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monaco e arcivescovo ortodosso bizantino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Gregorio Palamàs (in greco bizantino: Γρηγόριος Παλαμάς, Grigòrios Palamàs; Costantinopoli, maggio 1296 – Tessalonica, 14 novembre 1359) è stato un monaco cristiano e arcivescovo ortodosso bizantino.
San Gregorio Palamas | |
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Monaco, arcivescovo e dottore della Chiesa ortodossa | |
Nascita | Costantinopoli, maggio 1296 |
Morte | Tessalonica, 14 novembre 1359 |
Venerato da | Chiesa cattolica melkita, Chiese ortodosse |
Ricorrenza | 14 novembre |
Monaco del Monte Athos, teologo e mistico, divenne arcivescovo di Tessalonica. È conosciuto come un eminente esponente della teologia esicasta e alcune delle sue opere sono raccolte nella Filocalia. Venerato come santo dalla Chiesa ortodossa (nella cui liturgia la seconda domenica di Quaresima è appunto chiamata Domenica di Gregorio Palamas), è commemorato liturgicamente nella Chiesa Cattolica Melkita e nelle Chiese Cattoliche Orientali di rito bizantino in comunione con Roma. La sua festa cade il 14 novembre.
Di nobili origini, il padre Costantino era membro della corte bizantina e senatore. Il padre, su esempio monastico, praticava la preghiera esicasta anche nel corso del proprio lavoro. Purtroppo egli morì assai presto, quando Gregorio aveva appena sette anni. Gregorio, pur in tenera età, fu avvicinato dai genitori all'ambiente monastico, a maestri e padri spirituali, e questa sua prima formazione pose le basi per tutta la sua vita futura.
Fu avviato agli studi di retorica e filosofia presso il filosofo Teodoro Metochita, con ottimi risultati che gli aprivano una sicura carriera nell'amministrazione imperiale. Tuttavia, egli sentiva che la sua vita poteva trovare una pienezza adeguata a quanto cercava solo in ambiente monastico e, verso il 1316, decise di abbandonare il secolo risolvendo in un modo tutto medioevale e bizantino gli ostacoli familiari che gli si presentavano: propose alla madre, alle due sorelle, ai due fratelli e alla servitù di entrare in monastero. Così, si ritirò sul Monte Athos ed ebbe come primo maestro spirituale Teolepto (1250-1324/25), che in seguito fu metropolita di Filadelfia. Fu molto influenzato da questo maestro che lo introdusse alla pratica della Preghiera del Cuore.
Oramai ventenne, si spostò presso un monastero del monte Papikion in Macedonia, dove visse come monaco. In quei luoghi esisteva una comunità monastica di messaliani con cui ebbe contatti e dove riuscì a convertire alcuni di loro. Nel 1317, assieme a due suoi fratelli, ritornò sulla "Santa Montagna", dapprima sotto la guida dell'anacoreta esicasta Nicodemo, poi presso la Grande Lavra, in seguito presso la comunità eremitica chiamata Glossia, dove si trovavano Gregorio Sinaita e Callisto (quest'ultimo diverrà in seguito patriarca di Costantinopoli). Nel 1325 abbandonò la penisola atonita a causa delle razzie dei pirati. Egli avrebbe voluto trasferirsi a Gerusalemme, ma il suo viaggio finì a Tessalonica, dove nel 1326 venne ordinato sacerdote.
Dopo vari trasferimenti in monasteri greci nel 1331 tornò al Monte Athos, nella skiti di San Sabba, presso la Grande Lavra. Qui scrisse la sua prima opera. Fu per un breve periodo igumeno del monastero di Esphigmenou, che ai tempi contava una comunità di duecento monaci. Nel 1335, mentre si accendeva la "controversia esicasta" con Barlaam di Calabria, tornò alla skiti di San Sabba. Nel 1342 durante un viaggio a Costantinopoli venne arrestato e sottoposto a un processo, in cui venne condannato per i suoi scritti. Rimase nelle prigioni imperiali per quattro anni. Durante la prigionia scrisse molte delle sue opere. Nel 1347 venne convocato un sinodo dall'imperatrice Anna, in cui le idee di Barlaam e di altri filosofi vennero condannate, mentre Gregorio venne riabilitato. In quello stesso anno Gregorio venne consacrato metropolita di Tessalonica. Riuscì a insediarsi nella città di Tessalonica solo alla fine del 1350 o agli inizi dell'anno successivo, dopo che terminarono i moti insurrezionali fomentati dagli zeloti di Tessalonica, una specie di partito indipendentista del tempo nelle cui file militavano pure monaci. La polemica attorno alle teorie del filosofo non si spense e nel 1351 venne indetto un altro sinodo che riaffermò l'ortodossia delle idee palamite.
La Chiesa bizantina, a partire dal 1352, incluse nel Synodikon le espressioni teologiche palamite. In seguito fu fatto prigioniero per un anno dai turchi e, su pagamento di un riscatto pagato dai serbi, venne rilasciato. Nel 1355 fece ritorno a Tessalonica, dove rimase fino alla morte. Venne sepolto nella cattedrale della città. Alla sua canonizzazione nel 1368 il corpo venne traslato nella chiesa a lui dedicata. Oggi il corpo, continuamente venerato, si conserva nella chiesa "san Gregorio Palamas", vicino agli uffici della Metropoli di Tessalonica.
