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cane a tre teste dell'antica mitologia greca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Cerbero (in greco antico: Κέρβερος?, Kérberos) è una creatura della mitologia greca, uno dei mostri a guardia dell'ingresso degli Inferi su cui regnava il dio Ade.
Cerbero | |
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Eracle conduce Cerbero da Euristeo | |
Saga | Dodici fatiche di Eracle |
Nome orig. | Κέρβερος (Kérberos) |
Caratteristiche immaginarie | |
Specie | Cane a tre teste |
Sesso | maschio |
In seguito è divenuto anche noto per la descrizione che ne offre Dante Alighieri nel suo Inferno, anche se con fattezze e indole non differenti dal mito originale.
È un mostruoso cane mastino gigantesco e sanguinario dotato di tre teste e di cui Zachary Grey, scrittore inglese del secolo XVIII, afferma:
Anziché di pelo, il suo corpo è ricoperto di serpenti velenosi che si rizzano facendo sibilare le proprie orrende lingue ad ogni suo latrato il quale non corrisponde a quello di un cane normale ma ad un rombo di tuono.[2]
Cerbero è figlio di Tifone e di Echidna e quindi fratello di Ortro,[3][4] dell'Idra di Lerna e della Chimera.[5]
Il suo compito era sorvegliare l'accesso dell'Ade, o Averno, affinché nessuno dei morti ne potesse uscire. Nessuno è mai riuscito a domarlo, tranne Eracle e Orfeo.
Nell'antichità anche il "nudo suolo" era definito Cerbero (o "lupo degli dei") poiché ogni cosa seppellita pareva essere divorata in breve tempo: il termine è entrato nella lingua italiana a designare, per antonomasia e spesso ironicamente, un guardiano arcigno e difficile da superare.
Cerbero fu affrontato e sconfitto da Eracle, che per svolgere l'ultima delle dodici fatiche fu costretto a catturarlo (vivo) per portarlo a Micene da Euristeo. Il cane non fu combattuto con armi e non fu ucciso, ma soltanto sottomesso, poiché il compito di Eracle era solo quello di dimostrare di averlo sconfitto in combattimento.[6]
Cerbero fu in seguito portato a Tirinto e poi riportato nell'Ade, tornando ad esserne il guardiano.
Orfeo, che doveva recarsi nell'Ade per riportare la defunta Euridice nel regno dei vivi, suonò il suo strumento (una lira) fino ad incantarlo.[7]
In araldica, il cerbero (nome comune) è una figura immaginaria del tutto corrispondente alla sua raffigurazione mitologica: un cane tricefalo dalle gole spalancate, la coda di drago e teste di serpente sul dorso. Certune raffigurazioni utilizzano i serpenti come chioma.
In taluni stemmi il cerbero, guardia feroce della città infernale, allude al cognome Medico, che vigila a che nessuno entri nella città dei malati. L'eventuale collare simboleggia la sottomissione del medico alla sua missione.
Nella fiaba di Amore e Psiche contenuta ne L'Asino d'oro di Apuleio, l'eroina (Psiche) è costretta a compiere un viaggio agli inferi e deve affrontare, all'entrata e all'uscita, Cerbero, che nel testo non viene chiamato per nome ma descritto come canis praegrandis, teriugo et satis amplo capite praeditus, immanis et formidabilis, tonantibus oblatrans faucibus mortuos, quibus iam nil mali potest facere, frustra territando ante ipsum limen et atra atria Proserpinae semper excubans servat vacuam Ditis domum ("un cane enorme, con una triplice testa in proporzione, gigantesco e terribile, che con fauci tonanti latra contro i morti, cui peraltro, non può fare alcun male; cercando di terrorizzarli senza motivo, e standosene sempre tra la soglia e le oscure stanze di Proserpina, custodisce la vuota dimora di Dite").
"L'enorme Cerbero col suo latrato da tre fauci rintrona questi regni giacendo immane davanti all'antro. La veggente, vedendo ormai i suoi tre colli diventare irti di serpenti gli getta una focaccia soporosa con miele ed erbe affatturate. Quello, spalancando con fame rabbiosa le tre gole l'afferra e sdraiato per terra illanguidisce l'immane dorso e smisurato si stende in tutto l'antro. Enea sorpassa l'entrata essendo il custode sommerso nel sonno profondo". Nell'Eneide, Cerbero si oppone alla discesa agli Inferi di Enea ed è ammansito dalla Sibilla che gli getta un'offa (focaccia) di miele intrisa di erbe soporifere. Cerbero, che in Virgilio ha dei serpenti attorcigliati al collo, la afferra con fame rabbiosa ed è forse il motivo per cui nella tradizione medievale era talvolta interpretato come immagine del peccato di gola.
La figura mitologica di Cerbero è presente anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri, dove esso vigila sui dannati del terzo cerchio dell'Inferno, quello di coloro che peccarono di incontinenza riguardo alla gola. Nella rappresentazione dantesca la figura di questo mostro mitologico si fonde con l'ideologia del fantastico di stampo medievale, in cui prevalgono significati simbolici; ne risulta una figura nuova, i cui particolari realistici danno una straordinaria vivacità. Viene presentato attraverso tre apposizioni, "fiera", "vermo" e "demonio", secondo una lettura classica, fantastica e religiosa.
Gli vengono anche attribuite caratteristiche fisiche umane, tra cui la barba, le mani e le facce. Viene descritto con gli occhi vermigli per l'avidità, con il ventre largo per la voracità e con le zampe artigliate per afferrare il cibo. Le interpretazioni allegoriche di questo personaggio (delle sue teste) nella Commedia sono tre: le tre teste indicherebbero i tre modi del vizio di gola: secondo qualità, secondo quantità, secondo continuo (cioè mangiare in continuazione senza preoccuparsi né della qualità né della quantità); le teste sarebbero il simbolo delle lotte intestine fra fazioni appartenenti a una stessa città, oppure perché vigila nel 3° cerchio.
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