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L'orso è uno degli animali più presenti nell'immaginario umano, e come tale è stato di volta in volta rappresentato come una divinità, come un demone o uno spirito, come simbolo allegorico di vizi o di virtù o ancora come il protagonista di favole, leggende, miti e racconti popolari. Questo ruolo preminente deriva in gran parte dal suo rapporto particolare con l'uomo, che vede questo plantigrado essere tanto un pericoloso predatore quanto una preda ambita dai cacciatori; l'orso viene considerato inoltre come un animale antropomorfo, ed è spesso associato a qualità quali la forza, la potenza (anche sessuale), la fertilità, il coraggio in battaglia, e presso molti popoli viene riconosciuto come il "re degli animali", ponendosi così in competizione (soprattutto in età medievale) con il leone.
A causa della sua distribuzione pressoché cosmopolita l'orso si ritrova nella mitologia e nelle culture di popoli anche molto lontani tra loro quali diverse popolazioni dell'Europa, dell'Asia e del Nord America. La sua presenza nell'immaginario data agli albori dell'umanità, come attestano incisioni rupestri di epoca preistorica, e continua attraverso i secoli durante l'età classica, il medioevo, fino all'era moderna e contemporanea, in cui questo animale continua ad essere presente nella narrativa oltre che -in tempi più recenti- nei cartoni animati o nei giocattoli, primo fra tutti il celeberrimo peluche Teddy Bear.
In epoca preistorica, per gli uomini che vivevano in aree popolate da orsi (il che significa gran parte dell'Europa, dell'Asia e del Nord America) il contatto con questi animali era praticamente quotidiano e molto profondo: essi si ritrovavano a dover dividere gli stessi spazi, le stesse caverne, gli stessi corsi d'acqua, nonché le stesse prede[1]. Nell'arte preistorica, l'orso è presente nelle incisioni rupestri a partire da 35000 anni prima di Cristo[1]; si calcola che all'incirca il 2% di tutti i disegni di animali ad oggi noti rinvenuti nelle grotte dellEuropa occidentale siano raffigurazioni di orsi[2]. La Grotta Chauvet contiene una quindicina di disegni di orsi, ed altre raffigurazioni sono state rinvenute nella grotta di Trois-Frères, di Combarelles e di Montespan[1]. Una celebre statua risalente a 15000 anni fa, una delle più antiche mai ritrovate, rappresenta questo animale[3].
Esistono diverse teorie sull'interpretazione da dare a questi disegni: fra queste l'ipotesi che essi possano rappresentare dei miti sulla fondazione dei clan, o che siano raffigurazioni totemiche[4]. Altre teorie più recenti vedono in esse una funzione sciamanica, raffigurando le visioni avute dagli sciamani durante le trance[5].
Inoltre, fin dagli anni '20 molti paleontologi hanno avanzato l'ipotesi dell'esistenza di un "culto dell'orso" religioso e simbolico presso i popoli preistorici[6], simile a quelli che sarebbero esistiti successivamente, in epoche storiche, in molti popoli europei ed americani. Questa teoria, tuttoria non accettata da molti studiosi ed oggetto di dibattiti anche accesi, si fonda sul ritrovamento di ossa d'orso in grotte abitate da esseri umani; molti sostenitori dell'esistenza del culto preistoriche dell'orso, come Michel Pastoureau, suggeriscono che questi reperti possano essere stati portati volontariamente negli insediamenti umani, e disposti in modo particolare e simbolico[1], mentre gli scettici, fra cui André Leroi-Gourhan[7] e Frédéric Édouard Koby[8], ritengono invece che la presenza di ossa d'orso in insediamenti umani sia casuale, e non frutto della volontaria opera dell'uomo.
Nell'Europa precristiana, molte delle tradizioni culturali legate all'orso concernevano riti di passaggio o di iniziazione, di cui si trova traccia già nei racconti degli eroi greci[9]. In epoca tardo romana, l'orso veniva considerato simbolo di forza e di spirito combattivo, e come tale fu uno degli animali maggiormente utilizzati nei circhi e nelle arene, in combattimenti contro gladiatori o contro altri animali[1]. Plinio il vecchio, nella sua Naturalis historia, lasciò una descrizione approfondita dei plantigradi, descrivendone il ciclo vitale durante le stagioni, il letargo invernale, l'amore per il miele, il suo antropomorfismo, e concludendo che "nessun altro animale è più abile nel fare il male"[10]. La sua opera, e le notizie da lui riportate, furono utilizzate come riferimento primario in tutto il Medioevo fino al Rinascimento per la compilazione dei bestiari.