Gregorio Palamas non ha mai voluto essere considerato un pensatore, un filosofo o un teologo in senso accademico. Per lui la cultura ha una sua funzione ma la pratica cristiana e la visione di Dio è qualcosa di assolutamente superiore. Gregorio scrive:
«È una conoscenza più alta di quella sulla natura, dell'astronomia e di tutta la filosofia attorno ad esse, non solo sapere Dio e che l'uomo conosca se stesso ed il proprio ordine ma pure che il nostro intelletto sappia la propria debolezza. […] Infatti l'intelletto che conosce la propria debolezza ha trovato anche da dove può giungere la salvezza, avvicinarsi alla luce della conoscenza ed assumere una sapienza vera, che non si dissolve con questo secolo.[1]»
Egli si scusa quando dice che avrebbe potuto scrivere in modo retorico e stupire i suoi ascoltatori ma, invece, ha ritenuto opportuno evitare tutto ciò. Con la cultura il santo ha un rapporto particolare:
«La conoscenza della sapienza profana come potrà cacciare fuori dall'anima tutta la malvagità creata dall'ignoranza, se a far questo non basta neppure la conoscenza dell'insegnamento evangelico? […] Neppure la conoscenza del Dio che ha creato queste cose [il mondo visibile e quello invisibile], da sola non può giovare a nessuno. […] Vedi che la sola conoscenza, senza l'amore, non purifica affatto l'anima ma l'uccide. […] L'educazione profana serve alla conoscenza naturale, ma non può mai divenire spirituale, a meno che non accompagni la fede e l'amore di Dio, o meglio ancora, a meno che non sia rigenerata dall'amore e dalla grazia che vi si manifesta.[2]»
Esiste tutta una scuola che ama leggere nei Padri della Chiesa, e di conseguenza anche in Palamas, influenze filosofiche. Gregorio fu un grande estimatore di Dionigi l'Areopagita. È facile, dunque, attribuirgli un pensiero neoplatonico. È importante sottolineare, tuttavia, che, per quanto si possano trovare elementi o termini di origine filosofica, Gregorio come tutti i Padri aveva preso le distanze dalla filosofia, costruendo con i suoi termini un edificio totalmente differente. Non dissimilmente dai Padri egli scrive:
«[…] con la filosofia i conoscitori della natura e gli scrutatori delle stelle, che si vantano di sapere tutte le cose, non possono accorgersi di nessuna di quelle su elencate [le verità rivelate]. Essi ritennero che il sovrano dell'oscurità intellettuale [il demonio] e tutte le potenze ribelli sotto di lui fossero non solo superiori a loro stessi ma dèi. Li onorarono con dei templi, offrirono dei sacrifici ed assoggettarono se stessi ai loro rovinosissimi oracoli, dai quali ovviamente furono quasi sempre ingannati, attraverso sacerdoti senza sacralità e sudicie purificazioni che ispiravano un'abominevole presunzione, e profeti e profetesse che erravano il più lontano possibile dall'effettiva verità.[3]»
La cesura dalla filosofia e dalla cultura, intese come lontananza dalla pratica cristiana, spiega la sua ritrosia a scrivere e a pubblicizzare le sue conoscenze. Egli iniziò a comporre le sue opere solo quando ne fu costretto. Il suo pensiero, dunque, lo si desume dai suoi scritti nati per difendere il monachesimo e le pratiche di orazione dei monaci atoniti. Palamas, dunque, inizia a scrivere solo per controbattere le opinioni di un monaco-filosofo da poco giunto a Costantinopoli: Barlaam di Calabria.
Barlaam giunse a Costantinopoli apparentemente per motivi di fede, ritenendo che i greci avevano conservato una purezza cristiana persa dai latini. Uno dei suoi primi trattati, infatti, riguarda proprio la difesa di alcune posizioni di fede greche. Appena giunto nella capitale imperiale iniziò ad insegnare filosofia ricevendo attenzione e plauso di un'élite che stava riscoprendo i classici greci. Giunto alle sue orecchie che alcuni monaci facevano strane pratiche d'orazione nel Monte Athos, volle recarvisi per scoprire di cosa si trattava. Nell'Athos, probabilmente, ricevette una pessima spiegazione riguardo a tali pratiche e ne fu scandalizzato. Fece ritorno a Costantinopoli col fermo proposito di denunciare come demoniaco quanto aveva visto. Iniziò subito a diffondere le sue opinioni attirandosi l'attenzione di Palamas.
Il santo dapprincipio fu mite e consigliò al suo interlocutore di limitarsi alla sola filosofia, tralasciando d'invadere un campo che non era di sua competenza. Barlaam non desistette e, con argomentazioni filosofiche, ripropose le medesime accuse in modo ancor più incisivo e convinto. Solo allora la polemica s'infiammò.
