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fisico italo-statunitense (1901-1954) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Enrico Fermi (Roma, 29 settembre 1901[2] – Chicago, 28 novembre 1954) è stato un fisico italiano naturalizzato statunitense[3].
«La professione del ricercatore deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l'amore di scoprire nuove verità, dato che in tutte le direzioni siamo circondati dall'ignoto e la vocazione dell'uomo di scienza è di spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, non solo in quelle che promettono più immediati compensi o applausi.»
Noto principalmente per gli studi teorici e sperimentali nell'ambito della meccanica quantistica e della fisica nucleare, tra i suoi maggiori contributi si possono citare la teoria del decadimento beta, la statistica di Fermi-Dirac e i risultati riguardanti le forze nucleari debole e forte.
Dopo l'attività di ricerca alla guida del gruppo dei cosiddetti "ragazzi di via Panisperna" a Roma, si trasferì negli Stati Uniti, dove progettò e guidò la costruzione del primo reattore nucleare a fissione, che produsse la prima reazione nucleare a catena controllata, e fu uno dei direttori tecnici del Progetto Manhattan, che portò alla realizzazione della bomba atomica. Fu, inoltre, tra i primi ad interessarsi alle potenzialità della simulazione numerica in ambito scientifico, nonché l'iniziatore di una feconda scuola di fisici, tanto in Italia quanto negli Stati Uniti.
Ricevette nel 1938 il premio Nobel per la fisica per «l'identificazione di nuovi elementi della radioattività e la scoperta delle reazioni nucleari mediante neutroni lenti». In suo onore, venne dato il nome a un elemento della tavola periodica, il fermio (simbolo Fm), a un sottomultiplo del metro comunemente usato in fisica atomica e nucleare, il fermi[N 1], nonché a una delle due classi di particelle della statistica quantistica, i fermioni.
Enrico Fermi nacque a Roma il 29 settembre 1901 da Alberto Fermi, piacentino[N 2], ispettore capo presso il Ministero delle poste e dei telegrafi, e da Ida De Gattis, barese, insegnante di scuola elementare nella capitale.[4] Era l'ultimo di tre figli: la sorella primogenita Maria (nata il 12 aprile 1899 e morta il 26 giugno 1959 nel disastro aereo di Olgiate Olona) e il fratello Giulio, maggiore di un anno. Mostrò fin da piccolissimo di possedere una memoria eccezionale e una grande intelligenza, che gli permisero di primeggiare negli studi.
Fin dall'infanzia fu inseparabile dal fratello, che nel 1915 morì nel corso di un'operazione chirurgica per rimuovere un ascesso della gola. Enrico, per lenire il profondo dolore, si gettò nello studio e completò il ginnasio con un anno di anticipo presso il liceo Umberto I di Roma (oggi liceo classico "Pilo Albertelli").
Una delle prime fonti per soddisfare la sua fame di conoscenza fu un trattato del 1840 trovato al mercato romano di Campo de' Fiori, intitolato Elementorum physicae mathematicae, del padre gesuita Andrea Caraffa, professore del Collegio Romano. Le novecento pagine in latino, comprendenti argomenti di matematica, meccanica classica, astronomia, ottica e acustica, furono studiate approfonditamente dal giovane Fermi, come dimostra il ritrovamento di molti foglietti e annotazioni all'interno dei due tomi.
Importante fu anche la conoscenza di un amico del fratello, Enrico Persico, di un anno più anziano e suo compagno di liceo, insieme al quale sviluppò con continue discussioni e, dopo l'iscrizione all'università, con scambi epistolari, le sue conoscenze in fisica e matematica, già stimolate in entrambi da un loro comune insegnante di fisica del liceo, il professor Filippo Eredia.[5][6] I due amici vinsero, nel 1926, due delle prime tre cattedre di fisica teorica (insieme ad Aldo Pontremoli) istituite in Italia.
Durante gli anni del liceo, conobbe inoltre un collega del padre e amico di famiglia, l'ingegner Adolfo Amidei, il quale, impressionato dalla sua straordinaria intelligenza, ne guidò la formazione, prestandogli diversi trattati di livello universitario che il giovane Fermi lesse con grande passione. In particolare, nel 1914, a tredici anni, ricevette in prestito da Amidei il testo Die Geometrie der Lage di Theodor Reye e il Traité de trigonométrie di Joseph-Alfred Serret; nel '15 gli prestò il Corso di Analisi Algebrica con introduzione al Calcolo Infinitesimale di Ernesto Cesaro e le Lezioni di geometria analitica di Luigi Bianchi; nel '16 le Lezioni di analisi infinitesimale di Ulisse Dini e nel '17 il Traité de mécanique di Siméon-Denis Poisson. Nel 1918 Amidei gli suggerì di iscriversi, anziché alla Sapienza di Roma, all'Università di Pisa e partecipare al concorso per entrare alla prestigiosa Scuola Normale Superiore della stessa città.
Per accedere alla prestigiosa università, Fermi dovette superare un concorso con il seguente tema: Caratteri distintivi dei suoni e loro cause. L'argomento fu svolto con straordinaria sicurezza e assoluto possesso dei mezzi matematici.[7] Basandosi su quanto appreso nei trattati di meccanica di Poisson e Chvol'son, utilizzando concetti come equazioni differenziali e sviluppo in serie di Fourier, descrisse esaustivamente il carattere del suono analizzando le vibrazioni di una sbarra con un estremo fisso. Il livello del suo svolgimento fu talmente elevato da riuscire sbalorditivo per la commissione esaminatrice. In seguito a un colloquio orale richiesto dal docente di geometria dell'Università di Roma Giulio Pittarelli, membro della commissione, venne confermata l'eccellenza della preparazione del diciassettenne Fermi, che ottenne il primo posto in graduatoria. Durante il colloquio Pittarelli si sbilanciò, preannunciando al giovane studente romano che sarebbe diventato un importante scienziato.[8]
Fra il 1919 e il 1923 studiò la relatività generale, la meccanica quantistica e la fisica atomica. La sua preparazione in meccanica quantistica raggiunse livelli talmente elevati che Luigi Puccianti, direttore dell'Istituto di Fisica presso la Scuola Normale, gli chiese di organizzare alcuni seminari sul tema, e lo considerava "il suo esperto personale di relatività".[9] Sempre in questo periodo apprese il calcolo tensoriale, strumento matematico inventato da Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita, indispensabile al fine di dimostrare i principi della relatività generale.
Nel 1921, al terzo anno di università, pubblicò i suoi primi due lavori sulla rivista scientifica Nuovo Cimento: Sulla dinamica di un sistema rigido di cariche elettriche in modo transitorio e Sull'elettrostatica di un campo gravitazionale uniforme e sul peso delle masse elettromagnetiche. Il primo di questi lavori portò a una conclusione che poneva in contraddizione il calcolo della massa effettuato nell'ambito della teoria di Lorentz con il principio di equivalenza dell'energia di Einstein. Tale apparente contraddizione venne chiarita l'anno seguente dallo stesso Fermi nell'articolo Correzione di una grave discrepanza fra la teoria elettrodinamica e quella relativistica delle masse elettromagnetiche. Inerzia e peso dell'elettricità, dove la massa elettromagnetica è il contributo del campo elettromagnetico alla massa,[10] che apparve prima sulla rivista I rendiconti e in seguito sulla prestigiosa rivista tedesca Physikalische Zeitschrift.
Nel 1922 pubblicò il suo primo importante lavoro sulla rivista Rendiconti dell'Accademia dei Lincei, dal titolo Sopra i fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria, dove introduceva per la prima volta quelle che furono in seguito denominate le coordinate di Fermi, e dimostrò che, in prossimità di una linea oraria, lo spazio si comporta come se fosse euclideo.[11]
Sempre nel 1922 cominciò la sua tesi di laurea sperimentale sulle immagini di diffrazione dei raggi X prodotte da cristalli curvi. È da notare che i tubi per i raggi X furono fabbricati da Fermi insieme ad altri due studenti: Nello Carrara e Franco Rasetti, nell'ambito dei loro esperimenti «liberi» all'interno del laboratorio di fisica presso l'Istituto di fisica della Normale. I tre ragazzi avevano libero accesso al laboratorio e alla biblioteca su permesso del capo dell'istituto stesso. Secondo Franco Rasetti, Fermi dimostrò di essere un fisico completo, svolgendo una tesi sperimentale pur essendo già noto come fisico teorico. Ad ogni modo, sembra che allora Fermi preferisse gli aspetti teorici rispetto a quelli sperimentali: in una lettera all'amico Persico, datata marzo 1922, fa capire che non vedeva l'ora di terminare la tesi per potersi dedicare alla meccanica quantistica. Il 4 luglio dello stesso anno si laureò presso l'ateneo pisano con Luigi Puccianti e il successivo 7 luglio si diplomò pure alla Normale; in entrambi i casi, ottenne la magna cum laude, anche se, in quest'ultima occasione, gli esaminatori si rifiutarono di stringergli la mano e di pubblicare la sua tesi, come avveniva di solito.[N 3][12]
Nel 1923, in seguito alla scrittura dell'appendice del libro Fondamenti della relatività einsteiniana di August Kopff, Fermi, specializzatosi ulteriormente nello studio della relatività generale grazie a Giuseppe Armellini e Tullio Levi-Civita, pose per la prima volta l'accento sull'enorme quantità di energia insita nella famosa equazione E=mc², osservazione che può essere vista come il primo vero passo nella direzione della generazione di energia atomica.
Nel 1924 fu iniziato nella Loggia massonica "Adriano Lemmi" del Grande Oriente d'Italia a Roma.[13][14]
Subito dopo la laurea, il giovane Fermi si presentò a Orso Mario Corbino, professore di fisica sperimentale, e, nel 1923, grazie a una borsa di studio, si recò per sei mesi a Gottinga presso la scuola di Max Born. Il periodo a Gottinga non si rivelò molto fruttuoso e le ragioni sembrano essere di vario tipo: c'è chi sostiene che non si trovò a suo agio con lo stile eccessivamente teorico e formale della principale scuola di fisica quantistica dell'epoca, chi, come Emilio Segrè, sostiene che Fermi era da un lato timido e da un lato troppo orgoglioso, e chi, anche, che i suoi colleghi (Born, Heisenberg, Pauli, Jordan e Marie Curie) non lo avevano apprezzato, giungendo persino a ignorarlo del tutto e a ostracizzarlo, come lo stesso Fermi confessò a Leona Woods Marshall Libby, sua collega del Progetto Manhattan.[15]
Durante questi sei mesi, piuttosto che occuparsi di risolvere le contraddizioni della cosiddetta old quantum physics, introdotta da Bohr e Sommerfeld e su cui si stavano cimentando i suoi colleghi a Gottinga, preferì studiare i limiti di applicazione ai sistemi atomici del cosiddetto principio delle adiabatiche, enunciato da Paul Ehrenfest, che formulava una delle idee guida per ricavare le condizioni di quantizzazione della old quantum physics.