L'orso è presente nella mitologia greca, sebbene mai con ruoli di primo piano; in molti testi e racconti appare come attributo o animale sacro di alcune divinità. L'Olimpa maggiormente associata a questo animale è Artemide, dea della caccia: in molte storie prende l'aspetto di un'orsa e il suo stesso nome deriva dalla stessa radice indoeuropea della parola "orso"[1]. Le sacerdotesse di Artemide, inoltre, vengono chiamate arktoi, che significa "piccolo orso"[11].
Ancora, una delle molte versioni riguardanti la ninfa Callisto racconta di come questa, pur avendo fatto voto di castità ad Artemide, sia stata sedotta con l'inganno da Zeus. Rimasta incinta, ed incapace di nascondere la gravidanza, venne punita dalla dea (in altre versioni di Era) che la trasformò in orsa e la privò del bambino, Arcade[12] (il cui nome, ancora una volta, si riallaccia alla radice indoeuropea di "orso", e che era soprannominato Arctophylax, pastore di orsi). Una volta cresciuto e divenuto Re di Arcadia, il giovane durante una battuta di caccia si imbatté in sua madre -ancora sotto le sembianze di orsa- e cercò di ucciderla; Zeus allora intervenne tramutando entrambi in costellazioni: Callisto nell'Orsa maggiore e Arcade nell'Orsa minore[12][13].
Diversi sono poi i racconti in cui eroi mitologichi hanno a che fare con gli orsi: una delle leggende più antiche riguarda la fanciullezza di Paride (futuro protagonista della Guerra di Troia) che, secondo Apollodoro[13], fu abbandonato bambino sul monte Ida ed allevato per alcuni giorni da un'orsa, prima di essere salvato da un pastore. Anche Atlanta venne allevata da un'orsa, e secondo alcune fonti l'eroina, dopo il matrimonio con Ippomene, offese Afrodite che per punizione mutò lei e il suo sposo in orsi[12][13] (o in leoni, secondo altre fonti).
Presso le popolazioni celtiche è possibile rinvenire alcune divinità legate agli orsi, come la dea della guerra Andarta o Arduinna[14]. Ancor più, l'orso è uno dei principali attributi della dea elvetica Artio, come prova una statuetta di bronzo del II secolo ritrovata nei pressi di Berna[15].
In generale, molti studiosi ritengono che presso i celti l'orso incarnasse le virtù della forza, della virilità e probabilmente anche della regalità[1]. La radice celtica della parola "orso" è art (arth in gallico, ard in antico bretone, arzh in bretone moderno significano "orso"), e si pensa che a questo termine sia legato etimologicamente Re Artù (Arthur), figura leggendaria derivata probabilmente dalla tradizione orale celtica e precristiana[16]. Questa teoria farebbe di Artù un "re-orso", in cui sopravvivono le tracce dell'orso divinizzato o semi-divinizzato della mitologia celtica, che avrebbe a poco a poco perso i suoi connotati animaleschi[16]. Nel ciclo arturiano diversi cavalieri della Tavola Rotonda, fra cui Owain e Lancillotto, ingaggiano combattimenti con orsi[16], ed il romanzo arturiano di Yder racconta di come questo giovane cavaliere abbia sconfitto a mani nude un orso[17]. Infine, presso i Celti la costellazione dell'Orsa maggiore prende il nome di carro di Arthur[18].
Nella mitologia norrena e presso gli antichi popoli germanici, l'orso veniva celebrato per la sua forza, il suo coraggio e la sua invincibilità; gli veniva tributato il ruolo di "re degli animali" ed era altresì considerato, per la sua somiglianza con l'uomo, il legame tra il mondo umano ed il mondo naturale[1]. La sua effigie si ritrova in molti oggetti rituali o magici[19], fra cui talismani di protezione o di forza utilizzati dai guerrieri costituiti da zanne o artigli d'orso, e a partire dall'VIII secolo si ha notizia di riti correlati a questo animale presso i Germani, spesso descritti come "demoniaci" o "frenetici"[1]. San Bonifacio, evangelizzatore della Germania, al suo ritorno dalle terre dei Sassoni, descrisse (con orrore) rituali in cui i guerrieri pagani indossavano pelli d'orso, bevevano il sangue e mangiavano le carni di questo animale prima delle battaglie, allo scopo di riceverne, simbolicamente e magicamente, la forza e la tempra[20]. Jacob Grimm, nella sua opera Deutsche mythology, definisce l'orso come "l'animale totemico per eccellenza" nell'immaginario germanico[21].