La polemica tra Barlaam e Palamas ha un interesse che supera di molto il contrasto d'idee tra i due personaggi. Barlaam si può in un certo senso considerare un umanista, il rappresentante di una nuova sensibilità, di un modo nuovo d'osservare il mondo e le idee religiose. Come tale, egli dava un notevole peso alla filosofia neoplatonica (nella quale leggeva in modo particolare lo Pseudo-Dionigi l'Areopagita). Barlaam traccia una netta distinzione tra il regno increato (Dio) e la mente umana in quanto tale. Egli formula una specie d' "agnosticismo" per quanto riguarda la realtà divina in se stessa. Ad esempio, siccome per lui, in definitiva, il regno di Dio è inaccessibile all'uomo, non ha senso alcuno il contrasto dogmatico tra Oriente ed Occidente sul Filioque. Nel campo della conoscenza secolare, pone Platone e Aristotele al più alto livello, al pari della Bibbia e dei Padri della Chiesa per la teologia. Per Barlaam è possibile «conoscere Dio solo attraverso il mondo creato mentre le affermazioni negative su Dio, espresse dallo Pseudo Dionigi, servono unicamente a determinare ciò che Dio non è».[4]. Il Calabro reputava che, alla fine, lo studio e l'apprendimento fossero più importanti della preghiera e della contemplazione. Coerentemente con ciò, riteneva una perdita di tempo sottratto allo studio lo stile di vita dei monaci atoniti, completamente incentrato sull'orazione esicasta, ossia su quella preghiera che, includendo particolari tecniche, era fatta nella quiete o "esichìa". Baralaam ridicolizzò i monaci esicasti definendoli "omphalompsychoi", ossia persone che situavano la presenza dell'anima nell'ombelico. Barlaam si oppose agli esicasti, accusandoli d'essere messaliani e cioè di pretendere di vedere l'Essenza Divina con gli occhi del corpo, cosa negata persino da Platone.
Gregorio iniziò col difendere l'esicasmo e passò, in seguito, a ribadire che i profeti hanno un grado di conoscenza del divino che non si può minimamente paragonare a quello di un filosofo, giacché solo i profeti potevano realmente vederLo e sentirLo nel proprio cuore mentre il filosofo Lo poteva solo congetturare. Ciò che l'uomo poteva vedere di Dio non era il Dio in se stesso (la sua sostanza) ma i suoi effetti. Inoltre, l'uomo non può risalire a Dio dalla realtà creata poiché non vi è alcun paragone tra il creato e l'increato (il regno di Dio) (È qui la differente lettura che Palamas e la tradizione orientale hanno dello Pseudo-Dionigi). Non è possibile instaurare tra i due alcun genere d'analogia. Nonostante ciò l'uomo, per grazia, è in grado d'avere esperienza dell'increato e di entrare in comunione con Dio che gli si rivela. Nel sistema palamita è escluso alla radice l'"agnosticismo" barlaamita.
Nelle seguenti parole di Palamas, in risposta a Barlaam, notiamo la sintesi di alcune sue posizioni che lo oppongono a Barlaam:
«Non è affatto utile né opportuno, anzi è invece fin troppo dannoso per tutti cercare nelle parole le cose superiori alle parole, gettare i misteri in pasto al popolo, affidare questi temi all'ascolto ed all'intendimento dei bambini, incitare i laici contro i monaci ed offrire motivi di non poca confusione alla Chiesa di Cristo[5]»
Queste parole mostrano la profonda differenza nella formazione dei due uomini: il primo, il filosofo Barlaam, aveva grande fiducia nella ragione, che poteva risalire a Dio dalle realtà create. Il secondo, Gregorio, ravvisava nella ragione dei limiti quando si trattava di parlare di Dio, dal momento che Egli è oltre tutto il concepibile e l'umanamente immaginabile. Il primo riteneva utile coinvolgere tutti, il secondo comprendeva che certi argomenti hanno bisogno di prudenza e di profonda formazione spirituale per essere abbordati. Il primo creava una distanza tra il mondo dei laici e quello dei monaci, quasi che questi ultimi fossero il retaggio di un'epoca oramai sorpassata. Il secondo non faceva alcuna differenza tra i due, dal momento che i monaci altro non sono che dei laici i quali vivono radicalmente le esigenze battesimali.
In merito alla questione della possibilità da parte dell'uomo di maturare la conoscenza del Dio trascendente e sostanzialmente inconoscibile, Gregorio distinse fra il conoscere Dio nella sua essenza (in greco ousia) e il conoscere Dio nelle sue "energie" (in greco energeiai), che si possono tradurre con "effetti", "manifestazioni" o "attività", per sgombrare il campo da equivoci che le moderne connotazioni esoteriche della parola "energie" possono addurre. Gregorio mantenne la convinzione che fosse impossibile conoscere Dio nella sua essenza (chi sia Dio in e per se stesso), ma mostrò la possibilità di conoscerlo nelle sue "energie" (conoscere che cosa Dio faccia e chi Egli sia in relazione alla creazione e all'uomo), dal momento che Dio si è rivelato nel Figlio suo. Nelle sue argomentazioni Gregorio si rifece ai Padri della Chiesa che lo precedettero, in particolare ai Padri Cappadoci al punto che, per alcuni, compie una geniale sintesi di tutto il pensiero patristico fino ad allora.
Le idee barlaamite furono definitivamente rigettate in due sinodi: uno del giugno e l'altro dell'agosto 1341, entrambi tenuti a Costantinopoli. In seguito alla sua condanna, il Calabro tornò in Italia, fu fatto vescovo di Gerace dal papa e, in seguito, ambasciatore papale a Costantinopoli per preparare un'unione tra la Chiesa greca e quella romana. Le trattative fallirono. Per breve tempo fu pure maestro di greco del Petrarca.
