Timeline
Chat
Prospettiva

Campi per l'internamento civile in Italia

lista di un progetto Wikimedia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Campi per l'internamento civile in Italia
Remove ads
Remove ads

I campi per l'internamento civile in Italia furono dei campi di prigionia istituiti in Italia, nelle sue colonie e nei territori occupati in Jugoslavia. Il primo fu il campo di concentramento di Nocra, in Eritrea, nel 1887.

Thumb
Uno dei pochi edifici rimasti del Campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, in Calabria, che ospitava oltre 2 000 prigionieri.

Un notevole incremento nell'utilizzo dei campi avvenne sotto il regime fascista, durante il quale vennero eretti più del 90% dei campi di internamento totali. Essi operarono come campi di confino, concentramento e lavoro coatto ai fini di sottomettere i popoli nelle colonie (libici, somali, eritrei ed etiopi), per "purificare la razza italiana" (internando ebrei, sloveni, croati, serbi, bosniaci, albanesi, cinesi, rom e greci) e per i dissidenti politici antifascisti. In seguito all'Armistizio dell'8 settembre 1943 l'amministrazione dei campi passò dal Regno d'Italia alla Repubblica Sociale Italiana, che li convertì in campi di raccolta finalizzati alla deportazione nei campi di sterminio della Germania nazista, in primo luogo Auschwitz.

I campi d'internamento civile non vennero più ripristinati dal governo italiano dopo la guerra, e la Costituzione della Repubblica italiana del 1948 escluderà esplicitamente i campi dal sistema penitenziario. L'ultimo lager, il campo di concentramento di Danane, in Somalia, venne ufficialmente smantellato nel 1954, durante l'Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia[1].

La misura durante il fascismo era simile al confino.

Remove ads

Storia

Riepilogo
Prospettiva

Nelle colonie

Con l'acquisto da parte del governo italiano della baia di Assab, in Eritrea, nel 1882 ebbe ufficialmente inizio il colonialismo italiano. Fin da subito la presenza italiana fu fortemente osteggiata dalle popolazioni locali e il processo di espansione nel Corno d'Africa fu molto più lungo e faticoso del previsto. Per stroncare le rivolte e sottomettere le popolazioni africane non bastarono i sanguinosi saccheggi e rastrellamenti ad opera delle truppe italiane; si optò dunque per l'istituzione di un grande campo di concentramento punitivo, rivolto agli africani avversi all'imperialismo. Venne individuato come luogo ottimale l'isola di Nocra, al largo dell'Eritrea, per via delle pesanti condizioni climatiche. Nell'isola infatti le temperature possono raggiungere i 50 °C, e il tasso di umidità può arrivare al 90%. Ciò, unito alla scarsissima distribuzione di cibo e acqua (la razione era di 300 grammi di farina, 10 di tè e 20 di zucchero, razione non garantita quotidianamente), comportava frequentissimi ribellioni e tentativi di fuga, terminati sempre con l'esecuzione dei fuggitivi[2]. La più memorabile fu la fuga di massa tentata nel 1893.

Il tasso di mortalità a Nocra superava il 58% e i superstiti erano soliti perdere l'uso delle gambe a causa dello strazio fisico disumano[3].

A Nocra seguirono numerosi altri campi, presenti in tutte le colonie. I più grandi furono, nella Libia italiana, nelle città di Agedabia, El Algheila, Brega, El Maghrun e Soluch e, nella Somalia italiana, nella città di Danane.

Nella prima guerra mondiale

In Italia i prigionieri degli imperi centrali durante la prima guerra mondiale furono detenuti in campi di internamento situati principalmente in Sardegna e, nel centro-nord Italia, nelle città di Alessandria, Avezzano, Asti, Cuneo, Voghera, Bracciano, Servigliano.[4] Circa 18 mila ungheresi furono raccolti a Vittoria in Sicilia.[5]

Nei Balcani

[Quando? Non chiaro, s'intitola "Nei Balcani" (e non è chiaro perché solo lì) senza specificare quando]

Il modello adottato (anche per gli ebrei) fu piuttosto quello dei campi di confino; agli internati era concessa una certa libertà di movimento e autonomia organizzativa e la possibilità di ricevere aiuti e assistenza dall'esterno. Il trattamento fu simile a quello di una prigionia e non fu affiancato da violenze antisemite fisiche o morali aggiuntive. Gli internati familiarizzarono con le popolazioni locali. Soprattutto gli ebrei non furono consegnati ai tedeschi e non furono soggetti a deportazione nei campi di sterminio.[6]