La figura dell'orso è presente in molte saghe nordiche, e fa parte delle leggende e della mitologia di questi popoli. Nelle Gesta Danorum, ad esempio, si menziona la lotta a mani nude fra il giovane Skioldius e un orso[22]; mentre l'eroe Torgils Sprakeleg viene fatto nascere dall'unione fra un orso e una donna[23].
La parola Björn, che in norreno antico significa appunto "orso", era utilizzata come composto in molti nomi propri maschili comuni presso questi popoli, ad evocare un'idea di forza o di violenza[1]; lo stesso dio scandinavo della guerra, Thor, aveva fra i suoi appellativi Thorbjörn, ovvero "Thor l'orso"[24].
In generale, presso questi popoli l'orso è sempre associato alla guerra, ai soldati, e alle virtù maschili[25]. Presso i Goti ed altre popolazioni germaniche, ad esempio, combattere corpo a corpo con un orso era una prova richiesta ai giovani guerrieri come rito di passaggio per diventare adulti[1].
Presso gli Scandinavi, invece, riveste un ruolo particolare la figura del Berserkr, guerriero in grado di cadere in uno stato di trance e di furia guerriera, assumendo la ferocia, quando non le sembianze, di lupi e orsi[26]. Nella realtà storica, si trattava di guerrieri che scendevano in battaglia coperti di pelli, assumendo movenze ed emettendo urla animalesche; molti studiosi hanno suggerito anche che potessero far uso di droghe capaci di diminuire la sensibilità tattile e di alterare la psiche[1].
Nel medioevo, l'orso perde progressivamente importanza come creature simbolica; viene scalzato dal ruolo di "re degli animali", quale era considerato presso molti popoli antichi, a beneficio del leone, e soprattutto a partire dal XII secolo viene invece rivestito di connotazioni negative quando non apertamente diaboliche. Il cristianesimo vide in questo animale pericoloso legame con i culti pagani e, pertanto, tentò -tramite i suoi autori, dai padri della chiesa in poi- di rimuoverne o demonizzarne la presenza nell'immaginario collettivo.
Nella Bibbia, l'orso appare poche volte (ad esempio, in un episodio riguardante la giovinezza di Re Davide) e sempre descritto come un animale feroce e pericoloso[1]. Sant'Agostino, nei suoi Sermoni, denunciò l'adorazione degli animali come contraria alla religione cristiana; promosse la superiorità dell'uomo sulle altre creature e, per quanto riguarda l'orso, lo paragonò direttamente al demonio[27]. Tutti i riti o le tradizioni legate in qualche modo al culto della natura, e quindi anche degli animali e dell'orso, furono severamente vietati dalle autorità cristiane, e in molti casi rimpiazzate da nuove festività intitolate ai Santi, a Cristo o alla Vergine Maria[1]; ad esempio la festa di San Martino, l'11 novembre, andò a rimpiazzare una celebrazione precedente dedicata al "passaggio dalla vita alla morte", in relazione con l'inizio del letargo per molti animali selvatici (fra cui gli orsi) e che comprendeva, probabilmente, canti, balli e tradizioni di derivazione pagana[1].
Seguendo i commenti di Sant'Agostino nei Sermoni, e quelli di Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, i teologi medievali iniziarono a dare una visione simbolica dell'orso discreditata e demonizzata. Associato al Diavolo, l'orso divenne così uno dei suoi animali favoriti, e uno dei travestimenti prediletti da Satana per mostrarsi agli uomini[1]. Nell'iconografia cristiana, si ritrovano spesso ritratti del demonio in forma di orso, o comunque con tratti somatici orsini, quali zampe, fauci o pelliccia. Parallelamente, l'interpretazione allegorica dell'orso viene caricata di significati negativi: l'animale viene visto come una bestia viziosa, simbolo di peccati capitali quali superbia, lussuria, gola, invidia e pigrizia[1]. Questa concezione si rispecchia anche nelle leggende o nei racconti popolari del tempo, quale quella che voleva la Vandea abitata da "malebestie" (Bête d'Angles) demoniache che terrorizzavano i villaggi[28].