Nonostante il non perfetto ambientamento, la produzione scientifica di Fermi a Gottinga fu intensa. A un mese dall'arrivo, pubblicò un articolo dal titolo Il principio delle adiabatiche ed i sistemi che non ammettono coordinate angolari, articolo in cui si proponeva di determinare i limiti di validità del principio di Ehrenfest, mostrando che per particolari trasformazioni adiabatiche veniva a perdere la sua base.
Due mesi dopo pubblicò un secondo articolo sulla rivista Physikalische Zeitschrift, dal titolo Dimostrazione che in generale un sistema meccanico normale è quasi ergodico, articolo che attrasse l'attenzione di Ehrenfest.
In questo articolo, dal titolo Alcuni teoremi di meccanica analitica importanti per la teoria dei quanti, Enrico Fermi dimostra la validità del principio di Ehrenfest per determinare le orbite quantiche di un sistema atomico a tre corpi, dimostrando, inoltre, che in sistemi con più di una costante di moto il principio di Ehrenfest non è valido.
Tornato da Gottinga, scrisse il suo primo importante contributo alla meccanica quantistica intitolato Sulla probabilità degli stati quantici, lavoro presentato da Corbino all'Accademia dei Lincei il 16 dicembre 1923. In questo lavoro mostra il paradosso della statistica classica in relazione al calcolo della probabilità dei diversi stati quantici di un gas di atomi a temperatura elevata. Secondo la statistica classica i diversi stati quantici di un atomo hanno la medesima probabilità, ipotesi che porta paradossalmente la somma delle probabilità di tutti i possibili stati quantici a infinito, quando la probabilità massima di qualunque sistema è per definizione uguale a 1. La soluzione formale a questa contraddizione era quella di un'ipotesi ad hoc al fine di definire come non possibili tutte le orbite di stati quantici per cui il raggio dell'atomo è maggiore della distanza media tra atomo e atomo. Fermi risolse elegantemente tale paradosso calcolando mediante la termodinamica una legge contenente un fattore che rende trascurabili i contributi della serie con numeri quantici elevati. Tale approccio è noto in letteratura come Fermi-Urey.
Nel gennaio del 1924 Fermi pubblica un lavoro dal titolo Sopra la riflessione e la diffusione della risonanza, in cui sviluppa la teoria del fenomeno della risonanza ottica. Nello stesso mese scrisse anche Considerazioni sulla quantizzazione di sistemi che contengono elementi identici, che rappresenta il primo vero passo verso quella che sarà una delle sue principali scoperte da lì a due anni: la nuova statistica quantistica che porta il nome di statistica di Fermi-Dirac.
Grazie all'interessamento del famoso matematico Vito Volterra, Fermi vinse una borsa di studio della Fondazione Rockefeller per un periodo di studio nell'autunno del 1924 a Leida presso l'istituto diretto da Paul Ehrenfest. Tale scelta deriva in parte dalla scarsa presenza all'epoca in Italia di personalità impegnate nelle ricerche sulla meccanica quantistica.
Nell'estate del 1924 pubblicò un articolo dal titolo Sulla teoria dell'urto fra atomi e corpuscoli elettrici, pubblicato prima in italiano sul Nuovo Cimento e in seguito in tedesco su Zeitschrift für Physik. Tale studio rappresenta il primo importante contributo di Fermi alla cosiddetta old quantum physics. Nell'articolo menzionato, Fermi elaborò un metodo, conosciuto in seguito come metodo dei quanti virtuali o metodo dei fotoni equivalenti, basato sull'analogia fra la ionizzazione di un atomo prodotta da una luce a una opportuna frequenza e quella prodotta da elettroni con sufficiente velocità. Con le sue stesse parole:
«Quando un atomo che si trovi nel suo stato normale viene illuminato con una luce di frequenza opportuna esso può eccitarsi, vale a dire passare ad uno stato quantico di maggiore energia, assorbendo un quanto di luce. Se il quanto di luce ha energia maggiore dell'energia necessaria per ionizzare l'atomo, esso può ionizzarsi perdendo, secondo la frequenza della luce, un elettrone appartenente agli strati superficiali o a quelli profondi dell'atomo. [...] Fenomeni di natura assai simili a questi si presentano anche nell'eccitazione per urto. Se si bombardano infatti gli atomi di un gas con elettroni di velocità sufficiente essi possono eccitarsi o ionizzarsi e, se la velocità degli elettroni eccitanti è molto grande, possono anche perdere degli elettroni appartenenti a strati profondi dell'atomo. Lo scopo del presente lavoro è di precisare ulteriormente le analogie esistenti fra queste due classi di fenomeni, e precisamente dedurre quantitativamente i fenomeni dell'eccitazione per urto da quelli dell'assorbimento ottico.»
Il lavoro, benché fosse stato sperimentalmente provato, trovò forti critiche da parte di Bohr. Fermi fu negativamente colpito da questo episodio e, secondo Emilio Segrè, questo potrebbe essere il motivo per cui Enrico Fermi ha mostrato successivamente un atteggiamento negativo verso le teorie elaborate dai fisici di Gottinga e Copenaghen. Lo stesso Emilio Segrè fa notare che, una volta stabilite in maniera precisa le leggi della meccanica quantistica, il lavoro sopra citato trovò piena giustificazione mediante la teoria delle perturbazioni dipendenti dal tempo sviluppata da Dirac.
A Leida, oltre ad approfittare della guida scientifica di Ehrenfest, Fermi ebbe anche modo di conoscere autorità mondiali della fisica, come Einstein e Lorentz, e strinse amicizia con Samuel Goudsmit e Jan Tinbergen.
Le prime impressioni del periodo a Leida sono riportate in una lettera del 23 ottobre 1924 al suo amico Enrico Persico:
«Siccome, contrariamente alle tue previsioni io non sono morto né dormo, ti manderò qualche mia notizia. L'ambiente che è conosciuto qui a Leiden è molto simpatico e piacevole. Ho conosciuto: Einstein che è stato qui per una ventina di giorni; persona molto simpatica benché porti il cappello a larga tesa per darsi l'aria di un genio incompreso. È stato preso da una simpatia vivissima per me, che non poteva fare a meno di dichiararmi ogni volta che mi incontrava (peccato che non sia una bella bimba!) Ehrenfest anche lui molto simpatico e cortese, benché non sfigurerebbe in un negozio di abiti usati al ghetto. [...] Lorentz, caratteristica essenziale occhi di fuoco benché azzurri. Ho conosciuto poi parecchi altri, tra cui parecchi giovani che non hanno ancora un nome, ma che probabilmente se lo faranno.»
Il periodo a Leida fu particolarmente fruttuoso. Nella corrispondenza fra Fermi e Persico si parla delle numerose scoperte fatte da Fermi a Leida. Una su tutte fu descritta in un lavoro pubblicato con il titolo Sopra l'intensità delle righe multiple, dove Fermi ricava le espressioni dell'intensità delle varie componenti delle righe multiple degli spettri atomici di diversi elementi. L'accordo trovato con i dati sperimentali fu migliore di quello di Heisenberg e Sommerfeld nella trattazione teorica del problema.
Fra il 1924 e 1925 Fermi fu chiamato, su invito del sindaco di Firenze e direttore dell'istituto di fisica Antonio Garbasso, a occupare la cattedra di fisica matematica presso l'ateneo cittadino. Durante questo periodo, iniziò alcune ricerche di fisica atomica con il ritrovato amico Franco Rasetti. I due amici portarono avanti importanti ricerche sperimentali sugli spettri atomici per mezzo di campi a radiofrequenza, e con le stesse parole di Rasetti:
«Esse descrivono la seconda avventura di Fermi nel campo sperimentale dopo parecchi anni di lavoro teorico, dimostrano la sua ingegnosità nel trattare con tecniche non familiari; e costituiscono il primo esempio di una ricerca sugli spettri atomici per mezzo di campi a radiofrequenza, una tecnica che avrebbe avuto numerose applicazioni più tardi.»
Le ricerche furono anche in qualche modo avventurose, sempre con le parole di Rasetti:
«Fermi calcolò le caratteristiche di un semplice circuito oscillante che avrebbe dovuto produrre campi con l'intensità e le frequenze volute. Fortunatamente furono scoperti in un armadio alcuni triodi e Fermi sentenziò che erano adatti per realizzare il circuito da lui progettato. Il laboratorio possedeva anche vari amperometri a filo caldo per misurare la corrente nelle bobine, e in questo modo si poteva determinare l'intensità del campo magnetico. Se questi strumenti non fossero stati disponibili l'esperimento non si sarebbe potuto effettuare perché i fondi di ricerca di cui disponeva l'istituto erano estremamente magri e non permettevano l'acquisto di apparati costosi. [...] Le bobine di induttanza e alcune semplici parti furono costruite da noi e quando il circuito venne montato funzionò istantaneamente secondo le previsioni di Fermi. [...] I risultati ottenuti mostrarono che la frequenza di precessione dell'atomo era in accordo con la predizione basata sul fattore di Landé.»
Fra il 1924 e 1925 Fermi cerca di fare carriera universitaria, ben conscio delle sue capacità. Prima partecipa a un concorso a cattedra a Firenze senza aver successo. In seguito, insieme a Volterra, Civita e Corbino, cerca di istituire la prima cattedra di fisica teorica in Italia a Roma. Ma dovrà aspettare un altro anno e mezzo per riuscire in questa impresa.
