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Area metropolitana
zona circostante che dipende per alcuni servizi dalla città principale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Un'area metropolitana è una zona circostante un'agglomerazione (o una conurbazione) che per i vari servizi dipende dalla città centrale (metropoli) ed è caratterizzata dall'integrazione delle funzioni e dall'intensità dei rapporti che si realizzano al suo interno, relativamente ad attività economiche, servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali. Elementi necessari affinché esista una vera e propria area metropolitana sono, in particolare, la presenza di una rete di trasporti che colleghi tra loro i diversi ambiti urbani e la presenza di forti interazioni economico/sociali all'interno dell'area stessa.

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È difficile individuare un chiaro confine dell'area metropolitana basandosi esclusivamente sulle interazioni economiche e sulla rete dei trasporti, ma spesso, proprio l'esistenza di forti interazioni tra le diverse parti che compongono l'area metropolitana (grande città e gli ambiti urbani limitrofi), obbliga le amministrazioni locali a delegare parte delle proprie competenze ad un coordinamento centrale che superi gli ambiti locali al fine di garantire una corretta gestione dell'area metropolitana in alcuni ambiti specifici (pensiamo, ad esempio, alla gestione della rete dei trasporti, che deve avere una visione complessiva dei problemi). In questo caso, laddove esiste un ente di coordinamento centrale, è possibile avere una chiara indicazione dei confini dell'area metropolitana, almeno dal punto di vista legislativo/esecutivo.
Le più grandi aree metropolitane italiane sono, secondo gli studi del Censis, la milanese (8 047 125 abitanti), la napoletana (3 034 410 ab.), la romana (4 339 112 ab.) e la veneta (2 685 598 ab.).[senza fonte]
Metodi di perimetrazione delle aree metropolitane
Le aree metropolitane sono individuate e descritte dai geografi urbani secondo due principali metodologie: una tiene conto dei flussi in entrata verso una località centrale (aree pendolari), l'altra invece delle relazioni economiche e funzionali di un territorio indipendentemente dalla presenza di una grande città (aree economico-funzionali). Un ulteriore metodo, meno usato dei precedenti perché non fornisce il grado di integrazione tra le diverse municipalità che la costituiscono, è basato sulla contiguità territoriale e sulla tensione abitativa (densità di popolazione).
In Italia la definizione economico-funzionale prevalente si è affermata soprattutto a partire dallo studio del 1970 di Cafiero e Busca su "Lo sviluppo metropolitano in Italia". Tale studio ha considerato il fenomeno metropolitano non come un "gradiente diffusivo a partire da una località centrale" ma come un minimum quantum di mercato, ovvero una determinata densità territoriale di attività extra-agricole. Quindi non un grande centro con la sua corona contermine di flussi pendolari, ma una condizione di mercato del lavoro che si dispiega sul territorio.
Nello specifico se un comune raggiunge una densità di 100 attivi extra-agricoli per km² soddisfà la condizione base. Quando un insieme di tali comuni che presentano contiguità fisica raggiunge una soglia prefissata di abitanti e/o attivi costituisce un'area metropolitana. Gli studiosi fissano tale soglia a 110 000 abitanti e/o 35.000 attivi extra-agricoli.
Le aree risultanti sono essenzialmente statistiche in quanto non si tiene conto di eventuali cesure orografiche o diversità di ambiti storici, economici o culturali. Si tratta di aree metropolitane di mercato, geometricamente contigue, che pertanto possono differire anche di parecchio da altre scaturite da metodologie di altra natura.
Di seguito vengono schematizzati i principali metodi utilizzati per la perimetrazione delle aree metropolitane[1]:
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Problematiche intrinseche e soluzioni per lo sviluppo
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Prospettiva
I principali disagi
In tutto il mondo, come è noto, la popolazione tende ad insediarsi prevalentemente nelle aree urbane.[2]
Ne consegue che la concentrazione di attività e persone, unita ad elevati livelli di mobilità per motivi di lavoro, studio e fruizione di servizi, contribuiscono all'insorgere di problemi ambientali, inquinamento, nuovi stili di vita, squilibri nel mercato edilizio che comportano la richiesta di nuove abitazioni, consumo di suolo e aumento degli autoveicoli.