Gregorio, terminata la polemica con Barlaam, dovette confrontarsi con il monaco Gregorio Akyndinos e con Niceforo Gregorio (Gregoras). Per comprendere qualcosa di più su queste polemiche, si deve aggiungere che a Costantinopoli le posizioni teologiche avevano anche un risvolto politico, coinvolgendo alti dignitari di corte e l'imperatore stesso. Questo spiega pure la complessità e la durata delle stesse.
Akyndinos, già amico di Palamas, non riusciva a tollerare alcuni passi del pensiero palamita, ritenendoli in aperto contrasto con la tradizione dei Padri. Per lui, la teologia palamita aveva delle pericolose innovazioni, dal momento che spiegava i termini di essenza ed energie come se in Dio esistesse una divinità superiore e una divinità inferiore. Per Akyndinos quest'innovazione del linguaggio teologico cozzava contro la tradizione e poteva far credere all'esistenza di una molteplicità di dei. D'altra parte, Akyndinos poteva considerarsi una sorta di "tradizionalista" ante litteram: aveva un ossequio puramente statico degli scritti patristici, laddove Palamas sapeva interpretarli con nuovo linguaggio rimanendo fedele alle loro asserzioni. Bisogna precisare, a tal proposito, che Gregorio Palamas, parlando di "divinità superiore" e "divinità inferiore" mutava tali espressioni dal Corpus areopagitico. «Questa distinzione dev'essere intesa nel senso che Colui che si manifesta precede e rimane superiore alla sua stessa manifestazione»[6].
Il santo rispose alle polemiche di questi due avversari con la composizione di lunghe ed elaborate opere.
Esaminiamo di seguito alcuni punti emergenti del pensiero di san Gregorio: la mistica, l'antropologia, la teologia, e l'ecclesiologia. Alla fine vi sarà un breve scritto sugli studi relativi a Palamas.
Il pensiero teologico di Gregorio Palamas è intimamente connesso con l'esperienza cristiana e, quindi, con la mistica. La sua non è teoria o semplice filosofia né, tantomeno, un pensiero di matrice "neoplatonico" come sostengono alcuni. Tra il neoplatonismo e Palamas c'è un abisso. Palamas è categorico: solo l'uomo spirituale può essere il trasmettitore di una tradizione spirituale che ha profondi legami con la tradizione dogmatica e ad essa rimanda costantemente. Un uomo che, sulla base della pura logica, presume di farlo conduce fuori strada. Costui viene definito “psichico”, ossia intellettuale. Gregorio ne ha chiara coscienza:
«Chi si fida dei propri ragionamenti e delle indagini compiute attraverso di essi, perché pensa di trovare tutta la verità con distinzioni, sillogismi ed analisi, non può né conoscere le esperienze dell'uomo spirituale né credere in esse. In effetti costui è psichico: ‘ma chi è psichico’, dice ‘non riceverà le manifestazioni dello Spirito’, né può farlo: quindi chi non le conosce e non vi crede, come potrà renderle conoscibili e credibili, confrontandosi con gli altri? Per questo se uno insegna sulla sobrietà senza esichìa, senza la sobrietà dell'intelletto e senza l'esperienza dei suoi effetti spirituali ed ineffabili, ma invece conformandosi ai propri ragionamenti e cercando in tutti i modi d'indagare con la parola il bene superiore alla parola, è chiaramente caduto in un'estrema follia e, nella sua sapienza, è davvero divenuto pazzo, in quanto ha scioccamente supposto di poter esaminare con una conoscenza naturale le manifestazioni che sono superiori alla natura e le profondità di Dio conosciute solo dallo Spirito.[2]»
Confrontandosi con Barlaam, Palamas si muove con questa precisa prospettiva: parte sempre dall'esperienza spirituale. Ed è perciò che egli difende la possibilità per i monaci di esperire la presenza di Dio sotto forma di luce non creata che, in realtà, è l'energia della Grazia divina. A tal proposito si rifà al famoso passo della trasfigurazione in cui i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, vedendo personalmente la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, hanno visto effettivamente la luce increata di Dio. Anche altri in certe condizioni possono pervenire alla visione della medesima luce increata. Questa "fotofania", sempre dono gratuito di Dio, richiede la pratica dell'ascetismo monastico nell'esichìa (tranquillità) e nella continua preghiera del cuore. Nel loro percorso di ascesi tutti gli uomini passano attraverso tre stadi: la purificazione, l'illuminazione e la divinizzazione. Questi stadi si raggiungono nell'armoniosa collaborazione dell'uomo con la grazia, senza alcun automatismo o meccanicismo. La deificazione, ossia lo stadio supremo, comporta la comunione completa dell'uomo con Dio e la rivelazione di Dio all'uomo stesso già su questa terra, seppur in modo non permanente.
È necessario osservare che i detrattori di Palamas non sempre erano contrari alla sua mistica. Akyndinos e Palamas ebbero, infatti, lo stesso maestro esicasta: Theolopto di Filadelfia. Quello che li separava era, piuttosto, il modo innovativo con cui Palamas riuscì a descrivere l'esperienza mistica. In questo senso fu un innovatore, pur mantenendosi fedele a tutta la tradizione che lo precedette.