Le comunità ebraiche italiane si mobilitarono a sostegno dei loro correligionari internati attraverso l'istituzione della DELASEM (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei), una società di assistenza per i profughi creata dall'Unione delle comunità israelitiche in Italia il 1º dicembre 1939 con l'assenso del regime.[7] Durante tutto il primo periodo bellico e fino all'8 settembre del 1943 la DELASEM poté svolgere legalmente un'opera fondamentale nell'assistenza dei profughi ebrei, rendendo meno dure le condizioni di vita nei campi, favorendo l'emigrazione di migliaia di internati e quindi sottraendoli di fatto allo sterminio. Poiché nei campi erano presenti anche molti cristiani cattolici ed ortodossi, anche la Chiesa attivò le proprie organizzazioni caritative a favore degli internati. La rete di rapporti che così si stabilì tra la DELASEM e alcuni vescovi e sacerdoti sarà decisiva per la continuazione delle attività dell'organizzazione in una condizione di clandestinità dopo l'8 settembre 1943.

Per gli slavi invece la situazione fu molto diversa, in quanto essi furono sottoposti ad una vera e propria azione di pulizia etnica nei territori occupati dall'Italia. In alcuni campi la popolazione civile slava fu soggetta a condizioni di vita inumane che portarono alla morte per stenti di migliaia di prigionieri (inclusi donne e bambini).[8]

Dopo la caduta di Benito Mussolini il 25 luglio 1943, molti dei campi furono aperti e i prigionieri li poterono abbandonare. Molti prigionieri però rimasero nei campi, non avendo semplicemente altro luogo in cui andare. Dopo l'8 settembre 1943 i campi situati nell'Italia meridionale (tra cui Ferramonti e Campagna) furono liberati dagli Alleati e i prigionieri rimastivi (inclusi molti ebrei) trovarono la libertà. Nel Centro-Nord la Repubblica Sociale Italiana trasformò alcuni dei campi in campi di raccolta e concentramento per gli ebrei (italiani e "stranieri"), ora soggetti a deportazione verso i campi di sterminio della Germania. Nuovi campi (Borgo San Dalmazzo, Fossoli, Bolzano, la Risiera di San Sabba) furono specificamente allestiti per le finalità dell'Olocausto.[9]

Remove ads

Campi in Italia

Riepilogo
Prospettiva
Lo stesso argomento in dettaglio: Ebrei internati in Italia.

Lo storico Luciano Casali conta 259 campi d'internamento operanti sul suolo italiano[10].

In questa tabella sono riportati i dati riguardanti i 54 campi di cui si conosce il numero di internati.

Ulteriori informazioni Numero, Nome del campo ...
Remove ads

Campi nelle colonie italiane

Riepilogo
Prospettiva
Thumb
Internati nel campo di concentramento italiano di El Agheila

Numerosi furono i crimini di guerra condotti dall'Esercito italiano nelle colonie. Nella sola Cirenaica tra il 1929 e il 1933 oltre 40.000 persone furono uccise e 80.000 rinchiuse nei campi di concentramento,[35] su una popolazione totale di appena 193 000 persone. Secondo lo storico Ilan Pappé, il regime fascista tra il 1928 e il 1932 uccise metà della popolazione beduina direttamente o per fame nei campi.[36] Secondo lo storico Angelo Del Boca, nel 1933, dei circa 100 000 libici deportati dal Gebel Achdar e dalla Marmarica, più di 40 000 trovarono la morte nei campi.[37]

Ulteriori informazioni Nome, Luogo ...

Sotto la Repubblica Sociale Italiana

Dopo l'8 settembre 1943 alcuni dei vecchi campi per l'internamento civile furono inclusi nella rete dei campi di concentramento della Repubblica Sociale Italiana, gestiti da militari tedeschi e/o milizie repubblichine italiane. La funzione di questi campi era ora cambiata radicalmente. Vi transitavano ebrei (senza più alcuna distinzione tra "Italiani" e "stranieri"), nonché prigionieri politici antifascisti, in attesa di deportazione. I convogli partivano quindi dalla Risiera di San Sabba o da Fossoli con destinazione i campi di concentramento e sterminio in Germania e Polonia.

Remove ads

Il periodo post-bellico

Finita la guerra, alcuni campi furono utilizzati con altre funzioni; vi furono infatti:

  • campi in cui vennero segregati gli ex-soldati dell'Asse in attesa che le autorità italiane o alleate esaminassero i loro casi, come il campo di concentramento di Coltano.
  • campi di raccolta profughi
  • campi di reclusione, come i campi di Fraschette, Alatri e Fossoli, nei quali erano rinchiusi i profughi e gli ex-militari accusati di crimini civili (furti, aggressioni, borsa nera, prostituzione, violenze).
Remove ads

Note

Bibliografia

Loading content...

Voci correlate

Loading content...

Collegamenti esterni

Loading related searches...

Wikiwand - on

Seamless Wikipedia browsing. On steroids.

Remove ads