Nel frattempo tenta di vincere il concorso a Cagliari per la fisica matematica, ma gli viene preferito Giovanni Giorgi, un fisico matematico di vecchia guardia, noto soprattutto per aver proposto il sistema internazionale di unità di misura. Fra i commissari vi erano Volterra e Levi-Civita che votarono per Fermi. Secondo Segrè, la mancata vittoria nel concorso fu ritenuta "ingiusta" da Fermi, che continuò a serbare rancore nei confronti di coloro che gli avevano preferito Giorgi.[16] Tuttavia, la rabbia per la mancata nomina non durò a lungo. Nell'autunno del 1926 Fermi vinse il concorso per occupare il posto della prima cattedra di fisica teorica in Italia, su nomina di Corbino e Garbasso. Nel giudizio finale della commissione giudicante si legge:
«La commissione, esaminata la vasta e complessa opera scientifica del professor Fermi, si è trovata unanime nel riconoscerne le qualità eccezionali, e nel constatare che egli, pur in così giovane età e con pochi anni di lavoro scientifico, già onora altamente la fisica italiana. Mentre possiede in modo completo le più sottili risorse della matematica, sa farne un uso sobrio e discreto, senza mai perdere di vista il problema fisico di cui cerca la soluzione. [...] Mentre gli sono perfettamente famigliari i concetti più delicati della meccanica e della fisica matematica classica, riesce a muoversi con piena padronanza nelle questioni più difficili della fisica teorica moderna, cosicché egli è oggi il più preparato e il più degno per rappresentare il nostro paese in questo campo di così alta e febbrile attività scientifica mondiale.»
Nel periodo precedente e antecedente a questa nomina, Fermi continuò a interessarsi alla meccanica quantistica, ma come riporta lui stesso in una lettera all'amico Persico del 1925, non era convinto della nuova meccanica quantistica o cosiddetta meccanica delle matrici, sviluppata da Born, Heisenberg e Jordan.
Fermi piuttosto, come riporta Emilio Segrè, si lasciò colpire dal lavoro di Schrödinger sulla meccanica ondulatoria. In questo periodo, partendo da un lavoro di Born in cui il formalismo di Schrödinger veniva usato per comprendere urti e diffusione fra le particelle, insieme con una prima interpretazione probabilistica della funzione d'onda, Fermi pubblicò un lavoro dal titolo Sulla meccanica ondulatoria dei processi d'urto. Finalmente, nel dicembre 1925, Fermi scrisse il suo celebre lavoro Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, che venne presentato da Corbino alla Accademia dei Lincei e pubblicato in versione ampliata e completa su Zeitschrift für Physik.
In questo lavoro Fermi formula per la prima volta la sua celebre equazione della statistica di Fermi-Dirac, a cui obbediscono le particelle elementari a spin semintero (chiamate in suo onore fermioni), che è oggi nota come statistica antisimmetrica Fermi-Dirac, dal nome dello scienziato inglese Paul Dirac, che seppur in ritardo di circa sei mesi rispetto a Fermi, giunse alle stesse conclusioni. In una lettera scritta in inglese, inviata da Fermi a Dirac il 25 ottobre 1926,[17] si legge:
«Caro Signore!
Nel suo interessante lavoro, Sulla teoria della meccanica quantistica (Proc. Roy. Soc. 112,661, 1926) Lei propone una teoria del gas ideale basata sul principio di esclusione di Pauli. Ora, una teoria del gas ideale che è praticamente identica alla sua è stata pubblicata da me all'inizio del 1926 (Zs. f. Phys. 36, p. 902; Lincei Rend. Febbraio 1926). Siccome lei non ha visto il mio articolo, immagino, la prego di prenderlo in considerazione.
Sinceramente suo
Enrico Fermi.[18]»
Fermi cominciò a occuparsi per la prima volta di statistica delle particelle nel 1923 a Leida, quando affrontò la determinazione della costante assoluta dell'entropia per un gas perfetto monoatomico. Tale problema aveva già visto coinvolto prima Otto Sackur e Hugo Martin Tetrode e in seguito Otto Stern. Fermi pubblicò nel 1923 su Rendiconti dell'Accademia dei Lincei un articolo dal titolo Sopra la teoria di Stern della costante assoluta dell'entropia rifiutando la struttura di base della sua teoria, e con le sue parole:
«In questo lavoro mi propongo di dimostrare che questa ipotesi innaturale non è affatto necessaria, perché basta modificare le deduzione cinetica [...] tenendo conto che le molecole del corpo solido possono muoversi solamente sopra orbite quantiche.»
L'anno successivo pubblicò su Nuovo Cimento l'articolo dal titolo Considerazione sulla quantizzazione dei sistemi che contengono elementi identici. In questo articolo Fermi mostra come le regole di quantizzazione di Sommerfeld predicono sì perfettamente le frequenze dello spettro dell'atomo di idrogeno, ma non danno sicurezza alcuna per gli spettri di atomi più complessi. Egli afferma:
«Un tale insuccesso viene di solito attribuito al fatto che tali sistemi più complessi non ammettono separazione delle variabili. [...] In questo lavoro mi propongo di mostrare come ci siano delle ragioni che inducono a credere che l'insuccesso sia dovuto piuttosto all'insufficienza delle condizioni di Sommerfeld a calcolare le orbite statiche, di quei sistemi che, indipendentemente dall'ammettere o non la separazione delle variabili, contengono alcune parti identiche (nel caso dell'atomo di elio per esempio i due elettroni sono tra di loro non distinguibili).»
Fermi concluse che le regole di quantizzazione di Sommerfeld non bastassero più per ricavare la formula Sackur-Tetrode per l'entropia:
«L'insuccesso delle regole di Sommerfeld nel calcolo quantitativo degli atomi di numero atomico più grande di uno [...] è dovuto al fatto che questi atomi contengono almeno due elettroni non distinguibili tra loro, e che le regole di Sommerfeld, anche nel caso della possibilità della separazione delle variabili, non sono applicabili nel caso che alcune parti del sistema siano tra loro completamente identiche.»
Nel 1925 Wolfgang Pauli enunciò quello che va sotto il nome di principio di esclusione di Pauli. Fermi come ricorda Rasetti
«comprese che ora aveva tutti gli elementi per una teoria del gas ideale che soddisfacesse il principio di Walther Nernst allo zero assoluto, desse la corretta formula di Sackur-Tetrode per l'entropia assoluta nel limite di bassa densità e alta temperatura, e fosse libera dalle varie ipotesi arbitrarie che era stato necessario introdurre nella meccanica statistica per derivare un corretto valore dell'entropia.»
L'obiettivo di Fermi era chiaro: egli voleva
«trovare un metodo per la quantizzazione del gas ideale il più possibile indipendente da ipotesi arbitrarie sul comportamento statistico della molecola di gas.»
Al fine di poter applicare il principio di esclusione di Pauli per gli elettroni orbitali dell'atomo alle molecole di un gas perfetto, Fermi dovette affrontare il problema della quantizzazione del loro moto. A questo proposito Fermi impose che le molecole del gas fossero soggette a un campo di forze elastiche attrattive tridimensionali sul modello dell'oscillatore armonico. Ricorda Rasetti:
«Va notato che Fermi non racchiuse il suo gas ideale in una scatola, secondo l'approccio usuale, ma collocò le particelle in un potenziale tridimensionale dell'oscillatore armonico. In questo modo poté ottenere una densità del gas a simmetria sferica e decrescente monotonicamente. Per grandi raggi la densità era sempre sufficientemente bassa da assicurare la validità dell'approssimazione classica di Boltzmann. [...] L'artificio di disporre le molecole in questo tipo di potenziale portò naturalmente più tardi alla teoria statistica dell'atomo come gas degenere di elettroni.»
Come conseguenza dell'uso del potenziale armonico, Fermi, sfruttando il principio delle adiabatiche di Ehrenfest, riuscì a stabilire che esiste una temperatura critica al di sotto della quale la statistica di un gas di particelle devia fortemente dalla statistica classica di Boltzmann. In seguito ottenne le espressioni per un gas fortemente degenere (al di sotto della temperatura critica) della pressione e dell'energia di punto zero, e una formula per il calore specifico a volume costante che tende a zero linearmente con la temperatura. Riottenne anche l'equazione classica di un gas perfetto e un valore dell'entropia coincidente con quello di Sackur-Tetrode.
La statistica scoperta da Fermi è del tutto generale, nel senso che vale per un gran numero di particelle. Le particelle scoperte finora possono essere divise in due gruppi: quelle descritte da Fermi, con spin semi intero, denominate fermioni (come il protone, il neutrone e l'elettrone), e quelle con spin intero, dette bosoni (come il fotone), che obbediscono alla statistica di Bose-Einstein. Lo spin determina una funzione d'onda totalmente asimmetrica per i fermioni e totalmente simmetrica per i bosoni. Le relazioni fra le due statistiche quantistiche sono state messe in luce da Dirac. A Fermi invece bisogna dare atto di aver reso il principio di Pauli un principio di fisica generale.
Nel dicembre del 1926 il fisico britannico Ralph Fowler applicò la statistica di Fermi-Dirac per un problema di astrofisica riguardante le cosiddette nane bianche. Lo stesso Pauli applicò la statistica per uno studio riguardante sostanze paramagnetiche. Nel 1927, in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta, fu organizzato a Como da Corbino un importante congresso internazionale a cui presero parte tutti i principali scienziati del mondo. Il congresso voleva essere la risposta italiana alle Conferenze Solvay, il principale consesso di fisici del tempo nell'ambito delle ricerche sulla relatività e la meccanica quantistica, al quale non era mai stato invitato in precedenza alcun fisico italiano, nemmeno Guglielmo Marconi, considerato un inventore e non uno scienziato vero e proprio.[19] Durante tale congresso, Sommerfeld mostrò come una serie di fenomeni termici ed elettrici non interpretabili con le teorie classiche, trovassero immediata spiegazione grazie alla nuova statistica di Fermi-Dirac. Rasetti ricorda:
«Fu per Fermi un vero trionfo, e molti professori italiani rimasero stupiti che un giovane ventiseienne, appena noto in Italia, fosse già così celebre in Germania.»
Nel 1927 lo stesso Fermi applicò la sua stessa statistica al cosiddetto modello atomico di Thomas-Fermi. In tale modello gli elettroni sono ipotizzati essere come un gas degenere di Fermi, mantenuti intorno al nucleo dalla forza coulombiana. Fermi e i suoi allievi usarono tale modello per studiare le proprietà degli atomi che variano regolarmente al variare del numero atomico. A proposito di questo periodo e in generale sul metodo di lavoro di Fermi sono interessanti le parole di Amaldi:
«Oltre alla statistica di Fermi, al modello Thomas-Fermi e a tutte le applicazioni di questo, risalgono al decennio 1922-1932 molti altri lavori consistenti, per la maggior parte nella teoria di un qualche fenomeno che fino ad allora era sfuggito a ogni tentativo di interpretazione quantitativa. Questa capacità di cogliere immediatamente la legge generale nascosta dietro una tabella di dati sperimentali bruti, o di riconoscere subito il meccanismo per cui i risultati di certe osservazioni sperimentali, a prima vista strani o insignificanti, erano invece naturali o di profondo significato se comparati con altri fenomeni o teorie generali, ha costituito durante tutta la sua vita una delle caratteristiche che fanno di Enrico Fermi una delle figure più notevoli del nostro secolo nel campo delle scienze fisiche.»