Il misticismo di Gregorio Palamas non fu considerato in Occidente, a causa dei suoi presupposti teologici (energie e sostanza in Dio) che, si pensava, minassero e negassero radicalmente la semplicità divina per cui Dio non può essere che pura sostanza e non avere divisione alcuna in sé. In questo senso, c'è una differenza difficilmente sanabile tra i presupposti del pensiero agostiniano-tomista e quelli di Gregorio Palamas. Rinveniamo queste difficoltà d'integrazione in uno studioso cattolico della prima metà del XX secolo: Martin Jugie. Se il Jugie ha avuto il merito d'aver introdotto Palamas alla conoscenza del mondo occidentale, ha il limite d'averlo voluto leggere in un'ottica riduttiva con la quale l'ha severamente criticato.
Gregorio Palamas non ha fatto dei trattati sistematici di teologia, divisi per temi specifici. Quando si trovava davanti ad un problema urgente in cui era richiesta la sua risposta, componeva degli scritti. In questo modo, per risalire alla sua visione dell'uomo, all'antropologia, siamo costretti ad esaminare l'insieme dei suoi scritti. Per Palamas, l'uomo è una realtà composta di realtà materiali (il corpo) e di realtà spirituali (l'anima e lo spirito). La sua antropologia è strettamente biblica e patristica. Tuttavia, egli quando mostra che l'uomo è fatto per Dio, indica precisamente che ogni sua parte e realtà possono deificarsi, corpo compreso. Palamas afferma a tal proposito:
«Il piacere spirituale che dall'intelletto giunge al corpo, per nulla peggiorato per la comunione con il corpo, trasforma il corpo e lo rende spirituale, ed esso respinge i cattivi appetiti carnali e non abbassa più l'anima, ma si solleva con essa, fino al punto che l'uomo intero è Spirito, com'è descritto: ‘Colui che è dello Spirito è Spirito’. Ma tutto questo diventa chiaro solo nell'esperienza.[2]»
L'uomo non può giungere a Dio con il pensiero razionale (la cosiddetta "dianoia") ed è per questo che Palamas si oppone a Barlaam. Tuttavia, l'uomo può intuire la presenza divina con la parte più elevata della sua intelligenza intuitiva (il cosiddetto "nous"). Il "nous" è una specie di "occhio spirituale" che dev'essere purificato per potersi accostare al divino, intravvederlo e goderne. Il "nous", o intelletto spirituale, dopo essersi staccato da tutti i legami che lo ottenebrano (le passioni e gli attaccamenti mondani) viene calato nel cuore, ossia nella realtà più intima dell'uomo ed è lì che, nella grazia divina, viene deificato e risplende. La preghiera esicasta ha un ruolo importante in questa discesa del "nous" nel cuore. Risplendendo l'occhio interiore, anche tutto il corpo si trova nella luce. In questo senso i monaci esicasti interpretano il famoso versetto del salmo in cui il salmista dice: «E alla tua luce, vediamo la luce» (Sl 35,10).
«In contrasto con Barlaam, che cercava d'eliminare completamente la passionalità dell'anima [influsso neoplatonico], st. Gregorio Palamas non ha cercato l'annientamento di ciò che è legato al corpo (l'irascibile e il concupiscibile), ma, piuttosto, porlo al servizio del bene e dell'amore.[7]»
Il santo atonita ha un'antropologia particolarmente dinamica: ha un aspetto legato all'immagine di Cristo, nuovo uomo, e un aspetto trinitario. Riguardo a quest'ultimo, «alla luce della Rivelazione», la natura umana è «natura trinitaria dopo la suprema Trinità, poiché al di sopra di tutte, è fatta a sua immagine, composta da un intelletto (nous), dalla parola (logos) e dallo spirito (pneuma)»[8]. Questo è l'ordine che deve conservare. È in questo che consiste la "bellezza" propria all'uomo preservata «attraverso la fede, la propensione e la disposizione a Lui»[9][10].
L'antropologia palamita, riprendendo i percorsi classici ascetici dei padri del deserto, è animata da un profondo ottimismo, dal momento che all'uomo è data la possibilità d'essere ontologicamente dio, nella sua Grazia. Palamas riporta, adattandolo ai suoi tempi, il famoso adagio di Atanasio d'Alessandria in base al quale «Dio si è fatto uomo perché l'uomo si facesse dio»[11].
Questo genere di antropologia ottimista non è molto condiviso in chi si muove con presupposti filosofico-tomistici (qui, infatti, non si parla di "nous") ed è escluso nei presupposti del pensiero luterano (per i quali l'uomo può essere solo giustificato in quanto inguaribilmente peccatore e quindi distante da Dio).
Quanto su esposto ci indica che la teologia di Gregorio Palamas è essenzialmente di tipo monastico, dal momento che sottolinea in modo vigoroso la necessità dell'ascesi. Il teologo non è colui che scrive ma, prima di tutto, colui che vede, esperimenta, "patisce" la presenza divina nella sua persona. Diversamente non è teologo ma puro accademico. Per giungere alla teologia, quest'uomo deve passare attraverso la purificazione dei sensi ed è perciò che ascesi e teologia sono intimamente legate.