Tutto ciò dà origine a gravi situazioni di invivibilità, legate sia al forte impatto sull'ambiente sia alla carenza di infrastrutture, ad un uso non pianificato del territorio e alla scelta di modalità di trasporto inadeguati e spesso insufficienti. È evidente che problemi di tale natura non possono essere fronteggiati in un ambito circoscritto come quello comunale, essendo interessato tutto il territorio coinvolto.
Soluzioni e aspettative
Al fine di risolvere adeguatamente le problematiche che, quasi inevitabilmente, insorgono all'interno del contesto metropolitano, è stata adottata in alcuni centri, italiani ed europei, la cosiddetta visione strategica, basata essenzialmente sulla dinamicità dei processi, su un sistema complesso di relazioni di tutti i soggetti presenti sul territorio, sul consenso necessario mediante la partecipazione attiva dei cittadini, sull'associazionismo degli imprenditori, per realizzare obiettivi spesso sfidanti e di lungo periodo.
Il piano strategico
Il piano strategico è un processo in costante evoluzione che non si esaurisce in un documento immodificabile o in una serie di progetti più o meno sistematizzati, ma di uno strumento definito in forma consensuale, soggetto a continue verifiche e revisioni, teso a favorire la messa in opera di soluzioni vantaggiose per la comunità.
I piani strategici, dunque, non possono rappresentare il patrimonio di una parte politica o di un'amministrazione ma, scaturendo dalla partecipazione e dalla condivisione dei cittadini, superano le scadenze elettorali ed assumono come riferimento un orizzonte temporale non inferiore a dieci anni e, talvolta, anche di venti anni.
Né un piano strategico può essere costituito da un elenco di richieste da sostanziare nei programmi amministrativi in occasione delle consultazioni elettorali, poiché le risorse necessarie per la sua realizzazione non possono essere tutte di provenienza pubblica ma garantite anche da quei soggetti privati che, avendolo concertato positivamente, lo hanno condiviso e sottoscritto. Nessun piano può essere limitato al ristretto ambito del comune promotore, ma sarà tanto più efficace quanto più riuscirà a costruire una “partecipazione a rete” allargata ai comuni limitrofi, in una dimensione territoriale di “area vasta”. Il piano strategico non riguarda, in un'ottica tradizionale, soltanto gli aspetti urbanistici e territoriali o il potenziamento delle infrastrutture, ma si estende anche agli altri aspetti essenziali di una società avanzata, per il miglioramento dei servizi e della qualità della vita, che coinvolgono le attività economiche, culturali e sociali. Valorizza e rafforza, pertanto, le democrazie elettive con un coinvolgimento nel sistema decisionale della società civile, che va ben oltre le esperienze più avanzate di bilancio sociale
Il sindaco e il presidente della provincia sono gli interlocutori naturali per dialogare con gli attori esterni, potendo svolgere una funzione fondamentale di avvio, di stimolo e di coordinamento dei processi di sviluppo territoriale in un'ottica di multilivel governance.
Aree metropolitane e concetto di città intelligente
La funzionalità dell'area metropolitana attualmente dipende non solo dalla tipologia di infrastrutture materiali, ma anche e sempre di più dalla disponibilità e dalla qualità della comunicazione e delle infrastrutture sociali e intellettuali. Quest'ultima forma di risorsa è determinante per la competitività urbana. In questo contesto è stato introdotto il concetto di "smart city", come strumento strategico per comprendere i moderni fattori produttivi urbani in un quadro comune e per sottolineare la crescente importanza delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione sociale e ambientale.