Nel'agiografia medievale si hanno molti aneddoti di Santi che hanno avuto a che fare con orsi, per lo più rabbonendoli o ammansendoli, in una parabola del peccatore riportato sulla retta via. Episodi simili si ritrovano nelle vite di san Biagio, san Colombano, san Gallo, sant'Eligio, san Claudio di Besançon e san Corbiniano[29]. L'immagine dell'orso domato da San Colombano appare anche sul simbolo della Frisinga, e sul sigillo di Papa Benedetto XVI.
San Fiorenzo d'Anjou convinse un orso a fare la guardia a un gregge[30], mentre Sant'Aventino di Larboust tolse una spina dalla zampa di un orso[31], ed esistono anche numerose storie di santi salvati miracolosamente da un orso.
Nei bestiari medievali, che risentono dell'opera degli scrittori antichi, greci e romani, oltre che ovviamente della morale cristiana, l'orso è spesso presente, e le informazioni che si danno su di lui derivano per lo più da Plinio il Vecchio e da suoi epigoni, rilette in chiave simbolica. All'orso vengono attribuite numerose leggende sulla sua lussuria, e sui suoi costumi sessuali; viene detto che gode nell'accoppiarsi quanto gli esseri umani, tanto che la femmina partorisce cuccioli non ancora del tutto formati, pur di potersi congiungere il più possibile con il maschio[32][33]. Inoltre, sempre secondo i bestiari, la femmina è solita leccare i piccoli, una volta partoriti, per rianimarli e completarne lo sviluppo; fatto messo in relazione con il pentimento, il battesimo e la resurrezione[33].
Sant'Ildegarda di Bingen riferisce dell'orso in maniera ambivalente, sottolineando il significato cristiano della rianimazione dei cuccioli da parte della femmina, ma enfatizzando anche la lussuria del maschio, il suo appetito per le femmine giovani, e la sua violenza, derivante dal fatto di essere stato "mal leccato" dalla madre[34].
Nella letteratura medievale, il Romanzo di Renart (Roman de Renart) è una delle opere maggiormente interessanti per comprendere la visione che all'epoca si aveva delle diverse specie animali[35]. Scritto in Francia agli inizi del XIII secolo, mette in scena una corte di animali antropomorfi, ognuno contraddistinto da caratteristiche fisiche e morali proprie, fra i quali spicca ovviamente il protagonista, Renart, una volpe astuta e ribelle[36]. A capo della corte c'è un leone, Nobile (Noble), saggio e benevolo, mentre l'orso, Bruno (Brun), che esplica la funzione di castellano e messaggero, è descritto come un ingenuo ghiottone, stupido, goffo e pigro, vittima costante delle furberie e degli scherzi di Renart[37][38].
Di tutt'altro genere, il racconto della spietata lotta fra Pierre de Béarn e un orso gigante, raccontata nelle Cronache di Jean Froissart. Dopo aver ucciso la bestia, de Béarn soffrì di sonnambulismo. Froissart racconta anche di come il Conte di Biscaye, dopo aver dato la caccia a un orso, sia stato punito per aver ucciso un animale innocente[39]. Sempre nelle Cronache, Froissart sostiene che gli orsi dei Pirenei siano antichi guerrieri, trasformati in animali dai loro déi pagani come punizione per le loro colpe[39].
La chanson de geste Valentine e Orson, composta intorno alla metà del XIV secolo, racconta di un'orsa enorme che allevò uno dei figli dell'imperatrice Belissant, crescendolo come suo. Il bambino sviluppò una forza prodigiosa e aveva il corpo coperto di peli[40]; simili leggende sembrano essere comuni nel nordeuropa medioevale.
A partire dal Rinascimento l'orso inizia lentamente a sparire dall'immaginario collettivo europeo. Diversi fattori concorrono a questo declino: da una parte il tramonto dei bestiari, e dunque della concezione simbolica degli animali che tanta parte aveva nella cultura medievale; dall'altra lo sviluppo dei viaggi di esplorazione che, a partire dal XV secolo, portarono (o riportarono) alla conoscenza degli europei creature esotiche ed impressionanti quali i grandi mammiferi dell'Africa e dell'Asia, nonché la straordinaria fauna delle Americhe che calamitarono l'attenzione degli studiosi e dei potenti del Vecchio Mondo a discapito delle specie indigene.