Palamas non sviluppa un discorso incentrato sui sacramenti e sulla vita cristiana attorno ad essi come farà, ad esempio, Nicola Cabasilas, suo contemporaneo. L'arcivescovo di Tessalonica è, infatti, concentrato a salvaguardare le basi dell'esperienza cristiana che possono essere compromesse da una teologia razionalizzante, come ha ben mostrato lo studioso John Mayendorff. Questo punto necessita di una spiegazione, perché è proprio su questo particolare che si svilupperà una differente sensibilità religiosa tra Oriente ed Occidente cristiano.
Per Palamas la storia della salvezza è un processo in continua realizzazione: Dio opera in ogni istante nel mondo attraverso le sue divine energie. Sono le divine energie che mantengono il mondo in vita, agiscono nell'uomo, lo convertono e lo attraggono a Dio. All'interno di questo quadro generale si situa la vita sacramentale: il fedele nel momento in cui assume i sacramenti (o misteri) partecipa in modo particolare a quelle divine energie che pervadono la realtà. La vita che Dio infonde attraverso l'azione sacramentale procede da Lui stesso e quindi è un atto increato: “Tutte le cose che ci sono state date e concesse in grazia da Dio – dice Gregorio – non sono pari, né ciascuna di esse è una creatura”[12]. Dio da' realmente se stesso, non un suo effetto creato, punto che lo divide dalla visione aristotelico-tomista. Inoltre, il misticismo palamita non è sganciato dalla Chiesa, come se fosse un'attività individualistica ma fa parte della storia della salvezza stabilita da Dio nella Chiesa. Il centro di questa storia è Dio stesso che infonde le sue energie all'intero cosmo.
Nella teologia odierna c'è la tendenza ad opporre la visione sacramentale di Cabasilas a quella ascetico-mistica di Palamas, dal momento che Cabasilas è facilmente integrabile nel pensiero classico cattolico. Una tendenza di tal genere la troviamo, ad esempio, negli scritti del vescovo francescano Yannis Spiteris. È vero che Cabasilas non fa riferimento alla prospettiva palamita ma è pure vero che non vi si oppone apertamente. Questo tentativo di opporre due visioni teologiche tra loro è, dunque, artificiale, dal momento che la vita sacramentale non è esclusa da Palamas ma rientra in un quadro più generale. La discrezione con cui Palamas parla dei sacramenti, non lo trattiene da espressioni di questo genere:
«[…] grazie alla partecipazione di questo pane divino [quello dell'eucaristia], non solo siamo attaccati, ma anche mescolati al corpo di Cristo, e diveniamo non solo un solo corpo, ma anche un solo spirito con Lui. Vedi che la smisurata grandezza dell'amore di Dio verso di noi interviene e si mostra attraverso la distribuzione di questo pane e di questo vino?[13].»
Ma è bene sottolineare che, per lui, i sacramenti non sono e non saranno mai dei fini ma puri mezzi per giungere a Dio. L'asceta che non ha la possibilità di accedervi frequentemente, può comunque purificare se stesso attraverso le "lacrime di penitenza". Palamas esorta il suo popolo nei termini seguenti:
«Quindi, vi prego, non tralasciamo d'invocarLo con digiuni, preghiere, lacrime ed in tutti i modi, finché non ci si avvicini e ci guarisca.»
«Con un intenso dolore e pentimento e con le lacrime, vale a dire con il più drastico farmaco per l’espiazione “Dio non disprezzerà”, dice, “un cuore contrito ed umiliato”; e l’afflizione che piace a Dio attiva un pentimento senza pentimenti per la salvezza, e «colui che semina la sua preghiera nelle lacrime mieterà il perdono nella gioia»»
La sua teologia, dunque, pone un accento tutto particolare sul bisogno di purificazione dell'uomo, attività previa e contemporanea a tutto il resto. Una vita sacramentale che prescinda da queste basi finirebbe per rinnegare se stessa. Sembra, perciò, che Palamas conoscesse le critiche che, in tal senso, esprimeva san Simeone il Nuovo teologo, proprio qualche secolo prima (XI sec.).
Un'altra caratteristica importante della teologia palamita è il suo carattere trinitario. Quando Gregorio parla di "energie divine" non prescinde dal fatto che Dio è un essere tripersonale e che dal Cristo si partecipa al Padre nello Spirito Santo. Quest'aspetto ben evidenziato dal teologo Amfilochio Radovic, è importante per non equivocare la teologia palamita come una sorta di emanazionismo plotiniano o di religiosità estremo-orientale.
La Chiesa in Gregorio Palamas non è vista in modo legale né in modo puramente istituzionale. Per l'arcivescovo di Tessalonica la Chiesa è, prima di tutto, una realtà carismatica: la comunione dei santi divinizzati, come dice correttamente uno studioso di Palamas, Georgios Mazaridis. Essa non è tanto depositaria di un discorso sui dogmi ma di una verità che nasce da un'esperienza. Sganciare la verità dall'esperienza è molto pericoloso e snatura la realtà della Chiesa. In questo senso, Gregorio Palamas doveva aver ben presente quanto scriveva Niceta Stethatòs (XI sec.) per il quale:
«Ogni prete, diacono e pure monaco, se partecipa alla grazia divina con tutte le condizioni previe stabilite dai Padri, allora è un autentico vescovo, anche se non fosse ancora fatto tale dagli uomini. Al contrario, chiunque non fosse iniziato alla vita spirituale, verrebbe falsamente ordinato, pure se la sua ordinazione lo stabilisse al di sopra degli altri, lo dirigesse e lo facesse comportare in modo arrogante[14].»