Le città intelligenti possono essere identificate (e classificate) lungo sei assi principali: economia, mobilità, ambiente, relazioni comunitarie, stile di vita, efficienza di governo, con particolare enfasi sul capitale umano e sociale e la partecipazione dei cittadini nel governo della città.
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Aree metropolitane italiane
Riepilogo
Prospettiva

L'ordinamento giuridico italiano ha individuato lo specifico ente di governo, denominato città metropolitana, solo nelle aree metropolitane di 14 città italiane. Dieci di queste (Milano, Torino, Genova, Bologna, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria)[3] sono state individuate dal Parlamento italiano mentre quattro (Messina, Catania, Palermo, Cagliari) sono state individuate da apposite leggi dalle Regioni a statuto speciale.
Studi di settore recenti per le aree metropolitane italiane
Perimetrazione morfologica (densità di popolazione)
I dati del Censis[4]
Dal secondo dopoguerra sono andate lentamente a definirsi in Italia diverse grandi aree metropolitane, grazie all'allargamento delle periferie delle città, all'incorporazione dei comuni limitrofi, alla saldatura delle aree urbane lungo le linee di costa. Nel 2007 in queste grandi aree metropolitane (che coprono il 17% della superficie dell'Italia) viveva all'incirca il 61% della popolazione italiana. Il Censis aggrega in insiemi metropolitani tutte le unità comunali adiacenti che superano i 200 abitanti per km² e i 350 000 abitanti.
Queste conurbazioni o agglomerazioni possono essere divise in:
- aree metropolitane di Milano, Napoli, Roma, Torino, Palermo, Verona, Cagliari, Pescara e Venezia-Padova-Treviso;
- sistemi lineari costieri basso-adriatico, alto-adriatico, della Sicilia orientale e ligure;
- aste territoriali emiliana e toscana.
I dati dell'Institut d'Estudis Regionals i Metropolitans de Barcelona[5]
Un'"agglomerazione metropolitana" viene costruita intorno a comuni con almeno 100 000 abitanti e 1.500 ab per km². Vengono aggregati comuni contigui che soddisfino una densità media nell'area di oltre 1500 ab./km² ed il totale dell'area deve essere superiore a 250.000 abitanti. In subordine vengono poi individuate le "agglomerazioni estese", che sono costituite da comuni contermini con oltre 250 abitanti/km² ed una popolazione nell'insieme di oltre 250 000 abitanti. Lo studio è stato realizzato alla scala dell'Unione europea nel 2000 ed aggiornato nel 2006.
In totale in Italia vengono individuate 12 agglomerazioni metropolitane.
Perimetrazione funzionale (flussi pendolari)
Lo studio dell'Institut d'Estudis Regionals i Metropolitans de Barcelona
Lo studio di ricerca, pubblicato da Rafael Boix e Paolo Veneri, edito dall'Institute of Regional and Metropolitan Studies di Barcellona nel marzo 2009, ha avuto lo scopo di misurare il grado di "metropolizzazione" raggiunto dalle aree urbane spagnole ed italiane e di fornire un valido strumento per governare le più grandi agglomerazioni umane dove si concentrano le maggiori attività economiche e di servizio delle nazioni. Per la ricerca sono stati utilizzati e messi a confronto i risultati ottenuti da due differenti metodologie, le più utilizzate in Europa e negli USA, per la delimitazione delle aree metropolitane:
- Il Cheshire-Gemaca che individua le Regioni Funzionali Urbane (FUR) in base a indicatori di pendolarismo;
- la versione iterativa dell'algoritmo USA-MSA, particolarmente indicato per individuare aree metropolitane policentriche (Dynamic metropolitan areas (DMA)).
