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architetto e pittore italiano (1499-1546) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giulio Pippi de' Jannuzzi, o Giannuzzi, detto Giulio Romano (Roma, 1492 o 1499[1] – Mantova, 1º novembre 1546), è stato un pittore e architetto italiano, importante e versatile personalità del Rinascimento e del Manierismo. Fu un artista completo, come era normale per un artista di corte che doveva occuparsi di ogni aspetto legato alla residenza e alla vita di rappresentanza del proprio signore, dovendo anche fornire modelli grafici per arazzi, opere scultoree e oggetti in argento,[2] coordinando collaboratori e artigiani.
Non è nota la data di nascita, ma nell'atto di morte del 1546 gli si attribuisce un'età di 46 anni; pertanto si è ritenuto fosse nato intorno al 1499 nell'Urbe. Tuttavia Vasari, che lo conosceva personalmente, lo dice morto a 54 anni, anticipandone quindi la nascita intorno al 1492, più consona all'inizio della collaborazione con Raffaello intorno al 1515.[3] Nato da padre commerciante, crebbe in una condizione familiare agiata. La dimora paterna di Giulio sorgeva in via Macel de' Corvi, vicino alla casa di Michelangelo, nei paraggi del Foro Romano e di piazza del Campidoglio, nell'area dove oggi sorge l'Altare della Patria.
Fin da giovane fu l'allievo più dotato[4] e uno tra i principali collaboratori di Raffaello Sanzio all'interno dell'affollata bottega. Collaborò con il maestro nelle sue grandi imprese pittoriche come gli affreschi della villa Farnesina, delle Logge e delle Stanze Vaticane. Già nel 1513-1514 la mano di Giulio è riconoscibile in alcuni affreschi eseguiti da Raffaello nella Stanza dell'Incendio di Borgo quali l'Incendio di Borgo, in particolare nelle erme a monocromo incoronate da foglie di alloro che reggono il cartiglio sopra il capo degli imperatori, affrescate nel prospetto inferiore delle pareti. Nel periodo intorno al 1518 sono documentati i suoi primi disegni di architettura, in particolare di studi di angoli per il Palazzo Branconio dell'Aquila che Raffaello progettò per farne dono a un amico lasciando allo stesso Giulio la piena libertà nella creazione del cortile interno.
Dati i complessi rapporti stilistici all'interno della bottega, non risulta facile distinguere gli apporti personali di Giulio Romano in tali opere, tanto che esiste un corpus di dipinti e disegni di discussa attribuzione tra lui e Raffaello, tra cui, per esempio, il Ritratto di Dona Isabel de Requesens. In altre opere di Raffaello, la critica ha riconosciuto la mano di Giulio Romano nei particolari di ambientazione.
Alla prematura morte di Raffaello nel 1520 ne ereditò, per testamento, la bottega e le commissioni già avviate, assieme al collega Giovan Francesco Penni con il quale collaborò a lungo. In tale periodo si occupò di coordinare gli affreschi di Villa Madama e di completare la sala di Costantino nelle stanze Vaticane, in cui gli viene riconosciuta l'esecuzione di alcune scene come la Visione della croce e la battaglia di ponte Milvio (1520-1524).
Come narra il Vasari, tra i suoi viaggi di lavoro e culturali visitò Pozzuoli, Napoli e Campagna nel regno di Napoli, al seguito di dignitari pontifici originari di quella terra (tra questi, Melchiorre Guerriero), ma poté contemporaneamente attingere ai modelli classici della cultura greca e latina da cui fu molto influenzato.[5] E proprio a Campagna (la Civitas, che definì come "una delle bellezze antiche") ebbe l'incarico di ri-disegnarla nell'urbanistica, da Melchiorre Guerriero (natio di quella città), figura potente nella curia vescovile romana[senza fonte].