È solo considerando seriamente questa preminenza carismatica che siamo in grado di comprendere i termini apparentemente "anarchici" dell'ecclesiologia di Palamas:
«Poiché, dunque, in Cristo Gesù non c'è né maschio né femmina, né greco né giudeo, ma tutti sono una cosa sola, secondo il divino Apostolo, “così in Lui non c'è né chi comanda, né chi è comandato”, ma tutti, per mezzo della sua grazia, siamo una sola cosa per la fede in Lui, e formiamo il solo corpo della sua Chiesa, avendo Lui come unica testa.»
Sempre la preminenza carismatica, che pone l'accento sull'esperienza, fa proclamare, ad esempio, la grazia sacramentale increata (mentre per il tomismo la grazia, pur soprannaturale, è definita "creata" coerentemente con i suoi presupposti filosofici)[15]. La Chiesa è veramente rappresentata da coloro che hanno esperito tale grazia.
È solo per questo, non per vana erudizione, che Gregorio ama citare le colonne della Chiesa: Dionigi Areopagita, Massimo il Confessore, Basilio Magno, Atanasio di Alessandria, Gregorio di Nissa e altri. Allora, scagliarsi contro i monaci (o ritenerli qualcosa di tutto sommato marginale o poco influente), per Gregorio, non è porsi contro un partito o una parte ma contro la Chiesa stessa poiché essi conservano, vivendolo, il deposito di fede di tutta la Chiesa. Il Tomo Sinodale di condanna a Barlaam, che risente dell'influsso gregoriano, dichiara significativamente:
«Se qualcun altro manifestasse di muovere contro i monaci una di quelle accuse dette o scritte da lui contro i monaci, “o meglio contro la Chiesa stessa”, o in generale di d'attacarli in tali questioni [sia] sottoposto alla stessa condanna […] anche lui sarà scomunicato e tagliato fuori dalla santa cattolica ed apostolica Chiesa di Cristo e dalla comunità ortodossa dei cristiani.[16]»
La Chiesa, quale comunità dei santi divinizzati, rappresenta la garanzia del retto cammino. Gregorio afferma:
«Ho un nugolo di martiri insieme al quale sarò condotto all'incontro col Promesso; ho una squadra di giusti, coi quali otterrò la superiore resurrezione; farò parte della Chiesa con i confessori della fede; sarò nel numero dell'assemblea dei primogeniti; parteciperò di doni ed onori immortali[17].»
La funzione sacerdotale, nella Chiesa, ha un ruolo medicinale. Il sacerdote, oltre ad amministrare le medicine della Grazia, ossia i sacramenti, dev'essere in grado di conoscere il cammino che porta a Dio, e precedere i fedeli in esso. In caso contrario, come affermerebbe pure Simeone il Nuovo Teologo, non trasmette il carisma apostolico.
Il suo ruolo non è, dunque, di puro insegnamento ma di testimonianza vivente.
«Nella sua omelia per il giorno di Pasqua, Gregorio Palamas esorta ciascun cristiano, dopo aver partecipato alla divina liturgia domenicale, di cercare assiduamente qualcuno che, imitando gli apostoli, rinchiusi il giorno della crocefissione, viva per lo più isolato, nel silenzio con il Signore immerso nella preghiera esicasta e nella salmodia, conducendo una vita irreprensibile. Questo cristiano deve accostarsi a lui, entrare nella sua casetta come se fosse un luogo celeste pieno della potenza santificante dello Spirito Santo [...] e interrogarlo su Dio e le cose divine imparandole con umiltà e richiedendo l'aiuto della sua preghiera"[18].»
Questo concetto carismatico di Chiesa fa appello all'esperienza nel santo. Ed è per questo che la Chiesa non è espressione di una semplice democrazia, di una convenzione formale o di una maggioranza umana. Gregorio Palamas, anche quando ha tutto il mondo contro e vive rinchiuso in prigione, sente di appartenere alla Chiesa, non meno di come vi appartenevano Massimo il Confessore avverso al monotelitismo o Atanasio d'Alessandria avverso all'arianesimo.
Il concetto monastico e carismatico di Chiesa espresso da Palamas influisce fortemente ancor oggi nell'Oriente cristiano mentre l'Occidente esprime un concetto piuttosto istituzionale e legale.
Come scrisse Jean Meyendorff:
«A differenza dell'Occidente medievale, che evolse organicamente e progressivamente verso i tempi moderni, l'Oriente bizantino non ebbe degli eredi diretti capaci di proseguire la tradizione intellettuale di Bisanzio o, semplicemente, di pubblicare le opere passate: la cultura bizantina è morta di morte violenta, sotto i colpi dei turchi, nel 1453[19].»
Meyendorff ammise che, ciononostante, la Chiesa ortodossa era riuscita a conservare la sua spiritualità monastica e la sua liturgia. Nel frattempo, pure l'ortodossia russa si lasciò influenzare dalla cultura occidentale piuttosto che da quella bizantina tradizionale. Di conseguenza, in Occidente ben poche persone s'interessarono all'eredità culturale bizantina. Tra il XVII e il XVIII secolo emergono solo le pubblicazioni dei padri Mauristi che, con la patrologia greca, riuscirono a superare quelle del vescovo Dositeo di Gerusalemme e del monaco Nicodemo l'Agiorita (che pubblicò a Venezia la Filocalia).