Quando Enrico Fermi occupò la cattedra di fisica teorica a Roma, cercò, congiuntamente con Corbino, di trasformare l'Istituto di via Panisperna in un centro di avanguardia a livello mondiale. In questo contesto Fermi necessitava di collaboratori adatti, al fine di formare il gruppo che più tardi divenne famoso come i "ragazzi di via Panisperna", dal nome della via nella quale erano ubicati i laboratori (ora parte del complesso del Viminale e del Ministero dell'interno). Il primo a essere assunto fu Franco Rasetti, al quale fu assegnato il compito di portare avanti le ricerche nel campo della fisica atomica. In seguito lo stesso Corbino, durante una lezione presso la facoltà di Ingegneria, annunciò che presso il suo istituto vi era posto per chi avesse interesse nella fisica pura.
Così nel 1927-1928 Emilio Segrè, Edoardo Amaldi ed Ettore Majorana completarono il gruppo. Fermi aveva così, grazie anche al forte interessamento di Corbino, la sua scuola formata da allievi giovanissimi, dove, attraverso seminari informali e spesso improvvisati, insegnava i segreti della fisica. Il gruppo dei ragazzi di via Panisperna, all'apice del suo splendore, fu costituito da Amaldi, Bruno Pontecorvo, Rasetti, Segrè, Majorana e dal chimico Oscar D'Agostino. Il gruppo proseguì con i suoi famosi esperimenti fino al 1935, quando Rasetti lasciò l'Italia per il Canada e poi per gli Stati Uniti, Pontecorvo andò in Francia e Segrè preferì andare a insegnare a Palermo.
Segrè ricorda così la maniera di fare lezione al gruppo da parte di Fermi:
«I seminari di Fermi erano sempre improvvisati e privi di formalità. Nel tardo pomeriggio ci si riuniva nel suo studio e la conversazione si trasformava in una lezione. [...] Come esempio trovo in un libretto di appunti sulle lezioni di quei tempi i seguenti argomenti: teoria del corpo nero; viscosità dei gas; meccanica ondulatoria (formulazione dell'equazione di Schrödinger); analisi tensoriale; teoria della dispersione ottica; curva gaussiana degli errori; teoria di Dirac dello spin elettronico. [...] Ogni tanto però il tono della discussione si elevava notevolmente e Fermi spiegava un lavoro che aveva appena finito di leggere. È appunto in questo che apprendemmo il contenuto dei lavori di Schrödinger e di Dirac via via che uscivano. Non avevamo mai, da lui, corsi regolari (cors. agg.). Dopo i seminari redigevamo i nostri appunti su quello che avevamo ascoltato e cercavamo di risolvere problemi che ci aveva dato Fermi o che ci inventavamo da noi.[20]»
L'attività di ricerca del gruppo durante questo periodo è ricordata da Rasetti con le sue stesse parole:
«L'attività degli anni 1927-1931 si svolse quasi interamente nel campo della spettroscopia atomica e molecolare [...] anche perché ne conoscevamo bene la tecnica e avevamo strumenti adeguati. Fermi partecipava agli esperimenti ed alla interpretazione teorica dei risultati. Egli non era, né fu mai, uno sperimentatore raffinato nelle tecniche di precisione, ma aveva un'intuizione acutissima di quali fossero gli esperimenti cruciali per risolvere un determinato problema, e andava diritto allo scopo senza curarsi di particolari inessenziali. Analogamente, nella teoria egli si avvaleva di qualunque mezzo lo portasse più direttamente al risultato, servendosi della sua padronanza dei mezzi analitici se il caso lo richiedeva, altrimenti ricorrendo a calcoli numerici, incurante di eleganze matematiche.»
Le ricerche di quel periodo si concentrarono sull'effetto Raman in molecole e cristalli, sugli spettri di assorbimento dei metalli alcalini e sulle strutture iperfini delle righe spettrali. Nel 1929 Fermi e Rasetti compresero che la ricerca sulla spettroscopia e la fisica atomica stava per volgere alla fine, dato che la meccanica quantistica aveva risolto la maggior parte delle questioni aperte. Il nuovo corso del gruppo fu di investigare il nucleo dell'atomo. Corbino, in un celebre discorso intitolato I nuovi compiti della fisica sperimentale, si fece carico davanti alla Società Italiana per il Progresso delle Scienze del progetto di modernizzare la ricerca scientifica in Italia. Rasetti, Fermi e Corbino si fecero pertanto promotori della nuova politica scientifica che doveva basarsi sulla fondazione di laboratori di ricerca ben attrezzati, sulla formazione di ricercatori sia teorici sia sperimentali, e soprattutto sulla concentrazione di finanziamenti, risorse materiali e umane, nei settori più promettenti.
Il nuovo corso veniva così delineato da Corbino:
«Molte possibilità sono aperte sulla via dell'aggressione del nucleo atomico, il più seducente campo della fisica di domani. [...] La sola possibilità di nuove grandi scoperte in fisica risiede perciò nell'eventualità che si riesca a modificare il nucleo interno dell'atomo. E questo sarà il compito veramente degno della fisica futura.»
Il 29 marzo 1929 Fermi è nominato da Mussolini membro della Reale Accademia di Italia e si iscrive al partito fascista[21]. Fermi, in seguito, cercò di ottenere ulteriori finanziamenti per il suo istituto, finanziamenti che arrivarono tramite fondi del CNR e che ammontavano a circa dieci volte il valore medio dei finanziamenti degli altri istituti.
Insieme con Antonio Garbasso evitò che i finanziamenti fossero mal distribuiti e li concentrò sulla fisica nucleare e sulla fisica dei raggi cosmici. Quando Fermi focalizzò le sue ricerche sul nucleo, si era già a conoscenza che la maggior parte dei nuclei esistenti era di natura stabile, e che altri sono radioattivi. In caso di decadimento radioattivo se ne conoscevano di tre tipi: tramite emissione di una particella o tramite l'emissione di una particella , e in genere accompagnati dall'emissione di un fotone . Compito della fisica nucleare era quello di studiare le forze che tengono insieme il nucleo. Infatti, attraverso la meccanica quantistica, si era in grado di spiegare solo, e approssimativamente, l'emissione di particelle .
Al fine di comprendere meglio il problema, Fermi organizzò a Roma, fra l'11 e il 17 ottobre 1931, il Congresso internazionale di fisica nucleare del 1931, promosso dalla Fondazione Volta, insieme alla Reale Accademia d'Italia e al CNR, di cui Fermi era segretario del comitato di fisica.[22] Il congresso fu finanziato con duecentomila lire, una cifra enorme per l'epoca, e aperto con un intervento dello stesso Mussolini. L'organizzazione scientifica del congresso fu affidata a Fermi che personalmente invitò i più grandi scienziati mondiali, definendo direttamente il taglio degli interventi, e chiedendo espressamente di esporre non solo i problemi già risolti, ma soprattutto quelli non risolti.
Il congresso ebbe un'importanza scientifica enorme e vide la partecipazione di Marie Curie, Niels Bohr, Patrick Blackett, Robert Millikan, Arthur Compton, Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli. Il congresso fu un catalizzatore di idee e soprattutto mise a fuoco le questioni centrali, teoriche e sperimentali, ancora aperte. Wolfgang Pauli, per esempio, avanzò per la prima volta l'esistenza di una nuova particella, che, secondo Segrè, Fermi per la prima volta propose di chiamare neutrino, per spiegare gli spettri continui degli atomi radioattivi durante il processo di "decadimento ".[23] Ipotesi contrastata da Bohr, secondo cui in questo modo si violava la legge di conservazione dell'energia. Al contrario Fermi vedeva l'ipotesi favorevolmente. Il congresso si concluse con le seguenti parole di Corbino:
«Io penso perciò che l'andamento futuro della fisica del nucleo sarà grandemente influenzata da questa settimana di vita comune, di cui i risultati profondi si vedranno forse in tutti i lavori che matureranno in questo campo per parecchi anni. E questo era lo scopo principale che i promotori del convegno, me per primo, avevano di mira.»
Tale profezia si rivelò corretta. Nel febbraio del 1932 James Chadwick scoprì al Cavendish Laboratory di Cambridge il neutrone. Nel settembre del 1932 Carl David Anderson al CalTech scoprì il positrone, risultato che venne poco dopo confermato da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini a Cambridge, dove crearono coppie elettrone/positrone confermando così la teoria di Dirac. Lo stesso anno Urey, Brickwedde e Murphy scoprirono il deuterio. Nel luglio 1932 una relazione congressuale accennò per la prima volta al neutrino di Pauli.
In seguito alle pubblicazioni di Chadwick sull'esistenza del neutrone, Ettore Majorana propose un modello di atomo dove il nucleo era composto dai soli protoni e neutroni, elaborandone una teoria delle forze nucleari che li tengono insieme. Tali forze sono note oggi come "forze di scambio"[24] o forze di Majorana. Nell'ottobre del 1933, durante il settimo congresso Solvay, Pauli si convinse finalmente a pubblicare le sue teorie sul neutrino.
Due mesi dopo la VII Conferenza Solvay, Fermi pubblicò il suo celebre lavoro sulla teoria del decadimento beta dal titolo: Tentativo di una teoria dei raggi β. Rasetti ne ricostruisce così la genesi:
«Nell'autunno del 1933 Fermi ci mostrò un articolo che aveva meditato e scritto nelle prime ore del mattino da parecchi giorni, già in forma completa di tutti gli sviluppi matematici, su una teoria dell'emissione dei raggi β fondata sull'ipotesi di Pauli del neutrino, dalla quale si deducevano risultati precisi sulle caratteristiche quantitative del fenomeno. Poche teorie della fisica moderna sono state così originali, così feconde di risultati [...] come la teoria di Fermi dei raggi β che ancor oggi domina non più soltanto l'ordinario processo β (che rappresenta la trasformazione di un neutrone in un protone, con creazione di elettrone e neutrino) ma anche numerose trasformazioni di particelle instabili.»
