutti i pulpiti di Francia.[7] Ordinò inoltre l'inserimento dei quattro articoli nei curriculum di tutte le scuole e facoltà di teologia; nessuno poteva ottenere una laurea in teologia senza includere la dottrina gallicana in una delle proprie tesi, e fu vietata l'inclusione di qualsiasi forma di critica ai quattro articoli.[1] Nonostante un'iniziale resistenza, anche la Sorbona si piegò alle direttive reali.[1]
Il teologo giansenista Antoine Arnauld, allora esule a Bruxelles, nei Paesi Bassi spagnoli, si mostrò concorde con la dottrina dei quattro articoli e scrisse a Innocenzo XI per dissuaderlo dal pubblicarne una censura formale. Arnauld temeva che una denuncia papale degli articoli si sarebbe tramutata in uno "strumento inestimabile nelle mani degli eretici per far apparire la Chiesa romana come odiosa, per creare nuovi ostacoli alla conversione dei protestanti, e per istigare una ancor più crudele persecuzione per i poveri cattolici in Inghilterra". Tuttavia, Arnauld e la maggior parte di giansenisti si schierarono in seguito dalla parte della Santa Sede nella disputa del droit de régale.[27]
Papa Innocenzo XI esitò inizialmente a censurare la pubblicazione della Dichiarazione. L'11 aprile 1682, in un apposito breve, proclamò la nullità di ogni decisione dell'Assemblea del 1681 riguardo al droit de régale e di ogni atto derivante, e, appellandosi al concordato di Bologna, rifiutò la propria approvazione a tutti i candidati vescovi per le sedi vacanti presentati da Luigi XIV che avevano preso parte all'Assemblea.[1][7] Così, per anni, tutti i candidati vescovi nominati da Luigi XIV godettero delle rendite e delle prerogative temporali derivanti dalle loro sedi ma, secondo i termini del concordato di Bologna e della dottrina cattolica, non poterono svolgere nessuna delle funzioni spirituali dell'episcopato. Almeno 35 diocesi, quasi un terzo di tutte le diocesi del regno, rimasero senza un vescovo canonicamente investito.[28][N 7]
La costituzione apostolica Inter multiplices pastoralis officii, promulgatada papa Alessandro VIII nel 1690 e pubblicata nel 1691, condannò nella loro interezza i procedimenti dell'Assemblea del 1681 e dichiarò la Dichiarazione del Clero di Francia nulla e invalida. Il 14 settembre 1693, Luigi XIV abrogò i quattro articoli e scrisse una "lettera di ritrattazione" a papa Innocenzo XII.[1][30] Ai candidati vescovi che, avendo preso parte agli eventi del 1681, si erano visti negare l'approvazione papale fu concesso di riceverla, a patto che sconfessassero tutti i decreti dell'Assemblea in materia di amministrazione ecclesiastica e autorità pontificia.[1]
Tuttavia, secondo Dégert, la Dichiarazione del clero di Francia rimase "simbolo vivente del gallicanesimo" che era ancora professato dalla maggioranza del clero francese, che continuò a difenderlo nelle facoltà di teologia, nelle scuole e nei seminari. Anche i Parlements continuarono a sopprimere ogni opera che sembrasse ostile ai principi dei quattro articoli.[1] Quelle idee sarebbero successivamente riemerse durante la Rivoluzione francese nella Costituzione civile del clero del 1790.[18]
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