Le aree ottenute, aggregando più comuni ad una città centrale di almeno 50 000 abitanti, sono state divise in quattro livelli in base al peso demografico[6]:
- Livello A (più di 1.000.000 di abitanti), grandi aree metropolitane
- Livello B (tra 250.000-1.000.000 di abitanti), medie aree metropolitane
- Livello C (tra 100.000-250.000 abitanti), piccole aree metropolitane
- Livello D (meno di 100.000), aree urbane
Per l'Italia, così come per la Spagna, i risultati ottenuti con i due metodi sono molto simili.
Functional Urban Regions (FUR)
In Italia sono state individuate con il primo metodo 82 FUR che contengono il 43% dei comuni (3493), il 67% della popolazione totale (38,6 milioni) e il 71,5% degli occupati (14,5 milioni).
La metodologia consiste nell'individuare "nuclei" composti da uno o più comuni che abbiano non meno di 20.000 posti di lavoro e una densità di almeno 7 posti per ettaro. Quindi vengono aggregati tutti i comuni contermini che abbiano almeno il 10% di tasso di pendolarismo verso il polo metropolitano.
A livello dimensionale si riportano i risultati:
- 6 FUR di livello A
- 35 FUR di livello B
- 38 FUR di livello C.
- 3 FUR di livello D.
Dynamic Metropolitan Areas (DMAs)
Con il secondo metodo, la procedura DMA (Dynamic Metropolitan Areas), sono state individuate 86 aree urbane che contengono al 2001 il 49,9% dei comuni italiani (3962), il 69,4% del totale della popolazione italiana (39,6 milioni) e il 74,4% di occupazione (14,2 milioni di posti di lavoro).
La metodologia consiste nel partire dai centri con oltre 50 000 abitanti e nell'aggregarvi i comuni contigui che abbiano almeno un tasso del 15% di pendolarismo per lavoro o studio verso di loro. Il dato sui flussi pendolari è desunto dal Censimento 2001 dell'Istat. Ottenuta una prima area si esegue la stessa operazione verso l'area così aggregata per altre tre volte, ogni volta prendendo come "nucleo" l'area precedentemente ottenuta e sempre con un tasso di pendolarismo del 15%.
Per livello dimensionale risultano così suddivise:
- 7 DMAs di livello A.
- 32 DMAs di livello B.
- 40 DMAs di livello C.
- 7 DMAs di livello D.[7]
Perimetrazione mista
Le aree metropolitane in Italia e nel Mondo
La metodologia utilizzata dal professor Bartaletti[8] tiene conto del pendolarismo originato dai poli metropolitani, della densità di popolazione, della crescita demografica dei comuni nei singoli intervalli intercensuari dal 1951 ad oggi, del continuum edilizio.
La qualifica di area metropolitana viene limitata ai complessi urbani aventi un numero di addetti alle attività terziarie ed industriali commisurato ad un'area di gravitazione teorica di almeno 200 000 abitanti e che soddisfacciano poi il requisito di avere un numero di addetti alle tre funzioni centrali del commercio, credito e servizi alle imprese di almeno 320 000 abitanti. Il tutto naturalmente rapportandosi alla scala nazionale sia come addetti che come popolazione.
Vengono individuate 33 aree metropolitane, 15 delle quali sono raggruppate in 5 grandi aree consolidate attorno a Milano, Venezia, Modena-Reggio Emilia-Parma, Firenze (con Prato e Pistoia) e Napoli.
Lo studio dell'ANCI-Cittalia
Si tratta di una ricerca che prende in considerazione le aree delle città individuate da leggi varate dal parlamento italiano e dalle regioni a statuto speciale; la legge di riferimento è la 42/2009, da cui si cita: Le città metropolitane possono essere istituite, nell'ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria... (art. 23 c. 2).