Nella teoria di Fermi, egli riprendeva l'ipotesi di Pauli del neutrino, e assunse che neutrone e protone fossero due stati differenti dello stesso oggetto, aggiungendo anche l'ipotesi che assumeva che l'elettrone espulso durante il procedimento di decadimento β non preesistesse nel nucleo prima di essere espulso, ma che venisse creato, insieme al neutrino nel processo di decadimento contemporaneamente alla trasformazione di un neutrone in un protone, analogamente a quello che avviene nella formazione di un quanto di luce che accompagna un salto quantico di un atomo. Per costruire la teoria del processo di decadimento beta, processo in cui il numero di particelle leggere non si conserva, Fermi ricorse al formalismo elaborato da Dirac all'interno della sua teoria quantistica della radiazione relativa all'interazione dell'elettrone con il corpo elettromagnetico. All'interno della sua teoria, Dirac descrive gli operatori di costruzione e distruzione che definiscono il processo di annichilimento o creazione di una particella una volta che abbia interagito con il campo elettromagnetico.
Fermi dimostrò che così come l'interazione elettromagnetica produce la conversione di un fotone in una coppia elettrone-positrone, così l'interazione di Fermi, oggi chiamata interazione debole, produce la trasformazione di un neutrone in un protone (o viceversa), accompagnato dalla creazione di un elettrone e di un neutrino.
Al fine di calcolare la probabilità con cui il processo avviene, Fermi costruì la funzione hamiltoniana più semplice e compatibile con le leggi di conservazione e di simmetria. La costante di grandezza che compare nell'hamiltoniana fu determinata da un confronto con dati sperimentali. Tale costante per l'interazione debole ha un significato analogo a quella della gravitazione. Nel suo lavoro, rifiutato dalla rivista Nature perché ritenuto "troppo lontano dalla realtà fisica",[N 4][25] e accettato in seguito, prima su Nuovo Cimento e poi sulla Zeitschrift für Physik, Fermi calcolò la vita media del decadimento β, l'energia spettrale dell'elettrone emesso e le cosiddette regole di selezione del processo. A proposito di questo lavoro, Segrè ricorda:
«Fermi espose la sua teoria ad alcuni di noi durante una vacanza nell'inverno del 1933, in Val Gardena, dopo una giornata di sci [...]. Era pienamente consapevole dell'importanza del suo lavoro e disse che pensava che quello sarebbe stato il suo capolavoro, ricordato dalla posterità, certo il meglio di quanto aveva fatto fino ad allora.»
La teoria di Fermi aprì un nuovo campo della fisica delle particelle elementari: la fisica delle interazioni deboli.
Il gruppo di Fermi cominciò a lavorare sulla radioattività artificiale in seguito alla scoperta della stessa da parte di Irene Curie e suo marito Frederic Joliot nel gennaio del 1934. Nell'autunno del 1934 Fermi e Rasetti cominciarono la costruzione degli strumenti necessari al fine di studiare la radioattività basata sull'esperienza fatta qualche mese prima da Rasetti al Kaiser Wilhelm Institut für Chemie a Berlino. Insieme costruirono una grande camera a nebbia e uno spettrometro a cristalli per raggi γ e vari contatori Geiger-Müller. Le sorgenti di neutroni vennero fornite e preparate da Giulio Cesare Trabacchi, direttore del laboratorio di fisica dell'Istituto Superiore di Sanità.[26] Al contrario di quanto fatto da Curie e Joliot, Fermi decise di bombardare i nuclei bersagli con neutroni (cariche neutre) anziché con particelle α (cariche positive). Utilizzando come sorgenti di neutroni radon e berillio, Fermi cominciò a bombardare gli elementi del sistema periodico in maniera sistematica, ma solo quando arrivò al fluoro e all'alluminio, il suo contatore Geiger-Müller segnò finalmente i primi conteggi.
I primi risultati positivi vennero inviati alla rivista scientifica del CNR Ricerca Scientifica il 25 marzo 1934, spiegati da Fermi come un nucleo che una volta soggetto a bersaglio assorbe un neutrone ed emette una particella α, dando luogo a un nuovo elemento radioattivo con numero atomico minore di due unità rispetto a quello di partenza. Fermi scrisse dieci articoli su questo tema, tutti con il titolo Radioattività provocata da bombardamento di neutroni N, con N da 1 a 10. Il gruppo di Fermi lavorò intensamente sulle nuove ricerche, e data la necessità di profonde conoscenze in chimica, decise di assumere Oscar D'Agostino, un chimico che si trovava a Parigi per approfondire le tecniche di radio chimica. Il lavoro procedeva speditamente e i risultati venivano, come detto, pubblicati immediatamente su Ricerca Scientifica. In poco tempo vennero irradiati con neutroni circa 60 elementi e almeno in 40 vennero identificati nuovi elementi radioattivi. Durante la fase di classificazione delle reazioni, il gruppo si accorse che i neutroni davano luogo alla formazione di nuovi nuclei radioattivi praticamente in tutti gli elementi irradiati, indipendentemente dal numero atomico. Scoprirono inoltre che nel caso di atomi leggeri, i radionuclidi prodotti avevano un numero atomico inferiore di una o due unità rispetto al nucleo iniziale mentre nel caso di elementi più pesanti i nuovi elementi erano isotopi del nucleo bombardato.
I risultati vennero interpretati in termini di reazioni nucleari (n, p) o (n,α), ovvero in termini di altezza del potenziale elettrostatico che le particelle cariche (protoni o particelle α) emesse dai nuclei bersaglio devono attraversare, essendo il potenziale elettrostatico minore per atomi leggeri rispetto agli atomi pesanti. I risultati del gruppo di Fermi fecero presto il giro del mondo, e il loro successo può essere riassunto per esempio con le parole di Lord Ernest Rutherford, eminenza dell'epoca nel campo della fisica nucleare:
«I suoi risultati sono di grande interesse e non dubito che in futuro saremo in grado di ottenere maggiori informazioni sul reale meccanismo di queste trasformazioni. Non è affatto certo che il processo sia così semplice come appare nelle osservazioni dei Joliot. Mi congratulo con lei per il successo della sua fuga dalla sfera della fisica teorica. Mi sembra proprio che lei abbia trovato un buon filone di ricerca per cominciare. Le può interessare sapere che anche il professor Dirac ha iniziato a fare alcuni esperimenti. Ciò sembra un buon augurio per il futuro della fisica teorica! Congratulazioni e i migliori auguri. [...] Continui ad inviarmi le sue pubblicazioni su questi argomenti.»
Fermi e il suo gruppo proseguirono nella loro attività di bombardamento di tutti gli elementi della tavola periodica. Arrivati al numero 90 (torio) e al numero 92 (uranio), osservarono numerosi radionuclidi che erroneamente interpretarono come nuovi elementi.
La loro scoperta venne confermata dai maggiori fisici dell'epoca. I due nuovi elementi vennero denominati esperio e ausonio in onore di due antiche civiltà italiche. La scoperta, che nei piani di Fermi doveva rimanere segreta, venne invece subito resa pubblica da Corbino durante un discorso, dal titolo Risultati e prospettive della fisica moderna, tenuto di fronte all'Accademia dei Lincei alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Fermi era contrario a dichiarazioni sensazionalistiche ed era convinto che le spiegazioni da loro date fossero errate. Infatti ciò che il gruppo aveva scoperto non erano due nuovi elementi, ma si trattava della fissione dell'uranio, come fu suggerito dalla chimica tedesca Ida Noddack. Nella seconda metà del 1934, il gruppo decise di passare da uno studio qualitativo delle attività radioattive dei materiali a uno quantitativo.
Lo studio fu assegnato da Fermi ad Amaldi e a Bruno Pontecorvo che si era da poco unito al gruppo. Il primo obiettivo era quello di ottenere risultati ben riproducibili, ma i due si imbatterono in difficoltà enormi, dato che le proprietà dei vari metalli sembravano dipendere fortemente dai materiali su cui la sorgente di neutroni e il campione irradiato venivano disposti. Per la mattina del 20 ottobre 1934 tutto era pronto per un esperimento sistematico per capire l'origine di questi strani fenomeni. Amaldi costruì il castelletto con pareti di piombo e ripeté le misure, collocando la sorgente e il campione d'argento da irradiare secondo varie disposizioni geometriche. L'esperimento consisteva nel bombardare con neutroni un bersaglio costituito da un campione di argento inserendo tra la fonte e il bersaglio un cuneo di piombo allo scopo di distinguere i neutroni "assorbiti" da quelli "diffusi".
In fisica, non sono rari i casi in cui scoperte e invenzioni sono il frutto del caso fortuito, sotto il quale si cela l'intuizione, la creatività e l'ispirazione dell'autore. Tra i tanti episodi di cui è costellata la storia della scienza uno dei meno noti, ma anche dei più clamorosi, avvenne proprio quella mattina del 20 ottobre 1934 e coinvolse Enrico Fermi durante le sue ricerche sulla radioattività artificiale indotta da neutroni. Fermi si trovava da solo nel laboratorio mentre i suoi collaboratori e allievi erano impegnati in lezioni e sessioni d'esame. Impaziente e irrequieto com'era, decise di avviare subito le procedure previste ma un istante prima di iniziare ebbe un'intuizione e sostituì il cuneo di piombo con un pezzo di paraffina. I risultati, e cioè l'induzione di radioattività artificiale, furono straordinari, ben oltre ogni più rosea previsione, del tutto inaspettati e, al momento, incomprensibili. Fu chiaro in seguito che il successo dell'esperimento si doveva proprio alla paraffina, sostanza ricca di idrogeno, cioè di protoni, che "rallentavano" i neutroni incidenti amplificando la loro efficacia nel determinare la radioattività artificiale. L'esperimento fu ripetuto, per conferma, sostituendo la paraffina con acqua, anch'essa ricca di protoni, ottenendo gli stessi risultati clamorosi.
Emilio Segrè ricorda:
«In principio io credetti che un contatore si fosse semplicemente guastato e desse indicazioni arbitrarie come ogni tanto accadeva, ma non ci volle molto per convincere ciascuno di noi che la radioattività straordinariamente forte di cui eravamo testimoni era reale e risultava dal filtraggio delle radiazione primaria da parte della paraffina. [...] Andammo a casa a colazione e per la solita siesta ancora sorpresi e confusi dalle osservazioni della mattinata. Quando tornammo Fermi aveva già formulato un'ipotesi per spiegare l'azione della paraffina.»