Al momento in cui Meyendorff, il più grande riscopritore di Gregorio Palamas, scriveva (attorno al 1950), almeno tre quarti delle opere dell'arcivescovo di Tessalonica erano inedite. Meyendorff iniziò il suo lavoro analizzando gli studi di coloro che lo precedettero: Jean Boivin (XVII sec.), Porfirij Uspenskij, Polihronij Syrku (XIX sec.), Mons. Louis Petit, Martin Jugie, Vitalien Laurent, Rodolphe Guilland, Raymond-Joseph Loenertz, Giovanni Schirò (XX sec.). Egli esaminò pure gli studi di Cipriano Kern e del padre romeno Dumitru Stăniloae.
Tra tutti questi passati eruditi spiccava Martin Jugie. Nonostante il suo pensiero non fosse né esaustivo né esemplare, apportò diversi chiarimenti di cui beneficò lo stesso Meyendorff. Quest'ultimo, evitando le polemiche, cercò di fugare le precomprensioni basandosi sugli scritti palamiti. Demolì, in particolare, l'accusa di Jugie secondo la quale Palamas avrebbe “abusato dell'autorità dei Padri” e si fosse ispirato, piuttosto, a concezioni di tipo platonico. Meyendorff cercò di porre delle conclusioni su due livelli distinti: quello della storia e quello della dottrina. Storicamente Palamas, anche se utilizzava dei termini innovativi, fu ritenuto in linea con la dottrina patristica dalla maggioranza dei suoi contemporanei. Dogmaticamente, la controversia palamita è uno sviluppo degli insegnamenti patristico-greci, formulata progressivamente, man mano che la controversia conduceva Palamas ad affrontare i suoi oppositori.
Dal periodo di Meyendorff, morto il 22 giugno 1992, ci sono stati alcuni approfondimenti. Un approfondimento particolarmente importante è quello stabilito da Amphilokios Radovic che nel 1991 presentò uno studio su Il mistero della santa Trinità in san Gregorio Palamas. In questo lavoro lo studioso serbo ricollocò il pensiero gregoriano nella sua giusta prospettiva: le energie divine alle quali il credente partecipa, sono energie che lo mettono in comunione con tutta la Trinità, non con un Dio impersonale. Poteva esserci il rischio d'interpretarlo in quest'ultima maniera se ci si fosse fermati solo sugli scritti di Meyendorff leggendoli parzialmente e superficialmente. D'altra parte, lo studioso russo non ha mai affermato nei suoi lavori l'esistenza d'un rapporto impersonale tra Dio e l'uomo. Dovette concentrarsi sulla questione delle energie divine perché era necessitato a rispondere e a motivarle davanti a chi le contestava.
Attualmente esistono anche studiosi “antipalamiti”. Uno studioso accesamente antipalamita, ossia molto polemico nei riguardi della teologia gregoriana, è Juan Nadal Cañellas[20]. Un altro studioso antipalamita, ma assai più moderato, è il vescovo cappuccino Yanni Spiteris[21]. In Italia alcuni studiosi si sono interessati a Gregorio Palamas: Renato D'Antiga e, più particolarmente, Antonio Rigo. Quest'ultimo ha anche presentato degli studi nei quali ha definito con più precisione la data della morte del santo.
In Grecia, nelle facoltà teologiche, c'è un grande ossequio per la dottrina palamita ma non pare esistano nuovi approfondimenti, ad eccezione dei lavori passati di alcuni grandi docenti, Panagiotis Christou e Georgios Mantzaridis. In Francia possiamo trovare degli articoli o studi sintetici riguardo Palamas in autori come Jean-Claude Larchet e Joost Van Rossum.
«La coscienza propria della Chiesa, che si esprime nel suo culto, testimonia che l'era patristica coincide con tutta l'epoca che procura santi alla Chiesa. Ciascun santo è un Padre della Chiesa. Conseguentemente, l'epoca dei Padri coincide, in realtà, con l'epoca della stessa Chiesa. San Gregorio Palamas è, dunque, uno dei testimoni più rappresentativi di questa continuità vivente dell'era patristica. La sua statura inizia a prendere la sua reale dimensione solo ai nostri giorni. E a giusto titolo poiché egli non è un semplice santo della Chiesa ma anche una figura teologica. Egli rappresenta sia una continuità creatrice che uno sviluppo di tutto il pensiero patristico. Egli affronta e risponde, nelle sue opere, ai problemi più cruciali sia della teologia sia dell'esistenza umana. In tal modo, come la teologia dopo sant'Atanasio o san Massimo il Confessore non sarebbe stata comprensibile senza il loro apporto, ugualmente la teologia ortodossa, dopo san Gregorio Palamas, è incomprensibile senza di lui. [...] L'esempio di Palamas è estremamente istruttivo; lungi da ogni minimalismo teologico si appoggia su questa verità incrollabile: 'Coloro che appartengono alla Chiesa di Cristo appartengono tutti alla verità; coloro che non hanno fede a tutta la verità non sono in alcun modo della Chiesa di Cristo'[22].»
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