Delimitazione anelli metropolitani (metodo MSAs)
Per la delimitazione delle due corone (primo e secondo anello) delle 15 città metropolitane è stato adottato, come base metodologica di riferimento, il metodo utilizzato negli USA dall'Office of Management and Budget che combina indicatori di densità territoriale e d'integrazione economico-funzionale (Metropolitan Statistical Areas - MSAs). Questo metodo utilizza un algoritmo di calcolo che, combinando tre fattori (processi insediativi, relazioni funzionali, performance economica), fornisce il grado di integrazione di un determinato territorio con la città. Il primo anello è quel territorio fortemente integrato con il centro o nucleo. Il secondo anello, meno integrato con il nucleo, coincide con la rimanente porzione del territorio provinciale non compresa nella prima corona metropolitana.
L'analisi del livello di integrazione delle 15 città con i relativi anelli metropolitani evidenzia quattro distinte tipologie, di seguito descritte:
- Aree metropolitane ristrette
Sono le aree metropolitane con rapida diminuzione dell'integrazione al crescere della distanza. L'integrazione diminuisce con evidenza all'aumentare della distanza dalla città. Sono queste le aree metropolitane in cui è più facile definire un primo e un secondo anello. Il primo anello, vicino alla città, è il luogo dell'integrazione forte. Il secondo anello, più lontano dalla città, interagisce debolmente con la città. Appartengono a questo tipo le aree metropolitane delle città di Bari, Bologna, Cagliari e Catania.
- Aree metropolitane allargate
Sono le aree metropolitane con lenta diminuzione dell'integrazione al crescere della distanza. L'integrazione si mantiene alta anche con l'aumentare della distanza dalla città. I confini tra primo e secondo anello, sebbene tracciabili, appaiono più sfumati. Appartengono a questo tipo le aree metropolitane delle città di Firenze, Genova, Messina, Palermo, Roma e Torino.
- Aree metropolitane integrate.
Sono le aree metropolitane con integrazione inizialmente crescente con la distanza per poi diminuire lentamente con essa. Il fenomeno è spiegabile con la presenza di poli secondari significativi cui corrisponde un'integrazione più forte con la città. Appartengono a questo tipo le aree metropolitane delle città di Reggio Calabria e Venezia.
- Aree metropolitane estese
Sono le aree metropolitane con integrazione costante al crescere della distanza. L'integrazione si mantiene costante anche con l'aumentare della distanza dalla città. In questo caso il primo anello coincide con l'intera provincia. Appartengono a questo tipo le aree metropolitane delle città di Milano, Napoli e Trieste.
Nella seguente tabella si riassumono i limiti dei ring metropolitani e il numero di comuni che ne fanno parte:
Solo Milano, Napoli e Trieste hanno il confine del primo anello metropolitano coincidente con il confine provinciale, mentre per le altre città tale confine risulta interno alla delimitazione provinciale. Nel caso di Milano ciò è da porre in relazione con il ruolo assunto dalla città rispetto ai comuni limitrofi e dal fatto di essere l'unica metropoli fortemente integrata con la sua area metropolitana e con parte dell'intero territorio regionale. Nel caso di Napoli la spiegazione risiede nella stretta relazione che la città ha con la sua popolosa provincia. Per Trieste ciò è dovuto all'esiguità del territorio provinciale al cui interno ci sono solo 5 comuni più il capoluogo giuliano. Per le rimanenti aree metropolitane i confini del primo anello appaiono più ristretti, in termini sia di superficie sia di abitanti.
Nella seguente tabella si riporta la popolazione nei comuni del primo e del secondo anello metropolitano e dell'area metropolitana (coincidente con il territorio provinciale)[10]:
Questo studio di ANCI-Cittalia, anteriore alla nascita per legge delle Città Metropolitane, è la dimostrazione che le città metropolitane non sono in grado di cogliere in maniera corretta il dispiegarsi dei fenomeni di urbanizzazione. Poiché seguono criteri prettamente politico-amministrativi ovvero la pedissequa trasformazione in Città Metropolitane delle province di origine ottocentesca, senza alcun adattamento ai cambiamenti avvenuti negli ultimi cinquanta anni.[senza fonte]
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