Fermi giustificò immediatamente il tutto nel seguente modo: alla base di tutto stava la definizione di neutroni lenti. Infatti i neutroni venivano rallentati in una serie di urti elastici con i protoni della paraffina aumentando così la loro efficacia nel provocare la radioattività artificiale. Fermi dimostrò come la probabilità di cattura dei neutroni e di produzione delle reazioni nucleari aumentasse con la diminuzione della velocità dei neutroni, cosa inaspettata per l'epoca, visto che si credeva il contrario. Enrico Fermi vinse in seguito a questa scoperta il premio Nobel per la fisica nel 1938. Ma perché allora utilizzò proprio paraffina e perché ebbe questa intuizione apparentemente bizzarra, non è ancora oggi chiaro. Neppure il grande scienziato seppe trovare una risposta e certamente la persona più sorpresa di quella modifica fu proprio lui. Così Subrahmanyan Chandrasekhar, il famoso fisico teorico di origine indiana, ricorda la conversazione che ebbe con Fermi a questo proposito:
«Le racconterò come arrivai a fare la scoperta che credo sia la più importante della mia carriera. Stavamo lavorando molto intensamente sulla radioattività indotta dai neutroni e i risultati che stavamo ottenendo erano incomprensibili. Un giorno, appena arrivato in laboratorio, mi venne in testa che avrei dovuto esaminare l'effetto prodotto da un pezzo di piombo piazzato davanti ai neutroni incidenti. E, contrariamente alle mie abitudini, misi un grande impegno a preparare un pezzo di piombo lavorato con grande precisione. Ero chiaramente insoddisfatto di qualcosa: cercai ogni scusa per tentare di rinviare la disposizione di quel pezzo di piombo al suo posto. Quando finalmente con grande riluttanza stavo per collocarlo, mi dissi: «No! Non voglio questo pezzo di piombo, ciò che voglio è un pezzo di paraffina!». Andò proprio così, senza nessuna premonizione e nessun precedente ragionamento conscio. Presi immediatamente un pezzo di paraffina che trovai sul momento a portata di mano e lo collocai dove avrebbe dovuto essere disposto il pezzo di piombo.»
La sera stessa Fermi e i suoi colleghi scrissero un breve articolo circa la scoperta per la rivista Ricerca Scientifica. L'articolo venne intitolato Azione di sostanze idrogenate sulla radioattività provocata da neutroni I, in cui gli autori avanzarono come possibile spiegazione:
«I neutroni per urti multipli contro nuclei di idrogeno, perdono rapidamente la propria energia. È plausibile che la sezione d'urto neutrone-protone cresca al calare dell'energia e può quindi pensarsi che dopo alcuni urti i neutroni vengano a muoversi in modo analogo alle molecole diffondentesi in un gas, eventualmente riducendosi fino ad avere solo l'energia cinetica competente all'agitazione termica. Si formerebbe così intorno alla sorgente qualcosa di simile a una soluzione di neutroni nell'acqua o nella paraffina.»
In seguito a tale scoperta, il gruppo riorganizzò le sue attività di ricerca decidendo di concentrarsi maggiormente sull'effetto dei neutroni lenti piuttosto che sullo studio dei radionuclidi prodotti. La prima ricerca fu di determinare quantitativamente il cosiddetto coefficiente di acquacità che determina di quanto l'immersione in acqua di una sorgente e dei campioni sotto esame aumentasse la radioattività artificiale. Gli esperimenti mostrarono che alcuni elementi avevano una cattura neutronica maggiore di un ordine di grandezza fra 3 e 4 volte maggiore della cosiddetta sezione d'urto geometrica dei nuclei irradiati. Utilizzando la meccanica quantistica, Fermi riuscì a spiegare questo fenomeno, trovando una spiegazione per queste sezioni d'urto anomale e ricavando la legge generale della dipendenza dalla sezione d'urto di cattura dalla velocità dei neutroni incidenti, scoprendo così che, per velocità molto basse, la probabilità di cattura è inversamente proporzionale alla velocità.
Corbino convinse Fermi e i suoi ragazzi a brevettare il processo di produzione di sostanze radioattive artificiali mediante bombardamento di neutroni e l'aumento dell'efficienza del processo stesso dovuto all'uso dei neutroni lenti. Tale brevetto porta la data del 26 ottobre 1935 e fu determinante per il successivo sviluppo dell'energia atomica. L'attività del gruppo proseguì con la ricerca della comprensione del gran numero di attività indotte nel torio e nell'uranio. L'ipotesi su cui si basava la ricerca era che oltre al decadimento β ci fosse un secondo decadimento denominato α, con un'emissione di nuclei di elio. Amaldi venne incaricato da Fermi di procedere con gli esperimenti alla ricerca degli emettitori α, ricerca che fallì, a parte per il caso dell'uranio.
Nell'estate del 1935, il gruppo cominciò a disperdersi. Rasetti si recò alla Columbia University. Segrè fu anch'esso negli USA e, quando tornò in Italia, vinse la cattedra di fisica sperimentale a Palermo. D'Agostino lasciò il gruppo per andare al neo-costituito Istituto di Chimica del CNR. Pontecorvo partì per Parigi per lavorare con i Joliot-Curie. Majorana infine sparì. Con le parole di Amaldi
«Responsabilità di ciò era la situazione politica generale dell'Italia, dato che il paese si stava preparando alla guerra con l'Etiopia.»
Come reazione al pesante clima politico, i ritmi di lavoro divennero forsennati. Amaldi ricorda:
«Iniziavamo alle otto di mattina ed effettuavamo misure praticamente senza interruzione fino alle sei o sette di sera, e spesso anche più tardi. Eseguivamo le misure secondo una tabella di marcia cronometrica, dato che avevamo studiato il tempo minimo necessario per compiere tutte le operazioni. Le ripetevamo ogni tre o quattro minuti per ore e ore, e per tutti i giorni necessari per giungere a una conclusione su ogni punto particolare. Una volta risolto un dato problema, ne attaccavamo subito un altro senza alcuna interruzione o incertezza. La fisica come "soma" era l'espressione che utilizzavamo per parlare del nostro lavoro mentre la situazione generale in Italia si faceva sempre più cupa.»
Verso la fine del 1936 la situazione politica in Italia si deteriorò ulteriormente in seguito all'Asse Roma-Berlino fra l'Italia fascista di Mussolini e la Germania nazista di Hitler. Il colpo del KO al gruppo arrivò il 23 gennaio 1937, quando Corbino morì improvvisamente di polmonite. Fermi ne era il naturale successore alla guida dell'istituto di via Panisperna ma, attraverso manovre politiche, il professor Antonino Lo Surdo riuscì a prendere il posto del defunto Corbino. Il blocco di paraffina utilizzato da Fermi per il suo esperimento del 20 ottobre 1934, recante la sigla "Regio Istituto di Fisica" (RIF), è ancora oggi conservato nel museo del Dipartimento di Fisica dell'Università La Sapienza di Roma.
La scoperta dei neutroni lenti consolidò definitivamente la fama del gruppo di Fermi a livello mondiale. Già nel 1935, il gruppo si era reso conto che le sorgenti al radon-berillio erano molto deboli e che solo un acceleratore di particelle le avrebbe rese più intense. Fermi, intuendone l'importanza, voleva dotare il gruppo di una macchina di questo tipo. Nell'estate del 1935, Rasetti fu inviato a visitare il laboratorio di Robert Millikan a Pasadena e il Radiation Laboratory a Berkeley al fine di studiare le prestazioni degli impianti realizzati presso quei laboratori nel caso si fosse deciso di costruirne uno in Italia. A Pasadena, Rasetti studiò un acceleratore ad alto voltaggio messo a punto da uno studente di Millikan, mentre a Berkeley studiò il ciclotrone inventato da Ernest Lawrence.
La produzione di neutroni del ciclotrone era dell'ordine di 1010 neutroni al secondo, equivalente ai neutroni ottenibili con un chilogrammo di radon mescolato al berillio. Dopo un anno dalla visita di Rasetti, anche Segrè si recò a Berkeley e notò che il ciclotrone era stato nel frattempo enormemente migliorato. Tornato in Italia, abbandonò insieme a Fermi l'idea di costruire un ciclotrone in Italia a causa del costo elevato. Nel novembre 1936, Fermi e Domenico Marotta, direttore dell'Istituto di Sanità pubblica, presentarono la proposta per realizzare un acceleratore di tipo Cockcraft-Walton da 1 MeV, che sarebbe stato realizzato, presso l'Istituto di Sanità pubblica, solo alcuni mesi dopo la fuga di Fermi dall'Italia fascista. Al fine di mantenere la posizione internazionale raggiunta, Fermi presentò il 29 gennaio 1937 una dettagliata proposta per la costituzione di un Istituto di radioattività nazionale:
«Le ricerche sulla radioattività hanno avuto negli ultimi anni, presso tutte le nazioni civili, uno sviluppo eccezionalmente intenso e fecondo. Questo movimento non accenna in alcun modo a declinare, ma tende anzi a estendersi a nuovi e vasti campi non solo della fisica, ma anche della chimica e della biologia. L'Italia ha avuto finora un ruolo preminente in queste ricerche [...]. D'altra parte la tecnica radioattiva ha potuto impiegare in gran parte come sorgenti primarie le sostanze radioattive naturali, così che i mezzi ordinari di un laboratorio fisico universitario hanno potuto, con limitati aiuti esterni, essere sufficienti allo sviluppo delle ricerche. Accanto alla tecnica delle sorgenti naturali si è andata sviluppando in tutti i grandi paesi esteri quella delle sorgenti artificiali. [...] Queste sorgenti hanno intensità migliaia di volte superiore a quelle partendo dalle sostanze naturali. È chiaro come queste circostanze rendano vano pensare a un'efficace concorrenza con l'estero, se anche in Italia non si trova il modo di organizzare le ricerche su un piano adeguato.»
e continuava sottolineando che:
«Nel settore della fisica è stato appena iniziato uno studio di ricognizione delle proprietà di un centinaio di nuovi corpi radioattivi (per circa la metà scoperti in Italia). [...] Oltre a questo campo di ricerca sistematica, che da solo potrebbe occupare per parecchi anni l'attività di vari ricercatori, vi sono ancora numerosissimi problemi insoluti relativi alla struttura nucleare e alle proprietà del neutrone, dal cui studio è naturale presumere una notevole messe di risultati.»