In ogni caso, i riferimenti all'orso che si ritrovano nella letteratura e nei documenti del tempo mostrano la persistenza degli stereotipi negativi medievali nella percezione di questo animale. Un esempio è costituito dagli atti di un processo per stregoneria celebrato nel 1464 a Losanna, nel quale all'imputata viene fatto carico di aver "abbracciato le terga di un orso" in cui si era incarnato il Demonio[41].
Questa raffigurazione persiste anche nelle Favole di La Fontaine, scritte nel XVII secolo, in cui l'orso, presente in sei degli oltre duecento racconti, appare sempre come un essere ingordo, stupido e malvagio[1].
Nel 1602, fece scalpore la vicenda di una pastorella francese, Antoinette Culet, che, secondo le cronache dell'epoca, fu rapita da un orso "ferocemente appassionato". Liberata dopo tre anni di prigionia dalla caverna del suo animalesco amante, la giovane aveva messo al mondo un figlio dai tratti semi umani e semi bestiali, che fu
Parallelamente il progressivo inurbamento, iniziato già alla fine del Medioevo e all'inizio dell'Evo moderno e divenuto sempre più massiccio in seguito alle rivoluzioni industriali ridusse i contatti tra l'uomo e il mondo naturale, compresi quindi gli incontri, o scontri, tra uomo e orso, animale che inoltre si faceva sempre più raro in seguito alla diminuzione dei suoi habitat naturali,
L'orso è presente nell'immaginario di molte culture asiatiche, sia presso i popoli siberiani che in Estremo oriente come, in primis, in Cina o presso gli Ainu del Giappone.
Molti dei popoli abitanti della Siberia ebbero con l'orso un notevole legame, e gli diedero un posto d'onore nei riti e nelle usanze tradizionali. Sia gli Jakuti che i Samoiedi praticano danze rituali in cui si imitano i movimenti di questo animale, e presso i primi questo è considerato essere una creatura onniscente e onnipresente[42]. Gli Evenchi, che riconoscono un'anima all'orso[43], vedono in questo animale la personificazione della saggezza terrestre e della conoscenza della medicina[18]; sono soliti prestare giuramento con la formula "Possa un orso divorarmi se mento". Gli sciamani jukaghiri imitano i grugniti di un'orso durante i riti di guarigione[44], mentre i Ket ne utilizzano gli artigli per la divinazione.
Presso molti di questi popoli esiste la credenza che un uomo ucciso da un orso si trasformi in orso lui stesso[44]. Anche la caccia a questo animale assume spesso connotati rituali e magici, segnati da un profondo rispetto per la bestia uccisa; questa in molte culture deve essere scuoiata, oltre che per ottenerne la pelle, per consentire al suo spirito di abbandonare il corpo e successivamente resuscitare.
Presso gli Ainu, popolazione stanziatasi nel nord dell'Arcipelago giapponese già 10'000 anni prima di Cristo, l'orso occupa un posto preminente nella cultura e nella religione, venendo considerato non solo un animale totemico ma una vera e propria divinità[44]. Animale al centro dei riti d'iniziazione e oggetto di moltì tabù, l'orso è per gli Ainu uno degli déi maggiormente venerati: gli è dedicato un periodo di festività, il Kamui omante che cade in dicembre, periodo durante il quale la tradizione vuole che l'animale discenda sulla terra dispensando doni a coloro che lo accolgono, per poi tornarsene nel mondo divino[18].
L'orso è anche al centro di cacce rituali e di riti popolari. Uno di questi prevede la cattura di un cucciolo di orso, che viene poi affidato a una donna Ainu che abbia appena perso un figlio in tenera età, la quale può talvolta arrivare ad allattarlo al seno. L'animale in questione diviene così membro del clan e allevato fino a che non raggiunge i tre o quattro anni, per poi essere sacrificato e mangiato in un banchetto[45]. In questo modo, gli Ainu credono di appropriarsi della forza e delle qualità positive della bestia, che risiedono principalmente nella zampa anteriore sinistra, nella lingua, nel naso, nelle orecchie, nel cuore e nel fegato[18]. Il cranio della bestia uccisa viene invece solitamente conservato come un talismano[18].
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