Sempre nella stessa città nel 1754 iniziò la sua attività di operista con la rappresentazione dell'opera buffaLe nozze contrastate al Teatro dei Fiorentini. Tuttavia, sconsigliato dal maestro Cafaro di continuare l'appena iniziata carriera teatrale, abbandonò i palcoscenici per una decina d'anni. Riprese, quindi, la composizione d'opere nel 1764 con la messa in scena della Fedeltà in amore al Teatro Nuovo. Da quel momento in poi, fino al 1810, scrisse ben 53 opere.
Il 1º ottobre 1785 fu nominato secondo maestro straordinario alla Pietà dei Turchini e nel 1793 fu elevato a secondo maestro. Nell'ottobre del 1799, al termine della breve Repubblica Napoletana, fu nominato primo maestro del Conservatorio. Nel dicembre del 1806, dopo l'unificazione di tutti i conservatori napoletani, entrò nella direzione del Real Collegio di Musica assieme a Giovanni Paisiello e Fedele Fenaroli. Conservò la prestigiosa carica fino al 1813, quando Nicola Antonio Zingarelli diventò unico direttore del Conservatorio. Mantenne tuttavia il ruolo d'insegnante di contrappunto. Durante la sua carriera didattica tra i suoi allievi ebbe: Vincenzo Bellini, Saverio Mercadante, Giacomo Meyerbeer e Gaspare Spontini. Il 14 luglio 1816 fu nominato maestro della reale cappella palatina e della reale camera con un compenso di 100 ducati.
Nonostante la sua attività operistica fosse terminata nel 1810, continuò a scrivere composizioni sacre fino alla morte.
Tritto fu compositore teatrale di un certo successo (in quanto a favori non era poi così distante dai più noti Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa, Pasquale Anfossi e Pietro Alessandro Guglielmi), e concentrò la propria attività operistica nel trentennio tra il 1780 e il 1810. Nei primi vent'anni di questo periodo è più consistente la parte comica, mentre negli ultimi dieci anni privilegiò il dramma.
Le sue opere comiche, caratterizzate da una qualità prevalentemente ritmica, presentano scene tipiche della commedia popolaresca. In questo ambito spiccano Il convitato di pietra, rappresentata durante il carnevale del 1783 al Teatro dei Fiorentini di Napoli, e La cantarina, messa in scena a Roma al Teatro Valle durante il carnevale del 1790.
Nell'opera seria sembra che egli tenti di normalizzare quei concertati finali che il genere comico aveva praticamente affermato come punti di forza dell'opera in musica[1]. Egli impiega sì i concertati, ma non dando luogo a nessuna normalizzazione. Inoltre nei suoi lavori seri non dà forza ai passaggi obbligati, trascura i recitativi secchi e spezza spesso la melodia facendo un uso meccanico di abbellimenti (gorgheggi, etc.).
Giuseppe de Napoli: La triade melodrammatica altamurana: Giacomo Tritto, Vincenzo Lavigna, Saverio Mercadante (Milano, 1952)
Brandenburg, Daniel: ‘Giacomo Tritto: Il convitato di pietra', Napoli e il teatro musicale in Europa tra Sette e Ottocento: studi in onore di Friedrich Lippmann, ed. B.M. Antolini and W. Witzenmann (Firenze, 1993, pp. 145-74)