Fermi non si limitava a sottolineare l'importanza della ricerca di base, ma evidenziava anche le possibili ricadute pratiche:
«Un altro importante campo di studi, per il quale si hanno già promettentissimi inizi, è l'applicazione di sostanze radioattive artificiali quali indicatori per l'analisi di reazioni chimiche. Non meno importanti si prospettano le applicazioni nel campo biologico e medico. Tale importanza è stata riconosciuta in vari paesi nei quali le ricerche sulla radioattività artificiale sono largamente sovvenzionate da istituzioni mediche. Alcune applicazioni riguardano la sostituzione delle sostanze radioattive a quelle naturali per gli usi terapeutici.»
La richiesta finale da parte di Fermi era di 300 000 lire più 230 000 per le spese di personale e gestione. Nel 1937 lo stesso Fermi si recò a Berkeley per studiare il modo di costruire un ciclotrone economico, ma questa pianificazione non portò a nulla per il crescente isolamento politico e scientifico che Fermi cominciò a subire dopo la morte di Corbino e che si accentuò ulteriormente con l'improvvisa morte di Guglielmo Marconi, che in quanto presidente del CNR e dell'Accademia d'Italia, era un influente e ascoltato protettore del gruppo. Nel maggio 1938, la proposta di Fermi venne definitivamente affossata con la giustificazione che non vi erano soldi a sufficienza. Venne solo concesso un contributo di 150 000 lire per l'anno 1938-1939. Questa decisione segnò la fine del sogno di un ciclotrone italiano e la morte della fisica nucleare italiana, proprio alcuni mesi prima dell'assegnazione del premio Nobel per la fisica.[senza fonte]
In questo periodo maturò la decisione (anche in seguito ai continui viaggi effettuati verso gli USA) di lasciare l'Italia per volare oltre oceano, dato che negli USA vi erano finanziamenti adeguati per la ricerca. Come ricorda Segrè:
«Lo attiravano i laboratori attrezzati, gli abbondanti mezzi di ricerca, l'entusiasmo che sentiva nella nuova generazione di fisici, l'accoglienza cordiale degli americani. [...] Gli ideali americani, a differenza di quelli fascisti trovavano una profonda eco nell'animo di Fermi. Tutte le osservazioni e le considerazioni che ne seguivano lo preparavano spiritualmente ad emigrare, e quando alla fine si trasferì in America fu più l'esecuzione di un piano a lungo meditato che una decisione improvvisa determinata dalle circostanze.»
In aggiunta, la situazione europea, con l'annessione dell'Austria da parte della Germania nazista, cominciava a degenerare rapidamente. Nel luglio 1938 cominciò la campagna antisemita anche in Italia con la pubblicazione del manifesto della razza e le successive leggi razziali, per cui Fermi dovette rinunciare alla collaborazione di alcuni suoi assistenti. Sua moglie stessa, Laura Capon (figlia dell'ammiraglio Augusto Capon), essendo ebrea, era soggetta alle persecuzioni razziali imposte dal regime, insieme ai loro figli. Lo stesso Fermi era soggetto a controlli di ogni tipo. Laura Capon ricorda nel libro Atomi in famiglia che la coppia decise di lasciare l'Italia in seguito all'attuazione di quella legge.
«Eravamo ancora a San Martino il 2 settembre, quando la radio annunciò le prime leggi razziali riguardanti gli ebrei italiani (nell'agosto erano state promulgate leggi per gli ebrei stranieri). Vi era definito chi fosse e chi non fosse legalmente ebreo, e gli ebrei, sia insegnanti sia studenti, venivano esclusi da tutte le scuole governative. Poiché Nella e Giulio erano ariani per legge, non avremmo avuto difficoltà con le scuole. Ma c'è un limite a tutto, e decidemmo immediatamente di esulare.[27]»
Il 10 novembre 1938, Fermi ricevette, all'età di soli trentasette anni, l'annuncio ufficiale del conferimento del premio Nobel. L'illustre scienziato italiano decise che, dopo la consegna del premio a Stoccolma, avrebbe fatto rotta con la famiglia verso gli Stati Uniti, dove la Columbia University di New York lo aveva invitato per una serie di lezioni. Edoardo Amaldi ricostruisce così l'atmosfera che precedette la proclamazione ufficiale dell'assegnazione a Fermi del Nobel:
«Nei giorni successivi all'assegnazione del premio nobel a Fermi, parte della stampa si era limitata a dare la notizia in forma estremamente breve, parte era giunta ad esprimere un cauto compiacimento per il riconoscimento internazionale che aveva ricevuto il lavoro di Enrico Fermi svolto in un'università italiana, anzi in quella della capitale, e talvolta aveva cercato di fare risalire il merito al regime [...]. Ma al tempo stesso trapelava, qua e là, qualche preoccupazione per l'imperfezione razziale della famiglia Fermi, dell'ambiente dell'istituto e della fisica italiana in generale, e per il sospetto che Stoccolma fosse per Fermi la prima tappa di un viaggio ben più lungo.»
Un interessante racconto circa il clima intorno alla figura del famoso fisico romano ci viene da un controllo di routine fatto da un informatore del ministro dell'Interno. In seguito alla cerimonia che la Magneti Marelli, società di cui Fermi era consulente scientifico, organizzò per festeggiare il neo premio Nobel, vennero invitate tutte le maggiori autorità cittadine della regione. Dal racconto dell'informatore:
«Mi viene riferito che in occasione della cerimonia [...] per festeggiare l'accademico Enrico Fermi, premio Nobel 1938 per la fisica, erano state invitate tutte le autorità cittadine. Da sua altezza reale il Duca di Bergamo, al prefetto, segretario generale, membri e gerarchi fascisti, podestà, questore, ecc. Pare che all'ultimo momento, a eccezione del duca di Bergamo, nessuna delle citate autorità, e specialmente politiche, abbia voluto intervenire. Si dice che la causa sia dovuta al fatto che il festeggiato, ammogliato a un'israelita, avrebbe ripetutamente manifestato la sua disapprovazione verso la campagna anti ebraica, dichiarandosi invece ben felice di avere per compagna una giudea.»
Il 6 dicembre 1938 Fermi partì con il treno per Stoccolma. Alla stazione Termini, la famiglia Fermi fu accompagnata da Rasetti e Amaldi, che riporta gli ultimi momenti con il maestro:
«Io sapevo, anzi sapevamo, che quella sera si chiudeva definitivamente un periodo, brevissimo, della storia della cultura in Italia che avrebbe potuto estendersi e svilupparsi e forse avere un'influenza più ampia sull'ambiente universitario e, con il passare degli anni, magari anche sull'intero paese. Il nostro piccolo mondo era stato sconvolto, anzi quasi certamente distrutto, da forze e circostanze completamente estranee al nostro campo d'azione. Un osservatore attento avrebbe potuto dirci che era stato ingenuo pensare di costruire un edificio sulle pendici di un vulcano che mostrava così chiari segni di crescente attività. Ma su quelle pendici eravamo nati e cresciuti, e avevamo sempre pensato che quello che facevamo fosse molto più durevole della fase politica che il paese stava attraversando.»
Il 10 dicembre 1938 l'Accademia delle scienze di Stoccolma conferisce il premio Nobel a Enrico Fermi
«Per le sue dimostrazioni dell'esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti da irraggiamento neutronico, e per la scoperta delle reazioni nucleari causate dai neutroni lenti.»
Il comportamento di Enrico Fermi durante la consegna del premio fece scalpore all'interno dell'informazione del regime fascista[28]. Come ricorda Amaldi:
«Il fatto che Fermi invece di indossare l'uniforme fascista o quella dell'accademico d'Italia portasse il frac e che invece di fare il saluto fascista stringesse la mano al sovrano svedese determinarono una vera ondata di indignazione.»
Nei giorni successivi Otto Hahn e Fritz Strassmann rilevarono, in seguito al bombardamento dell'uranio con neutroni, la presenza di bario radioattivo, cioè di un elemento con numero atomico intermedio (simile alla scoperta del gruppo di Fermi degli elementi con numero atomico superiore denominati esperio e ausonio). I due scienziati tedeschi ipotizzarono per la prima volta la possibile fissione dell'uranio.
Dopo aver ricevuto il premio Nobel, Fermi andò a Copenaghen da Bohr per imbarcarsi insieme alla moglie Laura Capon il 24 dicembre 1938 sul transatlantico Franconia diretto a New York, dove arrivò il 2 gennaio 1939. Egli rimase in un primo momento a New York presso la Columbia University, dove il 25 gennaio dello stesso anno fece parte di un team sperimentale che nel seminterrato dell'università condusse il primo esperimento di fissione nucleare negli Stati Uniti. Fermi verificò gli esperimenti iniziali di Hahn e Strassmann sulla fissione nucleare con l'aiuto di Dunning e Booth e, trasferitosi a Chicago, cominciò la costruzione della prima pila nucleare, la Chicago Pile-1. In un discorso tenuto nel 1954, quando si pensionò da Presidente della Società Americana di Fisica, ricordò l'inizio del progetto:
«Ricordo vividamente il primo mese, il gennaio 1939, cominciai a lavorare ai laboratori Pupin e tutto quanto cominciò ad accadere molto velocemente. In quel periodo, Bohr era stato chiamato per una serie di conferenze a Princeton e ricordo che un pomeriggio Willis Lamb tornò da una di esse davvero entusiasta e disse che Bohr si era lasciato sfuggire di bocca novità importantissime: la scoperta della fissione nucleare e a grandi linee la sua interpretazione del fenomeno. Poi, ancora più avanti lo stesso mese, ci fu un incontro a Washington dove fu valutata la possibile applicazione del fenomeno della fissione appena scoperto come arma nucleare.[29]»
Dopo la famosa lettera di Albert Einstein del 1939 (redatta da Leó Szilárd) al Presidente Roosevelt, nella quale, di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista, veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica, la Marina stabilì un fondo di 6 000 dollari per la Columbia University, fondo che fu incrementato per il Progetto Manhattan e per il lavoro di Fermi.