Dopo aver collaborato ai progetti di Raffaello (per esempio al cortile del Palazzo Branconio dell'Aquila), i suoi primi autonomi progetti di architettura furono a Roma: il palazzo Adimari Salviati (dal 1520), la Villa Lante sul Gianicolo per Baldassarre Turini da Pescia (1518-1527) e il Palazzo Cenci alla Dogana (1521-1524) oggi chiamato Palazzo Maccarani Stati.
Fu invitato, come artista di corte, a Mantova da Federico II Gonzaga, a cui era stato indicato fin dal 1521 da Baldassarre Castiglione, letterato e suo ambasciatore a Roma. Nonostante la prestigiosa carriera avviata a Roma, accettò l'invito dopo lunghe insistenze e dopo aver completato i lavori lasciati incompiuti da Raffaello, per raggiungere la città lombarda nel 1524.[6]
Il suo primo incarico fu di occuparsi del cantiere della villa di Marmirolo (oggi distrutta) e successivamente gli fu affidata la realizzazione di un casino fuori delle mura della città, in una località chiamata Te, dove il marchese Federico II aveva delle scuderie. Giulio Romano realizzò un grandioso edificio a metà tra il palazzo e la villa extraurbana, conosciuto come Palazzo Te, utilizzando, per affrescarlo, numerosi aiuti, tra cui, per esempio, Raffaellino del Colle e per un certo periodo Giovan Francesco Penni.
Il lavoro di Giulio Romano dedicato a Palazzo Te, lo vide impegnato per dieci anni a partire dalla fine dell'anno 1525. Subì frequenti pressioni del marchese committente affinché si procedesse più speditamente. Il 2 aprile del 1530 gli fu affidata la regia di una festa in onore dell'imperatore Carlo V, ospite del prossimo duca Federico II, tenutasi all'interno dei cortili e delle stanze di Palazzo Te.
Nel 1526 venne nominato prefetto delle fabbriche dei Gonzaga e "superiore delle vie urbane", cariche che gli davano la possibilità di sovrintendere a tutte le architetture e le produzioni artistiche della corte, portando avanti un'ampia opera come pittore e architetto, improntata a un fasto decorativo e gusto della meraviglia e dell'artificio ingegnoso e bizzarro che ebbero larga diffusione nella cultura manierista delle corti europee.
Dopo l'elevazione a ducato della casata, Giulio Romano si occupò della sistemazione anche del Palazzo Ducale, dove realizzò, tra l'altro, il cortile della Cavallerizza oltre che alcuni affreschi. Nel decennio 1530-1540, si occupò di molteplici progetti, tesi a trasformare Mantova secondo le ambizioni dei Gonzaga.
Quando Vasari gli fece visita nel 1541, trovò un uomo ricco e potente. Il suo status gli consentì di realizzare per sé un palazzo nel centro di Mantova, denominato oggi la casa di Giulio Romano.
Nel 1546 la morte gli impedì di ritornare a Roma per divenire primo architetto della fabbrica di San Pietro. Fu sepolto nella chiesa di San Barnaba e la sua tomba fu profanata e dispersa durante la ristrutturazione conclusasi nel 1737.[7]
Giulio sposò a Mantova nel 1529 la nobile mantovana Elena Guazzo Landi ed ebbero un figlio, Raffaello, nato a Mantova nel 1532 e ivi morto nel 1562.[8]
Relativamente al periodo trascorso nella bottega di Raffaello, l'integrazione e il sistema di lavoro all'interno della bottega di Raffaello rende arduo agli studiosi l'attribuzione di disegni, di parti più o meno secondarie solo di affreschi ma anche di pale di altare o di altre opere di Raffaello nonché di singole opere pittoriche su tavola che gli studiosi, tra molti dubbi, attribuiscono all'esecuzione di Giulio Romano e al disegno di Raffaello, con le molte variabili che tale schema presuppone e con le complicazioni dovute alla morte prematura del maestro. Lo stile pittorico di Giulio Romano, tuttavia, ben presto si differenzia notevolmente da quello raffaellesco, rifuggendo dalla tipica "dolcezza" del maestro e dallo "sfumato" leonardesco, a favore di un segno inciso, quasi grafico e da una tavolozza fredda[17].
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