Nel suo saluto all'American Physical Society, Fermi disse anche:
«Bene, arriviamo a Pearl Harbor. A quel tempo lasciai la Columbia University, e dopo alcuni mesi di andirivieni fra Chicago e New York, mi stabilii a Chicago per continuare là il lavoro, e da allora in avanti, con rare eccezioni, il lavoro alla Columbia si concentrò sulla fase del progetto dell'energia atomica iniziato da Booth, Dunning e Urey intorno al 1940, inerente alla separazione degli isotopi.»
Fu Fermi così a risolvere il primo grande ostacolo scientifico del Progetto Manhattan, il 2 dicembre 1942 alle 14:20 ora locale, quando nel campo da racquets situato sotto le tribune ovest dello stadio abbandonato Alonzo Stagg Field del campus dell'Università di Chicago il gruppo da lui guidato iniziò la prima reazione nucleare a catena auto-alimentata (Chicago Pile-1).[30] Un messaggio in codice ("Il navigatore italiano è giunto nel nuovo mondo") fu inviato da Arthur Compton a James B. Conant, presidente del Comitato di ricerca per la difesa nazionale, per avvisarlo che l'esperimento aveva avuto successo.[31] La messa in funzione della Chicago Pile 1 è da tutti considerata come il momento in cui è iniziata l'era dell'energia nucleare. Fermi fu presente quando il reattore "X-10 Graphite" a Oak Ridge, nel Tennessee, divenne critico nel 1943, e quando il "Reattore B" nel sito di Hanford lo fece l'anno successivo. Al Los Alamos National Laboratory, diresse la divisione F, parte della quale lavorò alla bomba a fusione termonucleare (la "Super") di Edward Teller.
Dopo la resa della Germania l'8 maggio 1945, i dubbi degli scienziati impegnati nel Progetto Manhattan erano cresciuti però di intensità. A Chicago, nei giorni immediatamente successivi alla fine della guerra in Europa, Arthur Compton nominò un comitato per affrontare la questione dell'uso della bomba, formato da vari scienziati del Metallurgical Laboratory, fra i quali lo stesso Szilard, e presieduto da James Franck, un fisico tedesco di grande valore, immigrato negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni antisemite dei nazisti. All'inizio di giugno del 1945 il rapporto finale, noto come Rapporto Franck anche se stilato in massima parte da Szilárd, fu recapitato urgentemente al ministro della guerra Henry Stimson perché lo inoltrasse al presidente Truman. Nel rapporto si sconsigliava l'uso delle bombe atomiche contro il Giappone e si suggeriva una dimostrazione incruenta della nuova arma.
Non essendo giunto alcun riscontro al Rapporto Franck, Szilárd decise di scrivere una petizione al presidente Truman, e la fece circolare fra gli scienziati del Metallurgical Laboratory, raccogliendo 53 firme. Ne inviò poi alcune copie ai laboratori di Oak Ridge e di Los Alamos, con una lettera di accompagnamento in cui scriveva: «Per quanto limitata sia la possibilità che la nostra petizione possa influire sul corso degli eventi, io personalmente sento che sarebbe importante se un vasto numero di scienziati che hanno lavorato in questo campo si esprimesse pubblicamente con chiarezza e sicurezza sull'opposizione per motivi morali all'uso di queste bombe nell'attuale fase della guerra», ma a Los Alamos la petizione di Szilárd non venne fatta circolare. Inviata da Szilárd attraverso i canali istituzionali, la petizione non raggiunse mai Truman perché «la questione dell'uso della bomba era stata già pienamente affrontata e risolta dalle autorità competenti».
La decisione fu presa al massimo livello politico, ma Fermi e gli altri leader scientifici del Progetto Manhattan svolsero comunque un ruolo importante nel processo decisionale: due mesi prima, nel maggio del 1945, Truman aveva infatti creato un'apposita commissione, nota come Interim Committee per affrontare la questione dell'eventuale uso della bomba atomica. L'Interim Committee fu affiancato da una commissione scientifica composta da quattro scienziati di primo piano del Progetto Manhattan: Oppenheimer, Fermi, Lawrence e Compton, che avevano la responsabilità delicatissima di dare consigli tecnici sull'uso dell'arma nucleare contro il Giappone. I quattro scienziati ricevettero da Stimson il Rapporto Franck ma non lo trovarono convincente.
La raccomandazione di Fermi e degli altri leader del progetto convinse i membri dell'Interim Committee che il 21 giugno approvarono all'unanimità i seguenti provvedimenti:[32]
Era tra gli scienziati presenti al test nucleare Trinity il 16 luglio 1945, la prima esplosione nucleare della storia, dove fu usato il suo "metodo Fermi" per stimare la resa della bomba:
«Circa 40 secondi dopo l'esplosione il getto d'aria mi raggiunse. Ho provato a stimarne la forza facendo cadere da circa sei piedi piccoli pezzi di carta prima, durante e dopo il passaggio dell'onda d'urto. Poiché in quel momento non c'era vento, potevo osservare molto distintamente e misurare effettivamente lo spostamento dei pezzi di carta che stavano cadendo mentre l'esplosione passava. Lo spostamento era di circa 2 metri e mezzo, che, all'epoca, stimai corrispondesse all'esplosione che sarebbe stata prodotta da diecimila tonnellate di T.N.T..[33]»
Il 15 luglio, nella notte della vigilia dell'esperimento "Trinity", per allentare la tensione, Fermi propose ai suoi colleghi di fare una scommessa sulla possibilità che la bomba incendiasse o meno l'atmosfera, e, in caso accadesse, se ciò avrebbe distrutto solo lo stato del New Mexico o l'intero pianeta.[34]
Fermi fu eletto membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti nel 1945[35]. Dopo la guerra gli fu offerta e accettò la cattedra di fisica Charles H. Swift presso l'Università di Chicago, e divenne membro del nuovo istituto per gli studi nucleari di quell'università.
Il Progetto Manhattan fu sostituito dalla Commissione per l'energia atomica (AEC) il 1º gennaio 1947 e Fermi fece parte del Comitato consultivo generale, l'influente comitato scientifico presieduto da Robert Oppenheimer. Dopo la detonazione della prima bomba sovietica a fissione nucleare nell'agosto del 1949, si oppose fermamente allo sviluppo di una bomba all'idrogeno, per motivi sia morali sia tecnici.
Nell'estate del 1949, Fermi tornò brevemente in Italia per partecipare a una conferenza sui raggi cosmici che si tenne a Como dove ebbe modo di rivedere alcuni colleghi e amici tra i quali Amaldi, Bernardini, Pontecorvo, Segrè. Dopo la conferenza, organizzata dall'Accademia dei Lincei, prima di tornare negli USA, Fermi tenne anche alcune lezioni a Roma e Milano[36]. Le lezioni, raccolte dagli assistenti delle due università, furono pubblicate nel 1950[37].
Fermi tornò nuovamente in Italia, per l'ultima volta, già gravemente malato, pochi mesi prima di morire, nel 1954 per tenere un corso di lezioni sulla fisica dei pioni e dei nucleoni a Varenna presso villa Monastero, sul lago di Como[38]. La stessa villa è ora sede della Scuola internazionale di fisica, intitolata allo scienziato italiano.
Il 28 novembre 1954 Fermi morì di tumore dello stomaco a Chicago e venne sepolto nel locale Oak Woods Cemetery. Aveva 53 anni. Di lui Eugene Wigner scrisse: «Dieci giorni prima che Fermi morisse mi disse: "Spero che non duri molto". Si è riconciliato perfettamente con il suo destino».
Il professor Edoardo Amaldi ebbe a dire, durante la commemorazione tenuta a classi riunite il 12 marzo 1955 dall'Accademia dei Lincei:
«La sua opera scientifica è così poderosa e geniale, le conseguenze pratiche di alcuni dei suoi lavori sono così importanti e gravi che facilmente chi non abbia avuto la fortuna di conoscerlo è portato a farsi di lui un'immagine molto diversa dal vero. Solo i parenti e gli amici, solo coloro che l'hanno conosciuto sanno che, se da un lato era difficile separare in Enrico Fermi i vari aspetti di scienziato, di ricercatore, di maestro e di uomo, poiché intimamente fusi tra loro, d'altro canto la sua semplicità di gusti e di maniera di vivere, la sua calma serena di fronte ai problemi della vita, la sua mancanza di qualsiasi posa o stranezza di carattere furono qualità umane ancora più notevoli per il contrasto con le sue eccezionali qualità di scienziato.»
Una lapide commemorativa lo ricorda nella basilica di Santa Croce a Firenze, nota anche come il Tempio dell'itale glorie per le numerose sepolture di artisti, scienziati e personaggi importanti della storia italiana.
Fermi fu un uomo estremamente brillante, dall'inusuale elasticità mentale e senso comune. Fu un teorico veramente dotato di talento, come dimostra la sua teoria sul decadimento beta. Ebbe lo stesso talento anche sul lavoro in laboratorio, procedendo velocemente e con un grande intuito. Sostenne che fu la sua velocità in laboratorio ad averlo portato al Nobel, e che le stesse scoperte a cui lui era arrivato presto sarebbero state fatte da qualcun altro: lui ci era semplicemente arrivato prima.
Nel 1933 propose il suo famoso studio sul decadimento beta alla rivista scientifica Nature, ma l'editore della rivista lo respinse perché « [...] conteneva speculazioni che erano troppo distanti dalla realtà». Per questo, Fermi pubblicò la sua teoria in italiano e in tedesco.[39]
Comprese immediatamente l'importanza dei calcolatori elettronici, come risultò dal problema di Fermi–Pasta–Ulam–Tsingou.[28] Non dimenticò mai di essere un precursore dei suoi tempi, ed era solito dire ai suoi allievi preferiti: «Non siate mai i primi, cercate di essere secondi».
Gli allievi di Enrico Fermi le cui doti si sono distinte fra gli altri sono stati:[40]
Il film I ragazzi di via Panisperna venne dedicato a Enrico Fermi e al gruppo di grandi scienziati (Segrè, Pontecorvo, Amaldi e Majorana) che egli raccolse attorno a sé all'istituto di via Panisperna di Roma. Andò in onda per la prima volta in due puntate su Rai2 nel 1990. Oggi è disponibile gratuitamente su RaiPlay.
Il documentario "L'incredibile storia di Enrico Fermi" venne prodotto dalla RAI per celebrare il centesimo anniversario della nascita dello scienziato. Andò in onda per la prima volta il 18 settembre 2001[47] su Rai 1 in una puntata di Speciale Superquark.[48]
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